RESILIENZA ITALIANA

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I media di tutto il mondo riportano in queste ore due picchi preoccupanti: l’inflazione registrata negli Stati Uniti d’America a Novembre (quasi il 7% – si dove tornare indietro al 1982 per ricordarne una maggiore), e i nuovi contagi da COVID. L’Italia al momento sembra al riparo da entrambi. Ma è addirittura il futuro dell’economia globale a rischio. E se l’inflazione continuasse a correre ma la crescita economica no, allora ci troveremmo presto nel peggiore degli scenari: la temuta “stagflazione” (stagnazione + inflazione). In tal caso la leggendaria capacità del nostro paese di “cavarsela” in qualche modo, insieme alle molte doti del governo in carica, potranno aiutare il paese a partorire un miracolo?

 

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LE CAUSE DEI TIMORI

L’andamento economico globale sta indubbiamente subendo nuovamente un freno per le conseguenze dell’imperversare della quarta ondata pandemica, caratterizzata dalla “variante omicron”, dal perdurare della scarsa offerta internazionale di materie prime, semilavorati, derrate alimentari e materiali combustibili. Ma fino ad oggi ciò non ha quasi mai creato problemi ai mercati finanziari perché gli idranti delle banche centrali di tutto il mondo hanno continuato a irrorare liquidità e i tassi sono rimasti bassi. Oggi il picco dell’inflazione e la constatazione del fatto che sia divenuta “strutturale” fanno temere interventi delle banche centrali che possono mandare K.O. le borse e spingere al ribasso gli investimenti.

Ed è oramai divenuto certezza che la possente ripresa economica che tutti speravano avrebbe caratterizzato l’anno successivo a quello dei “lockdown” (il 2020) si è trasformata in poco più di un mero rimbalzo, riuscendo sì a riportare il calendario sostanzialmente indietro di 2 anni (al 2019), ma con aggravanti e scarse prospettive di poter proseguire.

LE AGGRAVANTI RISPETTO AL 2020

Le principali aggravanti rispetto alla situazione pre-covid sono almeno tre: A) il maggior debito contratto tanto nel settore pubblico quanto nel privato per finanziare la ripresa, B) la possibile -anzi probabile- risalita dei tassi d’interesse conseguente all’inflazione dei prezzi e C) l’accresciuto allarme ambientale, che pone una serie di interrogativi su quanto esso inciderà sul costo dell’energia e dunque sull’inflazione.

Veniamo da una situazione quasi-idilliaca di inflazione e tassi d’interesse bassi, molta liquidità in circolazione (e quindi ovviamente di borse ai massimi livelli di sempre) e decisa ripresa economica. Ma oggi lo scenario sembra mutare verso il peggio. Altrove nel mondo, laddove sono stati raggiunti i livelli di Prodotto Interno Lordo cui si era arrivati prima del COVID, la ripresa stesa si è quasi appiattita. Per non parlare dell’inflazione, che negli U.S.A. ha raggiunto livelli che non si vedevano da quasi quarant’anni e che gode di una micidiale catena di trasmissione: il duetto Dollaro/Petrolio: quando scende il secondo sale il primo e viceversa.

LA SITUAZIONE ITALIANA

Negli ultimi mesi l’Italia ha accelerato le sue esportazioni e, per la natura delle sue filiere produttive, è riuscita a limitare i danni del maggior costo delle materie prime. Le agenzie di rating ci hanno promosso e la Borsa ha performato bene. Anche l’altissimo tasso di popolazione vaccinata ha impedito (sino ad oggi) che la nuova ondata pandemica frenasse l’economia. E gli investimenti delle imprese stanno ancora continuando a correre, nonostante la più elevata tassazione del mondo, con una ripresa della fiducia degli operatori certificata di recente da Markit: l’indice Pmi manifatturiero dell’Italia ha addirittura toccato a novembre un massimo storico.

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Nel terzo trimestre del 2021 infatti il livello del valore aggiunto dell’industria manifatturiera italiana è risultato del 3,2% superiore a quello del quarto trimestre 2019 antecedente il Covid-19, mentre gli altri maggiori Paesi dell’Eurozona non sono riusciti a fare altrettanto. La Spagna è ancora sotto dell’1,4% ai livelli pre-crisi, la Francia del 4,8% e la Germania del 5,5%. L’Italia ha solo un settore tra i primi cinque del proprio export vulnerabile alle carenze di componentistica globale: l’automobile. Ma pesa soltanto per il 7,5% nelle nostre esportazioni totali mentre è del 17% per la Germania.

Se quest’anno il Pil dell’Italia è stato trainato anche dai contributi all’edilizia (110% e dintorni) e dalla ripresa dei consumi, il 2022 potrebbe proseguire, beneficiando dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Gli investimenti in digitalizzazione, ambiente, infrastrutture e sostegno sociale, possono aiutare l’Italia a ridurre il divario con il resto d’Europa in particolare nell’efficienza di Pubblica amministrazione e Giustizia, nonché nello sviluppo del Mezzogiorno.

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Ma l’asprezza dei giochi politici in corso per l’elezione del Presidente della Repubblica e la solita polemica pre-elettorale per elezioni politiche del 2023 (che potrebbe tornare a mordere già a partire dal prossimo anno) rivelano una certa difficoltà a far proseguire indisturbato l’attuale governo di unità nazionale.

LE CONDIZIONALITÀ EUROPEE

Inoltre lo “spread” (la differenza tra il costo del debito pubblico italiano e quello tedesco) ha già ripreso a correre, nonostante l’ottimo andamento dell’economia. Il finanziamento del debito pubblico italiano è stato infatti sino ad oggi garantito quasi soltanto dalla Banca Centrale Europea in attuazione del programma di acquisto dei titoli dì stato varato per contrastare l’emergenza pandemica (il c.d. P.E.P.P.). Ma questo avrà termine il prossimo 31 Marzo. Perché prosegua anche successivamente è probabile che dipenderà molto da una serie dì altre “condizionalità” che la Commissione Europea sta già preparando (dì fatto una riedizione riveduta e corretta del “Meccanismo Europeo dì Stabilità”, o MES che dir si voglia).

Il risultato della cosiddetta “cura Draghi” è sì insomma a un passo dall’essere colto, ma è anche tutt’altro che scontato. Il suo successo potrebbe aiutare il nostro paese a evolvere decisamente, ma il peso del debito dì Stato e l’ampiezza del deficit strutturale afferente le nostre finanze pubbliche lasciano supporre che ciò potrà avvenire soltanto se le condizioni economiche globali non continueranno a peggiorare e se la politica italiana non entrerà ancora una volta in fibrillazione con l’Unione Europea.

E I MERCATI AUMENTANO LA CAUTELA

I mercati finanziari di conseguenza non riescono ad esprimere (soprattutto per il nostro paese) previsioni affidabili, e oscillano tra ottimismo e pessimismo, su un sottofondo dì tensioni geopolitiche crescenti (che alimentano la forza del Dollaro) e tassi d’interesse dati per certo in crescita già dalla prossima primavera. Difficile dire cosa farà la nostra Borsa dopo Natale.

Sebbene infatti ci si attende che l’intonazione rimanga sostenuta, almeno fino all’estate, la volatilità delle sue quotazioni potrebbe continuare a crescere.

Stefano di Tommaso




BENVENUTI NELL’ERA DEL CAPITALE DI VENTURA

Sino a ieri nel “Venture Capital” (alla lettera: capitale di ventura) era stato investito soltanto il 2% delle risorse finanziarie globali affidate ad investitori professionisti e istituzionali. Eppure quel 2% in 40 anni ha cambiato il mondo, favorendo l’innovazione, la crescita di prodotti e servizi (talvolta gratuiti, come Google e Facebook) così importanti da prevalere in termini assoluti (circa i 3/4 del totale) nella capitalizzazione totale del listino azionario di Wall Street (la Borsa Valori più importante del mondo) insieme ad altre iniziative simili nate principalmente nel garage o nel retrobottega, come Apple (duemila miliardi di dollari di capitalizzazione), Tesla, Amazon, Microsoft o Netflix.

Oggi dopo i primi timidi tentativi (prevalentemente in California, nella famosa “Silicon Valley”) di organizzare e strutturare un’attività di investimento specializzata in tal senso, il capitalismo di ventura viene riconosciuto come una risorsa essenziale per il progresso dell’umanità e come la prima “asset class” in termini di creazione di ricchezza, tanto da essere divenuta oggi vittima di una vera e propria bolla speculativa.

Il successo degli investimenti di venture capital ha moltiplicato però non soltanto le risorse a disposizione dei gestori di fondi specializzati in tal senso, ma anche il numero di coloro che vorrebbero ottenerle (i cosiddetti “startupper”, cioè coloro che desiderano far partire nuove attività imprenditoriali). E inevitabilmente, con le tasche piene di liquidità da investire, quei gestori tendono a prendere rischi sempre maggiori, con il rischio che la bolla speculativa possa scoppiare!

Ma sono aumentate (in numero e in valore) anche le opportunità di investimento nell’innovazione industriale, commerciale, digitale e medicale. E gli imprenditori in erba possono altresì non hanno da scegliere soltanto tra fondi che investono nel capitale di rischio. Oggi esistono molteplici tipologie di soggetti che possono intervenire in loro supporto. Per fare qualche esempio: le piattaforme di “crowdfunding” (cioè di ricerca di microinvestitori disposti a scommettere su talune iniziative), oppure: gli “angeli” (persone fisiche con competenze specifiche e capitali a disposizione che sono disposte a supportare le nuove iniziative, non solo finanziariamente), nonché gli “acceleratori” e “incubatori” di imprese (dove gli imprenditori in erba possono trovare non soltanto i primi mezzi finanziari, ma anche un posto dove stare, del supporto tecnologico, professionale e gestionale).

I nuovi imprenditori possono poi sperare di attingere a numerosi finanziamenti specifici, privati e pubblici (anche europei), e accedere a contributi e incentivi fiscali. Orientarsi ovviamente è divenuto sempre più difficile e spesso conviene loro affidarsi a banche d’affari e “advisors” specializzati, capaci di assistere gli “startupper” nella definizione del piano d’azienda, nella valutazione dell’iniziativa, nella creazione di un veicolo societario e nella ricerca di finanziamenti. Professionisti idonei, in definitiva, a tracciare un percorso di sviluppo e capaci di consentire all’impresa nascente di focalizzare le modalità più idonee (o più veloci) per farlo. E di individuare, di conseguenza, la tipologia di supporto finanziario più idonea per ciascuna iniziativa.

Qualche giorno fa il prof. Giudici, ordinario del Politecnico di Milano e direttore scientifico dell’osservatorio di crowdinvesting, ha presentato il “4° report sulla finanza alternativa per le Pmi” nel corso dell’edizione 2021 dell’Alt-Finance Day, la giornata della finanza alternativa. In base a quanto emerso, le risorse mobilitate tra luglio 2020 e giugno 2021 dal mercato della finanza alternativa al credito bancario per le Pmi sono state di circa 4,23 miliardi di euro, con una crescita del 58% rispetto ai dati pubblicati lo scorso anno.

E, nonostante il mercato italiano dei capitali sia ancora sotto dimensionato rispetto al resto d’Europa, da luglio 2020 a giugno 2021, da parte dei fondi private equity e venture capital è stato registrato un flusso di investimenti pari a 1,22 miliardi di euro, con valori che sembrano essere tornati al periodo pre-pandemia.

Ma l’elenco delle risorse alternative al credito bancario non si ferma qui: le piattaforme di “invoice trading” italiane (cioè quelle che operano per via digitale l’equivalente dello sconto fatture) hanno infatti mobilitato per le Pmi 1,24 miliardi di euro negli ultimi 12 mesi con un incremento del 7,5% rispetto all’anno scorso.

E’ in crescita anche il mercato dei minibond. Le Pmi non finanziarie italiane che hanno ottenuto risorse attraverso l’emissione di minibond al 30 giugno 2021 sono state 444 e, fra queste, ben 37 si sono affacciate sul mercato per la prima volta nel primo semestre 2021. Il controvalore collocato negli ultimi 12 mesi è stato di 455 milioni di euro, con un aumento tendenziale del 17% rispetto allo stesso periodo del 2020. Da notare che nell’ultimo anno il 76,6% dei minibond collocati era coperto da una qualche forma di garanzia (quasi sempre del Mediocredito Centrale).

I più elevati tassi di espansione li hanno registrati:

  • l’equity crowdfunding. Al 30 giugno 2021 sono state 588 le aziende italiane che hanno raccolto capitale di rischio sulle 54 piattaforme Internet autorizzate da Bankitalia, con un incremento del 67% rispetto al periodo precedente;
  • gli Nft (Non fungible tokens) sono in forte aumento (non ho trovato statistiche al riguardo);
  • gli IPOs sulla Borsa di Milano, nel segmento specializzato sulle piccole e medie imprese: la raccolta di capitali all’Euronext Growth Milan (ex AIM) è aumentata nello stesso periodo del 66%.

Il record di crescita ce l’hanno però le piattaforme di “social lending”, che tramite Internet canalizzano alle imprese -piccole o nascenti- prestiti erogati direttamente dai piccoli risparmiatori: hanno portato alle Pmi italiane 310,8 milioni di euro (79,9 milioni nel secondo semestre 2020 e 230,9 milioni nel primo semestre 2021) con un incremento del 73% rispetto all’anno scorso, mentre quello tendenziale considerando solo gli ultimi 6 mesi è del 338%. In questa categoria sono state censite 21 piattaforme attive (di cui 14 focalizzate sul comparto dei mutui immobiliari).

Stefano di Tommaso




IN BORSA MAI DIRE MAI!

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Dopo l’improvvisa inversione di rotta degli ultimi giorni diviene più difficile prevedere dove saranno le borse intorno a fine anno. Ogni scenario è lecito, dal momento che sono tutt’ora al lavoro le tendenze che ne hanno scatenato la crescita. Ma sono entrati ancora una volta in gioco dei rischi asistematici dovuti alla quarta ondata pandemica e alle sue possibili conseguenze in termini di risvolti per l’economia reale. Le borse potrebbero sì riprendere la loro corsa la rialzo, ma la volatilità attesa è ai massimi, e la tempistica dei loro movimenti è dunque ben poco prevedibile. Morale: ci sono molte ragioni per le quali il mercato azionario globale potrebbe tornare a risalire, ma il condizionale è d’obbligo: in borsa mai dire mai!

 

IL SELL-OFF

Lo scorso anno di questi tempi l’allarme contagi -ancora in assenza dei vaccini- aveva generato quasi lo stesso panico di inizio pandemia. Stavolta è più complicato prendersela con l’ennesima variante del COVID ma per le borse di tutto il mondo l’allarme degli ultimi giorni ha funzionato alla grande: il sell-off (la svendita dei titoli quotati in borsa) è stato uno dei più avversi della storia borsistica recente. Nel grafico che segue ecco cosa è successo :

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Al calo medio delle borse nel mondo (indice MSCI ALL COUNTRY) di circa il 3% nell’ultima settimana si contrappone un guadagno del 15,50% da inizio anno e di oltre il 20% da un anno fa ad oggi. Per le borse europee è andata all’ingiù in maniera ancora più marcata, dopo una crescita dell’ultimo anno ancora maggiore: l’indice delle principali azioni quotate (STOXX EUROPE 600) è sceso di quasi il 4,5% nell’ultima settimana dopo una crescita di quasi il 20% da inizio anno e di oltre il 22% da un anno fa ad oggi.

LA VOLATILITÀ E’ ALLE STELLE

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D’altra parte ce l’eravamo già detto: con le quotazioni quasi ai massimi storici c’era da attendersi una volatilità in deciso aumento e così è stato. Ora, durante la calma del fine settimana, non è facile orientarsi tra le ondate della tempesta improvvisa che si è scatenata per comprendere qual’è la tendenza di fondo. Ma la sensazione è che questa non sia affatto cambiata. E cioè che sia ancora al rialzo e che il sell-off di questi giorni possa presto essere archiviato come un momento di panico e nient’altro.

I MOTIVI DI OTTIMISMO

Quali motivi per dirlo? Non ci sono grandi patemi d’animo per la crescita economica (le ultime rilevazioni mensili dell’indice dei direttori acquisti delle aziende (il MARKIT) sino positive e battono le aspettative, l’inflazione sembra potersi leggermente attenuare (ed è già una buona notizia). Questo vale soprattutto per le materie prime, mentre per il petrolio c’è un bel po’ di panico, oltre che una tendenza di fondo poco rassicurante, dovuta alla scarsità di materia prima prodotta, rispetto alla domanda.

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Soprattutto c’è il fatto che la situazione pandemica, che qualche colpo di assestamento lo darà di sicuro alla crescita economica globale, costituirà il movente principale (se non la scusa) per spingere le banche centrali a mantenere un atteggiamento accomodante e continuare -di fatto- ad immettere liquidità sul mercato. Cosa che non può mancare di avere effetti positivi sul mercato azionario, in particolar modo intorno a fine anno, quando i gestori di patrimoni devono portare a casa le loro performances, nonché le commissioni che ne derivano.

E’ dunque piuttosto probabile che la corsa delle Borse abbia soltanto avuto uno stop. E poi, come se non bastasse, secondo Goldman Sachs con il nuovo anno sta per riversarsi sul solo mercato azionario americano più di un trilione di dollari di “buy-back” aziendali (cioè di acquisti di azioni proprie da parte delle aziende), ai massimi della storia recente, come mostra il grafico qui riportato:

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IL POSSIBILE “RALLY” DI FINE ANNO

In quest’ottica potremmo anche vedere il sell-off di fine Novembre quasi soltanto come un’ottima occasione per comprare prima che il mercato raggiunga nuovi massimi. Determinati principalmente da un comportamento relativamente razionale di chi investe che risponde all’acronimo di “TINA” (“there is no alternative”: al mercato azionario).

Investire in obbligazioni in un momento in cui i tassi potrebbero salire può risultare infatti più rischioso dell’investire in Borsa, mentre mantenere la liquidità può significare non soltanto perdere delle opportunità di rialzo, ma prima ancora può comportare l’erosione del capitale ad opera dell’inflazione. Che potrà sì diminuire, ma difficilmente si fermerà, come dimostra la situazione dell’estremo oriente, dove la crescita economica si è già ridotta decisamente, ma l’inflazione no! Di seguito un grafico andamento le di USA e UE:

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PERÒ…

Mai dare per scontato il risultato però, perché è altrettanto vero che l’evolversi della quarta ondata pandemica non lo conosce nessuno, così come è vero che un dollaro troppo forte (come è già oggi) rischia di rovinare le feste a tutti, dai paesi emergenti fino agli americani stessi, gettando di conseguenza le borse in un possibile stato di panico.

Senza considerare il rischio che anche il caro-petrolio (che, appunto, rischia di riprendere presto) possa giocare un brutto scherzo all’economia e, di conseguenza, agitare ancora una volta le acque già particolarmente mosse dell’investimento azionario, per l’impatto negativo che può comportare sui profitti di periodo.

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Tutto questo per dire che, se la volatilità per le prossime settimane è servita quasi per certo su un piatto d’argento, persino nel caso in cui le borse dovessero parallelamente tornare a guadagnare nuovi massimi, la festa potrebbe non riguardare tutti. E’ altresì prevedibile infatti al momento l’ennesima rotazione dei portafogli, quantomeno nel caso in cui dovessero essere rispolverate restrizioni a viaggi e movimenti in genere.

Come dice Alessandro Fugnoli (di Kairos) nella sua ultima newsletter insomma: ci vuole anche tanta pazienza: per le banche centrali onde evitare di reagire eccessivamente ad un’inflazione che potrebbe attenuarsi, e per gli investitori per decidere quale strada prendere senza svendere nel momento sbagliato. Sempre che ce la si possa permettere…

Stefano di Tommaso




INVESTIRE COLLEZIONANDO: MODA O INVESTIMENTO? CRESCE L’ INTERESSE PER IL SETTORE DELLA GIOIELLERIA

La Compagnia Holding
Un momento magico per la gioielleria e per ogni altro bene di lusso. Cataloghi mozzafiato per tutte le case d’asta internazionali ma anche nazionali e che a dicembre prossimo presenteranno il meglio di quanto raccolto durante l’anno.

Gioielli raffinati, d’epoca e firmati sono la chiave di un interesse che sta crescendo in tutto il mondo. Ma anche oggetti moderni griffati e particolarmente costosi. Le case d’asta lo hanno ben capito che questo è il momento del lusso e competono con cataloghi davvero molto “brillanti”.
Una tendenza momentanea? non si direbbe. Oggetti da indossare ma meglio, sembra più un nuovo asset class di investimento a medio e lungo periodo visto che le cifre non sono poi cosi vantaggiose per una ricollocazione a breve sul mercato.

Investire in gioielli significa acquistare da conservare, seguire il mercato d’asta e conservarli fino a quando il loro prezzo sarà salito abbastanza da preservare l’investimento e godere di un incremento.
Nella scelta del gioiello sono importanti diversi fattori, il marchio meglio se noto. Oggi Cartier, Bulgari e Van Cleef & Arpelf, Chopard, Bulgari, sono sicuramente maison di prestigio, ma vanno considerati anche molti altri come: Buccellati, Vhernier, Pomellato,Tiffany, Jar, Verdura e altri ancora. Il prestigio riferito alla creazione da parte di un orafo importante è già un fattore determinante e su questi è importante valutare il materiale, la qualità delle pietre preziose e la concentrazione dell’oro, nonché la qualità di carati. Per prima cosa bisogna controllare il valore non tangibile quindi scegliere il gioiello con una storia unica alle spalle magari appartenuto a qualche personaggio famoso come un regnante oppure creato in un determinato periodo storico a tal proposito è importante visionare la sua storia

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JOEL ARTHUR ROSENTHAL (JAR)

 

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CARTIER ART DECO DIAMOND BRACELET
Stima GBP 70,000 – GBP 90,000 Christie’s Novembre 2021

 

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Dalla Collezione di Liz Taylor
Collana di diamanti e smeraldi BVLGARI
Stima 1,000,000 – USD 1,500,000
Prezzo realizzato 6,130,500 USD

 

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CHOPARD
Una collana di diamanti colorati, diamanti e oro bicolore Una collana su misura composta da quattro barre incastonate a pavé che sostengono file di diamanti gialli a forma di pera articolati, che passano a file di diamanti gialli briolette, firmata Chopard.
Asta Phillips dicembre 2021 Stima $ 300.000 – 500.000

 

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OROLOGIO ‘PASHA’ CON DIAMANTI, CARTIER
Stima EUR 20,000 – EUR 30,000 Prezzo realizzato 87,500
Christie’s Febbraio 2021

 

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Van Cleef & Arpels | Suite of Gold, Cultured Pearl, Emerald and Diamond ‘Barquerolles Lion’ Jewels, France
Sotheby’s 2020 Stima USD 50,000 – 70,000 Prezzo realizzato 81,900 USD

 

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Finarte 23-24 novembre 2021 Importanti orecchini con diamanti
Stima € 250.000 – 300.000

 

Altro fattore da non trascurare è il contenuto, ossia metalli preziosi come l’oro e il platino, le pietre quali diamanti, smeraldi, rubini e le perle naturali. In questo caso si tratta di materie prime in metalli preziosi, perciò il loro valore è sempre confermato. Mentre l’oro è regolato dai mercati finanziari, i gioielli si pongono sul mercato, con valori che oscillano a seconda del momento storico. Parliamo perciò di oggetti fungibili e poiché sono tutti diversi per creazione (l’oro vale per la caratura sempre uguale) hanno un mercato molto meno liquido. Perciò l’investimento in gioielli va bene valutato su tutte le caratteristiche dell’oggetto che si intende scegliere.
Perciò è bene controllare alcuni punti molto importanti del prodotto perché è possibile previa visione trovare i vari elementi che possono influire notevolmente sul prezzo. Infine da non trascurare investimenti anche su gioielli moderni, sempre valutando eccezionale qualità di materiale e della presenza di significative pietre preziose. Si consideri La tendenza di prendere in considerazione tali oggetti va oltre la moda e perciò meglio sempre affidarsi a gioiellieri che possano confermare la loro affidabilità nel tempo. L’acquisto attraverso casa d’aste e dealer internazionali rappresenta ancora una certa e sicura garanzia. Al riguardo, una recente indagine sul mercato (market size 2021) post pandemia, indica con un segno positivo del 7% il settore “Jewelry” con una cultura del lusso di marca in crescita in mercati non tradizionali; la preferenza di gioielli unisex e un mercato e-commerce in crescita per scelta di prezzo.

La Compagnia al suo interno offre un servizio di Art & Luxury Wealth Advisory.

Per informazioni: marika.lion@lacompagnia.it