IL DILEMMA DEI MERCATI: COSA CAMBIA SE SI APRE UNA NUOVA GUERRA DEL GOLFO?

Donald Trump ha attaccato l’Iran per fare quella parte di “lavoro” che Israele non riesce a fare. Ma in tal modo il presidente ha tradito il mandato a lui assegnato dalla sua base elettorale “MAGA” (make America great again) sostanzialmente pacifista a oltranza; e convinta che non si dovrebbero più spendere grandi risorse per intervenire militarmente dove invece le élites di tutto il mondo chiedono all’America di mostrare i suoi muscoli. Gli effetti di tale scelta possono influenzare non poco i mercati finanziari, non soltanto per i possibili effetti sull’economia reale (quantomeno dell’Occidente) e sulle aspettative di inflazione, ma anche per l’incremento della volatilità dei mercati che potrebbe derivarne e per la possibile rotazione dei portafogli dei grandi investitori.

 

GLI EFFETTI DELLA SCELTA AMERICANA

La scelta di Trump non è solo di stampo squisitamente geopolitico, dal momento che l’intervento diretto dell’America (che comunque ha schierato ben tre navi portaerei con 40.000 uomini a bordo e prosegue a rifornire Israele di missili e droni, oltre che sistemi elettronici di difesa) può determinare un’escalation importante del conflitto fino a una vera e propria guerra mondiale tra blocchi continentali contrapposti, richiamando per esempio l’intervento diretto a supporto della Persia quantomeno della Cina, se non anche di India, Russia e altri paesi del mondo arabo e dei BRICS che sino a oggi si sono tenuti in disparte.

La non-soccombenza della nazione iraniana infatti viene vissuta da molti Paesi non-occidentali come un baluardo da preservare onde evitare future altre aggressioni (dirette e indirette) da parte dei paesi occidentali, dai quali essi vogliono risultare sempre meno dipendenti.


In generale lo scoppio (o l’allargamento) delle guerre e dei grandi conflitti geopolitici non sono motori di crescita economica a lungo termine, anche se spesso nel breve termine essi determinano invece un’impennata delle quotazioni dei listini delle borse, i cui investitori “sentono” il profumo del lauti profitti che possono provenire dalla maggior spesa militare per molte aziende che risultano possibili fornitrici della macchina militare (non soltanto dunque di armi e sistemi di difesa, bensì anche di altre tecnologie, di logistica e di supporto materiale alle truppe).


La guerra ha inoltre l’effetto indubbio sullo spostare l’attenzione di analisti e opinionisti sugli esiti del conflitto, lasciando in secondo piano questioni interne e dispute politiche. Pertanto, è probabile che le preoccupazioni del mercato sulla sostenibilità fiscale del debito americano svaniscano in caso di allargamento del conflitto, indipendentemente dal risultato dei negoziati in corso al Senato USA. In caso di ulteriore impegno dell’America nel conflitto anche l’attuale dibattito sull’ennesimo innalzamento del tetto al debito pubblico perderebbe peso. Dunque Trump potrebbe avere avuto una convenienza politica ad attaccare e può avere ulteriori benefici a livello di politica interna nel sostenere Israele in una guerra che si preannuncia assai lunga.

IL PREZZO DEL PETROLIO

Ovviamente però il prezzo del petrolio, con l’instaurarsi di una guerra di logoramento in Medio Oriente, rischia di subire ulteriori impennate, determinando un’ascesa a catena anche del prezzo di molte altre materie prime, che è espresso quasi sempre in Dollari americani. Dollari che negli ultimi mesi si sono svalutati di circa il 10%. Il solo prezzo del petrolio poi ha fatto un balzo in avanti (in termini di Dollari) di circa il 20% nell’ultimo mese (come si può vedere dal grafico e dalla tabella sotto riportati) e rischia di trascinare con se l’intera filiera dei costi industriali, quantomeno negli Stati Uniti d’America, anche se probabilmente il “contagio” inflattivo per il resto del mondo sarebbe assicurato.


L’inflazione dei prezzi che ne discende in maniera quasi sicura e in tempi piuttosto brevi sarà percepita ovviamente come un grave problema per le banche centrali, le quali si vedrebbero costrette a tenere i tassi d’interesse invariati o addirittura a rialzarli, determinando una forte volatilità dei tassi d’interesse, oltre che ulteriore debolezza del Dollaro, soprattutto se il Tesoro degli Stati Uniti o la Federal Reserve saranno costretti a intervenire per sostenere la liquidità dei mercati finanziari. E gli analisti finanziari stimano comunque che, indipendentemente da come il Congresso americano finirà per riscrivere il disegno di legge sul bilancio, il deficit federale a stelle e strisce rimarrà elevato contribuendo in tal modo a mettere pressione sui rendimenti a lungo termine dei titoli di stato americani.

LE QUOTAZIONI DELL’ORO NON POTRANNO CHE CRESCERE ANCORA

In Dollari americani è inoltre universalmente espresso il prezzo dell’oro, le cui quotazioni molto probabilmente guadagneranno ulteriori spazi di crescita. Secondo gli analisti il metallo prezioso potrebbe raggiungere i 4.000 dollari loncia (con un salto del 18% rispetto ai livelli attuali) già nel corso dell’anno in caso di innalzamento del livello geopolitico del conflitto mediorientale. Molto dipenderà anche dalle tensioni geo-politiche. Qui sotto l’andamento del suo prezzo :

ANDAMENTO DELL’ORO (ESPRESSO IN DOLLARI PER ONCIA) NELL’ULTIMO ANNO

Tra l’altro l’oro rischia di raggiungere ugualmente tale livello nel corso del 2026 anche senza escalation, a causa dell’enorme deficit di bilancio degli Stati Uniti (che comporterà la necessità di ulteriore “monetizzazione” del debito pubblico) e a causa del processo di “de-dollarizzazione” in corso, che vede le banche centrali di tutto il mondo sostituire con lingotti gialli parte delle riserve oggi costituite dal biglietto verde americano proseguendo in tal modo una tendenza iniziata già da qualche anno. Bank of America ha stimato che le riserve in oro delle banche centrali sono ora equivalenti a poco meno del 18% del debito pubblico degli Stati Uniti, rispetto al 13% di dieci anni fa. Per inciso per lo stesso motivo le banche centrali di tutto il mondo hanno giù scaricato riserve per circa 48 miliardi di dollari in titoli del Tesoro americano solo dalla fine di marzo a oggi.

Un recente sondaggio del World Gold Council ha rilevato che linstabilità geopolitica e i potenziali conflitti commerciali sono i motivi principali per cui le banche centrali delle economie emergenti si stanno spostando verso l’oro a un ritmo molto più veloce rispetto a quelle delle economie avanzate. Nel frattempo, il mercato finanziario “retail” non sembra ancora essere sovraesposto alloro quale “asset class” alternativa a titoli azionari e obbligazionari. BofA ha stimato che fino ad oggi gli investitori professionali di tutto il mondo hanno stanziato solo il 3,5% dei loro portafogli in disponibilità d’oro.

L’ANDAMENTO DI WALL STREET IN TERMINI DI PREZZO DELL’ORO

LA VALUTAZIONE DELLE AZIONI IN BORSA

Alla luce delle considerazioni appena riportate non è dunque chiaro se, nelle considerazioni di analisti e gestori dei risparmi prevarranno considerazioni di ottimismo oppure di pessimismo sulla valutazione dei titoli delle aziende quotate, anche se appare invece piuttosto probabile che cambi piuttosto radicalmente la congiuntura finanziaria generale, che fino ad oggi si è mantenuta relativamente impermeabile rispetto agli eventi bellici, tanto a causa della probabile inflazione in caso di balzi in avanti del prezzo del petrolio quanto per gli effetti dell’incertezza sul possibile rialzo dei tassi d’interesse a lungo termine, che a loro volta determinano una possibile discesa del prezzo dei titoli a reddito fisso.

L’inflazione infatti è normalmente un fattore di rivalutazione dei listini azionari, dal momento che le azioni quotate rappresentano porzioni di attività reali che possono rivalutarsi in termini monetari. Al tempo stesso però i rialzi (o i mancati ribassi) dei tassi d’interesse a lungo termine determinano una riduzione in termini monetari del valore attuale netto dei flussi di profitti futuri delle aziende.

Dunque soltanto in caso di forte riduzione dei tassi d’interesse reali (cioè quelli al netto dell’inflazione) le borse potrebbero beneficiare in termini di innalzamento del livello delle quotazioni dei listini azionari. Una riduzione che potrebbe tuttavia non solo essere già in corso, ma anche ulteriormente incrementata quando cambierà la guardia alla presidenza della banca centrale americana.


Nel breve termine tuttavia, con il probabile allargamento del conflitto militare, non soltanto potrebbero innalzarsi vistosamente le quotazioni dei titoli delle industrie attive nelle forniture belliche, ma anche quelle del comparto energetico e forse sinanco quelle del settore farmaceutico. Inoltre i listini borsistici potrebbero anche beneficiare di parte dei disinvestimenti dal settore dei titoli a reddito fisso (anche se il grosso di tali flussi potrebbe di nuovo andare verso metalli preziosi e altri beni-rifugio, Ivi compresi forse anche i Bitcoin).

CONCLUSIONI

Mentre perciò appare piuttosto probabile che la possibile escalation del conflitto mediorientale aumenti decisamente la volatilità dei corsi delle borse valori, non è detto che i listini azionari non arrivino a beneficiarne, almeno nel breve termine. E’ tuttavia altrettanto probabile che le tensioni geopolitiche spingano a ridurre le quotazioni (e perciò a innalzare i rendimenti) dei titoli di stato dell’intero occidente. Determinando altresì la necessità per i gestori dei risparmi di ruotare in modo importante i propri portafogli orientandoli ad esempio a beni-rifugio e a titoli “difensivi”, probabilmente riducendo al tempo stesso la quota investita in titoli a reddito fisso. Ovvio che tutto ciò non potrà non alzare sui mercati un gran polverone, il cui esito finale (fine d’anno? nessuno lo può sapere) è oggi assai difficile da prevedere.

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 127 – dom 22 giu 2025

Operazioni in essere : nessuna

Premessa : come ogni sabato, ieri avevo scritto questa Lettera, ma oggi dom. 22.6, dopo i bombardamenti degli U.S.A. a carico dei siti nucleari in IRAN, ho aggiornato le rubriche su azionario americano.

GOLD AGO 25

GOLD sembra essere il rifugio unico per questi tempi incerti.

Non lo è il dollaro americano.

Lo è solo in parte il BITCOIN, che non riesco ancora ad accettare come riserva di valore. Ma lo osservo.

GOLD non ha ancòra rotto la “cifra tonda” di 3500 cash.

Troverei interessante se, diversamente, rompesse in giù, sotto il recente minimo di 3293 GOLD CASH ( corrispondente a 3313 ago fut ) registrato lu 9.6 al mattino.

SILVER SETT 25

Eseguirò eventuali operazioni sul contratto settembre, poiché luglio va in consegna.

Avevo riscontrato che nella settimana 12-16 maggio scadeva un segnale di Tempo di media importanza, in cui SILVER ha segnato un minimo a 31,65 cash ed è risalito fino alla solita area di 33,70 cash, come fosse attirato da un magnete.

Finito maggio, in cui scadeva anche un segnale mensile interessante, già il primo giugno SILVER ha rotto con violenza il doppio top 34,86 – 34,58 sviluppando in un solo giorno un range molto ampio e spingendo poi fino a 37,31

Per poi ripiegare intorno a 35,5

Quello che era un tetto ( area 33,7 usd ) potrebbe da ora essere un supporto utile per aprire operazioni di acquisto, con stop loss non sopra 31,65 cash.

Continuo ad osservarlo.

SP 500

Annoto che, almeno fino a ve 20.6, dopo tutti i fatti militari degli ultimi 10 gg, l’azionario U.S.A. è ripiegato solo del 2 % dai recenti massimi e ciò vale tanto SP 500 che NAS 100, mentre DOW JONES è ben lontano dal top di dicembre – gennaio, ma ugualmente appare impermeabile agli eventi recenti.

Personalmente mi paiono invece da prezzare più pesantemente, ma cerco di non avere preconcetti e analizzare solo TEMPO e PREZZO.

Da un mese avevo scritto che intendevo osservare il comportamento tra 6050 e 6150 circa.

Ha sfiorato a 6059 cash la parte bassa di tale range.

Avendo finalmente trovato un segnale anche su NAS 100 ( 23 – 27 giu ) preferisco non anticipare la svolta in giù.

Non riesco ad immaginare se, dopo il bombardamento di poche ore orsono, gli operatori lo vedano come foriero di una rapida resa dell’IRAN, oppure di un aumento di attentati e instabilità conseguente. Vedremo.

Il mio massimo obiettivo è che SP 500 ( molto legato a NAS 100 ) nella settimana 23 – 27 giugno possa restare positivo oppure laterale, lasciando scorrere il TEMPO.

In tale scenario il passo seguente ( da lu 30.6 ) sarebbe una vendita in rottura del minimo della settimana 23 – 27 giugno ( oggi non conosciuto ) con stop loss sopra il massimo di giugno ( ad oggi 6059 CASH )

Mi auguro che questo Mercato non mi sfugga in basso come ha fatto DOW JONES in febbraio 2025, ma si trattava di un segnale di ben altra portata.

Per evitare ciò, non ignorando l’incertezza dello scenario militare – terroristico, ma ritenendo anche che possa avviarsi una inversione del Mercato, inserirò i seguenti ordini :

– solo dopo che SETT SP 500 FUT fosse salito sopra 6110, dalle 16.30 di lu 23.6 venderò 1 SETT MICRO SP 500 FUT in rottura di 5960 con stop loss sopra il massimo segnato da lu 23.6 in poi.
– Nel caso in cui SETT SP 500 FUT si trovasse alle 16,30 di lu 23.6 già sotto 5960, attenderò che un minimo resista almeno 3 ore e poi venderò 1 SETT MICRO SP 500 FUT in rottura di tale minimo ( NON DEVE ESSERE SOTTO 5880 CASH ), con stop loss sopra il top di lu 23.6

Operatività un po’ complessa, spero risulti chiara.

DOW JONES INDU CASH

Sostituito da SP 500, al momento.

Continua a dimostrare meno forza relativa di SP 500.

NASDAQ 100 CASH

NAS 100 presenta un pattern simile a SP 500, ma beneficia di un segnale statisticamente meno affidabile.

Esattamente come SP 500, sta sfiorando il top del 19 feb 2025.

Tecnicamente è giustificata una vendita intorno al top di 22222 cash ma, trattandosi del top assoluto, non esiste uno stop loss grafico e quindi posso operare solo in inversione.

Avendo calcolato un segnale settimanale, non molto importante, per il 23 – 27 giugno, attendo, sperando che rallenti l’azione, nell’attesa che maturi il tempo.

Personalmente credo che venderò in eventuale rottura di 21500 cash, ma solo dopo che NAS 100 CASH sarà salito oltre 21980 ( top del 16 – 20 giugno )

Leonardo Bodini

 




GUERRA & BUSINESS

Mentre il Regno Unito festeggia il compleanno del re e gli Stati Uniti quello del presidente (entrambi con parate militari) il medio oriente brucia e miete vittime umane, in uno scambio di missili tra due nazioni che sono lontane più di mille chilometri l’una dall’altra. I ridicoli i tentativi dei governi occidentali di giustificare l’attacco hanno anche fatto perdere loro credibilità nel proporre una soluzione diplomatica. Israele sembra aver deciso di andare avanti nel colpire le postazioni militari iraniane e l’Iran sembra ancor più deciso a non lasciare impuniti i colpi ricevuti. La guerra in Medio Oriente è dunque scoppiata in pieno.

 

L’OCCIDENTE SPALLEGGIA L’ATTACCO DI ISRAELE

Inconsistente appare la tesi dell’occidente di giustificare l’iniziativa di Israele con la teoria che l’Iran non deve avere la bomba atomica (mentre si lascia che Israele ce l’abbia). Il risultato è scontato: lo scambio di missili rischia di andare avanti a lungo da entrambe le parti. Con gli USA poi che aiutano fin troppo palesemente Israele e con il rischio che di conseguenza altri paesi faranno altrettanto a favore dell’Iran (la Cina ha già iniziato), appare piuttosto probabile un allargamento del conflitto all’intero bacino mediorientale.


I “BRICS” POTREBBERO SUPPORTARE L’IRAN

Il punto è che l’Occidente ha tentato troppo smaccatamente di imporre Israele come potenza militare regionale mentre l’Iran, che ha mostrato una ferrea volontà di non lasciarsi disarmare rispondendo colpo su colpo, è apparsa vittima e sta richiamando l’aiuto dei suoi alleati. Il rischio è dunque quello di un allargamento del conflitto militare non soltanto all’intero Medio Oriente ma forse anche al resto del mondo, dal momento che il coinvolgimento americano può determinare l’intervento concreto di altri paesi “BRICS” (quali Russia, India, Cina ecc…), i quali hanno compreso fin troppo bene che se stavolta lasceranno l’Iran da solo correranno il rischio di essere bersagli delle prossime iniziative militari occidentali.


Ed è sotto gli occhi di tutti che la situazione di tensione attuale sta già provocando inevitabili conseguenze in termini di difficoltà nei trasporti navali da Oriente a Occidente nonché in termini di rincaro di petrolio e gas. Cosa che può spingere gli americani ad intervenire anche nello stretto di Ormuz e nel Golfo Persico, contribuendo essi stessi in tal modo ad allargare conflitto in modo indefinito.

IL RISCHIO DI UNA RIPRESA DELL’INFLAZIONE

Il rischio concreto è quello di far avverare un allarmismo in campo economico che sembrava fino ad oggi ampiamente smentito dai fatti: quello dell’avvento della stagflazione (stagnazione + inflazione). I rialzi nei costi di trasporto delle merci che vanno da Oriente a Occidente a quel punto saranno soltanto una parte del problema, insieme al prezzo dell’energia e alla riduzione degli scambi internazionali.


Ma purtroppo le brutte notizie della geopolitica non sembrano fermarsi qui: il nuovo conflitto rischia anche di legittimare il riarmo europeo, con gli enormi sprechi di risorse finanziarie che esso comporta per un continente i cui governi appaiono molto indebitati, incapaci di conseguire l’equilibrio di bilancio e bisognosi di sostenere con incentivi fiscali lo sviluppo economico.

IL CONFLITTO ALIMENTA RIARMO E INSTABILITÀ

E c’è di più: la polveriera mediorientale sta minando in profondità il processo di rinnovamento politico americano che, con la vittoria di Donald Trump, sembrava sul punto di rivoluzionare (in senso pacifista e costruttivo) la geopolitica globale. In altre parole il conflitto in corso mina la leadership politica di Donald Trump, il quale non è riuscito a imporre una pace nell’Europa dell’Est e sull’Iran si è già espresso troppo e a sproposito, facendo capire di conoscere da tempo i piani di assalto da parte d’Israele, dunque addossandosene delle responsabilità che non gli portano alcun beneficio.


LE BORSE HANNO IMBOCCATO LA VIA DELLA PRUDENZA

È probabile dunque che la magra figura fatta da un Presidente al potere da pochi mesi generi ulteriore instabilità politica negli USA e che questa piaccia assai poco ai gestori dei risparmi i quali alimentano (o riducono) l’umore dei mercati finanziari con le loro decisioni in merito alle masse di denaro amministrate. Sentendo puzza di bruciato essi retrocedono dal percorso di restaurazione dell’ottimismo che era appena iniziato, penalizzando i listini azionari e contribuendo al ribasso del Dollaro americano. Questo però è maggiormente vero nel medio termine, una volta che la situazione sia più chiara. Nel breve le borse potrebbero invece addirittura salire, sulla scia delle aspettative di grandi ordinativi militari e di maggior spesa pubblica che, notoriamente, alimenta lo sviluppo economico.

La macroscopica discesa del principale indice a Wall Street

QUALI “ASSET CLASS” CI GUADAGNANO?

Teoricamente la rotazione dei portafogli verso lidi più tranquilli poteva favorire i titoli a reddito fisso, con la conseguenza di possibili ribassi dei rendimenti impliciti, ma fino ad oggi gli unici beneficiari dei capitali in fuga dalle borse americane sono stati Europa e Asia, oltre che ancora una volta oro e criptovalute. Dunque non è da escludere che tale tendenza possa proseguire, penalizzando la crescita dell’economia americana e, di riflesso, quella dell’intero Occidente.


Dunque è lecito attendersi minor crescita e, forse, più inflazione (a causa della possibilità che proseguano i rincari del petrolio). Se ciò si somma agli effetti dei dazi americani sulle merci importate (che pur hanno sempre contato davvero assai meno di quanto fosse strombazzato da una stampa occidentale nel complesso ostile a Trump) il risultato potrebbe appunto essere l’auto-realizzazione delle aspettative di stagflazione che fino ad oggi apparivano infondate.

IL RISCHIO DI UN PETROLIO PIÙ CARO

In realtà non è così sicuro che il petrolio possa consolidare il rincaro degli ultimi giorni, dal momento che c’è nel mondo più offerta che domanda ma, come si può vedere dal grafico sotto riportato, il suo prezzo ha raggiunto la “trendline” di lungo termine. Se la superasse potrebbe avviarsi un lungo ciclo ciclo rialzista.

Prezzo del Petrolio al Barile

E dal momento che l’incertezza potrà anche giustificare un probabile nuovo immobilismo dei banchieri centrali (chi di loro prenderebbe il rischio di scommettere su ulteriori discese dell’inflazione?), possiamo immaginare che i tassi d’interesse non continueranno a scendere o che potrebbero addirittura risalire, penalizzando ulteriormente lo sviluppo economico.


CHI CI GUADAGNA DAVVERO ?

E allora viene da chiedersi: c’è qualcuno che da questa guerra può trovare beneficio? La risposta migliore parrebbe essere: “nessuno” ma, paradossalmente, non è così. Innanzitutto gli sforzi bellici rischiano di svuotare le casse dell’Occidente a favore della grande finanza dal momento che, per sostenerli, c’è molto bisogno di energia, manufatti e materie prime. In secondo luogo essi avvantaggiano l’economia di paesi come Russia, India, Cina e tutti gli altri “emergenti” che esportano “commodities” petrolio, gas e lavorazioni a basso costo. I quali potrebbero decidere che il tempo gioca a loro favore in una situazione del genere, alimentando il conflitto anche per non darla vinta troppo facilmente. Inoltre un indiretto coinvolgimento dei BRICS nella polveriera mediorientale potrebbe permettere all’industria bellica non-occidentale di fare importanti passi avanti, testare tecnologie e tenere impegnato su un fronte scomodo un avversario (l’asse anglo-americano) che già progettava nuove iniziative in Asia e Sud-America.


E la “Corporate America“ osserva che non è poi un cattivo affare vendere altri armamenti e tecnologie ai militari, nonché petrolio e gas dei quali è oramai esportatrice netta. Inoltre uno scenario che vede L’Europa che decide finalmente di riarmarsi e l’America che al,tempo stesso getta nel discredito Donald Trump è esattamente ciò che i “Neo-Conservatori” si auguravano fino a ieri. Dunque anche per essi la prosecuzione del conflitto mediorientale può apparire foriera di grandi profitti e di nuovi scambi commerciali.

LA STORIA POTREBBE RIPETERSI…

Sempre che la storia non arrivi a ripetere biecamente quanto accadde mezzo secolo fa, quando la guerra del Kippur scatenò una serie di instabilità sui mercati che alimentarono ampiamente inflazione e incertezza a lungo termine penalizzando lo,sviluppo economico dell’intero pianeta. Il che difficilmente in questo caso farebbe gli interessi dell’Occidente.

Stefano di Tommaso




APPUNTI DI TRADING

N. 126 – sa 14 giu 2025

Operazioni in essere : nessuna

Giovedì 5.6 era stato venduto 1 AGOSTO MICRO GOLD a 3365, stoppato ve 13.6 alle ore 8.15 del mattino ( apertura della SIM ) a 3443,8 USD ( nella notte è stato saltato lo stop loss di 3430 per attacco di Israele all’ Iran ) con una perdita di 788 USD pari a Euro 685

GOLD AGO 25

GOLD, dopo la vendita a 3365, era sceso lentamente a 3313 ( ago fut ) fino a lu 9.6 per poi risalire ogni giorno, con strappo notturno finale nella notte tra 12 e 13 giugno.

Guarda caso, il capo di Israele ha poi dichiarato ve 13.6 che proprio lu 9.6 aveva informato gli alleati ( USA in primis ) che avrebbe bombardato l’Iran.

Progressiva salita di GOLD e anche del petrolio.

Questo Mercato mette a dura prova.

Difficile lavorare.

Vedremo se romperà la “cifra tonda” di 3500 cash.

Credo dipenderà dagli sviluppi bellici.

Troverei interessante se, diversamente, rompesse in giù, sotto il recente minimo di 3293 GOLD CASH ( corrispondente a 3313 ago fut ) registrato lu 9.6 al mattino, prima delle telefonate di Benjamin.

SILVER LUGLIO 25

Avevo riscontrato che nella settimana 12-16 maggio scadeva un segnale di Tempo di media importanza, in cui SILVER ha segnato un minimo a 31,65 cash ed è risalito fino alla solita area di 33,70 cash, come fosse attirato da un magnete.

Finito maggio, in cui scadeva anche un segnale mensile interessante, già il primo giugno SILVER ha rotto con violenza il doppio top 34,86 – 34,58 sviluppando in un solo giorno un range molto ampio e spingendo poi fino a 36,88.

Quello che era un tetto ( area 33,7 usd ) potrebbe da ora essere un supporto utile per aprire operazioni di acquisto, con stop loss non sopra 31,65 cash.
Continuo ad osservarlo.

SP 500

I livelli :
– area TOP assoluto, vale a dire 6147 del 19 feb 2025 oppure
– circa 5500 ( 50 % della discesa dal 19.2 al 4835 del 7.4, durante lo show del capo )

sono validi anche per il resto di giugno.

Osserverò il comportamento tra 6050 e 6150 circa.

Ha sfiorato a 6059 cash la parte bassa del range che avevo indicato da settimane.

Avendo finalmente trovato un segnale anche su NAS 100 ( 23 – 27 GIU ) preferisco non anticipare la svolta in giù.

Mi auguro che questo Mercato non mi sfugga in basso come ha fatto DOW JONES in febbraio 2025, ma si trattava di un segnale di ben altra portata.

DOW JONES INDU CASH

Sostituito da SP 500, al momento.

Continua a dimostrare meno forza relativa di SP 500.

NASDAQ 100 CASH

NAS 100 presenta un pattern simile a SP 500, ma beneficia di un segnale statisticamente meno affidabile.

Esattamente come SP 500, sta sfiorando il top del 19 feb 2025.

Tecnicamente è giustificata una vendita intorno al top di 22222 cash ma, trattandosi del top assoluto, non esiste uno stop loss grafico e quindi posso operare solo in inversione.

Avendo calcolato un segnale settimanale, non molto importante, per il 23 – 27 giugno, attendo, sperando che rallenti l’azione, nell’attesa che maturi il tempo.

Leonardo Bodini