DELLA FOLLIA E DELLE SUE CONSEGUENZE

LA COMPAGNIA HOLDING
Al di là delle ragioni e delle colpe del conflitto armato ucraino, l’Europa rischia di pagare un prezzo molto elevato per il suo sostegno alle posizioni americane, tanto in termini di forniture energetiche e mancate esportazioni, quanto per i maggiori costi cui andranno incontro le sue imprese. Senza contare il fatto che sarà chiamata più di chiunque altro a sostenere l’emergenza umanitaria. Una nuova cortina di ferro ad Est potrebbe poi rivelarsi in uno svantaggio netto per il nostro continente. Le borse lo hanno già decretato da giorni ma la campagna mediatica di sostegno all’Ucraina sembra volercelo far dimenticare. Intanto le bollette salgono e la ripresa rallenta…

 

LE RAGIONI DEL CONFLITTO

Purtroppo è successo. Sembrava che la guerra non dovesse scoppiare perché rappresentava un esito poco razionale di un confronto decisamente strategico. Avevamo ritenuto che la partita dell’Ucraina potesse andare senza troppo clamore verso una soluzione simile a quella della Crimea. O semplicemente che tutti avrebbero fatto un passo indietro. Invece è successo: la Russia ha attaccato e ha spiegato il suo perché ai pochi che hanno voluto davvero saperlo: il governo di una delle popolazioni più estremiste del pianeta ha compiuto una serie di scelte che sembrano dettate soltanto dalla follia. In particolare ciò che ha determinato l’ “opzione militare” da parte russa sono stati tre elementi: 1) l’installazione di una nuova base missilistica nucleare in Ucraina che puntava verso Mosca, (i media di questo quasi non parlano) 2) l’intensificarsi del bombardamento della popolazione civile nelle repubbliche separatiste e 3) una nuova doppia dichiarazione del presidente Zelenski di voler aderire sia all’organizzazione militare della NATO che all’Unione Europea. Tutto nelle ultime ore.

Così al suo ingombrante (e preoccupatissimo) confinante non è rimasta altra scelta che attaccare tentando di azzerare il potenziale bellico (e belligerante) che si andava accumulando ai propri confini. Pura follia. Ma follia è stata anche quella di Zelenski di rifiutare sistematicamente ogni compromesso che tenesse conto a delle esigenze di sicurezza della Russia. In quanto titolare delle maggiori risorse naturali del mondo la Russia è stata progressivamente pervasa dalla sensazione di accerchiamento da quando la NATO si è allargata a dismisura lungo i suoi confini. Ciò perché all’avvicinamento delle batterie di missili nemici consegue la possibilità di essere aggredita senza riuscire ad avere tempo di rispondere, azzerando il suo potenziale di dissuasione nucleare.

LA FOLLIA HA PREVALSO

Ma follia è stato per la Russia il decidere di passare all’azione militare, perché -sebbene le istruzioni impartite alle milizie possano essere state quelle di colpire soltanto obiettivi militari, l’esercito non sa agire che in un solo modo: colpire. E la possibilità di sacrificare vite umane in caso di attacco militare non si può mai escludere. Si potrà affermare che non era rimasta alla Russia alcuna opzione possibile, ma la verità è che non esiste mai una “opzione militare” davvero saggia. Così come non esiste mai la possibilità di riuscire nella “guerra lampo” (quel blitz-krieg tanto caro ai nazisti che però non ha mai funzionato). Casomai poteva esistere sulla carta una manovra immobilizzante, ma sappiamo che nemmeno questa in Ucraina aveva molte speranze di riuscita. Troppe variabili sono in gioco e troppo imprevedibile è quella popolazione, che fin dai tempi delle guerre zariste era nota per la sua capacità di estremizzare qualsiasi posizione. Insomma, da ogni punto di vista la Russia non doveva attaccare l’Ucraina.

Ma è stata follia anche incitare la popolazione delle città ucraine a rispondere all’invasione con la guerriglia urbana! È ovvio che ciò può avere un costo altissimo in termini di vite umane. Follia è poi, da parte di vari stati europei, fornire alla popolazione civile dell’Ucraina armi e munizioni senza chiedersi cosa ciò può comportare come conseguenza. Si poteva cercare elementi di dissuasione (quale poteva essere l’intervento di truppe ONU, o addirittura si poteva fornire all’Ucraina delle batterie di missili contraerei di nuova generazione (come i Patriot utilizzati in Israele) che forse sarebbero stati capaci di bloccare la maggior parte degli attacchi russi. Ma non soltanto tutto ciò avrebbe avuto un costo finanziario altissimo che evidentemente nessuno si sentiva pronto a sostenere. Soprattutto avrebbe potuto costringere i contendenti a sedersi al tavolo delle trattative. Cosa che, altrettanto evidentemente, non era davvero desiderata dall’Occidente. E allora viene da chiedersene il perché.

QUALI FINALITÀ ?

L’essersi assicurati un’ovvia prosecuzione del conflitto per chissà quanti mesi probabilmente può rispondere a disegni militari e geopolitici americani. Sia perché costituisce l’esatto contrario di ciò che invece poteva sperare la Russia con il suo “blitz”. Ma anche perché ciò manterrà in alto ancora a lungo il prezzo di gas e petrolio (di cui gli USA sono esportatori). Poco importa che altrettanto probabilmente ciò determinerà sofferenza, morte e distruzione in Ucraina e forse non solo lì. D’altra parte questa strategia è in perfetta coerenza con quella di continuare ad alimentare (da otto anni oramai) la guerriglia di stato tra l’esercito regolare dell’Ucraina e i separatisti filo russi delle sue regioni di confine, sino ad auspicare la cosiddetta “pulizia etnica” spingendo la popolazione a fuggire profuga in Russia, così come era successo in Kosovo con la cacciata delle popolazioni non musulmane.

La volontà di umiliare il nemico costringendolo ad un conflitto terrestre non si può però giustificare se per farlo occorre far morire centinaia di migliaia di cittadini (vittime più o meno inconsapevoli dei grandi giochi internazionali). Averli frettolosamente addestrati ed armati è stato come mettere un oggetto contundente nelle mani di un infante: il disastro è decisamente probabile. La condanna della follia di tutti questi eventi e della guerra stessa dovrebbe essere perciò bilaterale, e invece politici e giornalisti occidentali sembrano guardare solo in una direzione.

LE CONSEGUENZE PRATICHE DEL CONFLITTO

Ma soprattutto quel che ci dovrebbe interessare di più sono le conseguenze pratiche di questa guerra per noi Europei, per le nostre attività economiche e per le partnership industriali con l’Oriente. Innanzitutto vediamo allora le conseguenze economiche: è difficile oggi rispondere alla domanda principe: come se la caverà l’Europa con il prezzo delle risorse naturali alle stelle? Male grazie! Ma è altrettanto difficile misurare anche le ricadute a medio/lungo termine delle nostre severissime “scelte di campo”. Lo schiacciamento politico dell’Unione Europea sulle scelte filoatlantiche rischia infatti di avere un costo.

L’industria del vecchio continente non vive granchè di esportazioni in Africa e America tanto quanto di quelle in Asia e nel bacino pacifico. Le seconde sono da tempo molto più importanti delle prime. E nelle aree di influenza russa e cinese le nostre “scelte di campo” rischiano di venire assai poco apprezzate in futuro. Cosa succederà se questo dovesse determinare un inaridimento degli scambi economici con la parte del mondo più vitale e più in sviluppo?

Ma soprattutto cosa succederà se potremo importare sempre meno risorse naturali dalla Russia? Cosa succederà a tutte quelle imprese “energivore” che per almeno un paio di anni dovranno fronteggiare costi decisamente eccessivi? E’ ovvio che alcune chiuderanno o falliranno. E che altre dovranno riallinearsi su posizioni e modalità di gestione completamente diverse se vorranno sopravvivere. Tanto nelle fabbriche come nei servizi. Persino la finanza e le opere infrastrutturali subiranno forti contraccolpi e rallentamenti.

E LA CINA POTREBBE DECIDERE DI SCHIERARSI

Per non parlare delle nostre vie di comunicazione e dello scambio delle merci, che potrebbero risultare ridotte verso oriente, dal momento che, col proseguire del conflitto, la Cina (che al momento non sembra ancora volerci mettere bocca) potrebbe nel tempo avere tutto l’interesse a schierarsi più decisamente con la Federazione Russa per offrirle a Oriente quello sbocco naturale che l’Occidente vorrebbe negarle. Una nuova cortina di ferro a est dell’Europa insomma è decisamente contraria ai nostri interessi economici. Noi europei rischiamo di assomigliare al sud-America con l’assottigliamento delle esportazioni di prodotti, servizi e tecnologia verso i mercati orientali. Venderemo cioè meno automobili, impianti, turismo, accessori di lusso e sistemi di software. Perderemo dei posti di lavoro e assottiglieremo i nostri margini industriali. Se si pensa che parallelamente il potere d’acquisto dei salari non potrà che scendere, ecco che possiamo prendere una misura di quello che ci aspetta.

LE BORSE VALORI SCENDONO (QUASI) SOLO IN EUROPA

Le borse valori, non a caso, già stanno scontando tutto ciò penalizzando le quotazioni delle relative imprese coinvolte in Europa e invece recuperando più o meno integralmente le perdite quelle di oltreoceano. Purtroppo, per i motivi che seguono, nemmeno le prospettive sono più così interessanti per le borse europee, dal momento che l’inflazione al galoppo (al seguito della probabile scarsità di gas) non fa ben sperare per i profitti delle imprese. Diverso sarebbe se la Banca Centrale Europea dovesse decidere di riaprire i rubinetti della liquidità a seguito del peggioramento dello scenario, così come ha fatto la Banca Centrale della Cina: allora probabilmente le borse potrebbero tornare a correre ancora per un po’. Ma pesano anche le difficili prospettive per l’anno prossimo. Ragione per cui è ragionevole attendersi nel complesso molta cautela di chi investe in borsa e molta selettività.

I SETTORI (E I PAESI) PIÙ SVANTAGGIATI

C’è infine una considerazione da fare in termini strategici: così com’è successo con la pandemia, anche con l’iper-inflazione in arrivo noi subiremo un’indigesta e forte “disruption” dei vari settori industriali. Cambieranno cioè molti paradigmi. Il rialzo dei costi energetici e l’iper-inflazione in arrivo determineranno un impoverimento del potere d’acquisto dei salari e un calo dei mercati domestici di vendita dei nostri prodotti e servizi. Penalizzando quindi parte dell’industria che ha sempre contraddistinto l’Italia: lo stile, la moda, il tessile, il lusso e l’arredo casa. Le imprese del “made in Italy” rischiano poi seriamente di vendere di meno anche in Oriente.

E se il prezzo dell’energia e l’inflazione ridurranno il potenziale di crescita economica, le nostre banche avranno meno margini e molti più crediti in sofferenza. Le nostre proprietà immobiliari perderanno valore a causa della citata “deflazione salariale” di fatto imposta dai cambi rigidi e dalla poca liquidità che circolerà come conseguenza della restrizione degli spazi potenziali per le nostre esportazioni.

La risalita dei tassi nominali che consegue all’inflazione rilancerà poi ancora una volta i problemi di eccesso di debito dell’Italia e la nostra dipendenza dalla banca centrale europea. Il rialzo dei costi accelererà inoltre la domanda di tecnologia e, a tutti i livelli, di prodotti e servizi “digitali”. Da questa “disruption” è assolutamente evidente che guadagneranno quasi soltanto gli americani ed è altrettanto evidente che ci perderanno quasi soltanto gli europei e in particolare Germania e Italia che hanno la maggior potenza industriale.

GLI OBIETTIVI AMERICANI E I COSTI PER L’EUROPA

I nostri “alleati” insomma non sono del tutto disinteressati nelle scelte strategiche che ci impongono con l’espansione a est della NATO. E stanno soltanto portando avanti un doppio disegno egemonico: oggi riducendo gli spazi di interlocuzione dell’Europa con l’Oriente, domani cercando di trovare un punto di rottura nella resistenza all’occidentalizzazione del gigante russo, dal momento che -per le grandi multinazionali- il controllo delle risorse naturali russe potrebbe aiutarle a consolidare la loro egemonia economica anche nei confronti delle imprese del sud-est asiatico, dove invece la Cina sta arrivando a prevalere e dove l’India sta iniziando a guadagnare una propria autonomia politica.

I nostri leader di governo probabilmente lo comprendono benissimo, ma per qualche ragione non si comportano di conseguenza. L’Europa avrebbe cioè tutto l’interesse, se non a tenere rapporti di buon vicinato con la Federazione Russa, almeno a condannarla si, ma anche a non allinearsi a infliggere pesantissime sanzioni economiche, che danneggeranno inevitabilmente anche sé stessa. Si limita invece ad allinearsi alle scelte americane, anche quando significano spargere altro sangue o perdere posizioni economiche che rischiamo di non recuperare mai più. I mezzi di comunicazione di massa potranno anche tentare di presentare ai nostri occhi una storia diversa, ma la verità, si sa, alla fine emerge sempre, almeno sino a quando resterà ancora acceso qualche barlume di democrazia!

Stefano di Tommaso




MOLTA LIQUIDITÀ A PIAZZA AFFARI

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Nonostante l’enorme volatilità che ha caratterizzato l’inizio del 2022 per le borse di tutto il mondo, quella italiana sembra promettere relativamente bene per l’anno in corso, e non solo per motivi macroeconomici, ma anche per i numerosi ”Initial Public Offering“ (IPO) in programma quest’anno e per la liquidità che vi sta affluendo. La piattaforma Euronext permette agli investitori istituzionali di osservare contemporaneamente tutti i listini locali, incrementando così l’attenzione verso quelli più periferici come il nostro. E ciò potrebbe risultare decisamente favorevole per sostenere le imprese italiane che vogliono svilupparsi.

 

LA LIQUIDITÀ RESTA ABBONDANTE

Nonostante tutti facciano scongiuri per la guerra in Europa dell’Est e professino cautela per l’anno in corso, dai gestori di fondi e patrimoni sembra trasparire un moderato ottimismo per le borse quest’anno, quantomeno a causa del fatto che i rendimenti reali negativi spingeranno verso l’azionario un probabile travaso dai titoli obbligazionari. In aggiunta possiamo sperare che l’economia italiana continui a recuperare il divario accumulato nei confronti del resto del continente e dì conseguenza i profitti delle imprese possano continuare a crescere, seppure ad un ritmo ridotto a causa del maggior costo dell’energia e dell’elevata tassazione, rispetto alla maggioranza degli altri paesi europei.

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La banca centrale di Francoforte si è poi mostrata sino ad oggi relativamente più accomodante rispetto alle altre banche centrali e per il momento sta continuando ad acquisire titoli pubblici immettendo di fatto altre risorse nel sistema finanziario, seppur ad un ritmo progressivamente decrescente. L’afflusso originato dalla BCE si trasmette indubbiamente anche alle borse e risulta favorevole alle operazioni di IPO, che quest’anno anche in Italia potrebbero risultare particolarmente numerose, come indicato di seguito.

Nel grafico qui sotto riportato: l’andamento dell’aggregato monetario “M1” fino allo scorso Dicembre nell’Eurozona.

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IL FILONE ESG

L’Italia è poi molto orientata ad investimenti in ambito di sostenibilità e questo può favorire l’ottimismo degli investitori, che sono più che mai a caccia di opportunità compatibili con il nuovo “mantra” dei mercati: la sigla ESG. Questa sintetizza i 3 principi cui deve rispondere l’attività delle imprese che vogliono mostrarsi capaci di produrre risultati non solo da punto di vista economico, ma anche nel rispetto della natura e nel favorire il miglioramento sociale dentro e fuori di esse. In particolare: “environmental”, richiama l’impatto di sostenibilità dell’attività per l’ambiente e il territorio, “social“, l’impatto dell’azienda sul contesto socioeconomico in cui è inserita, e “governance” la capacità di mostrare un governo interno diffuso e trasparente.à

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I criteri ESG (e la misura della rispondenza agli stessi da parte delle imprese: il cosiddetto “rating ESG”) sono oggi utilizzati da chi investe per selezionare le migliori imprese dal punto di vista della sostenibilità a lungo termine e le aziende che possono dimostrare di essere più attente al rispetto di questi principi godono pertanto del favore -talora esclusivo- degli investitori. Questi non soltanto si vedono costretti a ruotare i portafogli in direzione di maggior prudenza, ma temono anche che i titoli emessi da imprese non rispondenti a tali criteri possano -nel tempo- subire un progressivo deprezzamento, anche a causa dei vincoli normativi che dovranno sempre più rispondere all’emergenza ambientale.

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E spesso, per i criteri ESG, le imprese italiane, con le loro forti capacità in ambito culturale, artistico, alimentare e ingegneristico, spesso esprimono vere e proprie eccellenze, cosa che può favorire la borsa italiana rispetto a quelle di altri paesi europei.

POSSIBILI I.P.O. PER QUASI 5 MILIARDI DI EURO NEL 2022

Un altro aspetto che potrebbe favorire il listino nazionale è la grande mole di nuove quotazioni in borsa previste per l’anno in corso. Non è passato nemmeno un paio di mesi e la raccolta di capitali in borsa per le imprese italiane si è già approssimata al primo miliardo di euro!

Al momento anzi sarebbero esattamente 752 milioni di euro, senza contare però l’IPO di Iveco a inizio anno -la prima del 2022- che, formalmente, è consistita solo in uno splitting delle azioni della casa madre, ma che di fatto ha reso liquida sul mercato una quota importante di minoranza (per un controvalore di circa 1 miliardo di euro) di un’azienda che capitalizza circa 3 miliardi di euro.

Il settimanale Milano Finanza ha pubblicato un elenco di 5 probabili matricole in probabile arrivo sul listino entro la prima metà dell’anno al solo segmento MTA della borsa di Milano il cui ammontare dei collocamenti potrebbe assommare a quasi un altro miliardo di euro: De Nora, Selle Royal, Chiorino, Shopfully e una SPAC in ambito sostenibile. Totale: almeno altri 800 milioni di euro.

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E potrebbe non essere finita qui. Si parla infatti con insistenza almeno di altre sei importanti IPO (forse tutte all’MTA, con un collocamento medio di almeno una cinquantina di milioni): Fedrigoni, Cantiere del Pardo, Facile.it, Epta, Illy, Thun, OTB (only the brave: Renzo Rosso). Se così fosse, aggiungeremmo ulteriori 300-500 milioni al totale.

Poi sono inevitabilmente in arrivo le circa quaranta matricole del segmento EGM (Euronext Growth Milan, l’ex AIM) la cui raccolta media potrebbe superare quella dello scorso anno (sono 843 i milioni raccolti nel 2021 su 43 IPO), assicurando così una raccolta ulteriore di almeno un altro miliardo di euro a quanto sopra indicato. Si perché forse quest’anno potrebbero essere anche di più. Si può perciò ipotizzare che con queste matricole il totale della raccolta da IPO italiane salirebbe nel complesso a 2,5/2,8 miliardi.

Ma c’è in più la probabilissima IPO della controllata di ENI nelle energie rinnovabili, Plenitude Spa, del valore teorico di 10 miliardi di euro e il cui collocamento azionario al segmento STAR potrebbe da solo assommare ad almeno 2,5 miliardi di euro. Ecco che il totale della raccolta dell’anno svetterebbe perciò a circa 5 miliardi!

E questo importo non conteggia le numerose imprese italiane che al momento hanno scelto di quotarsi alla borsa di Parigi, in quella di Londra o a New York, dove ad esempio la sola D-Orbit ha ottenuto 160 milioni di euro dalla “business combination” con una SPAC di nome Breeze Holdings che l’ha valutata poco più di un miliardo di euro.

Insomma, rispetto all’anno scorso, che già era stato positivo per Piazza Affari, con 49 IPO di cui 44 all’AIM (e una raccolta totale di oltre 2,3 miliardi di euro, di cui circa 844 all’AIM), quest’anno sembra promettere ancora meglio. Ovviamente pesano come macigni sulla possibilità che ciò accada le minacce di guerra e i possibili eccessi di reazione da parte delle banche centrali all’inflazione che, trascinata dal rincaro dei costi energetici, è oramai proiettata a superare la doppia cifra entro la fine dell’anno. Nel grafico che segue un elenco dei principali investitori intervenuti nel corso del 2021, con un’evidente numerosità degli operatori stranieri!

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Le matricole della borsa portano infatti con sé un forte contenuto di innovazione, dinamismo, investimenti e internazionalizzazione. Tutte qualità che aiutano i loro titoli ad andare controcorrente rispetto alle società già quotate e ad attirare capitali sulla nostra piazza..

ALLORA CONVIENE ANCORA INVESTIRE IN BORSA?

Non è affatto detto che la spirale inflazionistica continuerà a lungo, e tutti sperano nella possibilità che le banche centrali mantengano nei prossimi mesi la posizione assunta senza accelerare la risalita programmata dei tassi d’interesse. Se così sarà, allora i mercati non subiranno importanti correzioni e, anzi, la liquidità continuerà ad affluire alle borse, quantomeno per la parte proveniente dal disinvestimento sui titoli a reddito fisso. Nel grafico qui sotto riportato si può vedere che nel mese di Gennaio è andata così a livello globale:

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A questo risultato potrebbero inoltre contribuire anche i proventi dei Programmi Individuali di Risparmio (PIR) che sono ancora in piedi, così come le risorse provenienti dall’estero sulle società italiane più promettenti dal punto di vista tecnologico o dalle prospettive migliori.

Difficile invece anticipare cosa succederebbe qualora lo scenario economico si deteriorasse parecchio. Nei prossimi giorni saranno pubblicati in Europa tanto i dati sull’indice PMI manifatturiero quanto quelli sull’inflazione (CPI). Sarà una misura aggiornata del deterioramento apportato alla crescita economica da parte dell’inflazione dei prezzi, sulla base della quale i mercati valuteranno quanto ottimismo è ragionevole ancora avere.

Sicuramente nei prossimi giorni la volatilità è destinata a restare alta e, nella bagarre, è oggettivamente difficile districarsi tra alti e bassi per valutare l’effettivo andamento dei listini. Ma molti osservatori concordano con una visione moderatamente ottimistica circa i listini borsistici europei.

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TANTO PEGGIO TANTO MEGLIO

Sicuramente i dati macroeconomici in arrivo saranno abbastanza negativi ma la sensazione è che non saranno tali da invertire il clima positivo che si respira in Borsa. E’ possibile che l’importante numero di società che affluiranno al listino azionario possa sfoltirsi in tal caso, perché inevitabilmente le valutazioni risentirebbero della situazione. Ma non è così scontato che l’inflazione produca un ribasso delle borse e una riduzione del numero delle IPO, dal momento che i nuovi collocamenti azionari avvengono sempre a sconto rispetto ai valori teorici di capitalizzazione.

Dunque così come è già successo che gli importanti ribassi visti sulle borse da inizio d’anno non hanno sino ad oggi influito sui programmi di IPO, è altrettanto possibile che molti di questi IPO programmati non vengano cancellati, almeno se non succederà nulla di eclatante. Senza contare il fatto che l’incremento di inflazione potrebbe orientare a maggior ragione gli investitori verso il listino azionario. La borsa valori insomma resta sino ad oggi l’investimento più consigliabile, soprattutto se si tiene conto dell’inflazione e dei conseguenti rendimenti reali negativi offerti dai titoli a reddito fisso.

La maggior parte delle imprese quotate non solo promette un dividendo che talvolta è più ricco delle cedole, ma è anche in posizione rialzista di fronte all’inflazione. I loro titoli azionari possono costituire nel tempo un’ottima riserva di valore, se la frenata dell’economia non arriva sino alla recessione (cosa ad oggi poco probabile).

Stefano di Tommaso




Quanto vale la compatibilità del Gruppo di Comando?

LA COMPAGNIA HOLDING

Il tentativo di rispondere a questa complicatissima domanda è partito dal paper di ricerca “Lungimiranza come forma mentis. Indagine sull’efficacia della gestione strategica” (Sviluppo&Organizzazione, gennaio 2021 n297, Emanuele Sacerdote e Luigi Maria Sicca) e dallo sviluppo di una soluzione di ricerca qualitativa.
Radar1 mostra l’indice di compatibilità del Gruppo di Comando che misura il grado di sensibilità e di affinità tra i singoli membri su temi di approccio strategico (attacco vs difesa) e alla focalizzazione temporale (passato vs futuro): concettualmente, Radar1 potrebbe essere considerato uno stress test per verificare il grado di convergenza attitudinale delle persone che guidano l’azienda.
L’indice di compatibilità che risulta dall’assessment si basa su un questionario di 22 domande e misura la distanza dei i membri tra loro, quindi la tendenza ad avere sensibilità e affinità comuni rispetto alla strategia. L’assunto di base consiste nel considerare l’elevata compatibilità un buon indicatore di efficacia nella gestione strategica dell’impresa.

Assunti di partenza
“L’origine di questo lavoro trova spunto dalle diverse esperienze sul campo nella convinzione che l’efficacia della gestione strategica, tra passato e presente, possa maggiormente orientare al futuro: eppure, l’evidenza più consistente è che la lungimiranza non sia la principale priorità del gruppo di comando intervistato. Il punto di partenza di questo lavoro è il saggio Breviario sul pensiero strategico (2019) che mette in luce le facoltà e le attitudini predominanti del mindset del pensiero strategico. La “buona”, efficace gestione strategica è la capacità di conseguire risultati migliori rispetto alle aspettative e alla concorrenza, atti ad aumentare il vantaggio competitivo e a garantire una maggior longevità nel futuro. L’equazione fondamentale per avere un’efficace gestione strategica (progettazione e pianificazione) consiste nello stabilire una relazione circolare e proattiva: il pensiero -> l’azione -> i risultati.”

Conclusione del paper
“La conclusione più significativa è rivolta al peso della lungimiranza: il dato di maggior evidenza è che il focus della gestione ha un peso superiore sul passato e presente (robustezza, realismo e priorità) a voler significare che ci sia più attenzione per la gestione dell’esistente rispetto alla gestione strategica del futuro (visione, coraggio e intraprendenza). Riprendendo la definizione inziale sull’efficacia della gestione strategica, si sottolinea che un approccio poco focalizzato al futuro potrebbe accrescere i rischi strategici di erosione del vantaggio competitivo e dei principali generatori di valore: concretamente, questi rischi potrebbero procurare un effetto “invecchiamento precoce” per obsolescenza innovativa, aumento del ritardo verso i concorrenti oppure rallentamento della dinamicità competitiva. Pertanto, volendo delineare una raccomandazione, bisognerebbe aumentare l’efficacia della “gestione strategica orientata alla lungimiranza ricercando, progettando e pianificando maggiori iniziative e opportunità di crescita e di sviluppo rivolte al futuro e alla longevità dell’impresa. Questo passaggio potrebbe essere facilitato allenando e stimolando maggiormente la lungimiranza con le altre facoltà dell’intelligenza strategica, ottenendo così un effetto collettivo e incrementale di spinta sia sul gruppo di comando sia sull’organizzazione nel suo complesso.”

Radar1
Sulla base di queste considerazioni e risultati è stato sviluppato una soluzione che produce i seguenti output.
1. Assessment dei fattori strategici (robustezza, realismo, priorità, visione, coraggio, intraprendenza) e stile manageriale (conservatori accorti, innovatori abili, equilibrati, deboli in passato, timidi in futuro) di ogni singolo membro.
2. Mappa della gestione strategica che posiziona i membri del Gruppo di Comando sui due assi: approccio strategico (attacco vs difesa) e focus temporale (passato vs presente).
3. Indice di compatibilità che misura la prossimità tra i membri sulla base dei due assi ed esprime un punteggio.

Esempio

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Report
o Il Gruppo di Comando è rappresentato in tre diversi stili manageriali (Equilibrati (2), Deboli in passato (3) e Conservatori accorti (1)), tutti nell’area della gestione strategica più focalizzata al passato/presente.
o L’indice di compatibilità generale è pari a 1,692 che esprime un valore di compatibilità scarso.
o Il focus prevalente della gestione strategica è il passato con un approccio in difesa.
o Dato rilevate è che il Presidente (appartenente gruppo dei Conservatori accorti) ha una distanza media significativa rispetto a tutti gli altri membri.
• In particolare la distanza più forti sono con il Direttore Commerciale e con il Direttore Marketing (intorno 1,9).
• Minor distanza invece dal Consigliere, dall’Amministratore delegato e dal Direttore Generale (intorno 1,5).
o Di contro, la distanza tra gli altri membri, escludendo il Presidente, sono più ravvicinate, tranne la distanza tra il Consigliere e il Direttore Commerciali (2,1)

Evidenze:
o lavorare maggiormente sulla convergenza delle posizioni per aumentare l’affinità e quindi l’efficacia della gestione strategica e sul fattore strategico della priorità.
o focalizzazione della gestione strategica verso l’area del futuro e della lungimiranza iniziando a lavorare principalmente sul fattore strategico della visione.

Conclusione

Il modello di valutazione e i risultati ottenibili offrono un punto di vista incrementale che potrebbe arricchire e supportare la comprensione della governance strategica esistente. Ovviamente non è un modello universale e tanto meno esaustivo e dovrebbe essere associato ad altre valutazione (soddisfazione della clientela, clima interno, pianificazione strategica, ecc…).
Il suo utilizzo potrebbe essere interessante per:
1. Valutazione organizzative sui membri del Gruppo di Comando e nuovi candidati.
2. Due diligence, pre-acquisizione abbinata alle altre valutazioni finanziarie, commerciali, legali e operation.
3. Turnaround e costruzione del piano di ristrutturazione.
4. Qualificazione del fattore umano per arricchire il valore dell’impresa.

Allegato il paper completo “Lungimiranza come forma mentis. Indagine sull’efficacia della gestione strategica”

Emanuele Sacerdote

 




INVESTIRE COLLEZIONANDO: L’importanza di un Consulente nell’investimento sugli Orologi di Lusso

Il mercato degli orologi è in forte espansione e rappresenta, se propriamente approcciato, un importante possibilità di diversificazione finanziaria nel management di un portafoglio d’investimenti.
La difficoltà nel ricercare e selezionare appropriatamente i modelli più performanti possono essere tra le necessità per cui è necessario affidarsi, nella gestione del processo di acquisizione, di un consulente certificato e competente.

 

L’orologio vintage come investimento

Oggi più che mai, l’orologio vintage da collezione è diventato un asset prioritario nel mondo dei portafogli d’investimenti. E’ considerato un bene rifugio, al pari di auto d’epoca, vini ed arte, ma con un potenziale decisamente maggiore, dato dalla relativa “giovinezza” del mercato di riferimento.
Sebbene gli orologi possano toccare anche il secolo d’età, il mercato del vintage da collezione è nato solamente alla fine degli anni ’90 e si è sviluppato nell’ultimo decennio. L’ingresso di importanti players e di capitali esteri, specialmente asiatici, ha significato l’inizio di importanti leve speculative che hanno condizionato il comportamento dei vecchi collezionisti nel tempo e ne hanno creati di nuovi.
Mentre il “vecchio” collezionista approcciava il mercato con il mantra “compra quel che ami“, interessandosi poco dell’aspetto speculativo, il mercato di oggi è senza dubbio più interessato all’area finanziaria.

Perché l’orologio?

La forza dell’orologio come asset è concepita in maniera totalmente differente dai tradizionali strumenti di investimento. Gli assets sono sostanzialmente contratti di cui si conosce il contenuto e la forma, ma rimangono intangibili.
Gli orologi, invece, in quanto beni fisici e collezionabili, si muovono in un mercato mosso dalla passione per l’oggetto e la necessità di goderne: il concetto di mera speculazione come unico scopo dell’acquisizione dell’asset è quindi carente.
Uno dei concetti che rende vivo il mercato è sicuramente il senso di appartenenza ad una comunità.
Sebbene gli orologi da collezione siano diventati un asset con caratteristiche a tratti paragonabili con i tradizionali strumenti d’investimento, la maggioranza degli attori non sono solamente speculatori, ma grandi appassionati e studiosi della materia.
Questo porta anche chi si affaccia per la prima volta al mercato a sentirsi parte di qualcosa, di un gruppo, che diventa una comunità globale di appassionati, prima che investitori.
I segnatempo d’epoca spesso hanno una storia unica, un design riconoscibile e dettagli che fanno emozionare. La loro attrattività e scarsità, date da una produzione terminata e non replicabile, li rendono oggetti meravigliosi e piacevoli da indossare.
Come risultato, esistono più potenziali compratori interessati ad entrare nel mercato, ma al contempo le opportunità di acquisire pezzi ragguardevoli si riducono grandemente.
Le ragioni sono sia psicologiche che tecniche. Coloro i quali possiedono questi nuovi assets sono spesso riluttanti alla vendita, rendendo l’offerta di gran lunga inferiore alla domanda
Inoltre, il crescente livello di interesse negli orologi – e conseguentemente, del loro valore – ha portato ad una sempre maggiore ricerca di pezzi in perfette condizioni di conservazione, ricchi di dettagli e coevi in ogni parte, escludendo dal mercato un considerevole numero di modelli che non rispettano queste caratteristiche.

Le caratteristiche di un orologio da investimento

Il fatto che gli orologi d’epoca siano diventati un asset è indubbiamente legato a differenti fattori, come la precedentemente nominata scarsità che li rende oggetti non replicabili.
In ogni caso, non deve credersi che ogni orologio d’epoca si comporti nella stessa maniera. Il mercato, ormai globale, è alla ricerca di tre fondamentali caratteristiche: qualitàdettagli ed origine.
Sono sostanzialmente questi i dettagli che determinano l’importanza di un pezzo e devono quindi essere strettamente osservati.
Anche le più importanti e conosciute referenze, comparabili alle blue chips, performano in un determinato modo solo se la provenienza è tracciabile e le condizioni ottime.
Di fatti, possiamo trovare diversi orologi con referenze importanti che, in asta, hanno performato in maniera deludente a causa di scarse informazioni sulla provenienza o importanti difetti come, ma non solo, lucidature della cassa, riverniciature dei quadranti, inserti ghiera non coevi.
Per semplicità d’esempio, esaminiamo la ben nota referenza 6263 di Rolex.
Questo affascinante modello ha una vasta gamma di caratteristiche che lo rendono rilevante agli occhi dei collezionisti. Considerando esemplari con tratti simili ed analizzando i risultati alle aste recenti, possiamo facilmente osservare un trend tendenzialmente positivo.

Sebbene un trend generalmente in crescita, ci sono risultati “non-bull” in questo range temporale che suggeriscono una minima volatilità dei prezzi.
Questo è dovuto alla varietà di pezzi apparsi in asta: alcuni esemplari non erano in condizioni conservative adeguate o la non coevità di alcuni elementi hanno influenzato i prezzi.
Se, d’altro canto, isoliamo esemplari con uguali caratteristiche importanti per il mercato, notiamo immediatamente come la generale qualità del pezzo viene sempre debitamente pagata. E’ fondamentale comprendere come anche le più importanti performance sono supportate dalle precedenti caratteristiche, ma amplificate dai dettagli.
La quotazione di un orologio in eccellenti condizioni, anche con conosciuta e tracciabile provenienza, può drasticamente cambiare a seconda di dettagli grafici o estetici.
Un esempio sono i font dei quadranti, usati per periodi più o meno lunghi, o pensati per orologi inizialmente riservati a specifici mercati o che, ancora, identificano serie più o meno rare a seconda di “difetti” nella finitura, nell’applicazione del materiale luminoso, ecc…
Parlando di rilevanza storica, non possiamo non menzionare gli orologi assegnati, ovvero quelli forniti a corpi militari, o con quadranti raffiguranti gli stemmi di una nazione o regno.
Nonostante sia stato affrontato qualche punto nei paragrafi superiori, è facile capire come il soggetto degli studi e delle ricerche in termine di collezionismo si espanda esponenzialmente all’approfondirsi dello studio.

Tudor assegnato alla Marina Americana (NAVY), dalla nostra Collezione

 

Rolex con insegna Araba, dalla nostra Collezione


Il COVID-19 e le performance del mercato

Il crescente interesse globale ha portato il mercato, nel corso dell’ultimo decennio, a performare in maniera crescente e con uno stabile incremento dei prezzi. E’ però stato dal 2020 che si è consacrato l’orologio come effettivo oggetto d’investimento (ed interesse). La ragione sta nella storicità ed rilevanza qualitativa dei pezzi proposti ed, ancora una volta, il loro valore viene riconosciuto all’interno di portafogli d’investimento e prestigiose collezioni. Ancora, siccome non sono collegati ai tradizionali strumenti d’investimento, non sono stati influenzati dalla performance globale del mercato e la volatilità è controllabile scegliendo pezzi di qualità che, data l’intrinseca scarsità degli stessi, godranno di un’evoluzione dei prezzi spesso prevedibile da consulenti competenti.

L’importanza del consulente nella selezione dell’orologio

Si rende dunque fondamentale scegliere il giusto consulente, che sia in grado di supportare sia chi si approccia per la prima volta al mercato, sia il collezionista più esperto, nel vasto panorama delle opportunità d’investimento.
Il compito del consulente è innanzitutto consigliare nella fase di acquisto, conoscendo approfonditamente la materia e le ragioni che portano una referenza a performare meglio delle altre, e dunque ad essere considerata un valido asset capace di soddisfare le aspettative del cliente.
E’ altrettanto fondamentale l’importanza della consulenza nella gestione dell’asset e nella sua liquidazione, muovendosi in un mercato non regolamentato dalle classiche procedure finanziarie e dunque complesso nella gestione per l’investitore privato o il collezionista.
Essere in grado di affidarsi ad un consulente competente, certificato ed ufficialmente riconosciuto è d’obbligo se si vuole essere tutelati nella trasparenza e nell’esperienza riservate al cliente in ogni fase della relazione.

 

Per informazioni:marika.lion@lacompagnia.it