TRE TRILIONI

L’Italia non se n’è quasi accorta ma il debito pubblico ha superato la scorsa settimana la soglia psicologica dei 3000 miliardi di euro, e questo senza che i media del “mainstream” (tv e giornali prevalenti) dessero alla notizia alcun risalto. Anzi! Senza che si muovesse nemmeno lo “spread” (l’indicatore più frequentemente utilizzato per “misurare la febbre delle finanze di stato” attraverso la differenza tra i tassi italiani e quelli tedeschi a 10 anni), fermo a poco più dell’1%. Un bel risultato mediatico (i precedenti governi erano invece assai bersagliati e per molto meno dalla stampa) ma un pessimo risultato per il Paese.

 

IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

I soli interessi pagati sul debito del Tesoro (ai tre trilioni occorre ricordare che si aggiungono i debiti di Regioni, Provincie e Comuni: circa altri 300 miliardi) sono costati all’Italia 78 miliardi di euro nel 2023 (per il 2024 non lo sappiamo ma è noto che sono scesi al 3,5% in media, dunque all’incirca 100 miliardi di euro). Ma se il tasso medio sembra in discesa, il totale del debito sul quale gli interessi sono calcolati è invece in salita. Di qui i timori sulla sostenibilità del pagamento degli interessi sui titoli di stato. Infatti su un Prodotto Interno Lordo di circa 2,13 trilioni il deficit di bilancio, proiettato a circa il 3,8% del P.I.L. per l’anno in corso fa la bella cifra di 81 miliardi di euro di spesa non coperta dalle entrate (quasi pari agli interessi sul debito).

Per contestualizzare tali numeri occorre ricordare che, nel triennio 2021-23 il debito nominale è aumentato di 290 miliardi di euro: da 2.678 miliardi a 2.868 miliardi, anche se in rapporto al Prodotto Interno Lordo il debito pubblico italiano è sceso dal 154,3% del 2021 al 134,8 del 2023 (principalmente a causa dell’inflazione galoppante) ed è poi risalito al 135,8% nel 2024 (e probabilmente ancora oltre nell’anno in corso).

Ora ricordiamoci quali si presume sia stato il peso degli interessi pagati sul totale delle entrate tributarie nel 2024: 100 milioni su 688. Cioè il 14,5%. E sebbene le entrate risultino in aumento del 5% (24,2 miliardi) rispetto allo stesso periodo (11 mesi) dell’anno precedente (2023) sono troppo poche rispetto a 3 trilioni di debito (pari a 4,4 volte le entrate totali).


MA I TASSI SALGONO…

Però il problema non è lo spread con il debito della Germania, quanto il costo degl’interessi in assoluto, che nelle ultime settimane è cresciuto non di poco. Nel grafico qui sotto viene riportato il tasso medio europeo dei titoli con durata di 10 anni, che come si vede da Dicembre è tornato quasi ai massimi di periodo.


E questo accade proprio mentre la Banca Centrale Europea affronta un problema inatteso: l’inflazione dei prezzi dei servizi nell’area euro non si schioda dal 4,0% da oramai 13 mesi.


…E L’INFLAZIONE NON CALA

L’indice dei prezzi al consumo complessivo (la linea blu nel grafico sopra riportato) rimane anch’esso più o meno ai livelli di 13 mesi fa (cioè non scende) soprattutto perché fino il costo dei prodotti alimentari si è stabilizzato e ha smesso di calare mentre il costo dell’energia ha addirittura ripreso a crescere e rischia di continuare, a causa dell’effetto perverso che ha in Europa il costo del gas naturale, mosso al rialzo dalla costanza della domanda cui fa riscontro una disponibilità inevitabilmente in discesa a causa del blocco delle importazioni dalla Russia.


IL DILEMMA DELLA BCE…

Il dilemma della Banca Centrale Europea è dunque il seguente: se non allenta la politica monetaria L’Eurozona rimane in recessione, ma se fa scendere ancora i tassi al di sotto del tasso d’inflazione (lo scorso 12 dicembre ha tagliato il tasso di deposito di altri 25 punti base portandolo al 3,0%), rischia di favorire la ripresa dell’inflazione. E di dover presto fare marcia indietro.

Senza contare il problema del prezzo del petrolio, che oramai sembra aver invertito la rotta al ribasso che aveva tenuto fino all’autunno inoltrato:


…E QUELLO DEL CAMBIO CON IL DOLLARO

E senza contare l’ulteriore problema del cambio contro il Dollaro, che è sceso piuttosto decisamente (di quasi 10 punti %) a partire da Ottobre scorso ed è di per sé un ulteriore fattore inflattivo (per l’incremento che genera nel costo dell’energia e delle materie prime che vengono importate).

Il problema dei debiti pubblici e, conseguentemente, dei tassi e dell’inflazione, peraltro non è soltanto europeo, ma riguarda l’intero Occidente. Quello riportato nel grafico che segue è il deficit pubblico federale americano (al quale va anche sommato anche quello dei governi locali):


Non stupisce dunque che i rendimenti (cioè i tassi impliciti a lungo termine) dei bond emessi dal tesoro americano risultino oggi molto più alti di quanto non fossero fino all’estate scorsa. I tassi d’interesse del debito privato peraltro in genere seguono i rendimenti del Tesoro e questa è una iattura perché, se l’obiettivo delle banche centrali europee era ritardare o almeno ammorbidire il rischio di recessione economica, allora dovevano agire per ridurre i tassi a lungo termine, non lasciarli correre verso l’alto.

LA CURVA DEI RENDIMENTI TORNA POSITIVA

Il grafico che segue mostra come è mutata la “curva dei rendimenti” (cioè i tassi per ciascuna scadenza) dei titoli di stato americani nel corso della seconda parte del 2024 (da fine Luglio 2024 al 10 Gennaio 2025):


Come sui può ben vedere, i tassi a breve termine nella seconda metà de 2024 sono scesi di circa mezzo punto, ma quelli a lungo termine sono saliti del doppio (105 punti percentuali). E l’inclinazione della curva non sembra ancora nemmeno troppo accentuata, cosa che suggerisce l’ipotesi che la sua inclinazione potrebbe aumentare.

La macroeconomia ci insegna che una crisi del debito pubblico può riuscire a provocare una crisi finanziaria globale. E oggi la maggior parte dei paesi OCSE mostra un debito pubblico eccessivo. E l’incertezza circa la capacità di ripagare tale debito è fino ad oggi cresciuta con il tempo. Questo è anche il principale motivo per cui i tassi sono divenuti più alti per le scadenze più lunghe.

STAMPARE MONETA? O ATTRARLA ?

Certo, i governi possono sempre ripagare il debito stampando altra moneta, ma la storia recente ci insegna che stampare moneta crea inflazione, a volte fuori controllo. Ciò significa in termini di potere d’acquisto che il danaro che un giorno verrà rimborsato non varrà tanto quanto quello che è stato prestato. Ecco perché oggi chi sottoscrive titoli a lungo termine richiede tassi più alti: per mantenere il potere d’acquisto in previsione di un’inflazione che per il momento non sembra andare a zero.

Ma soprattutto i nostri vicini di casa (soprattutto: olandesi, austriaci, tedeschi e francesi) non ce lo farebbero fare. Noi non abbiamo più una banca centrale che può decidere una cosa del genere e la BCE sembra voler mantenere un atteggiamento molto restrittivo, nonostante la quasi-recessione. Hanno persino bacchettato la negoziabilità dei nostri crediti fiscali!

Dunque l’unica risposta per cercare di risollevare le sorti del nostro Paese sembra quella di riuscire ad attrarre capitali e finanziamenti dal resto del mondo, prospettando investimenti interessanti e limitandone la tassazione dei relativi rendimenti. Questo aiuterebbe a “lubrificare” l’economia reale del Paese e a sostenere la spesa per interessi. Non è facile, ma è anche molto difficile immaginare dell’altro…

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 106 – sa 18 gen 2025

Operazioni in essere : nessuna

GOLD FEB 25 ( dal 29.1 userò il future aprile )

Nella N. 104 del 4 gen 2025 avevo scritto :

“……………………il grafico giornaliero sembra consentire un acquisto; poiché l’obiettivo di salita appare contenuto ( intorno a 100 usd ), lo stop loss che mi posso permettere non deve superare un terzo di tale obiettivo”

Il movimento da 2614 CASH ha dato circa 110 usd di salita e quindi GOLD ha già espresso il target minimo che questa Lettera indicava.

Tuttavia in gennaio 2025 ho un segnale che attrae GOLD CASH intorno al prezzo di 2790 per un eventuale doppio massimo, area che eventualmente può essere utilizzata per aprire lo short e per questo motivo cercavo l’acquisto.

Non posso rincorrere GOLD ; l’unica possibilità è inserire un ordine di acquisto intorno a 2650 feb fut, con stop loss sotto 2620, ma devo concentrarmi sugli indici U.S.A., per quanto leggerete nel prosieguo.

SILVER MARZO 25

SILVER dimostra una evidente minore forza relativa rispetto a GOLD, per la distanza ben maggiore dal top di 34,86 cash e per i top settimanali fortemente in calo.

Sta assumendo sempre maggiore importanza il doppio minimo a 28,75.

Vedremo insieme se sarà utilizzabile prima come stop loss per un acquisto e, possibilmente, poi per una vendita in rottura.

Serve prima che SILVER salga almeno tra 31,5 ( livello colorato in giallo ) e 32,50

DOW JONES INDU CASH

Ripenso spesso al fatto che nella settimana 2 – 6 dic, in cui vi era un ciclo temporale di medio – alto significato, DJ ha ritoccato il massimo storico da 45071 a 45073 cash, esprimendo un range molto contenuto, poco oltre l’uno % e, diffidando della capacità di un range piccolo di invertire un Mercato, avevo preteso che fosse seguito da un outside ribassista per aprire la posizione al ribasso.

Da quella settimana DOW JONES è molto debole ed è sceso oltre 3000 punti sotto il top assoluto e quindi ben 2500 punti sotto il minimo della settimana 2 – 6 dic alla rottura del quale avrei dovuto vendere.

Il ciclo scadente tra lu 6.1 e ve 17.1 , che secondo me era idoneo a far risalire l’azionario U.S.A., sta facendo il suo lavoro, ma non sono ancora riuscito a salire a bordo con un acquisto per ottenere un utile da reinvestire nella operazione di vendita di più ampio respiro, che attendo nei prossimi 15 – 20 gg di trading.

Cerco infatti di vendere nelle prossime tre settimane sopra la trend line in essere dal lontano ott 2022 ( da 28660 )

Ho segnato in giallo l’area preferita di vendita.

Per provare ad arrivare alla vendita con un profitto, da lu 20 gen inserirò il seguente ordine :

compero 1 MARZO MICRO DJ FUT a 42200 con stop loss a 41800

NASDAQ 100 CASH

Avevo scritto :
“Mi attendo un rimbalzo…..….e vedo supporti a : 20315 – 19880 “

Nella settimana 6 – 10 gen NAS 100 CASH era sceso fino a 20715 e nella settimana 13 – 17 gen il segnale che ho calcolato lo attirava in area 20400 – 20500 quindi, senza coinvolgere la Lettera, solo con i miei quattrini, avevo deciso di usare la seguente strategia : comprerò in inversione di barra giornaliera ( sopra il top di ogni giorno precedente, anche in outside ) solo dal giorno in cui NAS 100 CASH sarà sceso almeno sotto 20500.”

NAS 100 evidentemente la pensava più o meno come me, quindi è sceso a 20538 cash, sfiorando 20500 ed è risalito di 1000 punti fino a 21515 in 4 gg.

NAS 100 rende la vita dura, ma per questo sto raffinando l’analisi.

Come per DOW JONES, anche per NASDAQ 100 cerco un acquisto per arrivare al presunto top di vendita con un profitto da reinvestire in uno stop loss e quindi, da lu 20 gen inserirò il seguente ordine :

compero 1 MARZO MICRO NAS 100 FUT a 20800 con stop loss a 20500

Nota finale

Mi attendo un top da vendere in gennaio per GOLD ( ideale intorno al top assoluto di 2790 ) e tra gennaio e febbraio ( meglio se fosse la prima metà ) sugli indici U.S.A. e questo sarà il focus delle prossime Lettere.

Mi serve che DJ CASH salga almeno a 44000 ( meglio 44500 – sotto il minimo della settimana 6 -10 dic 2024 ), mentre è molto difficile stimare un obiettivo per NAS 100, che verrà gestito con il tempo, prima che con il prezzo.

Sto cercando una possibilità a rischio contenuto di eseguire prima un acquisto sugli indici azionari U.S.A. per finanziare lo stop loss che, per aprire una operazione strategica, spesso deve essere più ampio del normale, quasi che il Mercato richieda un maggior tributo per sedere al tavolo.

Leonardo Bodini




EFFETTO DOMINO

Mentre la congiuntura economica americana sembra andare anche meglio di quanto si poteva prevedere, le quotazioni di Wall Street oscillano e scendono oramai da circa un mese. Oggi dunque ci si chiede se sarà possibile non solo se che il “Sell-off” della borsa americana prosegua ancora, ma anche che arrivi a contagiare le borse europee. Anche perché la catena di trasmissione del problema passa per il rialzo dei rendimenti dei titoli di stato in tutto l’Occidente, che sembra non accennare a fermarsi.
Sebbene tra qualche mese lo scenario per le borse potrebbe migliorare decisamente, a breve c’è il rischio che le quotazioni dei titoli azionari vengano penalizzate dall’aumento dei tassi a lungo termine, soprattutto per le aziende di minor dimensione (quelle più sensibili al costo e alla disponibilità di credito), anche perché il mancato allentamento delle politiche monetarie impedisce alle banche commerciali di erogare maggior credito e di far scendere il costo del denaro, il quale -nonostante quanto dichiarato dalle banche centrali- rischia addirittura di tornare a salire.

 

L’ECONOMIA REALE U.S.A. SPIAZZA LA BORSA

Nonostante l’economia reale degli USA abbia mostrato nelle ultime settimane grandi segni di vitalità (qui sopra il grafico relativo al numero mensile di nuovi occupati), forse anzi proprio per questo (per i conseguenti timori di inflazione) nel corso dell’ultimo mese la borsa americana ha avuto un andamento assai incerto e sostanzialmente riflessivo (-5% circa) dopo i recenti massimi raggiunti nel mese di Dicembre (nel grafico qui sotto riportato), mentre quelle europee hanno potuto godere di un andamento migliore.


Non soltanto la Borsa Valori di Milano ma soprattutto quella di Francoforte (qui di seguito riportiamo il grafico del’andamento del principale indice tedesco: il DAX) hanno continuato la loro corsa peraltro dovuta al ritardo accumulato rispetto a Wall Street.


L’INCREMENTO NEI RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO

Ma ciò che preoccupa di più gli investitori sono i grandi protagonisti delle notizie di mercato nella settimana appena trascorsa: i cospicui cali delle quotazioni dei titoli di stato (con i conseguenti incrementi nei rendimenti impliciti), non soltanto quelli dei BTP italiani ma anche e soprattutto i Treasury Bond di USA e UK, i cui rendimenti sono saliti al di sopra delle attese fino alla soglia psicologica del 5% (poco meno del 5% il titolo decennale, poco sopra il 5% il tasso del titolo trentennale).


L’aumento dei tassi di rendimento impliciti dei titoli a medio termine rappresenta oggi l’elemento di principale preoccupazione per le quotazioni borsistiche prospettiche, che da qualche giorno rischiano di venire ridimensionate dal momento che le valutazioni d’azienda dipendono dai flussi di cassa futuri attesi e dal tasso di lungo termine al quale vengono attualizzati tali flussi.

E LA FEDERAL RESERVE POTREBBE INTERROMPERE I SUOI TAGLI

Come se ciò non bastasse, parallelamente sono peggiorate le aspettative per le mosse della Federal Reserve (la banca centrale americana, che guida sempre le mosse di quasi tutte le principali altre banche centrali) e molti ora ne prevedono un sostanziale immobilismo (qui sotto il grafico dell’andamento del tasso ufficiale di sconto negli USA), in attesa delle mosse di politica fiscale e commerciale del nuovo Presidente eletto.


Occorre precisare che i tassi oggi salgono (anche nel resto del mondo) anche perché l’economia americana “tira” più del previsto, ma soprattutto essi salgono perché ci si avvicina pericolosamente a numerose scadenze dei titoli del debito pubblico americano e le aspettative sono quelle di una domanda di capitali che molto probabilmente supererà l’offerta (qui sotto gli istogrammi che indicano l’ammontare annuo in scadenza di titoli del debito pubblico americano).

LO SPIAZZAMENTO DELLE AZIONI DA PARTE DEI TITOLI DI STATO

L’aumento dei rendimenti dei titoli di stato (cioè di titoli sostanzialmente privi di rischio) gioca inoltre a sfavore delle quotazioni delle borse valori in un secondo modo, poiché il tasso di rendimento in termini di utili per azione è stato oramai raggiunto e superato da quello di investimenti privi di rischio intrinseco.


Per i gestori di portafogli la scelta di investimento in azioni quotate in borsa (se paragonata a quella in titoli a reddito fisso) è ora più ardua perché il medesimo rendimento atteso dei titoli azionari viene offerto dai titoli di stato, sebbene giochi a favore dell’investimento in azioni il fatto che esse rappresentano quote parte di valore di attività reali e dunque in teoria risultano attività “rialziste” in caso di nuove fiammate inflazionistiche.

L’INFLAZIONE POTREBBE RIPRENDERE VIGORE


L’inflazione resta per il momento il convitato di pietra di ogni operatore del mercato: le tariffe promesse da Trump nei confronti dei commerci internazionali saranno in grado di riaccenderla? Personalmente ho qualche dubbio che una seconda ondata d’inflazione (che farebbe scattare rialzi dei tassi a breve termine) possa dipendere soltanto dai dazi alle importazioni negli Stati Uniti. Però molti guardano le importanti similitudini tra l’andamento dell’inflazione di questi giorni e quello di cinquant’anni fa, al termine della cui prima ondata se ne è mostrata una seconda, peggiore della prima (di seguito i due grafici sovrapposti):


Occorrerà vedere anche cosa succede alle quotazioni di gas e petrolio (oggi in ascesa, come si può leggere dal grafico dell’andamento del prezzo del petrolio) nonchè al costo medio del lavoro (al netto però degli incrementi di produttività). Ma il rischio di ritorno dell’inflazione è comunque reale, per lo meno in Occidente, dove è sempre meno probabile che sarà possibile continuare ad accedere a basso costo alle materie prime e alle commodities.

LA CURVA DEI RENDIMENTI E’ ANCORA QUASI “PIATTA”

Peraltro lo “spiazzamento” dei titoli azionari da parte di quelli a reddito fisso, unito al fatto che è ancora abbastanza piatta la curva dei rendimenti (quella che unisce il rendimento medio dei titoli di ciascuna scadenza) lascia ritenere che i tassi a lungo termine possano crescere ancora, almeno sino a quando non sia stata ristabilita un’inclinazione adeguata della curva (oggi appena accennata, come si può dedurre dal grafico qui sotto riportato), dal momento che può risultare più conveniente investire in fondi di mercato monetario (i cui rendimenti sono legati a quelli espressi a breve termine) in attesa di maggior chiarezza sui mercati.

SE I TASSI SALGONO LE VALUTAZIONI D’AZIENDA SCENDONO

Lo “spiazzamento” suddetto inoltre rimanda al tema di fondo intrinseco alla valutazione dei titoli azionari quotati: la crescita dei profitti -peraltro al momento non in discussione- e la sostenibilità dei loro multipli di valore (tipicamente: il rapporto tra prezzo e utile atteso), che invece sono forse cresciuti un po’ troppo, soprattutto in America. Un multiplo di valore elevato può essere giustificato da tassi d’interesse molto bassi (e adesso sicuramente non è più così) oppure dalla previsione di un elevato tasso di espansione dei profitti (e con il rischio di un rallentamento economico globale non è nemmeno questo il caso).


L’ENORME DIFFERENZA DEI MULTIPLI DI VALORE TRA EUROPA E USA

In tal senso non stupisce più di tanto che i rapporti tra prezzo ed utile delle piazze del Vecchio continente siano molto contenuti, soprattutto rispetto a quelli americani. Il p/e della Borsa di Milano, stimato sugli utili attesi per il 2024, è secondo Bloomberg di 10,22 volte. Quelli di Parigi e Francoforte rispettivamente 14,6 e 15,1. Londra, infine, si “accontenta” di un P/e di 10,77.


Al di là dei singoli numeri, si tratta di valori complessivamente bassi e molto inferiori a quelli dei mercati a stelle e strisce. L’S&P 500 esprime un rapporto sempre sul 2024 – di 24,1 volte gli utili attesi. Il Nasdaq, poi, arriva addirittura a 35.

Quasi superfluo sottolineare che secondo alcuni le Borse Usa sono troppo care e che il Vecchio continente dovrebbe avere più spazio quest’anno, senza tenere conto però della maggior liquidità della piazza finanziaria americana e del rischio che i profitti delle imprese europee rimangano vittima di una congiuntura economica molto più fragile.


IL POSSIBILE EFFETTO DOMINO

Il “problema” principale delle piazze finanziarie continentali tuttavia è quello del possibile “effetto domino” derivante dallo spiazzamento dei rendimenti dei titoli a reddito fisso americani. Se i rendimenti offerti dai titoli obbligazionari continueranno a salire -e soprattutto se le relative economie non si riprenderanno e conseguentemente i profitti non cresceranno più che proporzionalmente, le borse (anche quelle europee) dovranno fare i conti con una concreta prospettiva di ribasso, almeno per i primi mesi dell’anno, che potrebbe estendersi anche ai valori dei titoli obbligazionari, dal momento che al salire dei loro rendimenti scenderanno le loro quotazioni.


Questo almeno nel breve periodo. Dalla primavera in poi infatti le cose potrebbero invece andare diversamente, dal momento che la tendenza di fondo dell’economia globale è verso una deflazione dei prezzi, e dunque di nuovo verso un calo dei tassi d’interesse. Anche a livello geopolitico, sebbene nel breve termine risulti impossibile immaginare un calo delle tensioni tra Oriente e Occidente, nei mesi successivi le cose potrebbero anche cambiare. Se ciò accadesse ne potrebbe beneficiare il commercio globale e il Dollaro americano potrebbe finalmente tornare a scendere, sebbene nessuno se lo aspetti troppo, beneficiando sicuramente le quotazioni azionarie.


Il conseguente rialzo delle aspettative (anche di ripresa dell’export verso i Paesi emergenti) potrebbe catalizzare l’interesse degli investitori verso titoli europei a bassi multipli e con buone prospettive di beneficiare della nuova ondata di digitalizzazione che -in assenza di preoccupazioni eccessive- potrebbe investire l’Europa a seguito delle prime applicazioni pratiche relative all’intelligenza artificiale.

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 105 – sab 11 gen 2025

Operazioni in essere : nessuna

Ve 10.1 comperato 1 MARZO MICRO DJ a 42500, stoppato poche ore dopo a 42300 con una perdita di ( 200 punti x 0,5 usd ) = usd 100 pari a euro 98

GOLD FEB 25

Avevo scritto :
“……………………il grafico giornaliero sembra consentire un acquisto; poiché l’obiettivo di salita appare contenuto ( intorno a 100 usd ), lo stop loss che mi posso permettere non deve superare un terzo di tale obiettivo”

L’ordine di acquisto a 2620 feb fut ( con stop loss a 2590 ) è stato sfiorato lu 6.1 a 2624.6 con successiva salita di quasi 100 usd in 4 gg.

Comunque la Lettera N. 104 è stata pubblicata il giorno successivo, quando GOLD aveva già iniziato la salita.

In gennaio 2025 ho un segnale che attrae GOLD CASH intorno al prezzo di 2790 per un eventuale doppio massimo, area che eventualmente può essere utilizzata per aprire lo short e per questo motivo ho cercato l’acquisto.

Non posso rincorrere GOLD ; l’unica possibilità è inserire un ordine di acquisto intorno a 2650 feb fut, con stop loss sotto 2624, ma devo concentrarmi sugli indici U.S.A., per quanto leggerete nel prosieguo.

SILVER MARZO 25

SILVER marzo fut ha fatto un range molto ampio da 29,9 a 31,8 con ampiezza oltre il 6 %; come spesso è accaduto, resta non gestibile.

DOW JONES INDU CASH

Ripenso spesso al fatto che nella settimana 2 – 6 dic, in cui vi era un ciclo temporale di medio – alto significato, DJ ha ritoccato il massimo storico da 45071 a 45073 cash, esprimendo un range molto contenuto, poco oltre l’uno % e, diffidando della capacità di un range piccolo di invertire un Mercato, avevo preteso che fosse seguito da un outside ribassista per aprire la posizione al ribasso.

Da quella settimana DOW JONES è molto debole e si trova ora 3000 punti sotto il top assoluto e quindi ben 2500 punti sotto il minimo della settimana 2 – 6 dic alla rottura del quale avrei dovuto vendere.

Il recente tentativo di acquisto a 42500 era conseguente alla presenza di un ciclo scadente tra lu 6.1 e ve 17.1 , secondo me idoneo a far risalire l’azionario U.S.A., consegnando quindi un utile da reinvestire nella operazione di vendita di più ampio respiro, che attendo nei prossimi 20 – 30 gg di trading.

Tra le regole di questa Lettera c’è il divieto di operare nella settimana successiva ad una perdita e quindi non posso riprovare l’acquisto ( ma lo stesso segnale è presente anche su NAS 100….. )

NASDAQ 100 CASH

Avevo scritto :

“Mi attendo un rimbalzo, ma il minimo del 20 dic è il primo swing che viene rotto al ribasso dopo le presidenziali.

Vedo supporti a :

20315 che fu il minimo della settimana ciclicamente importante

19880 che fu l’ultimo minimo prima delle presidenziali.”

Nella settimana 6 – 10 gen NAS 100 CASH è sceso fino a 20715 e nella settimana 13 – 17 gen il segnale che ho calcolato lo attira in area 20400 – 20500, ma lo stop loss dovrebbe essere piazzato non sopra 19880 poiché il livello intermedio di 20315 ( minimo del 11 – 15 nov ) è meno decisivo.

Senza coinvolgere la Lettera, solo con i miei quattrini, userò la seguente strategia : comprerò in inversione di barra giornaliera ( sopra il top di ogni giorno precedente, anche in outside ) solo dal giorno in cui NAS 100 CASH sarà sceso almeno sotto 20500.

Lo stop loss verrà da me piazzato il giorno dell’acquisto, sotto il minimo registrato da lu 13.1

Strategia che poco si addice a questa Lettera, ma che cerca di arrivare con una posizione al rialzo al TOP dove, finalmente, piazzare una vendita di ampio respiro.

Non escludo che nella prossima Lettera potrò inserire uno schema più gestibile da un sabato all’altro.

Nota finale

Mi attendo un top da vendere in gennaio per GOLD e tra gennaio e febbraio ( meglio se fosse la prima metà ) sugli indici U.S.A. e questo sarà il focus delle prossime Lettere.

Sto cercando una possibilità a rischio contenuto di eseguire prima un acquisto sugli indici azionari U.S.A. per finanziare lo stop loss che, per aprire una operazione strategica, spesso deve essere più ampio del normale, quasi che il Mercato richieda un maggior tributo per sedere al tavolo.

Infine, trovandomi fuori studio, i grafici sono aggiornati solo al 8 – 9 gennaio e non alla chiusura di ve 10.1

Leonardo Bodini