LE SORTI DELL’EURO SI SCRIVONO NEL 2022

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La bolletta energetica alle stelle e il tentativo di “tapering” della Banca Centrale Europea rischiano di mettere a dura prova la tenuta dell’Unione monetaria con rialzi dei tassi e conseguenti timori sui debiti pubblici come il nostro. Chi ci ha guadagnato dall’introduzione dell’Euro sino ad oggi (sono passati giusto 20 anni) è stata indubbiamente la Germania. La ricchezza media degli italiani non è quasi cresciuta nello stesso periodo ma l’inflazione ha eroso circa un terzo del valore dell’Euro nel 2021. Oggi l’esigenza di tornare a far crescere le economie periferiche può spingere il governo dell’Unione all’emissione di bond europei in larga scala, che nel tempo potrebbero rimpiazzare i titoli di stato nazionali, almeno per le infrastrutture. Ma la strada è in salita. E il nostro spread ne risente…

 

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LA RICCHEZZA MEDIA DEGLI ITALIANI NON E’ CRESCIUTA…

Sono passati poco più di vent’anni dalla perdita della sovranità monetaria del nostro paese e, sebbene il nostro debito pubblico sia cresciuto sensibilmente, la sua sostenibilità è apparentemente migliorata, anche grazie ai massicci acquisti di titoli dì stato italiani da parte della banca centrale europea. Il regime di tassi bassi imposto dall’introduzione di una moneta forte ha inoltre indubbiamente favorito la riduzione della spesa pagata per il servizio di quel debito. Eppure nello stesso periodo la ricchezza media degli italiani ha fatto ben pochi passi in avanti: è cresciuta in vent’anni soltanto del 4,6%, passando da 159.300 a 166.300 euro, mentre quella di altri paesi europei è decisamente migliorata: la Francia ha visto nel ventennio una crescita del 24,1%, passando da 150.330 a 187.000 euro, e la Germania ha sperimentato addirittura una crescita (il 50% in più) doppia della Francia e oltre dieci volte dell’Italia, passando da 112.800 a 169.500 euro (in media del 2,5% annuo).

…E IL PRODOTTO INTERNO LORDO NEMMENO

Se poi volessimo parlare non di ricchezza, bensì di reddito, la crescita al netto dell’inflazione del prodotto interno lordo italiano (PIL) si è quasi azzerata, giungendo allo 0,9% nell’ultimo decennio e ha fatto poco meglio in quello precedente (2000-2010) con una crescita del 3,2%. Molto meglio era andata prima dell’introduzione della moneta unica: nel decennio precedente (1990-2000) il PIL era cresciuto del 17,3%, in quello prima ancora (1980-1990) del 26,9% e addirittura del 45,2% negli anni ‘80. Nel grafico l’andamento dell’ output globale lordo che vede un costante ridimensionamento dell’Europa:

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Dunque avete letto bene: al netto dell’inflazione! Cioè quella crescita del PIL italiano, che stava già indubbiamente riducendosi in termini assoluti dagli anni ‘80 al primo decennio del 2000 ma che comunque correva, al netto delle svalutazioni monetarie, nell’ordine del 3% medio annuo, è poi letteralmente crollata intorno allo zero assoluto (+4,1% in vent’anni, cioè lo 0,2% annuo) con l’introduzione dell’Euro e di tutti i suoi vincoli! E senza più alcuna svalutazione, numeri alla mano. Non sono opinioni: sono numeri, e come tali molto testardi!

Senza dubbio dobbiamo tenere conto del fatto che, se l’intera Europa ha fatto qualche passo indietro nella competenza internazionale nel medesimo ventennio di moneta unica, è stata soprattutto l’Italia nello stesso periodo a sbagliare quasi tutto quello che poteva. Ma occorre altresì notare il trasferimento netto di ricchezza operato dalla Germania a proprio favore all’interno dell’Unione Europea, cosa che fa pensare -ex-post- che le stringenti regole comunitarie sono servite più a questo, che a generare una crescita di ricchezza complessiva.

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DAL 2001 L’EURO SI E’ SVALUTATO DEL 44%

Ora nello stesso ventennio l’inflazione è senza dubbio scesa ai minimi storici, arrivando addirittura ad essere negativa negli anni successivi alla grande crisi finanziaria del 2008-2009. La media annua di tutto il periodo è stata pari all’1,73% producendo una svalutazione media del potere d’acquisto in Euro del 43,4% nel medesimo ventennio, come si può vedere dai due grafici qui riportati (uno in termini reciproci all’altro):

Se dividiamo quel quasi 44% di perdita di potere d’acquisto in Euro nei vent’anni, otteniamo un tasso annuo (non composto) di svalutazione di circa il 2,2% annuo. Come dire che la crescita in termini reali del nostro PIL si è più o meno azzerata, ma la perdita dì potere d’acquisto a seguito dell’inflazione dei prezzi ce l’abbiamo avuta ugualmente, e ha eroso all’incirca un terzo del valore monetario a nostre mani a inizio 2001. Dì nuovo, vorrei evitare pregiudizi: non sono opinioni a proposito della moneta unica, soltanto testardissimi numeri!

ORA PERO’ L’INFLAZIONE COMPLICA TUTTO

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Il vero problema però arriva senza dubbio quest’anno, dal momento che l’inflazione si è di colpo risvegliata ben oltre le medie storiche, arrivando nell’ultimo mese al 5% medio nella zona Euro (come si può vedere dal grafico qui sotto) e, ahimè, anche con la prospettiva di rimanere intorno a quei livelli piuttosto a lungo!

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Nello stesso mese di Dicembre infatti l’inflazione americana è arrivata al 7% ma soprattutto è cresciuta -più che proporzionalmente nell’Unione Europea- la bolletta energetica! Con la quasi certezza che ciò si rifletterà notevolmente sull’inflazione tendenziale dell’anno in corso, come si legge nel grafico qui accanto:

L’ENERGIA COSTA MOLTO DI PIU’

E questo proprio mentre le tensioni politiche con la Russia fanno ridurre le forniture da quest’ultima e lievitare le importazioni dì gas da petrolio liquefatto dagli U.S.A.:

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L’Unione Europea cioè non soltanto si è privata di un importante strumento deflattivo che poteva essere il più basso costo dell’energia importata dalla Federazione Russa a causa dell’adesione incondizionata alla posizione contrapposta degli Stati Uniti d’America, mettendosi di conseguenza nelle mani degli esportatori di gas americano (che deve peraltro essere prima rigassificato al suo arrivo nei nostri porti per venire utilizzato) ma rischia di aver perso, per Paesi come il nostro, il principale vantaggio che sembrava mostrare in termini di stabilità monetaria e difesa contro l’inflazione, a causa della bolletta energetica.

IL TAGLIO DEGLI ACQUISTI DA PARTE DELLA B.C.E.

Il Vero problema è infatti non è chiedersi quanto sia stato utile all’Italia aver fatto parte sino ad oggi dell’Unione Monetaria Europea, bensì sapere quanto a lungo la Banca Centrale Europea (BCE) potrà continuare ad acquistare i titoli di stato italiani tenendone bassi i tassi d’interesse di conseguenza.

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Nel 2020 la BCE ne ha acquistati per 175 miliardi (coprendo interamente il nostro deficit pubblico pari a 159 miliardi). Nel 2021 per 155 miliardi (coprendo il 92% del medesimo deficit pari a 167 miliardi). Nel 2022 ha in programma di acquistarne molti meno! Soltanto 63 miliardi di titoli (coprendo però solo il 60% del deficit pubblico italiano, stimato in 106 miliardi), oltre al reinvestimento in nuovi titoli della liquidità proveniente dai rimborsi dei titoli giunti a scadenza. Nel 2022 insomma la musica rischia di cambiare!

Mai cioè come negli ultimi due anni l’appartenere all’Unione monetaria europea ha giovato al nostro Paese (seppure in cambio di una notevole frenata alla nostra competitività). Ma oggi le sfide (soprattutto a seguito dell’inflazione) si moltiplicano proprio mentre la giostra che ha rinviato sino ad oggi molti problemi del nostro Paese (gli acquisti di BTP da parte della BCE) sembra giunta a fine corsa!

In conseguenza dei suddetti acquisti, nel 2021 la percentuale di debito pubblico detenuto dalla BCE e dalle istituzioni europee è arrivata al 28% e (pur nella previsione di un dimezzamento degli acquisti BCE nel 2022 su base annua) nel 2022 sarà almeno pari al 30% (prima della pandemia era stato soltanto il 16%).

RIDURRE IL DEBITO SENZA ALZARE LE TASSE ?

Pochi giorni fa (prima di Natale) si erano riuniti il nostro capo di governo (Mario Draghi) e quello francese, nonché presidente di turno dell’Unione Europea (Emmanuel Macron) convenendo su un progetto semplice ma ambizioso: “Ridurre il debito senza alzare le tasse”. Ma le ultime notizie in termini di inflazione importata rischiano di tagliare decisamente le gambe a quel progetto. Cosa farà l’Italia per rendersi appetibile nel piazzare i suoi titoli pubblici nel corso di quest’anno ? Riuscirà a sfoderare una crescita robusta dell’economia tale da far tornare in discesa il rapporto debito pubblico / prodotto interno lordo? Al momento sembra improbabile, anche a causa del crollo dei consumi dovuto al virus…

Oppure riuscirà l’Europa a recuperare un dialogo al suo interno tra “fondamentalisti” e “progressisti” affinché si prosegua ad emettere debito pubblico comunitario, ben oltre il programma “NEXT GENERATION EU” (finanziato peraltro solo per metà dal debito dell’Unione)? La sfida è solenne nei mesi che verranno, anche perché in uno scenario difficile come quello che si prospetta per il prossimo biennio e con gli strascichi delle ondate pandemiche, la possibilità di contrastare la mancata crescita con una maggior spesa infrastrutturale europea è una delle poche panacee rimaste a sostenere i pilastri dell’Unione.

MA QUANDO ARRIVANO GLI EUROBOND ?

La risposta a questo interrogativo è fondamentale per vedere l’Unione Europea finalmente consolidarsi con l’occasione, oppure arrivare in fretta a disgregarsi irrimediabilmente. Noi siamo ovviamente ottimisti! Nessuno ha davvero interesse a tornare indietro dì vent’anni. Pur con tutti i limiti e difetti che si possono elencare di quest’unione a metà. Né appaiono oggi plausibili scenari dì “Italexit” che pure, in senso astratto, potrebbero risultare a noi convenienti. Non siamo nemmeno lontanamente paragonabili al Regno Unito! Il grafico riportato segnala infatti la necessità di aggiornare al ribasso le stime di crescita al netto dell’ inflazione (il “deflatore” nel 2022 sarà ben maggiore di quello qui recentemente previsto):

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Motivo per cui ben difficilmente le forze politiche italiane potranno dare luogo ad una crisi istituzionale nell’anno appena iniziato. Il solito teatrino della politica per un po’ dì tempo si può giurare allora che stavolta non andrà in scena: senza gli acquisti della BCE e senza una crescita poderosa il debito pubblico italiano può solo crollare o ridursi. E nessuno dei due scenari è oggi accettabile.

Per questo motivo si può tranquillamente scommettere sulla stabilità politica italiana e sul “whatever it takes” per riuscire a far continuare il nostro Paese nella stabilità fino a fine legislatura, onde promuovere la crescita economica interna. Magari con l’estensione del PNRR, finanziato in parte, appunto, di nuovo dal debito comunitario… (anche per contrastare il mancato rinnovo del blocco delle rate prestiti bancari a 700mila PMI -€27 miliardi- e la fine delle garanzie pubbliche -Giugno ‘22- ai prestiti erogati a 2,5 milioni di aziende).

Stefano di Tommaso




SARÀ L’INFLAZIONE A MUOVERE I MERCATI ?

Come va l’economia globale? Piuttosto bene si potrebbe affermare al momento, sebbene grandi minacce geopolitiche e relative all’inflazione dei prezzi siano in agguato sovvertendo il mondo che conoscevamo. Non potremmo infatti avanzare la stessa conclusione per le sorti della democrazia nel mondo né per la tutela dell’ambiente. Due elementi che continuano a rimanere indietro nell’agenda dei governi. Uno scenario complesso quello che si prospetta per il 2022 che dovrebbe però vedere ancora una volta ottimi profitti per le grandi multinazionali e ciò potrebbe significare che le borse continueranno ad avanzare, sempre che non arrivino nuovi cigni neri!

 

Se nell’ultima settimana la Federal Reserve Bank of America (FED) voleva spaventare i mercati, al momento si può dire che c’è riuscita benissimo, dopo aver pubblicato una serie di “appunti” (relativi alle discussioni tra i partecipanti al consiglio della banca centrale) che facevano chiaramente comprendere un atteggiamento di forte volontà per rialzare i tassi d’interesse. E visto che le borse (soprattutto quella americana, e soprattutto i grandi titoli tecnologici) viaggiavano intorno ai livelli massimi di sempre nonostante la prospettiva di rialzo dei tassi d’interesse, quella pubblicazione ha contribuito non poco all’immediato ridimensionamento delle valutazioni d’azienda implicite nelle quotazioni azionarie.

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Ecco qui una tabella, proposta da Milano Finanza dello scorso sabato, circa le performances a fine 2021 delle principali borse.

Niente male, vero? Anche senza considerare la crescita annua del 72% delle quotazioni del Nasdaq (la borsa dei titoli tecnologici), sono da incorniciare la crescita del 47% della borsa americana e quella di quasi il 34% della borsa cinese. Nonché quel quasi +19% dei maggiori titoli europei, con i listini di Tokio, Parigi e Berlino che hanno fatto meglio!

QUANTO SONO SOPRAVVALUTATE LE BORSE ?

Ovviamente dopo questi risultati spettacolari occorre anche andare a vedere quanto sono “sopravvalutate” le borse, con due “iconici” indici americani al riguardo. Innanzitutto quello di Warren Buffett:

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E poi quello di Robert Shiller, premio Nobel per l’economia nel 2013 e considerato uno dei padri della finanza comportamentale. Shiller ha concentrato i suoi studi sulla formazione delle bolle speculative arrivando a creare un proprio indice (il cosiddetto C.A.P.E. ratio) relativo alla sopravvalutazione dei titoli rispetto al loro rendimento, dopo averlo aggiustato rispetto all’andamento generale del mercato finanziario:

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È PROBABILE UNA ROTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI AZIONARI

Come si può vedere, entrambi gli indici a fine 2021 sono intorno ai massimi storici, e questo nonostante un’inflazione galoppante, diversamente dagli anni precedenti, cioè con un incremento tendenziale dei prezzi al consumo che negli U.S.A. è già arrivato al 7% annuo. Dunque se ne può tranquillamente dedurre che le borse sono sopravvalutate!

Anche se più che alla media complessiva occorre guardare alla composizione degli indici azionari. Vediamo qui sotto com’è composto il principale indice della borsa americana:

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È dunque probabile che sia in corso una rotazione degli investimenti, se il listino americano è dominato dai grandi titoli tecnologici (quei il 30%) e se questi hanno sino ad oggi fortemente incrementato il valore della loro capitalizzazione dì borsa (come si può vedere dal grafico qui sotto riportato).

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DA COSA DIPENDONO I RIBASSI ?

E, se vogliamo parlare dei ribassi dell’ultima settimana (siamo nell’ordine di qualche punto percentuale), dobbiamo tener conto di questa rotazione dei medesimi portafogli verso titoli più “difensivi” rispetto a quelli (principalmente i tecnologici) sospinti al rialzo fino all’ultimo giorno utile dell’anno appena chiuso anche perché godevano del favore dei piccoli risparmiatori. dei medesimi portafogli verso titoli più “difensivi” di quelli (principalmente i tecnologici) sospinti al rialzo fino all’ultimo giorno utile dell’anno appena chiuso.

Ma non solo: dobbiamo anche chiederci quanto, nella loro genesi, ha influito il fatto che, con l’arrivo del nuovo anno, le performances dei gestori di patrimoni del 2021 erano state oramai cristallizzate e dunque i portafogli azionari potevano essere alleggeriti?

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Difficile misurare le diverse componenti, ma è probabile che, nello scivolare complessivo delle quotazioni negli ultimi giorni, queste componenti c’erano! E se così fosse allora potremmo considerare i recenti ribassi quali semplici assestamenti anche perché i rincari dei prezzi delle materie prime si sono oggettivamente acquietati nelle ultime settimane, come si può vedere dal grafico sopra riportato, che fa ben sperare per l’inflazione futura.

LE BANCHE CENTRALI E LA POLITICA DELL’ORACOLO DI DELFI

A proposito poi della confusione generata dai controversi annunci delle banche centrali, il professor Masciandaro (Università Bocconi) dalle colonne de Il Sole 24 Ore tuona inesorabilmente definendo la strategia adottata negli ultimi mesi come: “la politica dell’oracolo di Delfi”(riferendosi ai controversi vaticinii della sacerdotessa Pizia che interrogava il dio Apollo).

Con comunicati sibillini e indicazioni altalenanti i banchieri centrali stanno probabilmente prendendo tempo, nella consapevolezza che meno si fanno comprendere e più spazio di manovra guadagnano, senza timore di venire smentiti dai fatti troppo presto. Ecco dunque che un giorno rassicurano i mercati, quello dopo li spaventano, con il risultato complessivo di incrementare la volatilità degli stessi, ma non di farli scendere davvero di livello.

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E comunque, dal momento che subito dopo la pubblicazione delle “minute” della FED i mercati sono scesi, John Authers riporta, nella sua newsletter dello scorso Sabato, un complesso elenco di variabili economiche per farci comprendere che oggi è ragionevole supporre che i mercati abbiano già incorporato nei livelli attuali le attese di un più deciso rialzo dei tassi d’interesse, come si può leggere qui accanto dalla comparazione tra ciò che il “consenso” di mercato si aspettava agli inizi di Settembre, di Novembre, di Dicembre e ciò che si attende adesso.

LE BORSE SONO PRONTE PER SEGNARE NUOVI RECORD?

Dunque le borse hanno già effettuato la loro correzione e sono pronte per ripartire a crescere? Forse è così, ma le sorti del quadro complessivo dei mercati finanziari non dipendono soltanto dall’atteggiamento delle banche centrali.

Con i progressi dell’economia globale e con gli ultimi rincari dell’energia (che, ricordiamocelo, è la più importante catena di trasmissione dell’inflazione dei prezzi) tale quadro si è complicato non poco e, se fino a qualche giorno fa avremmo potuto scommettere sulla persistenza del fattore “T.I.N.A.” (“there is no alternative” all’affidarsi all’investimento azionario per ottenere uno straccio di rendimento positivo) e dunque al progressivo ricomporsi della fiducia nelle borse, oggi altri fattori si affacciano all’orizzonte degli eventi…

LE TENSIONI GEOPOLITICHE POSSONO MINARE LA FIDUCIA

Innanzitutto quello geo-politico: la crisi dell’Afghanistan è probabilmente tutto tranne che una questione interna dovuta a quella sorta di “primavera araba” con la quale i media vorrebbero etichettare la vicenda. La Federazione Russa la vede come una vera e propria minaccia ai confini del proprio territorio da parte dei servizi segreti anglosassoni nei confronti del regime-cuscinetto di Nursultan Nazarbaief, così come avevano agito ai tempi della destabilizzazione del Nord Africa e dell’Ucraina (e stavolta per evitare di sottovalutarla ha già inviato cospicue truppe scelte).

L’occidente parla quasi soltanto della brutalità della repressione della rivolta stessa, pur ammettendo numerosissimi morti tra le forze dell’ordine del Paese. Pochi parlano del fatto che quasi la metà di tutto l’uranio estratto nel mondo venga proprio da lì (proprio mentre si torna a parlare del nucleare come nuova fonte di energia “pulita”). È inoltre piuttosto probabile perciò che, a seguito dell’appoggio dato dai Russi all’esercito locale, nuove sanzioni verranno inflitte alla Federazione Russa.

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Dunque a seguito del fallito colpo di stato afghano è probabile che si creeranno nuove frizioni con l’Occidente, che potrebbero a loro volta alimentarne altre, dal momento che Cina, Turchia e altre repubbliche asiatiche hanno già proposto di schierarsi a favore della Russia e comunque non resteranno a guardare lo sviluppo degli eventi senza fare nulla. Soprattutto sul fronte dei prezzi dell’energia da petrolio e gas, che rischiano di rincarare ancora nonostante lo sforzo dichiarato di migrare più velocemente possibile verso forme di energie da fonti alternative.

Occorre ricordare al riguardo che l’America non è il primo esportatore di gas e petrolio, ma ne è sicuramente il primo produttore e ne è comunque un esportatore netto a dosi crescenti. Dunque le sue èlites potrebbero avere grande convenienza nel rialzo del costo dell’energia. Con l’eccezione della Federazione Russa il resto del mondo invece lo subirebbe, con conseguenze anche sui profitti degli operatori economici.

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Andrebbe tutto bene dunque, ma soltanto sino a quando l’eventuale persistenza dell’inflazione dovesse arrivare a minare la fiducia degli operatori economici, invertendo la discesa della disoccupazione (arrivata negli U.S.A. ai minimi storici, come si può leggere dal grafico) e iniziando a rallentare gli investimenti in efficienza produttiva. Questi fattori potrebbero ridurre le attese di profitto delle principali società quotate e determinare nuovi ribassi.

MA LA GOLDMAN SACHS È PIÙ CHE OTTIMISTA!

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Tuttavia, nonostante il fatto che la persistenza dell’inflazione, il rialzo dei tassi d’interesse e le tensioni internazionali siano tutti fattori che dovrebbero spingere alla prudenza, la banca d’affari americana Goldman Sachs non ha dubbi: non soltanto le nuove tecnologie continueranno a stupirci e a far guadagnare bene le grandi multinazionali, ma c’è ancora tanta liquidità in circolazione. Liquidità che al momento si rivolge alla speculazione su materie prime, metalli e immobili, ma che alla fine tornerà di nuovo a far incrementare l’investimento in titoli azionari, perché, appunto, a questi ultimi non c’è quasi alternativa in termini di rapporto rischio/rendimento.

Difficile dargli torto: la liquidità oggi in circolazione è davvero alta e, prima dì irrorare la crescita dei prezzi al consumo, essa si intrattiene sui mercati finanziari, dove però l’alternativa “reddito fisso” è davvero povera di attrattiva. E nelle sue previsioni non manca di elogiare le borse europee, meno sbilanciate sui titoli ipertecnologici e le cui performances sono state oggettivamente in calo per anni rispetto a quelle della borsa americana, e dove Goldman Sachs vede dunque le migliori opportunità, come si può dedurre dal grafico qui riportato da Bloomberg:

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Luci ed ombre insomma, come sempre all’inizio di ogni anno, ma forse con un pizzico di ottimismo, pur tenendo conto della volatilità aggiuntiva e del maggior rischio di fondo.

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Lo spettacolo però -come sempre- deve andare avanti. E probabilmente ci andrà. Soprattutto sul fronte delle tecnologie (che però sono investimenti ad elevatissimo rischio), ma anche sui titoli finanziari e sui titoli energetici, dovunque insomma ci sono da attendersi migliori performances per gli anni a venire.

Dunque al momento un pizzico di ottimismo non deve guastare il gusto agrodolce del mercato! Quantomeno la parte di amaro riguarderà i grandi sommovimenti che è lecito attendersi dalla rotazione dei portafogli e dall’incremento della volatilità complessiva. Ma è altrettanto probabile che i profitti aziendali continueranno a correre e, con loro, una messe assai interessante di dividendi !

Stefano di Tommaso




INVESTIRE COLLEZIONANDO: COLLEZIONISMO E PENNE STILOGRAFICHE, IN ASCESA IL MERCATO ASIATICO E ARABO

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Collezionare penne stilografiche è sempre stato un settore particolare, ma è anche una raffinata passione non di pochi eletti bensì di un gran numero di persone che da sempre amano questo oggetto, specie artigianale o altamente unico, ma è anche una passione molto diffusa in tutto il mondo. In Italia, è presente anche la ACPS, la storica Associazione Collezionisti Penne Stilografiche e materiale da scrittura, attiva a Firenze dal 1992.
Alle stilo e agli appassionati del genere è stato dedicato anche un libro, Le stilografiche da collezione, scritto da Jean-Pierre Guéno, Bruno Lussato, Kimiyasu Tatsuno ed edito da Tecniche Nuove, 1996. Così introducono gli autori nell’introduzione del volume: “Le invenzioni decisive che consentirono all’umanità il passaggio dalla cannuccia alla penna sono state concepite tra il 1880 e il 1918. Ma collezionare penne stilografiche significa anche ricercare un modello di qualità, conoscere bene le funzionalità, le condizioni e l’integrità estetica di tutte le componenti presenti in una penna. Solo un intenditore di questi manufatti è in grado di riconoscerne l’originalità, le imitazioni, ma soprattutto ha l’abilità di valutarne lo stato di conservazione.

La nascita del pc prima e l’era del digital dopo hanno fatto si che ci si allontanasse sempre di più dall’uso della penna e dalla scrittura di pugno in genere.

Negli ultimi anni, il desiderio di tornare a comunicare con personalità e a ricercare il rapporto one-to-one ha determinato il desiderio di tornare all’uso della penna e della grafia di pugno.

Una frase celebre recita “Più che la spada potè la penna”, in riferimento alla firma del più importante trattato internazionale della storia umana sul disarmo nucleare, lo smantellamento dei missili americani Pershing e dei sovietici Soviet avvenuto, appunto, per mano di Regan e Gorbaciov attraverso la firma del trattato, con una stilografica Parker 75 Sterling Silver, bella, robusta e funzionale, per molti anni modello di punta della casa americana Parker che produceva questa penna anche in Francia e in Inghilterra. Con un pezzettino del metallo di quei missili fu creato un sigillo tondo con incisione a forma di fischietto che fu inserito sulla sommità del cappuccio della Parker Duofold nera che, nel frattempo, aveva soppiantato la 75 prendendone il posto come ammiraglia della casa Parker.

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Negli Stati Uniti, da sempre, la penna per eccellenza americana era stata considerata la Sheaffer, poi affiancata dalla Parker e dalla Cross che veniva considerata una penna di nicchia in quanto prodotta prima nell’Irlanda del Nord e, poi, appunto, negli Stati Uniti.

La necessità e il desiderio di ritrovare una forma di comunicazione personale, ha determinato, negli anni recenti, il ritorno all’acquisto e all’uso della penna.

Il boom del roller è dovuto al desiderio di una scrittura con un tratto continuo e privo dei chiaroscuri e delle sbavature delle classiche penne a sfera o ballpoint. Il roller è costituito, quasi sempre, da un refill metallico contenente una tipologia di inchiostro liquido e pressurizzato tale da rendere la scrittura simile a quella della stilografica ma, tuttavia, sempre profondamente diversa da essa. Questo tipo di scrittura, cosiddetta liquida, e chiamata roller, ha modificato i mercati internazionali, premiando quelle case produttrici che avevano investito in quella qualità di scrittura e penalizzando, al contrario, le case rimaste legate alla penna a sfera.
Proprio questa tipologia evolutiva ha determinato, negli Stati Uniti, il boom della Cross, ormai universalmente riconosciuta come immagine americana contemporanea ed utilizzata pubblicamente sempre da Barack Obama prima e da Donald Trump, poi. Non a caso la Cross creò, subito dolo l’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, una versione dell’ammiraglia Centennial in lacca nera con la firma bianca di Obama sul retro del cappuccio.

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Il ritorno all’uso della penna e, quindi, della stilografica ha comportato il rilancio prima e il boom poi, del mercato collezionistico a vari livelli con la creazione di veri e propri status symbol come Montblanc, colosso tedesco della scrittura di qualità, produttore della prima Meisterstuck, – capolavoro – nel 1924, diventato poi multinazionale in mano ai gruppi internazionali francesi del lusso come Louis Vuitton.

Scrittura per eccellenza è, quindi, quella ad inchiostro, prodotta dalle stilografiche. Tale forma di rappresentazione, consente di riportare sul foglio ogni minima forma di personalizzazione del tratto, rendendo, così, la scrittura unica. In alcuni stati del mondo, come ad esempio il Giappone, esiste da sempre il culto della scrittura e la penna viene prodotta con tecniche storiche di altissima qualità e livello, anche estetico, come la tecnica del Maki-E, preziosa lavorazione con vari strati di lacca vegetale a temperature differenti, come la preziosissima Namiki.

Anche in Europa, il culto della buona scrittura, dell’imparare a scrivere in senso stretto, esiste da sempre in alcuni stati quali Germania e Austria. In particolare in Austria, i bambini delle scuole elementari devono recarsi in classe forniti di una penna stilografica in legno chiaro di abete o faggio, leggerissima e con un tappo di plastica rossa, diffusissima quella prodotta dalla tedesca Lamy, che consente loro di scrivere impugnando la penna solo ed unicamente nella giusta posizione che consente loro, pertanto, di imparare correttamente a scrivere.

La ricerca di qualità nell’uso e nella scelta della penna “particolare” ha incrementato notevolmente il mercato collezionistico e delle aste nelle quali vengono battute, a prezzi importanti, edizioni a tiratura limitata, spesso introvabili.

Le più ricercate, al momento, sono sicuramente le edizioni limitate di Montblanc ma, anche, della storica maison tedesca Pelikan, della giapponese Namiki, dell’italiana Montegrappa, conosciuta per la preziosa e rarissima lavorazione della celluloide – che, in passato era un fiore all’occhiello della italiana Omas – ricercatissima nei mercati arabi, ai quali dedica continuamente le sue versioni più rare e preziose. In particolare Montegrappa fu acquisita prima dal gruppo internazionale di Montblanc che apportò innovazioni, know how e tecnologie al laser e, successivamente riacquistata dalla stessa famiglia italiana di provenienza di Bassano del Grappa, Aquila, che la aveva posseduta in origine. Un cenno merita la casa francese Waterman che, come la italiana Omas, ha segnato un tratto importante nella scrittura della seconda metà del nvecento. In particolare, famosissime le CF degli anni cinquanta e sessanta fino ai primi anni settanta, poi soppiantate dalle Man 100, più moderne ed ottime stilografiche prodotte in vari materiali tra i quali mi piace ricordare, oltre alle varie e pregiate versioni in argento massiccio, il legno, proposto nella radica di erice, nell’olivo e nel prezioso e introvabile legno di Macassar, oggi specialità equatoriale protetta. Questi modelli, ancora oggi molto importanti e ricercati per l’estrema morbidezza del tratto, caratteristica tipica delle Waterman, sono stati, successivamente, affiancati e sostituiti dalla Edson, la prima penna stilografica a non perdere inchiostro in aereo e a resistere alla pressurizzazione fino a 10.000 metri di altezza.
La rivelazione della personalità di un individuo ha la sua massima espressione attraverso una stilografica!

In una penna stilografica da collezione i vari componenti non devono essere stati sostituiti o compromessi, i cappucci sono quelli originali e viene dato molto risalto all’integrità dei pennini. Ricordando che per la sua delicatezza, la penna stilografica si può rovinare in presenza costante di luce intensa o perchè esposta ad una temperatura troppo alta e, infine, anche quando è stato usato un inchiostro duro o di pessima qualità. Si pensi che, in Italia, esiste ancora una legge dei primissimi anni cinquanta che prescrive l’uso del ferro gallico all’interno dell’inchiostro per documenti. Tale sostanza rendeva non cancellabile quell’inchiostro ma, tuttavia, incrostava facilmente e presto le stilografiche che, se non pulite adeguatamente e spesso, finivano con il bloccarsi e con il rovinarsi. Tracce di ferro gallico esistono, ancora oggi, nei cosiddetti inchiostri color blu-nero o blue-black che, per questa caratteristica, vengono appellati col termine di “indelebili”. Pertanto, è da ritenersi colore indelebile, il blu scuro o blu-noir e, non il nero, come universalmente ed erratamente sostenuto.

Daniele Mangione

Ricercare una stilo da collezionare non è così semplice in quanto non tutti hanno la capacità o la possibilità di custodire l’oggetto nelle sue condizioni ottimali, per renderlo inalterato nel tempo e prezioso per i suoi utilizzi futuri. Il valore di mercato delle penne stilografiche cresce infatti nel tempo e sempre più interessante risulta essere il mercato asiatico che si contendono penne stilo di altissimo pregio stilistico, arrivando a toccare migliaia di euro, alcuni esempi:

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Penna stilografica Montblanc Year of the Dragon in resina nera, giada e placcata oro in edizione limitata. Modello: Anno del Drago Numero: 0221/2002 Cappuccio: Giada e placcato in oro Canna: resina nera e placcata in oro Pennino / Punta: Pennino in oro medio diciotto carati Firmato: Montblanc sulla cannaThis piece is final sale and not eligible for return Sotheby’s 8.000 USD

 

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 Montblanc Writer’s Series Friedrich Schiller in resina marrone e nera e penna a sfera placcata in oro. Modello: Writer’s Series Numero: 09513/16000 Cappuccio: resina marrone e placcato oro Canna: resina nera e placcata in oro Pennino/punta: punta placcata in oro Firmato: Schiller sulla canna. Sotheby’s 1,000 USD

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Penna stilografica Montblanc Anno del Drago in resina e placcata in oro. Modello: Anno del Drago Numero: 0472/2000 Cappuccio: resina nera, placcato oro, perla, rubino Canna: resina nera e placcata in oro Pennino/Punta: Pennino grande in oro 18 carati Firmato: Montblanc Anno del Drago d’Oro sul cappuccio. Sotheby’s 7,545 USD

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MONTEGRAPPA. STILOGRAFICA IN ARGENTO, CELLULOIDE E ZAFFIRI CON SETA IN EDIZIONE LIMITATA FIRMATO MONTEGRAPPA, MODELLO LUXOR BLUE NILE, NR. 1288/1912, CIRCA 2006 Corpo e cappuccio in celluloide madreperla blu, decorato con ornamenti in argento inciso con motivo antico egiziano in alto motivo, la parte superiore con uno scarabeo con occhi di zaffiro, la clip a forma di cobra con occhi di zaffiro, 18k pennino in oro bianco, firmato e numerato a penna 158mm. lunghezza totale. Christie’s HKD 35,000

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MONTEGRAPPA. STILOGRAFICA IN VERMEIL, CELLULOIDE E ZAFFIRO ROSA CON SET IN EDIZIONE LIMITATA FIRMATO MONTEGRAPPA, MODELLO MAR ROSSO, NR. 368/688, CIRCA 1997 Corpo e cappuccio in celluloide madreperla, decorato con ornamenti in vermeil con motivo antico egizio in alto motivo, la parte superiore con uno scarabeo con occhi in zaffiro rosa, la clip a forma di cobra con occhi in zaffiro rosa, 18k pennino in oro bianco, firmato e numerato a penna 158mm. lunghezza totale. Christie’s HKD 40,000

 

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Montegrappa. Un calamaio fine e in edizione limitata in argento sterling, cristallo di rocca e rubini firmato Montegrappa, The Dragon Inkwell, 091/500, circa 1997. La base in cristallo di rocca, impreziosita da un drago in argento sterling finemente dettagliato con occhi incastonati di rubini, il drago incernierato al collo per aprire e accedere all’inchiostro, insieme a un vassoio di presentazione in legno laccato, scatola originale Montegrappa montata e controimballo, firmato e numerato 65 mm. diam. Christie’s

 

Il Masters of Abstract Art Homage to Wassily Kandinsky Limited Edition è stato creato nel 2016 ed è limitato a sole 77 stilografiche in tutto il mondo. A segno della sua unicità, ogni strumento da scrittura in questa edizione altamente esclusiva porta un pennino inciso in oro con dettagli come il Cupole a cipolla di Mosca e la firma K. Inoltre, il cappuccio in oro 18k incorpora una forma d’onda dinamica ispirata all’esempio in Giallo-Rosso-Blu del 1925. Un visionario nel mondo dell’arte, questa è un’ottima opportunità per possedere una delle edizioni limitate più eleganti e Bauhaus di Montblanc. Circa 2016 Phillips Prezzo £ 18.000

 

In copertina:
Una raffinata penna stilografica Meissen in porcellana, oro e madreperla in edizione limitata con scatola di presentazione
Firmato Montblanc, n. 167/888, anno del drago d’oro, prodotto nel 2000
Corpo e cappuccio in porcellana di Meissen con motivo drago rosso imperiale e oro sul cappuccio, motivo fiamma rosso imperiale e oro sul corpo, montature placcate in oro, pennino in oro 18k con caratteri cinesi che leggono l’anno del drago, stella in madreperla Montblanc in il derby, cappellino numerato
137 mm di lunghezza totale. Christie’s

 

Si ringrazia Daniele Mangione per il gentile contributo da collezionista

Per maggiori infornazioni: marika.lion@lacompagnia.it
(Senior partner Art & Luxury Wealth – La Compagnia Holding)

 

 

 




BORSE ANCORA POSITIVE NEL 2022?

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È andata piuttosto bene nel 2021, ma lo scenario macro sta rapidamente cambiando. Ciò nonostante le buone performances medie potrebbero continuare anche nel prossimo anno seppur con molta più prudenza e selettività. Ecco perché…

 

LA LEGGE DI GRAVITÀ NON PUÒ ESSERE SCONFITTA

L’anno che si chiude è stato tutto sommato un anno decisamente positivo per i mercati finanziari, in particolare i mercati borsistici, nonostante le ondate di pandemia abbiano continuato a limitare la mobilità, i consumi e talune attività ricreative e nonostante, di conseguenza, il recupero del prodotto interno lordo rispetto ai livelli precedenti non sia stato pieno.

Una serie di fattori hanno permesso la performance delle borse valori, primi fra tutti i grandi stimoli fiscali e monetari praticati dai governi e dalle banche centrali di tutto il pianeta che hanno a loro volta contribuito a livellare ai minimi i tassi d’interesse. Una performance che si è gradualmente attenuata a causa del peggioramento del clima geopolitico globale, che ha contribuito non poco al rincaro delle materie prime, del costo dell’energia, e del cambio del Dollaro americano, e del conseguente risveglio dell’inflazione.

GLI STIMOLI MONETARI

Ovviamente la legge di gravità può essere ingannata, ma non sconfitta, e così tutto ciò che è stato sollevato artificialmente deve -prima o poi- fare i conti con le ovvie conseguenze. Fuor di metafora gli stimoli monetari dovranno in qualche modo rientrare nel tempo (il cosiddetto “tapering” che le banche centrali, spaventate dalle fiammate inflazionistiche, stanno iniziando ad annunciare per il 2022) e la cosa genera ovvie preoccupazioni per la conseguente riduzione della liquidità in circolazione e la possibile risalita dei tassi d’interesse: due elementi fondamentali per determinare le performances delle borse valori che, dall’anno che verrà, potrebbero giocare in direzione opposta rispetto a ciò che è successo a cavallo del 2020-2021.

LA COMPAGNIA FINANZIARIA
Già soltanto il preannuncio delle manovre di rientro da parte delle banche centrali può provocare l’avvio di una fase di ridimensionamento delle valutazioni aziendali e dei correlati livelli borsistici.

GLI STIMOLI FISCALI

Ma abbiamo citato anche un altro elemento fondamentale che ha determinato l’espansione economica di “riflusso” registrata nell’anno in corso dopo la contrazione del 2020: gli stimoli fiscali da parte dei governi nazionali (spesa pubblica e incentivi fiscali). Anch’essi sono necessariamente sottoposti alla legge di gravità e, prima o poi, dovranno essere controbilanciati da manovre in senso opposto (cioè incrementi della tassazione) se non si vuole che i debiti pubblici che ne sono conseguiti arrivino ad esplodere.

Anche perché quegli elevatissimi debiti pubblici che si sono generati a causa dei disavanzi della spesa pubblica non coperti da maggior tassazione sono stati sostenibili anche grazie al basso livello dei tassi d’interesse, che sta per terminare insieme agli stimoli monetari. E se i tassi dovranno necessariamente risalire la sostenibilità dei debiti pubblici è a rischio. Oggi infatti, con l’inflazione che in paesi come gli Stati Uniti d’America ha raggiunto i livelli di quasi quarant’anni fa, i tassi d’interesse reali (cioè quelli al netto dell’inflazione) sono molto al di sotto dello zero e ciò non può durare in eterno.

La cancellazione o la progressiva riduzione degli stimoli fiscali è insomma prima o poi necessaria e può comportare una riduzione della crescita economica globale, o addirittura una nuova recessione. Cose che -esattamente come il rialzo dei tassi d’interesse- non favoriscono le valutazioni aziendali, anzi!

TRE OTTIMI MOTIVI PER CUI LE BORSE SI SOSTENGONO

Se questo scenario prossimo venturo può di per sé spaventare non poco chi investe in borsa, bisogna anche fare i conti con il momento particolare in cui stiamo vivendo che non ha, ad oggi, consentito alcun ridimensionamento dei mercati azionari. Per tre ottimi motivi:

  1. le nuove tecnologie, lo sviluppo della scienza e la sempre maggior globalizzazione dell’economia hanno determinato la generazione di straordinarie occasioni di profitto per le grandi imprese e le borse stanno ancora godendo innanzitutto di questi elevati profitti;
  2. la grande liquidità in circolazione non è ancora stata ridotta da manovre in senso opposto da parte delle banche centrali e dunque la propensione all’investimento azionario non si è molto ridotta al momento, anche grazie al fatto che la principale alternativa alle borse (l’investimento in titoli a reddito fisso) può fare anche più paura, a causa del prospettato incremento dei tassi, che può determinare forti svalutazioni in conto capitale dei titoli obbligazionari;
  3. se da un lato è vero che i tassi d’interesse non potranno rimanere ai livelli infimi attuali, è altrettanto vero che al momento sono rimasti intorno ai minimi storici e che le banche centrali li hanno ampiamente pilotati nella stessa direzione, provocando una notevole convenienza all’investimento azionario e alla sostituzione delle cedole dei titoli obbligazionari con i dividendi pagati dalle imprese più generose in tal senso (in Italia per esempio quasi tutte le banche hanno pagato sino ad oggi dividendi molto più elevati dei tassi d’interesse correnti). Sino a quando dunque i tassi d’interesse nominali rimarranno esigui, non si può realizzare alcuna fuga dal mercato azionario.

Per tutti questi motivi insomma, nonostante le prospettive siano peggiorate, le borse valori hanno sì subìto un qualche arretramento, ma sono rimaste ancora molto vicine ai loro livelli massimi di sempre. Allo stesso modo sono proseguite indisturbate le operazioni di ingresso in borsa da parte delle cosiddette “matricole” (cioè le società che per la prima volta accedono al listino azionario) e non si è vista -di conseguenza- alcuna crisi dei mercati.

Anzi: per qualche tempo si è pensato che l’inflazione sarebbe potuta presto recedere decisamente rispetto ai livelli di picco raggiunti e che dunque la politica delle banche centrali di tassi bassi e grande liquidità sarebbe di fatto proseguita ancora a lungo. Ancora oggi c’è chi lo sostiene (e non del tutto a torto) ma, evidentemente, il contesto economico globale va ingrigendosi e, con esso, anche la prospettiva di ulteriori performances delle borse valori.

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VOLATILITÀ & RISCHI

E se le prospettive per l’anno che verrà si fanno più fosche, non c’è da stupirsi se aumenterà la volatilità dei listini azionari, e se iniziano un paio di manovre assai necessarie da parte degli investitori: la rotazione dei portafogli verso criteri di maggiore prudenza (e maggior sostenibilità ambientale) e la conseguente ulteriore selezione dei titoli sui quali investire. Anche se dunque -nel complesso- l’investimento in titoli azionari non dovesse ridursi, è probabile che la situazione complessiva delle borse valori possa cambiare ugualmente. Ed è piuttosto probabile che l’operazione di “setaccio” che sarà necessariamente compiuta dagli investitori porterà con sé una qualche ulteriore limatura degli indici di borsa, oggi pesantemente dominati dalle quotazioni stratosferiche dei titoli cosiddetti “tecnologici”.

I principali rischi dunque, per l’anno che sta per aprirsi, sono soprattutto quelli legati alla possibile accelerazione del processo di ridimensionamento dell’ottimismo e di ulteriore scrematura degli investimenti azionari. Nonché i rischi legati ad un possibile ulteriore peggioramento del quadro geopolitico, che porterebbero con sé un inevitabile ulteriore rincaro dei prezzi delle materie prime e dell’energia, portando l’inflazione dei prezzi sostanzialmente fuori controllo.

LA TRANSIZIONE VERSO UNA NUOVA NORMALITÀ

Se viceversa -come è piuttosto probabile- non avverrà alcuno scossone alla fiducia degli investitori, è possibile che le banche centrali riescano nel difficile compito di gestire transizione verso una “nuova normalità”, che vedrà sì tassi più elevati di quelli attuali e forse minore liquidità in circolazione, ma senza (o quasi) alcun ridimensionamento da parte dei mercati finanziari, se questo accadrà in presenza di una sostenuta e costante crescita economica globale.

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Soprattutto se il quadro geopolitico non peggiorerà, lo scenario sopra descritto ha una certa probabilità di concretizzarsi. E in tal caso è possibile che i profitti aziendali non diminuiranno e che la ricchezza globale addirittura vada aumentando in funzione della crescita del prodotto lordo dell’economia, permettendo una progressiva sostituzione dei debiti pubblici con risparmi reali da parte di una popolazione mondiale che continua ad invecchiare, e dunque anche a risparmiare di più.

MA L’EUROPA DEVE MONETIZZARE IL DEBITO…

Per l’Europa però la situazione è oggettivamente ancora più complessa e, conseguentemente, più a rischio:

  1. i debiti pubblici sono fortemente disallineati tra i cosiddetti “paesi frugali” e quelli piu “spendaccioni” (come il nostro) con la conseguenza di necessarie frizioni nella gestione del consenso complessivo della comunità europea;
  2. i tassi d’interesse sono ancora più bassi di quelli già bassi americani, nonché strutturalmente in ritardo rispetto agli andamenti registrati oltreoceano, anche perché i consumi ristagnano maggiormente;
  3. la tassazione dei redditi (e dei capitali) è tra le più elevate del mondo e della storia, lasciando poco spazio ad ulteriori incrementi della medesima allo scopo di ridurre i disavanzi della spesa pubblica;
  4. l’età media della popolazione è già molto più elevata che nel resto del mondo con la conseguenza di ulteriori rigidità nella produzione del reddito e l’esigenza di mantenere elevata la spesa per il “welfare”.
  5. In presenza di queste difficoltà non è difficile prevedere la necessità da parte della banca centrale europea di controbilanciare le debolezze strutturali dell’Unione “monetizzando” il più possibile almeno quella parte di debiti pubblici che continua ad incrementarsi in conseguenza di disavanzi di spesa non colmabili altrimenti. E, ciò nonostante, non è difficile prevedere una crescita economica maggiormente frenata dai fattori strutturali anzidetti. Dunque non è improbabile la possibilità di ulteriori svalutazioni del cambio dell’Euro nei confronti delle altre monete forti.

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…E LE BORSE POTREBBERO BENEFICIARNE

Lo strutturale ritardo però dell’economia europea rispetto a quella americana fa pensare che la crescita economica proseguirà, almeno nel breve periodo, sino a tornare ai livelli di “output” pre-Covid dell’economia. E questo fatto, insieme all’elevata propensione al risparmio e alla possibilità che scenda il cambio dell’Euro, comportano prospettive paradossalmente migliori per le borse europee, rispetto almeno a quella americana, strutturalmente più “cara” nei criteri di valutazione delle imprese. Almeno per il momento.

I rischi sopra evidenziati per i risparmiatori e gli operatori economici dunque restano (soprattutto quelli legati ad eventuali ulteriori tensioni geo-politiche) ma, nel caso delle borse europee, possono risultare decisamente attenuati da un tono di fondo ancora positivo. E probabilmente lo stesso rapporto appena delineato tra America e Europa può essere considerato valido tra Europa e Italia: ottime prospettive dunque per la Borsa Italiana, ma altrettanta prudenza per le debolezze di fondo del sistema-paese!

Stefano di Tommaso