COME CAMBIA L’INDUSTRIA DEL CREDITO

Qualcuno si chiede se la parabola dei nuovi modelli organizzativi di banca sia già nella sua fase discendente: molte nuove banche che avevano aggredito vigorosamente il mercato sembrano oggi già in disfatta ma ciò è solamente dovuto alla scarsa capitalizzazione o alle difficili condizioni di un mercato interno volutamente fortemente oligopolistico. In realtà il modello di business delle banche sembra in ogni caso destinato a cambiamenti radicali, a causa della progressiva necessità di adottare digitalizzazioni ulteriori e intelligenza artificiale. Casomai si è creato un importante spazio di mercato lasciato libero dalle grandi banche nei confronti della clientela più “spiccia” fatta di privati e piccole imprese. Ed è infatti soprattutto in quel comparto di mercato che si sono orientati i nuovi “player” del mercato.
E’ GIA’ TRAMONTATA L’ERA DELLE CHALLENGER BANK ?
Sono stati in molti a chiederselo dopo lo stop imposto dalle autorità di vigilanza a Banca Progetto per sospetti di infiltrazioni. Progetto era stata creata pochi anni fa dal gestore americano Oaktree ed è ora in via di ricapitalizzazione insieme ad un altro gestore di private equity americano: JC Flowers, il medesimo che tempo addietro aveva contribuito a dare vita ad una importante sim italiana: Equita). Altra banca che non è riuscita dopo la sua fondazione roboante a garantire ai propri azionisti una redditività all’altezza delle aspettative è stata Illimity, di recente oggetto di un’Offerta Pubblica di Scambio con le azioni di Banca Ifis che sta per concludersi favorevolmente.

Come pure è il caso di Banca Sistema, oggi oggetto di “attenzione” da parte di un’altra “challenger bank”: Banca CF+, alla ricerca di modalità “esterne” di crescita. Sinanco Mediobanca è stata oggetto di Offerta da parte di una rinnovata Monte dei Paschi (MPS) che si appoggia a una cordata che comprende lo Stato Italiano e due potenti famiglie di grandi finanzieri: Del Vecchio e Caltagirone. Una cordata che ha buone probabilità di successo, almeno per la prima fase: quella in cui il MPS arrivi al controllo di fatto dei voti in assemblea di Piazzetta Cuccia.
NUOVI MODELLI DI BUSINESS
Se dunque il concetto di “challenger bank” mostra i suoi limiti, si fanno invece indubbiamente strada nuove tendenze nel modello di business degli istituti di credito, derivanti dalla necessità di adeguare i costi di gestione al rinnovato scenario competitivo, dal diffondersi dei pagamenti digitali, dall’ascesa delle criptovalute, dalle nuove tecnologie (si pensi ad esempio all’intelligenza artificiale sulla quale si basano molti sistemi di analisi della qualità del credito e molte innovazioni nella consulenza per la gestione dei patrimoni). Senza dimenticare il fatto che l’avanzata digitalizzazione ha favorito la tendenza dell’intero sistema bancario ad accrescere la facoltà per i dipendenti di lavorare da remoto (smart working).

NUOVE TENDENZE DEL SETTORE BANCARIO
Le nuove tendenze si basano di conseguenza sempre meno su filiali e sportelli sparsi sul territorio, privilegiando invece le reti di promotori finanziari, il contatto digitale con la propria clientela e lo sviluppo di tutti quei servizi che possono derivare dalle tecnologie legate a internet. L’automazione permette inoltre alle banche più innovative di poter risultare estremamente competitive nei costi di gestione e di conseguenza nelle condizioni applicate alla clientela. In pratica spesso operano come piattaforme digitali che offrono servizi e pacchetti pre-confezionati e in questo modo ottimizzano il loro conto economico e, di conseguenza, la creazione di valore per gli azionisti.

IL RISCHIO DI DESERTIFICAZIONE DEGLI SPORTELLI SUL TERRITORIO
Ovviamente con l’avanzata di questi nuovi modelli di business il rischio è quello della ”desertificazione“ degli sportelli bancari sul territorio. Il loro numero è infatti già sceso a meno di 20.000 a fine 2024, quasi il 40% in meno rispetto ai 32mila del 2008 e il timore è le aggregazioni bancarie in corso accelerino ulteriormente tale trend. Oramai sono quasi la metà (46%) i comuni italiani privi di sportelli bancari e sono di conseguenza circa 4,6 milioni i cittadini che non ne trovano nel comune di propria residenza. Dal 2020 sono oltre 3.300 le filiali bancarie che sono state chiuse e sono 20mila i dipendenti bancari in meno dal 2020 a oggi.

Se consideriamo che il numero dei dipendenti italiani delle banche attualmente oggetto di aggregazioni supera le 100.000 unità, è facile calcolare che una riduzione prospettica degli stessi di circa il 20% porterebbe alla perdita di altri 20.000 posti di lavoro. La razionalizzazione della rete fisica degli sportelli bancari si accompagna tuttavia a un forte aumento dei promotori finanziari, giunti a un totale di quasi 36.000 professionisti.

IL RISCHIO DI RIDUZIONE DEI MARGINI DI INTERMEDIAZIONE
Un evidente limite infatti di questo nuovo concetto di banca è quello della maggior complicazione relativa alla raccolta di depositi, dal momento che la clientela non è quella tipica di prossimità degli sportelli bancari bensì arriva dal mercato interbancario o dalla rete, spesso si basa perciò su considerazioni opportunistiche di convenienza e avviene spesso indirettamente, attraverso la sottoscrizione di prodotti finanziari complessi quali polizze assicurative, titoli obbligazionari o fondi di investimento.
Ovviamente quando il costo della raccolta sale perché i mercati registrano minor liquidità o i tassi di erogazione dei prestiti scendono, allora la forbice d’intermediazione del denaro per questo genere di banche tende pericolosamente a ridursi e a volte non bastano i cospicui tagli nei costi operativi derivanti dall’avanzata digitalizzazione per bilanciare il calo dei margini.

Un altro tipo di “limitazione” di questo genere di banche sembra essere l’eccessiva specializzazione, una virtù da certi punti di vista che ha mostrato però anche i suoi limiti. In generale è andato tutto molto bene sino a quando, l’hanno scorso, non sono tornate a stringersi le politiche monetarie a causa dell’inflazione. Elemento che ha scatenato la corsa al cosiddetto “risiko” del settore bancario in tutta Europa, che non ha risparmiato quasi nessun istituto.

Tuttavia l’attuale corsa alle aggregazioni e alle offerte pubbliche risponde all’esigenza di razionalizzare i costi e ampliare la base dei ricavi attraverso la crescita dimensionale, ma soprattutto risponde alla tendenza naturale di tutto il mercato alla concentrazione competitiva con pochi grandi attori che riescono a raggiungere logiche oligopolistiche.
GLI SPAZI DI MERCATO LASCIATI SCOPERTI DALLE GRANDI BANCHE
Una tendenza che si contrappone all’idea liberista di concorrenza perfetta ma che le stesse autorità monetarie incoraggiano al fine di incrementare la solidità delle banche. Il limite ovviamente è quello -con la crescita dimensionale dei maggiori istituti- di privilegiare il rapporto con le imprese di media e grande dimensione, tralasciando le piccole imprese.

Secondo uno studio condotto di recente da McKinsey, la prossima ondata di automazione intelligente avrà un impatto considerevole sul settore bancario e assicurativo. Il 38% dell’occupazione del settore consisteva fino a 10 anni fa in lavori di back-office, che sono i più suscettibili all’automazione. Entro il 2030, il comparto vedrà una diminuzione delle ore totali lavorate di oltre il 20%. Il prospetto è dunque quello di una minore esigenza di lavoratori che utilizzano solo le abilità cognitive di base – come l’inserimento ed elaborazione dei dati – mentre aumenterà la richiesta di specialisti in grado di gestire e implementare le nuove tecnologie.

Non è dunque un caso che sia esploso il numero di challenger banks: l’anno scorso se ne contavano ben 93 sul territorio europeo e di queste ben 55 erano italiane o si rivolgevano anche al territorio italiano. Esse si sono rivolte soprattutto ai privati e alla piccola clientela “business”, dal momento che è su questo fronte (quello dei privati e delle PMI) che si apre la maggior parte dei nuovi scenari competitivi.
Il fenomeno di progressivo cambiamento dei modelli di business nel settore bancario riflette perciò innanzitutto gli spazi di mercato che vengono creati dai vuoti lasciati dalle banche di maggiori dimensioni, i quali lasciano sperare in possibilità di rapida crescita e, di conseguenza, in moltiplicatori di valore più elevati delle banche tradizionali.
Stefano di Tommaso


























