BENVENUTI NELL’ERA DEL CAPITALE DI VENTURA

Sino a ieri nel “Venture Capital” (alla lettera: capitale di ventura) era stato investito soltanto il 2% delle risorse finanziarie globali affidate ad investitori professionisti e istituzionali. Eppure quel 2% in 40 anni ha cambiato il mondo, favorendo l’innovazione, la crescita di prodotti e servizi (talvolta gratuiti, come Google e Facebook) così importanti da prevalere in termini assoluti (circa i 3/4 del totale) nella capitalizzazione totale del listino azionario di Wall Street (la Borsa Valori più importante del mondo) insieme ad altre iniziative simili nate principalmente nel garage o nel retrobottega, come Apple (duemila miliardi di dollari di capitalizzazione), Tesla, Amazon, Microsoft o Netflix.

Oggi dopo i primi timidi tentativi (prevalentemente in California, nella famosa “Silicon Valley”) di organizzare e strutturare un’attività di investimento specializzata in tal senso, il capitalismo di ventura viene riconosciuto come una risorsa essenziale per il progresso dell’umanità e come la prima “asset class” in termini di creazione di ricchezza, tanto da essere divenuta oggi vittima di una vera e propria bolla speculativa.

Il successo degli investimenti di venture capital ha moltiplicato però non soltanto le risorse a disposizione dei gestori di fondi specializzati in tal senso, ma anche il numero di coloro che vorrebbero ottenerle (i cosiddetti “startupper”, cioè coloro che desiderano far partire nuove attività imprenditoriali). E inevitabilmente, con le tasche piene di liquidità da investire, quei gestori tendono a prendere rischi sempre maggiori, con il rischio che la bolla speculativa possa scoppiare!

Ma sono aumentate (in numero e in valore) anche le opportunità di investimento nell’innovazione industriale, commerciale, digitale e medicale. E gli imprenditori in erba possono altresì non hanno da scegliere soltanto tra fondi che investono nel capitale di rischio. Oggi esistono molteplici tipologie di soggetti che possono intervenire in loro supporto. Per fare qualche esempio: le piattaforme di “crowdfunding” (cioè di ricerca di microinvestitori disposti a scommettere su talune iniziative), oppure: gli “angeli” (persone fisiche con competenze specifiche e capitali a disposizione che sono disposte a supportare le nuove iniziative, non solo finanziariamente), nonché gli “acceleratori” e “incubatori” di imprese (dove gli imprenditori in erba possono trovare non soltanto i primi mezzi finanziari, ma anche un posto dove stare, del supporto tecnologico, professionale e gestionale).

I nuovi imprenditori possono poi sperare di attingere a numerosi finanziamenti specifici, privati e pubblici (anche europei), e accedere a contributi e incentivi fiscali. Orientarsi ovviamente è divenuto sempre più difficile e spesso conviene loro affidarsi a banche d’affari e “advisors” specializzati, capaci di assistere gli “startupper” nella definizione del piano d’azienda, nella valutazione dell’iniziativa, nella creazione di un veicolo societario e nella ricerca di finanziamenti. Professionisti idonei, in definitiva, a tracciare un percorso di sviluppo e capaci di consentire all’impresa nascente di focalizzare le modalità più idonee (o più veloci) per farlo. E di individuare, di conseguenza, la tipologia di supporto finanziario più idonea per ciascuna iniziativa.

Qualche giorno fa il prof. Giudici, ordinario del Politecnico di Milano e direttore scientifico dell’osservatorio di crowdinvesting, ha presentato il “4° report sulla finanza alternativa per le Pmi” nel corso dell’edizione 2021 dell’Alt-Finance Day, la giornata della finanza alternativa. In base a quanto emerso, le risorse mobilitate tra luglio 2020 e giugno 2021 dal mercato della finanza alternativa al credito bancario per le Pmi sono state di circa 4,23 miliardi di euro, con una crescita del 58% rispetto ai dati pubblicati lo scorso anno.

E, nonostante il mercato italiano dei capitali sia ancora sotto dimensionato rispetto al resto d’Europa, da luglio 2020 a giugno 2021, da parte dei fondi private equity e venture capital è stato registrato un flusso di investimenti pari a 1,22 miliardi di euro, con valori che sembrano essere tornati al periodo pre-pandemia.

Ma l’elenco delle risorse alternative al credito bancario non si ferma qui: le piattaforme di “invoice trading” italiane (cioè quelle che operano per via digitale l’equivalente dello sconto fatture) hanno infatti mobilitato per le Pmi 1,24 miliardi di euro negli ultimi 12 mesi con un incremento del 7,5% rispetto all’anno scorso.

E’ in crescita anche il mercato dei minibond. Le Pmi non finanziarie italiane che hanno ottenuto risorse attraverso l’emissione di minibond al 30 giugno 2021 sono state 444 e, fra queste, ben 37 si sono affacciate sul mercato per la prima volta nel primo semestre 2021. Il controvalore collocato negli ultimi 12 mesi è stato di 455 milioni di euro, con un aumento tendenziale del 17% rispetto allo stesso periodo del 2020. Da notare che nell’ultimo anno il 76,6% dei minibond collocati era coperto da una qualche forma di garanzia (quasi sempre del Mediocredito Centrale).

I più elevati tassi di espansione li hanno registrati:

  • l’equity crowdfunding. Al 30 giugno 2021 sono state 588 le aziende italiane che hanno raccolto capitale di rischio sulle 54 piattaforme Internet autorizzate da Bankitalia, con un incremento del 67% rispetto al periodo precedente;
  • gli Nft (Non fungible tokens) sono in forte aumento (non ho trovato statistiche al riguardo);
  • gli IPOs sulla Borsa di Milano, nel segmento specializzato sulle piccole e medie imprese: la raccolta di capitali all’Euronext Growth Milan (ex AIM) è aumentata nello stesso periodo del 66%.

Il record di crescita ce l’hanno però le piattaforme di “social lending”, che tramite Internet canalizzano alle imprese -piccole o nascenti- prestiti erogati direttamente dai piccoli risparmiatori: hanno portato alle Pmi italiane 310,8 milioni di euro (79,9 milioni nel secondo semestre 2020 e 230,9 milioni nel primo semestre 2021) con un incremento del 73% rispetto all’anno scorso, mentre quello tendenziale considerando solo gli ultimi 6 mesi è del 338%. In questa categoria sono state censite 21 piattaforme attive (di cui 14 focalizzate sul comparto dei mutui immobiliari).

Stefano di Tommaso




IN BORSA MAI DIRE MAI!

LA COMPAGNIA HOLDING
Dopo l’improvvisa inversione di rotta degli ultimi giorni diviene più difficile prevedere dove saranno le borse intorno a fine anno. Ogni scenario è lecito, dal momento che sono tutt’ora al lavoro le tendenze che ne hanno scatenato la crescita. Ma sono entrati ancora una volta in gioco dei rischi asistematici dovuti alla quarta ondata pandemica e alle sue possibili conseguenze in termini di risvolti per l’economia reale. Le borse potrebbero sì riprendere la loro corsa la rialzo, ma la volatilità attesa è ai massimi, e la tempistica dei loro movimenti è dunque ben poco prevedibile. Morale: ci sono molte ragioni per le quali il mercato azionario globale potrebbe tornare a risalire, ma il condizionale è d’obbligo: in borsa mai dire mai!

 

IL SELL-OFF

Lo scorso anno di questi tempi l’allarme contagi -ancora in assenza dei vaccini- aveva generato quasi lo stesso panico di inizio pandemia. Stavolta è più complicato prendersela con l’ennesima variante del COVID ma per le borse di tutto il mondo l’allarme degli ultimi giorni ha funzionato alla grande: il sell-off (la svendita dei titoli quotati in borsa) è stato uno dei più avversi della storia borsistica recente. Nel grafico che segue ecco cosa è successo :

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Al calo medio delle borse nel mondo (indice MSCI ALL COUNTRY) di circa il 3% nell’ultima settimana si contrappone un guadagno del 15,50% da inizio anno e di oltre il 20% da un anno fa ad oggi. Per le borse europee è andata all’ingiù in maniera ancora più marcata, dopo una crescita dell’ultimo anno ancora maggiore: l’indice delle principali azioni quotate (STOXX EUROPE 600) è sceso di quasi il 4,5% nell’ultima settimana dopo una crescita di quasi il 20% da inizio anno e di oltre il 22% da un anno fa ad oggi.

LA VOLATILITÀ E’ ALLE STELLE

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D’altra parte ce l’eravamo già detto: con le quotazioni quasi ai massimi storici c’era da attendersi una volatilità in deciso aumento e così è stato. Ora, durante la calma del fine settimana, non è facile orientarsi tra le ondate della tempesta improvvisa che si è scatenata per comprendere qual’è la tendenza di fondo. Ma la sensazione è che questa non sia affatto cambiata. E cioè che sia ancora al rialzo e che il sell-off di questi giorni possa presto essere archiviato come un momento di panico e nient’altro.

I MOTIVI DI OTTIMISMO

Quali motivi per dirlo? Non ci sono grandi patemi d’animo per la crescita economica (le ultime rilevazioni mensili dell’indice dei direttori acquisti delle aziende (il MARKIT) sino positive e battono le aspettative, l’inflazione sembra potersi leggermente attenuare (ed è già una buona notizia). Questo vale soprattutto per le materie prime, mentre per il petrolio c’è un bel po’ di panico, oltre che una tendenza di fondo poco rassicurante, dovuta alla scarsità di materia prima prodotta, rispetto alla domanda.

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Soprattutto c’è il fatto che la situazione pandemica, che qualche colpo di assestamento lo darà di sicuro alla crescita economica globale, costituirà il movente principale (se non la scusa) per spingere le banche centrali a mantenere un atteggiamento accomodante e continuare -di fatto- ad immettere liquidità sul mercato. Cosa che non può mancare di avere effetti positivi sul mercato azionario, in particolar modo intorno a fine anno, quando i gestori di patrimoni devono portare a casa le loro performances, nonché le commissioni che ne derivano.

E’ dunque piuttosto probabile che la corsa delle Borse abbia soltanto avuto uno stop. E poi, come se non bastasse, secondo Goldman Sachs con il nuovo anno sta per riversarsi sul solo mercato azionario americano più di un trilione di dollari di “buy-back” aziendali (cioè di acquisti di azioni proprie da parte delle aziende), ai massimi della storia recente, come mostra il grafico qui riportato:

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IL POSSIBILE “RALLY” DI FINE ANNO

In quest’ottica potremmo anche vedere il sell-off di fine Novembre quasi soltanto come un’ottima occasione per comprare prima che il mercato raggiunga nuovi massimi. Determinati principalmente da un comportamento relativamente razionale di chi investe che risponde all’acronimo di “TINA” (“there is no alternative”: al mercato azionario).

Investire in obbligazioni in un momento in cui i tassi potrebbero salire può risultare infatti più rischioso dell’investire in Borsa, mentre mantenere la liquidità può significare non soltanto perdere delle opportunità di rialzo, ma prima ancora può comportare l’erosione del capitale ad opera dell’inflazione. Che potrà sì diminuire, ma difficilmente si fermerà, come dimostra la situazione dell’estremo oriente, dove la crescita economica si è già ridotta decisamente, ma l’inflazione no! Di seguito un grafico andamento le di USA e UE:

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PERÒ…

Mai dare per scontato il risultato però, perché è altrettanto vero che l’evolversi della quarta ondata pandemica non lo conosce nessuno, così come è vero che un dollaro troppo forte (come è già oggi) rischia di rovinare le feste a tutti, dai paesi emergenti fino agli americani stessi, gettando di conseguenza le borse in un possibile stato di panico.

Senza considerare il rischio che anche il caro-petrolio (che, appunto, rischia di riprendere presto) possa giocare un brutto scherzo all’economia e, di conseguenza, agitare ancora una volta le acque già particolarmente mosse dell’investimento azionario, per l’impatto negativo che può comportare sui profitti di periodo.

LA COMPAGNIA HOLDING
Tutto questo per dire che, se la volatilità per le prossime settimane è servita quasi per certo su un piatto d’argento, persino nel caso in cui le borse dovessero parallelamente tornare a guadagnare nuovi massimi, la festa potrebbe non riguardare tutti. E’ altresì prevedibile infatti al momento l’ennesima rotazione dei portafogli, quantomeno nel caso in cui dovessero essere rispolverate restrizioni a viaggi e movimenti in genere.

Come dice Alessandro Fugnoli (di Kairos) nella sua ultima newsletter insomma: ci vuole anche tanta pazienza: per le banche centrali onde evitare di reagire eccessivamente ad un’inflazione che potrebbe attenuarsi, e per gli investitori per decidere quale strada prendere senza svendere nel momento sbagliato. Sempre che ce la si possa permettere…

Stefano di Tommaso




INVESTIRE COLLEZIONANDO: MODA O INVESTIMENTO? CRESCE L’ INTERESSE PER IL SETTORE DELLA GIOIELLERIA

La Compagnia Holding
Un momento magico per la gioielleria e per ogni altro bene di lusso. Cataloghi mozzafiato per tutte le case d’asta internazionali ma anche nazionali e che a dicembre prossimo presenteranno il meglio di quanto raccolto durante l’anno.

Gioielli raffinati, d’epoca e firmati sono la chiave di un interesse che sta crescendo in tutto il mondo. Ma anche oggetti moderni griffati e particolarmente costosi. Le case d’asta lo hanno ben capito che questo è il momento del lusso e competono con cataloghi davvero molto “brillanti”.
Una tendenza momentanea? non si direbbe. Oggetti da indossare ma meglio, sembra più un nuovo asset class di investimento a medio e lungo periodo visto che le cifre non sono poi cosi vantaggiose per una ricollocazione a breve sul mercato.

Investire in gioielli significa acquistare da conservare, seguire il mercato d’asta e conservarli fino a quando il loro prezzo sarà salito abbastanza da preservare l’investimento e godere di un incremento.
Nella scelta del gioiello sono importanti diversi fattori, il marchio meglio se noto. Oggi Cartier, Bulgari e Van Cleef & Arpelf, Chopard, Bulgari, sono sicuramente maison di prestigio, ma vanno considerati anche molti altri come: Buccellati, Vhernier, Pomellato,Tiffany, Jar, Verdura e altri ancora. Il prestigio riferito alla creazione da parte di un orafo importante è già un fattore determinante e su questi è importante valutare il materiale, la qualità delle pietre preziose e la concentrazione dell’oro, nonché la qualità di carati. Per prima cosa bisogna controllare il valore non tangibile quindi scegliere il gioiello con una storia unica alle spalle magari appartenuto a qualche personaggio famoso come un regnante oppure creato in un determinato periodo storico a tal proposito è importante visionare la sua storia

LA COMPAGNIA HOLDING
JOEL ARTHUR ROSENTHAL (JAR)

 

LA COMPAGNIA HOLDING

CARTIER ART DECO DIAMOND BRACELET
Stima GBP 70,000 – GBP 90,000 Christie’s Novembre 2021

 

LA COMPAGNIA HOLDING

Dalla Collezione di Liz Taylor
Collana di diamanti e smeraldi BVLGARI
Stima 1,000,000 – USD 1,500,000
Prezzo realizzato 6,130,500 USD

 

LA COMPAGNIA HOLDING
CHOPARD
Una collana di diamanti colorati, diamanti e oro bicolore Una collana su misura composta da quattro barre incastonate a pavé che sostengono file di diamanti gialli a forma di pera articolati, che passano a file di diamanti gialli briolette, firmata Chopard.
Asta Phillips dicembre 2021 Stima $ 300.000 – 500.000

 

LA COMPAGNIA HOLDING

OROLOGIO ‘PASHA’ CON DIAMANTI, CARTIER
Stima EUR 20,000 – EUR 30,000 Prezzo realizzato 87,500
Christie’s Febbraio 2021

 

LA COMPAGNIA HOLDING
Van Cleef & Arpels | Suite of Gold, Cultured Pearl, Emerald and Diamond ‘Barquerolles Lion’ Jewels, France
Sotheby’s 2020 Stima USD 50,000 – 70,000 Prezzo realizzato 81,900 USD

 

LA COMPAGNIA HOLDING
Finarte 23-24 novembre 2021 Importanti orecchini con diamanti
Stima € 250.000 – 300.000

 

Altro fattore da non trascurare è il contenuto, ossia metalli preziosi come l’oro e il platino, le pietre quali diamanti, smeraldi, rubini e le perle naturali. In questo caso si tratta di materie prime in metalli preziosi, perciò il loro valore è sempre confermato. Mentre l’oro è regolato dai mercati finanziari, i gioielli si pongono sul mercato, con valori che oscillano a seconda del momento storico. Parliamo perciò di oggetti fungibili e poiché sono tutti diversi per creazione (l’oro vale per la caratura sempre uguale) hanno un mercato molto meno liquido. Perciò l’investimento in gioielli va bene valutato su tutte le caratteristiche dell’oggetto che si intende scegliere.
Perciò è bene controllare alcuni punti molto importanti del prodotto perché è possibile previa visione trovare i vari elementi che possono influire notevolmente sul prezzo. Infine da non trascurare investimenti anche su gioielli moderni, sempre valutando eccezionale qualità di materiale e della presenza di significative pietre preziose. Si consideri La tendenza di prendere in considerazione tali oggetti va oltre la moda e perciò meglio sempre affidarsi a gioiellieri che possano confermare la loro affidabilità nel tempo. L’acquisto attraverso casa d’aste e dealer internazionali rappresenta ancora una certa e sicura garanzia. Al riguardo, una recente indagine sul mercato (market size 2021) post pandemia, indica con un segno positivo del 7% il settore “Jewelry” con una cultura del lusso di marca in crescita in mercati non tradizionali; la preferenza di gioielli unisex e un mercato e-commerce in crescita per scelta di prezzo.

La Compagnia al suo interno offre un servizio di Art & Luxury Wealth Advisory.

Per informazioni: marika.lion@lacompagnia.it

 




LA FORMIDABILE ASCESA DELLE NUOVE IMPRESE IN ITALIA – TERZA PARTE: LA VALUTAZIONE DELLE IMPRESE INNOVATIVE

La Compagnia Holding
Startup è bello. Soprattutto quando attraverso l’innovazione gli imprenditori in erba (giovani o anziani che siano) contribuiscono a renderci la vita migliore con le loro innovazioni, e con sistemi diversi per fare -più comodi o più velocemente o a più basso costo- ciò che facevamo prima con più fatica. L’America come al solito lo ha scoperto prima degli altri e ha sviluppato (soprattutto in California, che è l’America dell’America) un ecosistema idoneo a far nascere, crescere e portare in Borsa le iniziative migliori. Anche per questo le valutazioni sono più alte laggiù. A volte molto più alte: quando gli investitori fanno a gara per sottoscrivere quote di minoranza del tuo capitale soltanto perché sono molti e ben attrezzati a lavorare sulle innovazioni tecnologiche, non c’è da stupirsi se le valutazioni lievitano. Ma come si giunge a formulare queste ultime?

 

INAPPLICABILITA’ DEI NORMALI METODI DI STIMA DEL VALORE

E, in generale, come si fa a valutare un’impresa in erba? Una che non fattura ancora niente o quasi e che promette soltanto di cavalcare un’innovazione, un’intuizione, o un modo diverso di fare le cose? Con i metodi tradizionali non si va molto lontano: inutile parlare di moltiplicatore dei profitti (che per alcune startup non valgono nemmeno quando sono quotate in Borsa: si pensi al caso Tesla, che ha continuato ad accumulare perdite per oltre un quinquennio dopo essere sbarcata al NASDAQ eppure oggi vale oltre un trilione di dollari). Così come è improbabile usare il metodo dei multipli del margine operativo lordo se quest’ultimo ancora non c’è (o quasi); ancor peggio è parlare del patrimonio netto o del valore del brand, dal momento che -per definizione- devono ancora crescere. Forse un po’ meglio sarebbe stimare l’azienda sulla base dei flussi di cassa prospettici, ma con il limite che deriva dal fatto che all’inizio questi saranno negativi, e poi mancano quasi del tutto gli strumenti per identificarli con un minimo di realismo.

LE ALTRE METODOLOGIE

Ma se i metodi tradizionali per valutare un’azienda poco si adattano a quelle che devono ancora nascere, l’industria del “capitale di ventura” ha invece sviluppato delle altre metodologie che, pur ammettendo di essere tutt’altro che una scienza esatta, aiutano nell’esercizio mentale necessario a mettere a fuoco un valore ipotetico. Ovviamente sulla base innanzitutto del Piano di Business che la Startup sarà in grado di pubblicare. Di seguito potremo provare a farne una breve elencazione, anche allo scopo di esplorarli meglio, ma innanzitutto bisogna dare un’occhiata ai fattori più importanti che intervengono nel processo di valutazione di un’impresa innovativa che si accinge a prendere il volo.

GRANDI POTENZIALI E FORTI RISCHI

Il primo criterio che accomuna tutti i metodi di valutazione è quello relativo alle caratteristiche tipiche delle Startup: la potenzialità di generare molto valore in futuro e, possibilmente, capacità di accrescere quest’ultimo nonché la velocità di questa crescita. Si pensi a casi di scuola che oggi costituiscono il grosso del valore di capitalizzazione del listino di borsa americano: Apple, Microsoft, Amazon, Google, Facebook, Tesla… che hanno raggiunto valutazioni elevatissime (sono tutte sopra il trilione di dollari di capitalizzazione di borsa ) soprattutto a causa della loro grande capacità di crescere velocemente e arrivare a dominare ciascuna il proprio mercato.

Accanto alle forti potenzialità però si trovano anche grandi rischi. Le startup per definizione devono ancora mostrare la loro capacità di poter “funzionare” senza fermarsi per strada (come succede a molte di esse) per i motivi più banali: scarsa capacità di pianificazione, lite o separazione dei fondatori, eccesso di concorrenza, difficoltà nel processo di industrializzazione, incapacità di gestire adeguatamente la dinamica finanziaria… quelli qui elencati sono solo alcuni dei numerosissimi motivi per i quali le nuove iniziative non diventano degli “unicorni” (quelle ex-Startup che arrivano a valere almeno un miliardo di dollari).

NON GUARDATE AI PROFITTI FUTURI

In generale bisogna accettare il fatto che -anche le migliori- per un certo numero di anni a venire perderanno quattrini a tutto spiano e, in un certo senso, è anche logico che ciò possa accadere. Se l’impresa infatti ha successo e ha la possibilità di raggiungere il più ampio potenziale di mercato nel minor tempo possibile, dal punto di vista del mercato finanziario sarebbe un errore che il suo management si concentrasse sulla possibilità di portare a casa presto risultati economici positivi, perché ciò ne limiterebbe la capacità di creare molto valore.

Ovviamente ciò non può essere valido in eterno: tutte le imprese a un certo punto della loro vita iniziano a rallentare la crescita e, a quel punto, l’orizzonte di maggior creazione di valore perseguendo a tutti i costi obiettivi di crescita del fatturato incontrano due forti limiti: la capacità di procurarsi ulteriori risorse finanziarie per alimentare quella crescita (laddove i flussi di cassa prospettici non risultano sufficienti a pagare le rate dei debiti e a pagare dividendi a chi sottoscrive gli aumenti di capitale) e la possibilità che, a seguito del successo di mercato, si sviluppi una concorrenza tale da far assopire le speranze di trasformare il successo ottenuto in voluminosi profitti futuri. In fondo al lungo tunnel della crescita insomma i profitti devono pur sempre essere attesi: quanto non lo sono più non basta essere leader di mercato per essere capaci di generare valore per gli azionisti.

I PRIMI TRE FATTORI DI VALUTAZIONE : MANAGEMENT, CAPACITÀ DI CRESCERE E DIFENDIBILITA’ DEL BUSINESS

1) Per valutare perciò una Startup normalmente il primo fattore da considerare è la qualità dell’iniziativa ma anche quella delle persone che le danno vita. La corretta valutazione dell’esperienza, del “carisma” e delle capacità, complessive di cooperare tra tutti i protagonisti sono la base delle tecniche di stima del valore di mercato di una Startup.

2) Il secondo parametro da valutare per asserire la capacità di una Startup di assicurarsi un futuro radioso è la progressione possibile dei ricavi prospettici: la potenzialità di raggiungere presto il successo di mercato resta in molti casi un fattore imprescindibile per asserire la capacitò di quell’impresa di creare valore. E creare valore significa per la Startup essere capaci di generare in ogni istante del proprio percorso di sviluppo la percezione di un accrescimento del proprio valore prospettico, una percezione tale per cui chi si accinga ad acquistarne quote del capitale o a sottoscrivere aumenti di capitale sia disposto a valutarla ogni volta di più. E il primo fattore di verifica è la prima linea del bilancio: quella dei ricavi prospettici.

3) Il terzo e quarto fattore da monitorare nel leggere il piano di business sono fortemente complementari tra di loro: A) l’appetibilità e l’ampiezza del mercato potenziale (quando è possibile definirla) e B) la capacità (prospettica) di difendere il posizionamento di mercato che la Startup andrà a costruirsi e dunque le “barriere all’entrata” dei potenziali futuri concorrenti. Più queste ultime saranno elevate e maggiore sarà- il valore prospettico dell’impresa, atteso che il mercato potenziale che la Startup contribuirà a definire possa risultare sufficientemente ampio e promettente.

ALTRI DUE FATTORI: “TERMINAL VALUE” E ESIGENZE DI CASSA

Soprattutto se le risultanze del Piano di Business della Startup risulteranno positive e promettenti, un fattore di grande rilevanza per poter definire il valore prospettico della medesima consiste nel cosiddetto “Terminal Value”. Cioè quel valore che viene normalmente posto al termine della previsione esplicita dei flussi di cassa futuri e che si basa normalmente non più sulla previsione di altri flussi di cassa, bensì sulla comparazione con altre imprese (già mature) del mercato e con i loro multipli di valutazione.

I multipli a tal scopo più utilizzati sono i seguenti:

  • Rapporto Price-to-earnings (P/E)
  • Rapporto Price-earnings to growth (PEG)
  • Rapporto Price-to-book (P/B)
  • Rapporto Price to Sales (P/S)

Al temine di un periodo di previsione di crescita e sviluppo del mercato potenziale (che non può andare oltre i 5-10 anni, a seconda del mercato) ci sarà infatti una fase di consolidamento dei risultati raggiunti. L’impresa che ne risulterà sarà a quel punto sufficientemente grande da ridurre significativamente il proprio tasso di crescita e relativamente “matura” per essere comparata ad altre imprese oggi già mature del medesimo mercato.

Quel valore prospettico, elevatissimo perché derivante dall’ultimo anno di esplicita previsione del Piano, ma attualizzato ad oggi ad un tasso annuo molto elevato (dal 25% al 50% e a volte anche al 70%) che tenga conto dei notevoli rischi cui la Startup va incontro per arrivare fino a quel punto, è normalmente il primo metodo di valutazione utilizzato dagli investitori dei fondi specializzati nell’investimento del capitale di ventura (ed è per questo chiamato metodo del Venture Capital”).

L’ultimo (e il più difficile) elemento di discernimento che può derivare dalla lettera del Piano di Business messo a punto dagli animatori della Startup sono le esigenze finanziarie prospettiche, dal momento che qualora risultasse particolarmente cospicua la raccolta del capitale necessario ad effettuare tutti gli investimenti che richiede la strada che si intende percorrere, questo potrebbe essere un fattore di particolare attenzione che limita il valore potenziale del business!

Per capirci il caso Tesla è davanti agli occhi di tutti: per anni c’è stato un folto numero di osservatori che scommettevano sul fallimento di quest’ultima a causa degli ingentissimi investimenti che doveva effettuare per perfezionare il proprio piano industriale e dell’ancor più importante esigenza di capitale circolante che esso necessitava (ivi compresa la copertura delle perdite di periodo). E questo nonostante i suoi prodotti avessero già ottenuto un successo clamoroso e la società fosse già stat quotata in Borsa.

LA CHECKLIST

Spesso però chi valuta un’azienda (che intende raccogliere capitale nelle prime fasi della sua vita per sviluppare una significativa innovazione) non si basa soltanto sul Piano di Business, per quanto bene esso possa essere stato ideato.

Basandosi sull’assunto che soltanto una bassissima percentuale delle Startup realizza davvero la crescita dei ricavi e i guadagni previsti nel business plan, occorre contemperare -ai fini della valutazione- le proiezioni finanziarie che derivano dal Piano per la valutazione (in quando è molto probabile che si tratti di numeri poco realistici) con altri metodi di stima del valore, basati su quello che c’è già oggi. Stiamo parlando del cosiddetto “Metodo Berkus” dal nome di chi lo ha proposto per primo.

Egli ritiene che per valutare correttamente una startup sia necessario dare un valore economico a quei fattori che sono già inseriti nella Startup al momento della sua partenza e che, qualora risultino ampiamente positivi, ne riducano il rischio di fallimento. I 5 fattori di rischio per le startup secondo Berkus sono:

  • Proposta di Valore (Basic Value, ovvero Rischio prodotto)
  • Prototipo Funzionante (Technology, ovvero rischio tecnologico)
  • Qualità Manageriali del team (Execution, ovvero rischio di esecuzione)
  • Prodotto lanciato e/o venduto (Production and Sales, ovvero rischio relativo alla capacità effettiva di produrre e vendere)
  • Relazioni strategiche (Market, ovvero rischio di mercato e relativo alla concorrenza).
    A ciascuno di questi elementi si attribuisce un valore attuale (tipicamente 1/2 milione di Euro in caso di pieni voti per ciascuna categoria) ovvero un fattore di rischio.

Ciò significherebbe che il valore di partenza di un’iniziativa che ancora non fattura niente può andare da un minimo di 0,5 milioni ad un massimo di 2,5 milioni. Ovviamente ci sono Startup che, specialmente nelle elevate tecnologie e nel medicale, valgono -già in partenza- infinitamente di più, in funzione del valore del brevetto, o della tecnologia oppure di determinate privative di mercato (accordi esclusivi, joint venture, diritti di opzione così via).

Evidentemente in questi ultimi casi bisognerebbe riuscire ad attribuire un valore patrimoniale agli elementi suddetti apportati alla Startup e i valori risultanti dal metodo Berkus essere piuttosto considerati come valore dell’ “avviamento” al tempo zero, cui sommare il valore risultante dai suddetti elementi patrimoniali (anche immateriali).

Una seconda “check-list” può derivare dal fornire un peso massimo ai suddetti fattori di rischio per compilare una “tabella punti” (Scorecard) da utilizzare, ad esempio, per moderare il valore risultante dal cosiddetto “metodo del venture capital”.

I parametri principali del metodo Scorecard, in ordine di importanza e con il loro rispettivo peso, sono normalmente:

  • Forza del Team (da 0 al 30%)
  • Dimensione del Mercato (da 0 al 25%)
  • Prodotto/Tecnologia (da 0 al 15%)
  • Vendite/Marketing (da 0 al 10%)
  • Contesto Competitivo (da 0 al 10%)
  • Necessità di Ulteriori Investimenti (da 0 al 5%)
  • Miscellanea (da 0 al 5%)

Il totale delle percentuali realizzate costituisce la percentuale di valore prudentemente applicabile al valore risultante da altri metodi complessivi, in funzione dei fattori di rischio percepiti.

Stefano di Tommaso