ALLARME IMPRESE ! (1^ PARTE: LA CONGIUNTURA ECONOMICA)

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Confindustria lancia l’allarme: la fiducia delle imprese sta rapidamente deteriorandosi e la congiuntura è estremamente sfavorevole. Hanno ragione gli imprenditori a lanciare il grido di allarme? Probabilmente sì, ma il loro non è terrorismo interessato, bensì puro realismo, al di fuori della campagna mediatica a supporto del “governo dei migliori” del mainstream. Le cause delle numerose penalizzazioni in arrivo per le imprese italiane dipendono tanto dalla politica interna quanto da fattori di matrice straniera, anche se i medesimi possono comunque essere ricondotti alle alleanze internazionali dell’Italia. Elementi (come vedremo qui di seguito) che congiurano tutti perché le imprese del nostro Paese rischino di subire una vera e propria batosta:

 

1) IL P.I.L. SI RIDUCE

Innanzitutto il Prodotto Interno Lordo (P.I.L.): se nei primi mesi dell’anno non è cresciuto, questo dipende anche dalla stagnazione dei consumi, in Italia più che altrove a causa della concomitanza della “deflazione salariale” (cioè del ribasso dei salari, compressi dalla disoccupazione ancora elevata) e dell’aumento di una serie di costi delle bollette e poi, ultimamente, anche del costo della vita (a causa dell’inflazione galoppante). Il diminuito potere d’acquisto dei salari ha sicuramente un effetto sulla contrazione della spesa per consumi e, in definitiva, anche sull’andamento dell’economia nazionale.

Nel grafico qui riportato l’impietoso raffronto tra l’andamento della fiducia delle imprese insieme con quello dell’ottimismo dei responsabili acquisti delle imprese (il cosiddetto indice “PMI manifatturiero”) con l’andamento (in valore) della produzione industriale.

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2) IL CREDITO SCARSEGGIA

Ma l’altro fattore che non sospinge al rialzo il P.I.L. sono gli investimenti che si riducono a causa della ridotta capacità finanziaria delle imprese italiane: non soltanto i finanziamenti costano più cari da qualche mese a questa parte, ma soprattutto iniziano seriamente a scarseggiare, mettendo in difficoltà persino gli investimenti “di ripristino” delle piccole e medie imprese, che consentono all’apparato produttivo nazionale di restare efficiente nel tempo. A questo dalla fine di giugno si somma anche l’indisponibilità (o il maggior costo) delle garanzie sino ad oggi offerte in forma non onerosa dal Mediocredito Centrale in ottemperanza al ”decreto salva-Italia”. Il mercato dei capitali peraltro potrebbe sì sopperire alla riduzione della disponibilità del sistema creditizio, ma quella della raccolta di capitali di rischio resta comunque un’opzione di limitatissima entità, soprattutto disponibile soltanto per le imprese di maggiori dimensioni, mentre è quasi del tutto assente per quelle più piccole.

3) INFLAZIONE E CARENZA ENERGETICA

Per completare il quadro generale serve poi elencare due fenomeni decisamente macroscopici, quali il rincaro delle materie prime (si veda il grafico qui riportato) e il rischio di carenza dell’energia (si prevedono forti razionamenti per l’autunno della disponibilità di gas e combustibili in genere). Si tratta dei due principali fattori di sofferenza delle imprese europee: le filiere di approvvigionamento tradizionali zoppicano e impongono costi crescenti dei fattori della produzione mentre l’energia non soltanto ha raggiunto costi esorbitanti ma soprattutto rischia di essere disponibile soltanto a singhiozzo, con il rischio di forti d’anni per i processi produttivi.

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4) I TASSI D’INTERESSE AUMENTANO

Fanno seguito ai rincari di qualsiasi cosa anche le banche centrali che, con pessimo tempismo, intervengono a rialzare il costo del denaro a causa della forte divaricazione che si è creata tra il tasso d’inflazione e i rendimenti nominali offerti dal mercato finanziario che hanno fatto sì che per qualche mese i rendimenti reali (cioè al netto dell’inflazione) siano risultati negativi. Il rialzo del costo del denaro ha peraltro una doppia valenza negativa per le imprese: da un lato rialza l’esborso per interessi (e di conseguenza comprime anche le valutazioni d’azienda) e dall’altro lato tende a deprimere l’economia, contribuendo a frenarne la crescita o ad ampliarne la recessione.

5) IL COSTO DEL LAVORO SALE

Un ulteriore fattore di produzione il cui costo è sembrato sino ad oggi stabile se non addirittura in discesa rischia invece di esplodere nei prossimi mesi: quello delle risorse umane! Non soltanto la disponibilità di manodopera (soprattutto quella qualificata) è in deciso ribasso (non dimentichiamoci del fatto che dal nostro Paese espelliamo ogni anno una grande quantità di talenti che si trasferiscono nei paesi più ricchi o con minor tassazione) ma sembrano anche in più in arrivo forti rivendicazioni salariali a seguito del caro-vita!

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6) I MARGINI DI PROFITTO RISULTANO A RISCHIO

E se praticamente ogni costo dei fattori produttivi è in crescita per le imprese italiane, è facile desumere che non soltanto i margini di profitto sono seriamente a rischio (poiché non è mai così scontato riuscire a trasferire “a valle” i rincari dei costi), ma addirittura è il capitale economico delle imprese che può ridursi in maniera significativa sé non interverrà qualche importante supporto di politica industriale!

7) SI RISCHIANO NUOVE TASSE

Come non bastasse questo coagulo di problematiche per le imprese il governo italiano sta impegnando ingenti mezzi economici per le spese militari e di riarmo proprio mentre stava cercando di destreggiarsi con un deficit consistente del bilancio pubblico. Di conseguenza minaccia nuove tasse a carico degli imprenditori, anche a causa dell’eccellenza di debito pubblico il quale a sua volta fa sì che il costo del denaro cresca in Italia più che proporzionalmente rispetto al resto del mondo. Dal momento che già esprimiamo un livello di tassazione record, è chiaro il possibile impatto recessivo di eventuali ulteriori prelievi.

8) LE SANZIONI FANNO MALE ALLE IMPRESE

Il governo si è infine anche impegnato nel far rispettare alle imprese italiane pesanti sanzioni relative a due guerre (quella “calda” contro la Russia e quella “fredda” contro la Cina). Sanzioni che certo non contribuiscono alla salvaguardia dell’operato industriale nazionale! Interi mercati di sbocco sono letteralmente svaniti per molte imprese italiane e molte filiere d’approvvigionamento sono da rimpiazzare (con aggravi di costi e investimenti). Siamo giunti all’elaborazione del settimo pacchetto di sanzioni che rischia di fare veramente male alle imprese europee!

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Nella prima delle tabelle sopra riportate le previsioni dello scorso Aprile di Cerved, circa le quali possiamo tranquillamente affermare che oggi siamo piombati nello scenario peggiore. E nella seconda tabella quello che si può leggere sono i potenziali risultati di tale scenario.

SPERIAMO DI CAVARCELA

Qualcuno (e immagino già chi, tra i miei amatissimi lettori) a questo punto della narrazione potrebbe obiettare che chi scrive possa nutrire convinzioni politiche contrarie alla maggioranza che sostiene il governo, ma non è così: l’elencazione dei suddetti fattori di penalizzazione dell’industria italiana sono sotto gli occhi di tutti ed è difficile obiettarli. Si tratta di fatti e numeri i quali (come scriveva John Adams, sesto presidente degli Stati Uniti d’America, all’inizio del XIX secolo) sono terribilmente testardi, qualsiasi siano le nostre volontà o inclinazioni politiche.

Il popolo italiano ha attraversato crisi anche peggiori, ad esempio nell’immediato dopoguerra, e anche stavolta troverà il modo di cavarsela. La congiuntura economica è tuttavia estremamente sfavorevole e quantomeno bisogna farsene una ragione o, meglio, trovare il modo di confrontarvisi. Ed è proprio su quest’ultimo argomento che si incentrerà la seconda parte di questo articolo.

Stefano di Tommaso




ALLARME IMPRESE ! (2^ PARTE: COME REAGIRE)

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Se da un lato è difficile obiettare all’elencazione -riportata nel precedente articolo- dei venti contrari che congiurano per rendere assai difficile la vita degli imprenditori italiani, dall’altro lato è pur vero che alle sfide ambientali e sistemiche i governi e le imprese possono tentare di rispondere. Mentre però risulta difficile in questa sede parlare di politiche industriali e delle grandi alleanze internazionali che hanno portato nell’angolo l’imprenditoria del nostro Paese, è invece molto più interessante provare a riflettere su quello che le imprese possono fare per reagire alle straordinarie condizioni avverse che abbiamo elencato nel precedente articolo.

 

ALLA RISCOSSA

Cominciamo con la parola “allarme”. Essa viene dal grido: “all’arme!” Cioè alle armi, alla riscossa. Grido che si lanciava quando il nemico era alle porte, invitando soldati o popolazione a impugnare le armi e a reagire.

Proviamo dunque a chiederci come possono combattere la situazione esistente le imprese italiane, mettendo insieme qualche prima considerazione al riguardo:

IL COSTO DELLE MATERIE PRIME

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Il problema principale relativo all’inflazione dei prezzi dei fattori di produzione sembra essere il grado di dipendenza dell’industria dalle fonti primarie di materie prime e semilavorati: più le imprese che sono sottoposte a rialzi dei costi riescono a controllare le loro fonti di approvvigionamento (cioè a integrarsi verticalmente) e meno possono subirne pressioni.

È chiaro che il modo migliore per integrarsi verticalmente sarebbe quello di poter controllare le miniere e i produttori di semilavorati in giro per il mondo, ma per farlo bisognerebbe raggiungere dimensioni aziendali tali che ciò possa risultare conveniente. Le imprese italiane sono al contrario affette da nanismo endemico e pertanto spesso questa strada è da escludere.

Restano le grandi alleanze, i network di filiera e di sistema, i distretti produttivi e le joint ventures internazionali, che invece hanno un solo limite: le capacità manageriali a disposizione. In molti casi le imprese italiane hanno seguito questa strada ma si tratta per lo più di quelle più grandi e magari quotate in Borsa. Le piccole spesso non ci riescono. Solo che in tal caso occorre chiedersi se non conviene aggregarsi a gruppi più grandi piuttosto che subìre costi maggiori e poca capacità di reggere la concorrenza.

IL COSTO DELL’ENERGIA

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L’altro grande fattore che sarebbe molto utile poter controllare è il costo dell’energia, la cui inarrestabile escalation ha portato spesso le imprese a lavorare con margini ridottissimi. La più bella di tutte le risposte sarebbe quella di ridurre il più possibile i consumi di energia e in tal modo economizzare il costo, ma spesso per farlo occorre investire pesantemente.

In altri casi risulta perciò più pratico decentrare altrove nel mondo quella parte di produzione industriale che ha più bisogno di consumare energia, onde sfruttare la capacità di altre imprese o altri paesi nel tenerne sotto controllo il costo.

In ogni caso l’opzione migliore resta sempre quella di lavorare per trasformare la propria azienda nella più ecologica di quelle possibili, ad esempio soddisfacendo i famosi criteri di sostenibilità “Environment, Social, Governance (ESG)” in modo da risultare attraenti per finanziatori e investitori a caccia di opportunità “verdi” e in tal modo mettere in cantiere investimenti di contenimento dei costi.

IL MARKETING STRATEGICO E I CANALI COMMERCIALI

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Se la domanda da parte dei consumatori scarseggia, occorre probabilmente anche riuscire a risvegliarla raggiungendo più direttamente possibile la clientela e dialogandoci, allo scopo di trarne utili indicazioni relative alla domanda potenziale di mercato e alle azioni necessarie dal punto di vista del marketing.

Spesso le imprese di minori dimensioni non effettuano nemmeno ricerche di mercato, del loro posizionamento competitivo, indagini sull’andamento dei consumi e analisi sull’efficienza dei propri canali commerciali. Sono spesso attività che hanno ciascuna un costo elevato e che pertanto sono spesso fuori della portata dei piccoli imprenditori, ma non tutte.

In molti altri casi è il “focus” manageriale che manca davvero, la cultura d’impresa, la pianificazione strategica e la presa di coscienza della propria situazione di mercato relativamente agli attuali canali distributivi. A volte basta esaminare i bilanci delle imprese concorrenti per farsi domande utili a mettere a fuoco idee di efficientamento dello sforzo commerciale. L’unico limite è la capacità di chi gestisce, che deve poter reggere la sfida aziendale.

Anche dal punto di vista del prodotto occorre probabilmente trovare nuove modalità di vincere la concorrenza e di adattarsi alle nuove esigenze del mercato (ad esempio: quella del contenimento del prezzo di vendita) modificando la propria offerta, migliorando la competitività nei costi e trovando nuove e ulteriori valenze per l’utilità del prodotto nei confronti degli acquirenti finali. Non c’è limite da questo punto di vista alla possibilità di rinnovamento, se non quello strettamente finanziario!

MA OCCORRE AVER VOGLIA DI CRESCERE

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Di nuovo però: anche per lavorare attivamente allo sviluppo commerciale e al marketing strategico e di prodotto occorre disporre di capitali sufficienti ad investire nelle strutture, e più ancora nelle competenze. Servono ottime risorse umane, fresche, indipendenti e creative, con capacità di gestione dei costi aggiuntive, nonché forte propensione al cambiamento.

Quando lo scenario esterno peggiora e cominciano a soffiare forti venti contrari bisogna infatti correre ai ripari. Chi si ferma è perduto!

Le iniziative sopra descritte per contrastare la congiuntura sfavorevole che si prospetta sono ovviamente state sino ad oggi appannaggio quasi soltanto delle imprese maggiori, e di quelle con una più spiccata diversificazione internazionale. Mentre le più piccole devono chiedersi se è ancora possibile restare piccole. Oppure se devono riuscire ad allacciare rapporti con reti d’impresa di appoggio, tanto per i fornitori quanto per i distributori, ovvero a costruire partnership strategiche in giro per il mondo, o infine se riescono a trovare la capacità finanziaria di investire in maniera significativa nelle direzioni sopra descritte per poter crescere internamente.

E OCCORRONO CAPITALI

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Se la concorrenza è globale, anche le dimensioni aziendali devono adeguarsi. Solo attraverso il raggiungimento di quel “ticket minimo” delle dimensioni aziendali diviene possibile raccogliere abbastanza capitali e finanziamenti per investire nell’innovazione, nell’efficienza (anche energetica) e, più di ogni altra cosa, nei canali distributivi e nel consolidamento del proprio marchio di fabbrica (il cosiddetto “brand”).

Molte imprese si troverebbero nella condizione di affrontare le loro sfide investendo e assumendo, ma spesso non lo fanno perché non vogliono aprire la compagine azionaria a terzi investitori, o non vogliono quotarsi in Borsa, o non vogliono aggregarsi a grandi gruppi. È anche il motivo per il quale un certo numero di imprese a un certo punto getta la spugna…

I SETTORI INDUSTRIALI FAVORITI

Ovviamente non tutte le imprese dei vari settori industriali saranno ugualmente capaci di cogliere le opportunità offerte dalla situazione di stallo che si sta prospettando: senza dubbio l’appartenenza ai settori che sembrano più favoriti dalla situazione di scarsità energetica potrebbe favorire la loro reazione.

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La crescente fame di energia e lo scenario di fondo che non riguarda soltanto il razionamento energetico ma anche la necessità di una seria transizione ecologica porranno per molti anni a venire l’accento sull’intelligenza di macchine uomini e sistemi nell’utilizzo efficiente delle energie.

Non soltanto dunque la produzione da fonti (davvero) rinnovabili, ma anche l’efficienza nell’utilizzo, lo stoccaggio e l’intelligenza nella gestione energetica sono destinati a diventare sempre più importanti in un mondo a venire che sembra da un lato condannato ad una fame compulsiva di sempre maggiori capacità energetiche e dall’altro a doverne sopportare un costo sempre più elevato.

Ovviamente questa situazione favorirà non soltanto il mondo della produzione di energie da fonti rinnovabili bensì anche le nuove tecnologie nucleari, l’efficientamento delle vecchie centrali idroelettriche, lo sviluppo di nuove tecnologie solari e, finalmente, lo sfruttamento delle immense energie sottomarine, oggi quasi del tutto trascurate.

LE GRANDI INFRASTRUTTURE DEVONO ESSERE TUTTE RINNOVATE

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Non soltanto la transizione ecologica (come ad esempio il passaggio a veicoli elettrici e a sistemi di caldo/freddo basati sull’elettricità), bensì anche l’efficienza nei costi determineranno una domanda indotta di fortissimi investimenti nelle infrastrutture di base, quali la produzione e il trasporto di energia, i nuovi sistemi di trasporto pubblico, le comunità energetiche, i sistemi di telepresenza (il futuro delle videochiamate) e, con essi, i nuovi sistemi di trasporto dati ad altissima velocità, eccetera…

Gli anni a venire vedranno probabilmente concentrarsi sulle infrastrutture tanto la spesa pubblica quanto nuovi giganteschi investimenti privati. Entrambi peraltro avranno bisogno, per essere alimentati, di un ottimo funzionamento dei mercati finanziari regolamentati e, con essi, di nuove categorie di intermediari in grado di “fare mercato” nel mondo delle grandi opere infrastrutturali. Anche per questi ultimi ci saranno perciò opportunità di guadagno, anche se probabilmente saranno più polarizzate verso le grandi dimensioni.

SEMPRE MAGGIORI DIMENSIONI AZIENDALI

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È dunque facile profezia che la crisi in arrivo possa accelerare numerose transizioni tecnologiche e energetiche. Ad esse si accompagnerà però -probabilmente- anche lla necessità di nuove, gigantesche, dimensioni aziendali. E che dunque le piccole e piccolissime imprese saranno sempre più fuori gioco. Così come saranno in maggiori difficoltà le imprese che avranno avuto poca capacità di raccogliere la sfida della diversificazione internazionale, nonché la capacità di organizzare importanti partnership con governi ed organizzazioni pubbliche di ogni genere.

Molte imprese italiane rischiano seriamente di soccombere ai nuovi scenari economici e devono fare di tutto per preparare la propria organizzazione ai cambiamenti in corso. A partire dalla loro dimensione aziendale e dal loro “sdoganamento” sul mercato dei capitali (attraverso la trasparenza di bilancio e la capacità di rispondere ai criteri ESG), fino alla diversificazione interculturale e internazionale del management e alla capacità di realizzare partnership globali.

Se la situazione generale non potrà che peggiorare, soprattutto per le imprese italiane, bisogna anche riuscire a riconoscere che le grandi trasformazioni in corso non portano con loro solo minacce, bensì anche grandi opportunità. E chi riesce a coglierle può non soltanto sopravvivere, ma anche prosperare, accelerando l’evoluzione del proprio business e investendo pesantemente nel cambiamento.

Stefano di Tommaso




QUOTARSI IN BORSA NEL 2022

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Guerra, inflazione, possibile recessione stanno tenendo emittenti e investitori più lontani dai listini provocandone forti ribassi che hanno influito pesantemente sulla riduzione, nel corso del 2022, del numero delle Initial Public Offerings (IPO). Ma non le ha cancellate del tutto, anche perché la tendenza di fondo è quella di un incremento del loro numero. Sempre più imprese intendono raccogliere capitali nei mercati regolamentati e, per farlo, avviano un percorso di preparazione che può durare anni. Quando risultano pronte per l’IPO, ma arrivano periodi come questo, spesso non lo cancellano tutto bensì si limitano a rinviarlo. Il che è un bene per listini come quello italiano, dove il numero di società quotate è ancora limitatissimo.

 

LE BORSE SCENDONO…

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A Wall Street (di gran lunga la borsa più importante del mondo, spesso anticipatrice di tutte le altre) l’ultima settimana si è chiusa con un ribasso che non si vedeva dall’inizio di gennaio. La causa di questo violento ribasso è legata all’indice dei prezzi al consumo USA di maggio, che ha raggiunto il livello più alto dal 1981. Il dato ha mostrato un aumento dell’8,6% su base annua e del 6% se si escludono i prezzi di cibo ed energia. Gli economisti intervistati da Dow Jones si aspettavano un aumento su base annua dell’8,3% per l’indice principale e del 5,9% per l’indice core. Il grafico qui riportato mostra l’andamento di Wall Street dall’inizio dell’anno: un calo da 4800 punti a 3900 in soli sei mesi!

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Anche gli altri mercati borsistici hanno vissuto molto male la tempesta scatenata dalle banche centrali. L’indice europeo Stoxx 600 per esempio, perde da inizio anno quasi il 14%.

I dati sull’inflazione americana hanno anche riacceso i timori di una recessione. La fiducia dei consumatori americani è scesa violentemente. La lettura preliminare di giugno dell’indice di fiducia ha toccato un minimo storico: è diminuita del 14% rispetto a maggio, proseguendo la tendenza al ribasso dell’ultimo anno e raggiungendo il valore più basso registrato nella sua storia, paragonabile al minimo raggiunto nel mezzo della recessione del 1980. E in effetti grafici come questo mostrano una decisa probabilità che sia in arrivo una nuova recessione globale!

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…MA POI DI SOLITO RISALGONO…

Tuttavia, come si può intuire dal grafico sotto riportato, i corsi azionari hanno una loro ciclicità durante l’anno solare (scendono nella prima parte e salgono nella seconda) e forse anche stavolta, dopo i pesanti ribassi (linea blu) potrebbe esserci una fase di relativa traslazione laterale, seguita da un rimbalzo a partire dal mese di Luglio (i numeri dell’asse delle ascisse sono quelli delle settimane dell’anno), così com’è successo mediamente negli ultimi trent’anni (linea rossa).

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Certo le vendite in borsa riducono la liquidità disponibile, materia prima essenziale per alimentare il fenomeno dei collocamenti azionari delle matricole di borsa: i cosiddetti Initial Public Offerings (IPO).

LE IPO IN OCCIDENTE OGGI SONO UN DECIMO CHE NEL 2021…

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Il valore delle IPO tra USA e Europa quest’anno è sotto del 90% rispetto allo scorso anno. La raccolta di fondi nei primi 5 mesi del 2022 delle matricole al listino principale delle Borse è scesa a 17,9 miliardi di dollari con 157 IPO contro le 628 dei primi 5 mesi del 2021 e 192 miliardi di dollari raccolti. Il problema però non è soltanto occidentale: a livello globale è andata altrettanto male, con 596 IPO contro le 1237 dell’anno precedente e 81 miliardi di dollari raccolti nei primi 5 mesi, contro i 283 del 2021: cioè un calo del 71%. Certo, in questi numeri si può leggere un calo più vistoso dei mercati euro-americani rispetto a quelli asiatici, ma bisogna aspettare la seconda parte dell’anno per tracciare un quadro affidabile, dal momento che molte IPO sono state soltanto rimandate e potrebbero vedersi da Settembre.

Il comparto delle SPAC ha anch’esso visto una notevole riduzione dei numeri: a Wall Street erano state 613 le matricole con una raccolta di 162 miliardi di dollari, mentre nei primi 5 mesi dell’anno sono state soltanto 19 ma tutte di grandi dimensioni.

…MA IN MOLTI CASI SONO SOLTANTO RINVIATE A TEMPI MIGLIORI

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Cosa succede quindi: sono le imprese non vogliono più quotarsi o è il mercato che non è favorevole ad accoglierle? Il punto focale sembra quello della scarsa liquidità. Guerra, inflazione, possibile recessione stanno tenendo emittenti e investitori più lontani dai listini: magari in autunno potrebbe rivedersi un certo ritorno delle quotazioni, soprattutto in Italia dove resta molto elevato il numero di aziende che non sono quotate e che oggi potrebbero fare tale scelta.

La diminuita probabilità di successo del collocamento azionario rende oggettivamente più sfidante il lavoro di molti mesi che le candidate matricole devono svolgere per poter risultare idonee alla quotazione. Ma lo sbarco sul listino azionario è un’operazione complessa che viene preparata in tempi lunghi (soprattutto dal punto di vista della pianificazione strategica) e comunque che si può realizzare in non meno di un semestre. Dunque è possibile che molte società stiano pensando da tempo a tale scelta e che oggi stiano soltanto rimandando l’operazione a tempi migliori.

OGGI “VANNO” SOLTANTO LE ENERGIE VERDI

Sicuramente poi è un tema di settori industriali: in questo periodo di forti tensioni sul mercato dell’energia è evidente che questo è l’unico comparto non intaccato dai ribassi. E infatti buona parte delle candidate alla quotazione nei prossimi mesi sono proprio aziende del settore, a partire dalla De Nora, che fabbrica elettrodi per ottenere idrogeno, o dalla Plenitude, che vende al dettaglio l’energia rinnovabile prodotta dall’ENI. Come si può dedurre dalla tipologia delle maggiori candidate italiane, non soltanto il settore privilegiato per le IPO è quello dell’energia, ma anche e soprattutto se questa è “verde”! Ma restano sullo sfondo l’intelligenza artificiale, la robotica e la cura della persona. Tutti campi sui quali sarà più probabile raccogliere capitali in borsa.

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Nessuno può negare l’urgenza per gli investitori professionali di accumulare titoli con forti caratteristiche ESG (environmental, social and governance). Ma restano appetibili anche le società che operano nelle biotecnologie, nell’aerospaziale e nelle altre tecnologie “verdi” o che aiutano a risparmiare, perché si ritiene che potranno sostenere più di altre i loro margini di profitto con la prossima recessione. Un settore in piena ripresa poi è quello dell’ “outdoor”, a partire da biciclette e trekking, perché considerato pro-ambiente e privo di ricadute inquinanti. Non a caso un’altra candidata alla quotazione alla Borsa italiana è la storica Selle Royal (accessori per biciclette di alta gamma).

Qualche punto di domanda invece attiene (per il momento) alle imprese del settore alimentare perché, pur appartenendo a un comparto per definizione anticiclico, esse hanno subìto enormi rialzi nei costi delle materie prime lacerando di conseguenza negli scorsi mesi i conti economici, senza che sia così scontata la loro capacità di rialzare corrispondentemente i prezzi di vendita.

MA QUANDO ARRIVA LA RECESSIONE BISOGNA INVESTIRE

La borsa però è anche sinonimo del mercato dei capitali e qui si apre un tema ben più ampio: quali imprese hanno davvero saputo cogliere tutte le opportunità di creare valore per i propri azionisti anche senza ricorrere a maggiori investimenti e capitali di terzi? La risposta molto spesso è: “molto poche”. In tantissimi altri casi le imprese sono affette da scarsa capacità di guadagno perché non hanno investito abbastanza, scegliendo spesso di restare “famigliari” e magari poco aperte all’internazionalizzazione. Sebbene non siano soltanto i capitali investiti a poter garantire migliori performances (molto spesso un problema è anche la qualità delle risorse umane di vertice) è inutile dire che in molti casi la scelta di restare piccoli è perdente.

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Proprio perché viviamo in un mondo caratterizzato da una sempre maggiore velocità dei cambiamenti le imprese devono trovare la capacità di reagire, molto spesso investendo pesantemente, quantomeno per cogliere tre obiettivi strategici fondamentali :

  • poter comunicare adeguatamente sulle piattaforme digitali, potenziare la notorietà del marchio, ottenere potenti stimoli di ritorno dal dialogo con la clientela
  • raggiungere la massima efficienza operativa, per esempio a livello energetico e di economicità della produzione, ma anche a livello distributivo che spesso costituisce una formidabile barriera alla crescita
  • potersi permettere una più accurata pianificazione aziendale, con la quale misurare risultati e performances del proprio staff, nonché per adattarsi più velocemente alle mutate condizioni ambientali e alle crescenti richieste di personalizzazione di prodotti e servizi.

IN BORSA SI RACCOLGONO CAPITALI PER LA CRESCITA

E per investire correttamente occorre non soltanto avere capacità di credito, ma anche poter investire in misura congrua del capitale di rischio, adeguando il livello di quest’ultimo alla sfida che ciascun investimento strategico rappresenta: più è elevata e meno si può sostenere con capitale preso a prestito.

La borsa rappresenta per le imprese che possono candidarvisi un’opportunità da questo punto di vista più unica che rara, dal momento che i sottoscrittori del capitale che vi si può raccogliere non andranno ad incidere sul governo dell’impresa e non pretendono di riaverli indietro con gli interessi. Ovviamente però stanno molto attenti a comprendere se esistono reali opportunità di creazione di valore!

IPO: BUONE OPPORTUNITÀ NON SOLO PER LE IMPRESE

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Ma le matricole in borsa possono rappresentare anche una buona opportunità per chi investe: mediamente le valutazioni d’azienda in occasione dei collocamenti iniziali vengono scontate del 20-30% rispetto al valore teorico. E se guardiamo al listino americano la maggior parte delle imprese che oggi mostrano la più alta capitalizzazione vent’anni fa non c’erano!

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Questo non è di per sé garanzia di guadagno nel sottoscrivere tali offerte pubbliche, ma aiuta poiché soprattutto per la borsa italiana, fortemente dipendente da pochi titoli relativi alle banche e alle public utilities, le IPO sono un’occasione abbastanza rara (e dunque mediamente da cogliere) di diversificazione degli investimenti. Se mettiamo insieme lo “sconto matricola” con l’opportunità di diversificazione degli investimenti, ecco che quelli nelle matricole di bors risulta nel lungo termine vincente.

Stefano di Tommaso




PERCHÉ LO SPREAD SALE

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“Sono in arrivo contemporaneamente così tanti shock per l’economia che è difficile prevedere qualcosa di buono”: questo in sintesi il messaggio combinato di due personaggi di primissimo ordine quali Jamie Dimon, capo di JP Morgan, e John Waldron, capo di Goldman Sachs. Per non parlare del grande capo (e fondatore) di Tesla: Elon Musk, che si è spinto più oltre arrivando a decidere di ridurre del 10% il personale in azienda, in vista della recessione! Siamo davvero sulla china del baratro? Si e No, come sempre. Ma noi Italiani siamo quelli che rischiano il peggio…

 

LA STAGFLAZIONE È ALLE PORTE

L’America si interroga sul rischio concreto di ritrovarsi con una combinazione micidiale di stagnazione e inflazione insieme (come segnalato nel grafico sotto riportato). Una congiuntura che può rovinare i progetti politici del presidente Biden e mandare il suo partito in minoranza al Congresso con le prossime elezioni di medio termine (autunno). Per questo la presidenza spinge su un deciso intervento della Federal Reserve Bank of America (la FED) affinché intervenga con più decisione. Ma così facendo la FED può spedire non solo l’America bensì anche il resto del mondo occidentale in recessione! La possibile combinazione di guerra, inflazione e recessione spaventa ovviamente tutti i grandi osservatori, e può danneggiare soprattutto l’Europa.

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Non c’è infatti soltanto l’inflazione che sta scatenando le banche centrali a rialzare (parecchio, ma in colpevolissimo ritardo) i tassi d’interesse con il rischio che questi ultimi mandino KO l’economia reale. Storicamente anzi, è sempre accaduto. Si veda qs grafico:

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C’è anche in arrivo un ulteriore peggioramento dei rapporti internazionali tra i due blocchi (quello occidentale e quello russo-cinese) e soprattutto c’è la matematica certezza di una nuova recessione europea con il varo di un sesto pacchetto di sanzioni alla Russia, che può da solo scatenare il fallimento del progetto di integrazione politica dell’Unione, qualora si avverasse la voce che gira a Bruxelles circa una possibile dipartita dell’Ungheria dall’Unione, dopo il successo del divorzio tra la Commissione Europea e il Regno Unito, deciso oramai sei anni fa. Insomma le tensioni internazionali hanno un costo e questo costo va a gravare soprattutto sulle spalle dell’Europa!

L’EUROZONA È ORAMAI IN RECESSIONE

Se nel resto del mondo si discute di una sempre più probabile nuova recessione globale, in Europa questa è praticamente già arrivata. Rabobank ha messo in fila cinque indicatori che lo dimostrano e l’Eurozona, varando il sesto pacchetto di sanzioni e dando così un nuovo ulteriore scossone al prezzo di gas e petrolio, rischia di essere la parte del mondo che ne paga di più le conseguenze. Vediamo allora insieme per quali motivi.

Innanzitutto a causa del fatto che il percorso obbligato della Banca Centrale Europea (la BCE) nel dover seguire le orme della FED nel rialzo dei tassi non soltanto spingerà l’economia europea verso un nuovo stop alla crescita, ma soprattutto fornirà un ennesimo shock alla sostenibilità dei debiti pubblici dei paesi europei più deboli (come il nostro), che sino a ieri avevano potuto invece contare sul sostegno della medesima, praticamente senza limiti.

ALLARME SPREAD

Cosa significa questo? Che lo spread tra il rendimento del titolo di stato decennale tedesco (il “Bund”) e quello del corrispondente titoli di stato italiano (il BTP a 10 anni), non è soltanto già raddoppiato ma sembra destinato a salire a razzo! Per due importanti motivi: perché appunto la BCE ha dichiarato da tempo che non intende proseguire il programma PEPP di sostegno ai titoli pubblici e perché il rialzo assoluto dei rendimenti dei titoli di stato come il BTP (siamo arrivati ben oltre il 3%) rende meno sostenibile il pagamento degli interessi da parte del governo italiano. E se lo spread sale la speculazione sui mercati finanziari può fare il resto.

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Però probabilmente non si tratta solo di questioni tecniche perché se così fosse anche lo spread spagnolo dovrebbe volare. E invece è fermo a 30 punti base (il nostro è arrivato a quota 213 b.p.). Evidentemente c’è di mezzo anche la speculazione sulla situazione politica. Da noi infatti sono in arrivo due importanti scadenze elettorali con la quasi certezza che la sinistra perderà dei consensi. E se vince il centrodestra cosa farà l’Unione Europea?

A BRUXELLES LO SANNO BENISSIMO

Il bello è che le sanzioni europee alla Russia di fatto non scalfiscono granché i suoi conti. Non per nulla sino ad oggi il Rublo è stata la valuta con la miglior performance nel 2022. Qualcuno dice che a Bruxelles lo sanno benissimo, ma che proseguendo su questa strada la Commissione ha scelto di accelerare la crisi dell’economia reale per avere il male minore: piuttosto che lasciar schiantare borse e titoli di stato (e con essi quel che resta del progetto europeo) meglio scatenare la catastrofe e trovare la scusa perché la BCE ritorni ad intervenire, magari in contemporanea ad una sorta di commissariamento dei governi dei paesi più deboli e invocare il Meccanismo Europeo di Stabilità (il MES) per salvare l’Euro, anche se questo significherà affossare l’Italia.

D’altra parte il presidente del consiglio dei ministri italiano ha già fatto sapere in tutte le lingue di essere “stanco”, cioè a corto di strumenti per arginare la crisi economica che attanaglia il nostro paese e di non poter di conseguenza garantire la stabilità del governo italiano. La coalizione che lo sostiene è oramai in fibrillazione pre-elettorale (anche se manca circa un anno alle nuove elezioni politiche) e Draghi è da tempo destinato alla presidenza della Repubblica in sostituzione di un Mattarella che ha sempre meno da dire.

ARRIVA IL M.E.S.

Tradotto in numeri questa situazione potrebbe favorire una speculazione ai d’anni dei nostri titoli di Stato, che questa volta non sarà contrastata dall’intervento della BCE. Ecco perché c’è da attendersi un’altra impennata dello spread tra i rendimenti dei titoli di stato italiani e quelli dell’Europa continentale, simile a quella che provocò le dimissioni del governo Berlusconi.

Con la necessità a quel punto di far intervenire “militarmente” la Commissione Europea (CE) a commissariare il governo o, meglio, a far intervenire la cosiddetta “troika” cioè il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la BCE e la CE, così come era successo in Grecia qualche anno fa. L’Italia insomma rischia un destino molto simile, con la relativa confisca dei beni di maggior valore ancora appartenenti allo Stato (cioè al popolo italiano) in nome di una normalizzazione finanziaria necessaria ad evitare il tracollo.

MA LE BORSE NON CROLLERANNO

Da notare che tutto questo mette molto in allarme gli investitori ma ciò nonostante non è affatto detto che possa significare un automatico crollo delle borse, anzi! La Tempesta Perfetta di inflazione, guerra e recessione potrebbe paradossalmente avere ben poche ripercussioni sui listini azionari, dal momento che questi sono in discesa da parecchio tempo e che, se l’inflazione dovesse iniziare a flettere o se le banche centrali torneranno a sostenere l’economia, addirittura potremmo assistere ad un nuovo ciclo rialzista.

LA COMPAGNIA HOLDING
Volendo fattorizzare tuttavia l’inevitabile discesa dei profitti aziendali dovuta alla recessione, potremmo pensare piuttosto all’elevata probabilità di un ennesimo incremento della volatilità dei corsi, alla base della quale c’è probabilmente solo un assestamento, non un tracollo. Il problema casomai sarà un altro: e cioè l’ennesimo scossone per la sofferenza dei crediti delle banche italiane, che rischiano di non passare indenni dalla tenaglia del MES, potrebbero soffrire di una nuova fuga dei capitali dal nostro paese e costituiscono una componente tutt’ora molto rilevante del listino azionario di Milano. Se così fosse insomma la borsa italiana potrebbe risultare tra le peggiori performer da qui a fine anno.

LA TEMPESTA PERFETTA È IN ARRIVO DA NOI!

La Tempesta Perfetta paventata dalle grandi banche d’affari anglosassoni insomma è in arrivo e può provocare qualche danno all’economia reale. Ma quel che ne potrà conseguire è soprattutto grave a casa nostra, dove sembra in arrivo più un attacco in forze a quel che resta dell’autonomia decisionale del nostro paese che non a un vero e proprio tsunami finanziario. Passerà anche questa si potrebbe dire. Noi poi alle recessioni abbiamo fatto il callo… Ma quella scomoda sensazione di disagio nell’assistere alla contrapposizione sempre più forte tra Oriente e Occidente del pianeta ci lascia il dubbio di essere stavolta dalla parte sbagliata!

LA COMPAGNIA HOLDING
Stefano di Tommaso