L’INFLAZIONE È SOTTO CONTROLLO?

LA COMPAGNIA HOLDING
Siamo alla vigilia di una nuova fiammata inflazionistica? C’è qualcuno che lo sostiene, e non senza una ragione. Ma i rischi che ciò comporterebbe sono molto grandi e, per fortuna, le probabilità non sono altissime. Certo le banche centrali hanno perduto il polso della situazione, e rischiano di fare inutili danni all’economia reale! Ma il pallino dell’inflazione è in mano ai politici: andiamo verso la pace o verso la guerra?

 

LE CAUSE DELLA RECESSIONE IN CORSO

L’inflazione 12-18 mesi fa era partita con la scarsità di offerta di microchip e altri semilavorati necessari all’industria di tutto il mondo dopo gli shock pandemici, proprio quando ci si accingeva a riprendere consumi e investimenti. La scarsità di offerta a confronto con una domanda crescente comportava scarsità di materie prime, di componenti di produzione e di beni finali, con i conseguenti rialzi dei loro costi. I quali costi non potevano mancare di riflettersi nella maggiorazione dei prezzi di vendita.

Una dinamica simile si è propagata più o meno subito dopo per il costo dell’energia, per produrre la quale la domanda di idrocarburi supera da tempo ampiamente l’offerta e questo ne fa impennare il prezzo, fino a raggiungere il suo apice con l’acuirsi delle tensioni internazionali e lo scoppio della guerra in Ucraina, che ha infiammato il prezzo del barile di petrolio e fatto accrescere ancora di più il costo del gas. I maggiori costi dell’energia hanno tra l’altro comportato pesanti conseguenze per l’industria, soprattutto quella europea, così come per le classi più povere dei consumatori, che hanno visto ridursi brutalmente il proprio reddito disponibile in termini di beni reali acquistabili con la medesima quantità nominale di denaro percepito.

Gli aumenti generalizzati dei prezzi si sono poi riflessi negli indici statistici più diffusi relativi all’inflazione, ed hanno inoltre impattato sui tassi d’interesse nominali perché i medesimi, al netto dell’inflazione “statistica”, si sono tradotti in minori rendimenti reali, passati anzi in territorio fortemente negativo. Ovviamente il disallineamento tra il tasso di inflazione e quello di interesse nominale ha costretto le banche centrali a muovere quest’ultimo verso l’alto, per limitarne gli effetti dirompenti dei rendimenti reali negativi. Cosa che ha però comportato inevitabilmente a sua volta un calo delle valutazioni d’azienda espresse dalle borse valori (sebbene in tempi non esattamente sincroni).

A COMPAGNIA HOLDING
Tutto ciò non poteva non portare ad un contesto globale tendenzialmente recessivo che si è manifestato ovviamente con uno sfasamento temporale. Ma ora sembra proprio che ci siamo arrivati davvero: gli Stati Uniti d’America si sono dichiarati ufficialmente in recessione (anche se per il momento è molto sobria) e l’Europa, che fa ancora fatica a dichiararla ufficialmente, rischia di trovarsi ancora peggio tanto per la dipendenza dalle forniture russe quanto per la vicinanza geografica ai maggiori teatri di guerra in corso (Ucraina e Kosovo).

OGGI LA RECESSIONE STA CALMIERANDO L’INFLAZIONE

La recessione economica è un effetto della riduzione dei consumi e degli investimenti e può propagarsi per mezzo della riduzione delle aspettative degli operatori economici (cosa che per la prima volta stiamo toccando con mano con le ultime rilevazioni degli indici PMI di Markt), in tal modo arrivando ad autoalimentarsi. Essa agisce al ribasso sui prezzi perché toglie tensione alla domanda di beni e servizi, riequilibrandola con l’offerta. È per questo motivo che oggi il prezzo del petrolio sta scendendo e che si iniziano a rilevare le prime statistiche che riportano una riduzione nell’incremento mensile dei prezzi, segno che il picco inflattivo attuale potrebbe essere stato superato.

Il punto però è che -sebbene Europa e America abbiano sino ad oggi segnato le maggiori punte inflattive rispetto a quelle registrate nel continente asiatico- adesso i governanti occidentali sembrano intenzionati ad ogni sforzo per far ridiscendere l’inflazione più vicina al precedente obiettivo del 2-3%, prima che si avviti ulteriormente fino a che diventi molto più difficile da sradicare (e -si potrebbe aggiungere- prima che l’inflazione abbia pesanti effetti anche sui risultati delle elezioni americane di medio termine).

MA DA COSA È DIPESA L’INFLAZIONE?

Ma -senza che se ne siano rimosse le cause prime- l’inflazione tende, come la brace, a covare sotto la cenere, rischiando di provocare prima o poi altre fiammate, sia perché senza maggiori investimenti sulla capacità di offerta di beni e servizi risulta difficile sperare che i prezzi non si riprenderanno alla prima occasione in cui la domanda tornerà a crescere, e sia perché al momento sembra proprio che le tensioni geopolitiche siano soltanto destinate ad accrescersi. Pertanto le attuali politiche di tamponamento del prezzo del petrolio appaiono incapaci di generare sufficiente fiducia nelle aspettative degli operatori per riportare seriamente al ribasso il costo dell’energia, se non nel brevissimo termine.

Senza contare il fatto che l’intervento (colpevolmente tardivo) delle banche centrali non potrà invertire la rotta troppo presto, e dunque che i tassi d’interesse sembrano destinati a crescere ancora, rendendo più caro l’indebitamento delle attività produttive e scoraggiando ulteriori investimenti. Due fattori indubbiamente recessivi. Dunque con l’avanzare dell’Estate sembra comporsi il rischio che la concatenazione di eventi che potremmo definire ”inflazione-aumento dei tassi-recessione” possa tornare a ripetersi già prima di fine anno, nonostante un mese di Luglio in cui l’inflazione è sembrata essere in lieve ribasso le borse valori sono sembrate riprendere quota, quantomeno perché i tassi d’interesse -con la recessione- tendono a flettere, mentre i profitti trimestrali delle grandi aziende al momento non hanno quasi registrato cali.

A COMPAGNIA HOLDING
Quanto però è probabile che la tendenza vista lo scorso mese possa proseguire fino ad oltre il periodo delle elezioni di medio termine americane? Quanto è sostenibile a lungo per i governi in carica l’utilizzo delle riserve strategiche di gas e petrolio? La risposta è quantomai ovvia: assai poco! Si materializza perciò il rischio che l’inflazione possa pertanto spiccare nuovi un balzi in avanti in autunno. Se ciò accadesse si ripeterebbe quel che è già successo negli anni ‘70: dopo la guerra del Kippur l’inflazione si è manifestata a più ondate successive, delle quali la prima era soltanto la più blanda.

I RISCHI LEGATI ALL’ECCESSO DI DEBITO

Cinquant’anni fa però il mondo non risultava tanto indebitato quanto lo è oggi. Da questo punto di vista i rischi oggi di catastrofi finanziarie derivanti dalla risalita dei tassi d’interesse appaiono molto maggiori. Tanto i debiti pubblici quanto quelli privati hanno parecchio da temere dall’eventuale prosecuzione ad oltranza dello scenario inflattivo. Se poi valutiamo le conseguenze negative che può avere la recessione sulla capacità delle nazioni di onorare il servizio del debito, allora si comprende bene che una nuova fase di rialzo dei tassi potrebbe risultare non sostenibile senza che ad essa si accompagni una nuova stagione di crescita economica (che al momento non si vede all’orizzonte).

D’altra parte invece l’autunno in arrivo si prospetta come uno dei più difficili del secolo, con forti tensioni sociali, internazionali, industriali e persino politiche, dal momento che in America è divenuto decisamente probabile un vero e proprio ribaltone dell’attuale maggioranza democratica al Congresso, e in Europa si prospettano nuove maggioranze governative sempre meno in equilibrio, con spostamenti dell’elettorato verso posizioni meno atlantiste. Le conseguenze non possono certo essere nulle nelle prospettive economiche. Possiamo perciò immaginare che la recessione abbia buone probabilità di acutizzarsi senza che intervengano presto concrete e serie prospettive di pacificazione.

DUE SCENARI

Più difficile è dunque comprendere cosa potrebbe succedere sui mercati finanziari durante la seconda pare dell’estate e dopo. Se al momento le borse hanno trovato una boccata di sollievo dalla discesa dell’inflazione tendenziale, allora potremmo sperare che, sebbene la volatilità sia ancora indubbiamente elevata, esse si siano incamminate verso un nuovo ciclo al rialzo così come era successo a metà 2020 dopo la prima ondata pandemica. Insomma per le borse -al netto di una forte volatilità- si potrebbe anche aprire una stagione di rialzi, tanto per fattori stagionali quanto per il possibile rientro della speculazione al ribasso vista sin qui.

Ma al riguardo non vi sono certezze di sorta: un tale ciclo rialzista è molto difficile da prevedere, tanto in intensità quanto nella sua collocazione temporale, perché nessuno è in grado di prevedere quanto resteranno elevati i timori generali e quanto invece potranno restare sostenibili gli attuali (elevati) profitti aziendali. A seguito dell’attuale congiuntura economica tra l’altro nessuno è davvero in grado di poter affermare che la fiammata inflazionistica sia stata effettivamente domata. Nemmeno le banche centrali che annunciano infatti ancora diversi rialzi dei tassi d’interesse e che sono comunque rimaste costantemente in ritardo rispetto agli eventi.

A COMPAGNIA HOLDING
Se viceversa crescono i timori di una nuova ondata inflazionistica, allora può intervenire negli operatori un atteggiamento mentale pressoché opposto: le attuali quotazioni azionarie infatti scontano sicuramente qualche ulteriore rialzo dei tassi da parte delle banche centrali ma presuppongono un’inflazione oramai vicina al suo picco massimo. Non incorporano cioè il rischio che, dopo tale livello, l’inflazione possa tornare a riprendere a crescere anche oltre, ad esempio a causa dell’intensificazione dello scontro epocale tra Oriente e Occidente che rischia di essere alle porte dopo il recente braccio di ferro dell’America anche con la Cina.

E il solo formarsi di aspettative in tal senso può persino far precipitare gli eventi e sospingere gli operatori finanziari ad anticipare ad oggi quel che potrebbe anche solo eventualmente succedere in autunno o in inverno, incrementando la quota di liquidità non investita (e cioè tornando a vendere azioni) senza attendere che si materializzino possibili ulteriori rialzi dei tassi d’interesse dovuti a nuove fiammate inflazionistiche. Si tratterebbe di una sorta di prevenzione da eccessi di volatilità e futuri possibili “panic selling”o quantomeno di un innalzamento di misure cautelari per difendersi da una nuove ondata di ribassi delle quotazioni azionari.

Se ciò accadesse allora potremmo considerare il recente rally estivo delle borse come una semplice pausa, da collocare più o meno a metà di un lungo ciclo al ribasso (quantomeno delle borse occidentali) e in tal caso sarebbero dolori per tutti, anche perché si tratterebbe dell’ennesimo fattore recessivo che porterebbe con sé un probabile arretramento dell’economia globale.

MA DIPENDE SOPRATTUTTO DALLA GUERRA

Uno scenario dunque estremo ma non inverosimile, la cui radice risiederebbe indubbiamente nei danni all’economia reale che potrebbe portare la prospettiva di nuovi conflitti armati. La speranza (e forse anche qualcosa di più della sola speranza) è che questa prospettiva venga definitivamente scongiurata. Sia perché governi e autorità monetarie potrebbero prendere atto dei rischi che stanno correndo e impegnarsi con cura per impedire all’inflazione di avvitarsi, e sia anche perché potrebbero decidere di avviare un progressivo sgonfiamento delle tensioni internazionali, quantomeno fino ad autunno inoltrato.

Resta infatti sempre valido il concetto di fondo che le guerre in ultima analisi non convengono mai a nessuno, in particolar modo quelle planetarie! Ma è anche vero che, quando le situazioni si ingarbugliano, non è mai così semplice per chi governa riuscire poi a fare marcia indietro, prima che gli eventi arrivino a travolgerne la possibilità.

Stefano di Tommaso

 




RECESSIONE O RIPRESA?

Sgombriamo il campo da ogni dubbio: nessuno è in grado di sapere cosa stia succedendo davvero all’economia mondiale! In Italia apparentemente siamo in pieno sviluppo, ma lo sanno anche i muri che l’economia italiana è tutt’altro che in salute. L’America al contrario sembra essere entrata in recessione, ma nessuno è pronto a scommettere che questa sarà duratura. Anche l’economia asiatica mostra fattori di incertezza. Forse il mondo è a un bivio, ma questo sembra dipendere soprattutto dalla geopolitica.

 


Il grafico sopra riportato, tratto dal World Economic Forum, mostra una regressione delle aspettative di crescita economica nel mondo, che non promette nulla di buono.

In Italia dato ISTAT nel quale emerge a sorpresa una crescita dell’1% del prodotto interno lordo nazionale (il cosiddetto PIL) è in realtà confutabile: l’inflazione contabilizzata ufficialmente dal medesimo istituto di statistica in Italia è poco sotto l’8% (7,9% per la precisione), quando invece la media europea del rincaro dei prezzi al consumo è giunta quasi al 9% (8,9%). Ma c’è davvero qualcuno che pensa che il rincaro dei prezzi al consumo sia stato minore in Italia? Suvvia!


I fattori esogeni che l’hanno determinata, quali la bolletta energetica, le materie prime, il caro-Dollaro e via dicendo sono i medesimi a casa nostra come oltralpe. Se non addirittura peggiori, dal momento che noi, a differenza di francesi e tedeschi, non produciamo energia elettrica con le centrali nucleari né col carbone, e nemmeno microchips, abbiamo trasporti più cari della media europea grazie alle nostre disastrate autostrade e ferrovie e paghiamo molte più tasse grazie alla nostra classe politica da Guinness dei primati! D’altra parte siamo in buona compagnia, come si può vedere dal grafico di Bloomberg qui sotto riportato:


Dunque c’è un “gap” statistico assai poco credibile, tra l’inflazione contabilizzata in Italia e quella contabilizzata nel resto d’Europa. E se cerchiamo conferme del fatto che in Italia l’inflazione vera sia più alta di quella rilevata ufficialmente, basta osservare la variazione media dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa” segnalata dal medesimo Istat nelle sue stime preliminari di luglio: si è addirittura portata al livello record del 9,1%, registrando un aumento che non si osservava dal settembre 1984.

È perciò possibile che la crescita dell’1% del nostro prodotto interno lordo (PIL), laddove fosse stata correttamente deflazionata, non ci sarebbe. Nel migliore dei casi saremmo a crescita zero, come del resto accade in Germania, in Spagna e in Francia eccetera! La sensazione dunque è che quella sbandierata dai nostri “media” sia in realtà pura propaganda. E visto che siamo entrati da qualche giorno in campagna elettorale, è anche qualcosa di più di una sensazione.

Ma se anche l’Italia si trovasse in quel limbo dell’economia in cui sembra essere entrato tanto il resto d’Europa quanto il resto del mondo, rimane il fatto che il quadro generale a livello globale appare di difficilissima interpretazione: non si capisce infatti se il mondo stia correndo verso una nuova recessione oppure questa sia stata soltanto un fenomeno passeggero, innescato dai forti rincari di materie prime ed energia, dalla guerra e dalla riduzione degli scambi internazionali che consegue alle tensioni geopolitiche, e oggi possa rapidamente declinare. Quelli citati infatti sono tutti fattori che potrebbero essere presto rimossi, liberando spazio per una nuova crescita economica! Ad esempio sono in molti ad affermare che l’inflazione con l’estate in corso stia oramai arrivando al suo picco, oltre il quale tornerà indietro alla stessa velocità con la quale è emersa.

L’America per esempio rappresenta l’enigma più grande: da un lato pare essere entrata in recessione, non soltanto perché avrebbe infilato due trimestri consecutivi (dall’inizio dell’anno, dunque) in cui il PIL ha avuto segno negativo, ma anche perché c’è molta sfiducia nel prossimo futuro e per i timori conseguenti alla politica aggressiva di contrasto all’inflazione che la banca centrale (la Federal Reserve Bank of America) sta portando avanti con forti rialzi dei tassi e altrettanta riduzione della liquidità sui mercati, cosa che ha di per sé effetti recessivi e che per di più ha rilanciato le quotazioni del Dollaro, scoraggiando pertanto le esportazioni americane.


Ma anche oltreoceano qualcuno si lambicca il cervello: negli USA infatti non si era mai vista prima una recessione dell’economia in cui gli investimenti continuano a correre, la disoccupazione è vicina ai minimi storici da 50 anni (con una crescita vicina al 10% delle retribuzioni medie) e l’inflazione al consumo prosegue imperterrita la sua crescita verso la doppia cifra, al punto che la Banca Centrale americana si ripromette di continuare ad alzare i tassi d’interesse! Il problema americano sembra più che altro legato ad un momento di “flesso” del comparto tecnologico, invero assai sviluppato, con un ridimensionamento non soltanto delle quotazioni in borsa delle principali aziende quotate, ma anche degli investimenti in “capitale di ventura” così come nella ricerca e sviluppo. .

Vi è poi senza dubbio l’arretramento delle principali manifatture a causa della scarsa disponibilità di materie prime e semilavorati (come appunto i semiconduttori, che provengono in gran parte dall’Asia, e dei quali c’è obiettiva scarsità). Molti sforzi sono pertanto oggi rivolti verso il rimpatrio (reshoring) di molte delle produzioni di base e si tratta di forti investimenti produttivi che non hanno ancora dispiegato i loro effetti positivi ma che lo faranno a breve. Così come a breve ci si aspetta che daranno effetti sull’inflazione ufficiale i ribassi, già in corso, di buona parte dei prezzi dei fattori di produzione. E’ per tutti questi motivi che in America nessuno si aspetta davvero che stavolta la recessione possa durare a lungo, o che possa fare grandi danni. E’ più che altro un momento di pausa. Oltre il quale nessuno sa davvero cosa potrebbe succedere…

Anche a casa nostra, se anche rivedessimo intorno allo zero la nostra crescita economica, qualche segnale positivo lo potremmo comunque percepire. Gli ordinativi dell’industria sono tornati a crescere (così come in tutto il resto d’Europa) e le retribuzioni medie stanno indubbiamente crescendo. Il turismo quest’anno sembra essere tornato a correre: in Italia ad esempio un anno fa gli hotel a giugno erano pieni al 31%, nel 2022 lo sono stati al 76%, e a prezzi assai maggiorati. Le previsioni per il turismo italiano sono peraltro di crescita del 35% nel 2022. Mentre l’industria edilizia, complice anche il famoso “super bonus”, è giunta da qualche mese alla saturazione dei propri fattori produttivi grazie soprattutto alle ristrutturazioni. Dunque anche in Europa, segnata più di altre zone del mondo dalla vicina guerra ucraina, c’è attenzione e ci sono timori, ma anche speranze circa il fatto che la situazione di stallo sia soltanto temporanea.

Non per niente le Borse di tutto il mondo, che notoriamente anticipano gli eventi dell’economia reale, hanno apparentemente smesso di scendere e anzi hanno infilato due-tre settimane positive, avendo oramai fattorizzato tanto la recessione quanto gli aumenti dei tassi d’interesse, circa i quali iniziano le scommesse sul fatto che siano giunti quasi al capolinea. Ma anche in finanza, nessuno sa davvero che pesci pigliare! Non ci sono soltanto gli ottimisti e per delle vere ragioni. Si guardi ad esempio il prezzo del petrolio, rimbalzato nelle ultime settimane:


Quasi tutti i gestori di portafoglio nei mesi scorsi hanno fatto incetta di liquidità (che peraltro costa cara, vista la svalutazione in corso) perché si teme un’ acutizzazione del conflitto militare in corso, circa il quale di nuovo non ci sono previsioni attendibili. Quella liquidità in cerca di un impiego potrebbe anche aiutare le borse a sviluppare un piccolo “rally” estivo, ma nessuno al momento si attende ancora davvero un’ importante quanto stabile ripresa dei corsi azionari. Troppe variabili sono oggi all’opera per poter estrapolare una vera tendenza al rialzo.

Anzi i timori per la scarsità di risorse energetiche lasciano grandi dubbi circa la possibilità di una vera e propria ripresa dell’industria manifatturiera, al di là del rimbalzo che potrebbe avere avuto nell’ultimo mese. Il quadro generale appare dunque assai contrastato, principalmente a causa delle due guerre in corso: quella “fredda” con la Cina e quella “calda” con la Russia. Ma il mio personale punto di vista resta quello di un moderato ottimismo al riguardo: l’America in questo momento appare debole, con un presidente anziano e malato e per di più si tratta di una nazione in procinto di recarsi ai seggi elettorali, dove la maggioranza parlamentare potrebbe dunque cambiare bruscamente: in queste condizioni è relativamente improbabile che voglia alimentare le tensioni internazionali, anzi! Mostrare in autunno un’inflazione quantomeno in calo tendenziale risulta tra i primi obiettivi dell’amministrazione Biden.


E in tal caso la situazione potrebbe presto migliorare, non soltanto nella prima economia del pianeta, ma anche altrove. E’ ovviamente solo una speranza. I “falchi” affermano che, al contrario, proprio perché il partito democratico sta per perdere il suo potere, potrebbe concentrarsi negli sforzi bellici prima dell’autunno, cosa che evidentemente farebbe di nuovo arretrare non poco le aspettative per l’economia. L’Europa da questo punto di vista pare totalmente priva di una propria politica, schiacciata completamente sulle scelte dell’alleanza militare del nord atlantico. E poi alle prese con altre consultazioni elettorali e molta instabilità governativa. Dunque incapace di esprimere una propria linea politica. Per questo motivo è relativamente probabile che ancora per un po’ di tempo a venire a muovere le acque sarà soprattutto l’America, nel bene e nel male.

In conclusione, come si può dedurre dalle considerazioni sino qui trattate, appare difficile fare previsioni, specialmente quando riguardano il futuro, come diceva ironicamente Mark Twain! E stavolta più che mai, si potrebbe aggiungere. Il mio ottimismo però mi porta a ricordare la famosa definizione di Thomas Carlyle dell’economia: “a dismal science” (una scienza triste), riferendosi in particolare modo alla piega pessimistica impressa dai primi economisti della storia, tra i quali Malthus e Bentham, che prefiguravano scenari orribili per l’umanità, basandosi sul cosiddetto “calcolo utilitaristico”. Carlyle, saggista e grande storico inglese del primo XIX.mo secolo, si prodigò pertanto nello smentire quegli scenari puntualmente catastrofici che derivavano dalle principali teorie economiche, affermando che non si poteva finire con l’ignorare quanto di meglio vi fosse nella specie umana. E i secoli successivi gli hanno dato ragione.

Per chiunque infatti -ancora oggi- si cimenti nel fare previsioni economiche, la tentazione di vedere tutto piuttosto nero appare forte, ma di solito non a ragione. L’umanità è spesso migliore dei suoi governanti e la scienza economica tende costantemente a finire per ignorarlo.

Stefano di Tommaso




QUELLA STESSA LINEA ROSSA

La presidente della Camera dei Deputati americani, Nancy Pelosi ha annunciato per Agosto una propria visita a Taiwan portandosi dietro addirittura una delegazione di altri parlamentari, e facendo ovviamente infuriare il governo cinese,

 

Neanche a farlo apposta ciò accadrà a pochi mesi di distanza dal giorno che Pelosi lascerà per sempre quella poltrona, visto che in autunno ci saranno le elezioni, che si prospettano disastrose per i democratici.

Pechino ha già detto chiaramente che percepisce quel viaggio come una forte trasgressione da parte di Washington alla propria politica di ”una sola Cina”, portata avanti costantemente ma pazientemente da decenni. Tanto è vero che il Pentagono ha in programma l’invio di jet da combattimento e navi da guerra per proteggere l’aereo di Pelosi in caso di attacchi da parte dell’esercito cinese.

Gli Stati Uniti sono perfettamente consapevoli che un incidente diplomatico di questo genere potrebbe arrivare a scatenare un vero e proprio conflitto, perchè il governo cinese ha iniziato a mettere in guardia Washington usando quello stesso linguaggio della “linea rossa” che la Russia aveva utilizzato a proposito delle provocazioni subìte prima della sua invasione di Ucraina.

“Se gli Stati Uniti insistono a sfidare la linea rossa tracciata dalla Cina incontreranno contromisure risolute. Gli Stati Uniti devono prendersi la piena responsabilità di qualsiasi conseguenza grave che ne derivi” ha annunciato il portavoce del governo cinese. Ma Nancy Pelosi tira dritto..

Lo scorso Dicembre Biden aveva annunciato alla stampa: “Non accettiamo linee rosse di nessuno” riferendosi all’avvertimento lanciato da Putin a proposito dell’adesione dell’Ucraina alla NATO, e sappiamo come è andata a finire.

E’ esattamente quello che sta succedendo stavolta a Taiwan. La “linea rossa” tracciata dalla Cina verrebbe platealmente oltrepassata con lo sbarco di Nancy Pelosi a Taiwan. Nel migliore dei casi aumenterà la tensione internazionale, nel peggiore provocherà una guerra.

Si rischia perciò un ulteriore conflitto tra Oriente e Occidente e potrebbe sembrare ingiustificato, ma forse è proprio lo scontro cià che Washington sta cercando, così come ha fatto pochi mesi fa in Ucraina, per poi muovere la macchina del fango accusando la Cina di imperialismo. E di nuovo si tratterebbe di una guerra per procura, non combattuta da soldati americani. Geniale ma spietata e pericolosissima la strategia americana.

Non voglio nemmeno pensare ad una nuova guerra mondiale ma già soltanto l’ipotesi che l’Occidente ripeta con la Cina le sanzioni e la strategia di tensione applicati alla Russia è prospettiva assai grama per il resto del mondo. E ovviamente stavolta le ripercussioni sarebbero infinitamente maggiori rispetto a quelle conseguenti alla guerra in Ucraina, perché il mondo intero (e soprattutto l’Europa) dipende dall’industria cinese.

Il prezzo del petrolio potrebbe di nuovo schizzare verso l‘alto e così pure probabilmente il dollaro americano come avviene in occasione di ogni nuovo conflitto. Di conseguenza l’inflazione potrebbe andare alle stelle, ma con il dollaro che si rivaluta l’America potrebbe riuscire a esportare parte della propria inflazione e rafforzerebbe al tempo stesso il proprio predominio sul resto del mondo. Chi ci rimetterebbe di sicuro sarebbero ancora una volta i paesi emergenti, i cui debiti nella maggior parte dei casi sono espressi in dollari.

Sanzionare la Cina per un eventuale attacco a Taiwan e arrivare a impedirne le esportazioni verso l’Occidente potrebbe forse fare gioco all’America ma sicuramente getterebbe il resto del mondo in una recessione pesante che colpirebbe soprattutto l’Europa e le sue esportazioni.

Senza contare il rischio di dover rinunciare ai manufatti cinesi e l‘impossibilità di sostituirne in fretta le produzioni. Forse una grande opportunità per le multinazionali americane ma anche un grande passo indietro per il commercio internazionale!

Procedere verso la contrapposizione sempre più marcata tra Oriente e Occidente fa gioco alla strategia anglo-americana rivolta a mantenere il proprio predominio globale, ma fa al tempo stesso molto male all’Europa. E non è affatto detto che finisca per danneggiare davvero la Cina, come si è già visto con la Russia.

Stefano di Tommaso




ALLARME SPREAD

Per usare parole di Ernest Hemingway (nel romanzo “Il sole sorgerà ancora”), la caduta del governo di Mario Draghi è maturata prima gradualmente, e poi improvvisamente. Egli aveva speso tutto il suo prestigio internazionale per rendere credibile la promessa di attuare numerose riforme, con atteggiamento inequivocabilmente pro-NATO e pro-Unione Europea che aveva rassicurato -ma anche illuso- tanto i mercati finanziari internazionali quanto i suoi concittadini. La consapevolezza di non poter arrivare sino in fondo è man mano avanzata, sino a maturare e a divenire esplicita.

 


Forse è utile infatti ricordare che di tutte le riforme promesse al Paese e all’Unione Europea non soltanto sono parecchie quelle non realizzate, ma persino tra quelle già attuate, diverse hanno subìto blocchi inaspettati (si pensi all’incentivo “110%” alle ristrutturazioni edilizie). D’altra parte l’ambizioso programma di governo dell’ex governatore della Banca Centrale Europea non poteva non far emergere la più generale difficoltà per il nostro Paese di conciliare le esigenze dei cittadini e delle imprese con quelle -spesso divergenti- degli alleati atlantici e degli altri stati membri dell’Unione Europea, ognuno dei quali è necessariamente portatore di propri interessi.

IL RISCHIO “CAOS” INGROSSA LO SPREAD


Oggi, prima di trovare un nuovo equilibrio politico e di riuscire a fornire un seguito credibile al governo di unità nazionale che è stato sorretto dal voto favorevole del parlamento per circa un anno e mezzo, l’Italia rischia di scivolare ancora nella recessione e nel caos amministrativo. Per 17 mesi destra e sinistra hanno convissuto con un governo popolato non soltanto da tecnocrati scelti dal Primo Ministro, ma anche da pittoreschi quanto improvvisati “statisti” oltre che da consumati “passisti“ della prima repubblica. All’approssimarsi però delle elezioni, è divenuto chiaro che “sovranisti”, ”globalisti“, ”assistenzialisti” e “moderati” non avrebbero potuto più convivere nel medesimo governo, peraltro tenuto strenuamente da Draghi su posizioni tra le più filo-americane che la storia ricordi.


Attenzione: Mario Draghi resterà ancora saldamente legato alla propria poltrona fino a Ottobre, e forse anche a Novembre, dal momento che le direttive imposte dal presidente della repubblica e la scelta di quest’ultimo di sciogliere le camere e indire nuove elezioni dopo la fine dell’estate permetterà all’attuale Consiglio dei Ministri di fatto di continuare a governare -quasi a pieni poteri- fino all’entrata in carica del nuovo esecutivo. Continuando probabilmente ad inviare segretamente altre armi in Ucraina e a promulgare decreti e provvedimenti relativamente impopolari.

Il punto però riguarda le prospettive politiche del paese, dal momento che i sondaggi rivelano una probabile vittoria dei partiti di destra e, tra questi, una decisa prevalenza di quello meno propenso a proseguire sulla linea del governo attuale: i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. In un paese come il nostro, dove la legge elettorale esprime un sistema proporzionale che rende necessarie ampie maggioranze per governare, è possibile che il prossimo esecutivo, quando verrà partorito, rassomigli parecchio a quello precedente.

QUALE ALLARME


Tali prospettive politiche possono scatenare allarmi di due tipi sui mercati finanziari: l’allarme del primo tipo riguarda il rischio che l’Italia possa moderare la linea atlantista imposta sino ad oggi dal presidente del consiglio e, prima di lui, da quello della repubblica. Una linea non necessariamente virtuosa, poiché ha da un lato trascinato l’Italia allo scontro frontale con il suo maggior fornitore di energia (nonché bacino di sbocco di molte produzioni nazionali) e dall’altro lato ha garantito sì l’apprezzamento della comunità finanziaria ma ha anche fatto crescere sproporzionatamente il debito pubblico.

L’allarme del secondo tipo consiste nel timore che Commissione Europea e Banca Centrale Europea possano scegliere di non intervenire più con la determinazione e la tempestività mostrati in passato nella difesa della sostenibilità del debito pubblico italiano. Si tratterebbe di una subdola modalità di ricatto nei confronti di coloro che prenderanno il posto dell’attuale maggioranza parlamentare, onde ottenere che -chiunque siano- non possano discostarsi troppo dalla linea politica precedente.

LA “MEZZA MISURA” DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA


La BCE infatti, ha sì varato il cosiddetto Transmission Protection Instrument (TPI: un nuovo meccanismo di contrasto alla speculazione contro il nostro sistema finanziario, consistente in un programma teoricamente illimitato di acquisto di titoli di stato dei membri più deboli dell’Unione), ma ha altresì lasciato ampia discrezionalità ai propri organi esecutivi circa le modalità e le tempistiche dell’intervento di questo meccanismo, evitando di precisarne troppo il funzionamento e, di fatto, azzoppandolo sin dalla nascita.

Il risultato di questa vaga -seppure illimitata- delibera, è quello che i mercati si attendono già oggi un maggior rischio di deprezzamento dei titoli di stato italiani, con la conseguenza di una crescita decisamente probabile del differenziale tra il rendimento garantito dal “Bund” tedesco e quello del BTP italiano: il famigerato “spread”! E le aspettative sui mercati finanziari -si sa- tendono quasi sempre ad auto-realizzarsi.

Cosa che risulta decisamente penalizzante per il nostro paese proprio adesso che i tassi d’interesse stanno salendo a razzo in tutto il mondo, il costo dell’energia va alle stelle a causa delle tensioni internazionali e il rischio che non arrivi abbastanza combustibile per riscaldare la cittadinanza e far funzionare l’industria continua a crescere. L’Italia infatti non brucia quasi carbone (come invece ha ripreso a fare la Germania), non ha centrali nucleari in funzione (come invece hanno altri membri dell’Unione, come Francia e Germania, anche se quest’ultima aveva, prima della crisi, deciso di spegnerle) e non estrae idrocarburi dal proprio territorio, per dissennata scelta, falsamente ambientalista.

I DANNI PER LE IMPRESE


Chi rischia dunque di fare parecchio le spese di questa situazione sono le imprese italiane, non soltanto per perché pagano inequivocabilmente l’energia più cara di qualunque altro concorrente in ambito comunitario, ma anche per altri due motivi:

1) rischiano in autunno di dover ridurre la loro attività per scarsità e maggior costo dell’energia rispetto alla stragrande maggioranza delle loro concorrenti europee,

2) rischiano di rinviare o ridurre investimenti e capitale circolante a causa del maggior costo del denaro: i tassi d’interesse risultano Infatti appesantiti dall’incremento dello spread e a causa della scarsa liquidità in circolazione nel nostro Paese, con la conseguenza del maggior costo del credito che ne deriva.

Anche la Borsa Italiana, ceduta al circuito europeo Euronext, risulta penalizzata dall’aumento dello spread. La caduta delle aspettative di crescita del nostro paese ha ridotto la quota di investimenti che i grandi gestori del risparmio destinavano in precedenza all’Italia, con il risultato che la liquidità scarseggia e le valutazioni aziendali inevitabilmente ne risentono. Diviene dunque più problematico per le matricole affacciarsi alla quotazione in borsa, proprio adesso che un gran numero di imprese stava decidendo di rompere gli indugi e decidere di proporsi al mercato dei capitali, anche per la scarsità di risorse disponibili a titolo di credito!

WHATEVER IT ”FAKES”


L’annuncio della Banca Centrale Europea insomma ha deluso parecchio. Sembrava che il nuovo programma illimitato di “anti-frammentazione” (di fatto rivolto al sostegno dei debiti pubblici di paesi come il nostro) potesse vagamente somigliare al famoso “whatever it takes” pronunciato proprio da Mario Draghi più o meno esattamente una decina d’anni fa. Ma a guardarlo bene rischia di essere una farsa, un minuetto piuttosto vago nei contenuti. Più simile dunque a un “whatever it fakes”! In linea con la politica di piccoli passi e molta circospezione che ha tenuto la governatrice Christine Lagarde da quando è stata eletta, soprattutto nei confronti dei falchi tedeschi, che notoriamente non sono particolarmente propensi a concedere granché a paesi come il nostro.

Stefano di Tommaso