VENTI DI PACE

L’America è a una svolta epocale relativamente alla “guerra fredda” che ha caratterizzato i suoi rapporti con gli altri paesi egemoni del mondo moderno? È una possibilità, anche se non può essere una certezza. Al di là delle schermaglie tattiche che vedono l’Amministrazione Biden impegnata nella solita retorica di propaganda contro Russia e Cina infatti, è possibile che per l’America sia arrivato il momento di sgonfiare le tensioni con i suoi due più grandi rivali, almeno quanto basta affinché il business intercontinentale possa riprendere vigore.

 

All’indomani delle efferate accuse mosse da Joe Biden a Putin, da un lato, per aver supportato Lukashenko nel dirottamento di un volo interno all’Unione Europea e dell’uscita unilaterale USA (dopo trent’anni) dal trattato “Open Skies” che consentiva la reciproca sorveglianza aerea, e all’indomani delle critiche a Xi Jinping dall’altro lato, per aver coperto la notizia che i laboratori di Wuhan avevano costruito e poi rilasciato il Covid19, oggi la vera posizione politica di Washington sembra essere letteralmente agli antipodi di ciò che sembra.

NORTH STREAM E GOLDMAN SACHS

Il trattato Open Skies era rimasto infatti oramai soltanto un simbolo della reciproca volontà di dialogo, dal momento che bastano e avanzano i satelliti per controllare reciprocamente le mosse militari. E due eventi di non poco conto dovrebbero invece far riflettere gli osservatori ben al di là delle accuse e frasi ad effetto (“Putin è un assassino”) lanciate da Biden & C. sui media occidentali:

  1. il nulla-osta di fatto rilasciato alla Germania per la ripresa dei lavori di completamento del gasdotto “North Stream” che permetterà alla Europa di diversificare le sue fonti di approvvigionamento di gas (e, indirettamente, di energia relativamente pulita) e permetterà alla Russia di fornire maggiori quantità all’Europa aggirando la minaccia di boicottaggio dell’Ucraina;
  2. L’abbassamento delle barriere che impedivano alle grandi banche americane di fare accordi con le loro cugine dell’ex celeste impero, dove un impressionante numero di cinesi ricchi cerca maggiori alternative all’investimento dei propri risparmi. Tale apertura ha permesso a Industrial and Commercial Bank of China (Icbc) la costituzione di una joint venture con Goldman Sachs per la gestione dei patrimoni dei cinesi. Il colosso Usa avrà il 51% del capitale della joint venture, mentre il restante 49% farà capo a Icbc. È la quarta joint venture nella gestione dei patrimoni approvata dalla Cbirc (la CONSOB cinese) dopo quelle degli altri colossi bancari Bank of China, China Construction Bank e Bank of Communications. Una mossa intelligente per attrarre indirettamente capitali verso i mercati americani dove le iniziative (si veda ad esempio il programma di investimenti infrastrutturali) superano le risorse disponibili.

LA TATTICA E LA STRATEGIA

Le accuse di Biden dunque sembrano soltanto mosse tattiche atte a sviare l’attenzione sui reali obiettivi strategici americani. Polemiche a distanza che gli consentono di tenere alta la pressione diplomatica sulla Cina e sulla Russia per spingerle a convenire a sostanziali accordi di fatto. Poco male allora se egli apre ancora una volta a delle ipotesi di complotto. A Biden è sufficiente per mostrare distacco a una ormai schieratissima opinione pubblica occidentale (l’Unione Europea sembra seguire la linea di Biden senza fare eccezioni) e far finta di irritare Mosca e Pechino.

Fa sorridere però che ciò accada mentre sono in corso i primi contatti telefonici tra i delegati per gli scambi commerciali di Stati Uniti e Cina. La rappresentante del Commercio Usa, Katherine Tai, ha riferito di aver discusso il processo di «revisione» delle relazioni commerciali con il vicepremier cinese Liu He. Ha dato notizia del colloquio anche il ministero del Commercio cinese, secondo cui i due funzionari hanno discusso «questioni di comune interesse».

Al centro per gli studi strategici e internazionali americano, il consigliere Scott Kennedy delegato all’economia e agli affari cinesi mostra molto ottimismo circa il nuovo approccio nei confronti di Pechino. Al di là della retorica politica (Biden non può mostrarsi più debole di Trump nei confronti del colosso asiatico) l’America adesso ha bisogno di riaprire il business nei confronti del continente che corre di più nel mondo. E per farlo deve trovare nuove linee di convergenza con l’asse di ferro russo-cinese, che con le ultime sanzioni imposte dagli USA non ha potuto che rafforzarsi ulteriormente.

IL VERTICE DEL 16 GIUGNO


Biden deve inoltre fare qualcosa per rafforzare la sua posizione alla vigilia del vertice russo-americano previsto per il 16 giugno. Sul tavolo una serie di temi, tra cui le prospettive per «l’ulteriore sviluppo delle relazioni russo-americane» (soprattutto economiche). Putin dal canto suo ha mostrato con le sue recenti mosse di voler tirare dritto per dimostrare che nessun tipo di sanzione fermerà la Russia. E dopo le ultime accuse di Biden circa il supporto di Putin al leader della Russia Bianca Lukashenko, sarà più difficile per il presidente americano mostrare i muscoli a quel vertice, rischiando di compromettere i benefici che il mondo degli affari si aspetta da quel summit.

La pace economica è divenuta tuttavia una vera priorità non soltanto per gli interessi americani, ma anche per quelli di tutti gli altri operatori economici occidentali, per mantenere il controllo delle loro partecipazioni in aziende russe e cinesi, per evitare di ostacolare le loro esportazioni in tutti i paesi asiatici ed emergenti, nonché per poter accedere senza problemi geo-politici a quasi cinque miliardi di consumatori e risparmiatori euro-asiatici.

Insomma, questa pace s’ha da fare, come avrebbe fatto dire Alessandro Manzoni ai suoi personaggi. Essa avrà pure un costo politico per Biden nei confronti di Putin e Xi Jinping, ma gliela impongono i suoi grandi elettori e dunque la sua amministrazione non può sottrarsi all’apertura di fatto delle maglie economiche e commerciali nei confronti dei “rivali” ex-comunisti. E poiché non può perdere “la faccia” sui media e nei confronti degli elettori che lo hanno appena votato, deve almeno lanciare strali e bordate verso i rivali storici della “guerra fredda”, sperando che queste non arrivino a compromettere gli equilibri economici.

IL PRESUNTO CYBER-ATTACCO RUSSO

Gli altri leader politici lo capiscono benissimo. E stanno al gioco anche meglio: accettando da un lato di sedersi al tavolo degli affari e approfittando dall’altro lato delle raffiche a salve sparate da Biden per sparare a loro volta qualche bordata anche loro, non necessariamente altrettanto innocua.

Come ad esempio il cyberattacco compiuto nei giorni scorsi in America con il presunto zampino dei servizi segreti di Mosca: un hackeraggio di massa con la tecnica del phishing: dei pirati informatici avrebbero usato un account dell’USAID, l’agenzia federale americana per gli aiuti internazionali, per inviare oltre 3.000 false email a 150 organizzazioni regolarmente in contatto con l’agenzia. Queste email, apparentemente autentiche, conterrebbero un codice che permette agli hacker un accesso ai sistemi informatici delle organizzazioni attaccate, permettendo loro di rubare dati o di infettare i computer di quelle reti. A rivelare l’accaduto è stata Microsoft, secondo cui dietro ci sarebbero hacker del gruppo Nobelium, lo stesso del cyberattacco SolarWind dell’anno scorso, ritenuto da Microsoft «il più grande e sofisticato mai visto al mondo», di cui sono rimaste vittime numerose agenzie governative e aziende americane. Nobelium è ritenuto (senza alcuna prova in tal senso) vicino al SVR: il servizio di intelligence russa.

E I MERCATI SI RILASSANO

Ma il successo del summit di metà giugno -gli esperti assicurano- è quasi certo. E per i mercati finanziari questa è una buona prospettiva. Così come è molto probabile che al via libera della Cina alla Goldman Sachs per offrire i propri servigi a oltre 800 milioni di cinesi clienti della ICBC corrisponderà qualche altro via libera che l’amministrazione Biden dovrà concedere ad imprese cinesi in America.

E questo fatto non può che tranquillizzare ulteriormente i mercati finanziari, che sembrano navigare piuttosto calmi in attesa dell’estate. La geopolitica li aiuta in tal senso. E non potrà che aiutare a limitare i rischi di un’ impennata dei prezzi dei petrolio e gas.


Anche il Dollaro ha ripreso un po’ fiato, mentre era stato stretto alle corde della svalutazione anche dal rischio che cinque miliardi di individui nel mondo arrivassero a cessare di utilizzarlo per le transazioni internazionali. Le aperture americane al business con russi e cinesi servono anche a questo, anche se più che una “pace fredda” per il momento sembra soltanto una speranza di armistizio.

Stefano di Tommaso

 




LE BANCHE ACCELERANO LE AGGREGAZIONI ANCHE PERCHÉ CAMBIA LO SCENARIO DI RIFERIMENTO

Il settore bancario è in tensione per riuscire ad affrettare le aggregazioni possibili. L’ultima mossa a sorpresa, quella di Cimbri che lancia un rastrellamento del 6,6% di azioni della Banca Popolare di Sondrio per salirne al 9,5% del capitale e diventare il principale singolo azionista. D’altra parte è così che sembra svolgersi il processo di aggregazioni bancarie in Italia: per colpi di scena.

 

L’iniziativa imprime una forte accelerazione nel Risiko delle fusioni e acquisizioni bancarie, anche perché lascia di sasso i vertici della BPM che a questo punto rischiano di avere solo un’ultima chance per aggregarsi a qualcuno: quella di cedere alle “avances” dell’Unicredit, l’altra grande banca italiana (dopo Intesa) che sarebbe pronta pur di avere una buona scusa per non infilarsi nell’incubo-MontePaschi, viste le pressioni politiche che ne subirebbe di conseguenza.

Anche quest’ultimo gruppo bancario però, l’ultimo controllato dallo Stato dopo il salvataggio recente, presto o tardi dovrà stringere matrimonio, anche perché con l’impasse che lo caratterizza rischia di perdere valore ogni giorno che passa. Un vero peccato però, perché la pioggia di denaro arrivata dalla Banca Centrale Europea e che sta per arrivare con il Recovery Fund e gli strumenti accessori, rischia di essere l’ultima boccata di ossigeno per un settore bancario italiano destinato a forti trasformazioni a causa della concorrenza internazionale e delle nuove tecnologie informatiche. Per il Monte Dei Paschi l’ipotesi più probabile se -come sembra- Draghi vuole accelerare- è quella dello spezzatino, cui tutti i grandi istituti sarebbero invece interessati.

Ma la vera partita nel risiko bancario deve ancora cominciare -probabilmente il prossimo anno- quando le pressioni della Commissione Europea si faranno più forti per altre integrazioni, questa volta transalpine. La rivoluzione digitale non perdona e nessuno degli istituti nazionali sta veramente perseguendo in proprio una vera trasformazionale, anche perché non ne ha convenienza al momento: con un mercato estremamente protetto dove l’unica concorrenza arriva dal mercato dei capitali ma dove la stragrande maggioranza delle imprese è invece a carattere famigliare ed è di piccola o piccolissima dimensione, chi glielo fa fare a investire pesantemente nelle nuove strutture digitali?

Glielo farebbe fare una corretta strategia di mercato, dal momento che il mondo va velocemente verso quella direzione, ma oggi il mercato è ancora fortemente protetto dalla concorrenza ed è dunque più conveniente l’ aggregazione con altri gruppi e con i gruppi assicurativi, che oramai sono più o meno tutti collegati a qualche attività bancaria, quantomeno sul fronte del private banking (cioè della raccolta del risparmio).

Il vecchio modello di business delle banche poi è destinato a scomparire anche per un altro motivo: la tendenza degli asset immateriali (software, diritti, marchi, brevetti) a prevalere su quelli materiali. Di conseguenza il concetto di “garanzia” sui prestiti è destinato ad affievolirsi, per lasciar spazio alle prospettive di reddito, che però riguardano le organizzazioni fatte di molti uomini. Le imprese potranno dunque trovare capitali e finanziamenti sulla base del loro vero valore, fatto di flussi di reddito incerti che meglio possono venire stimati dal mercato dei capitali. Alle banche tradizionali resteranno (ancora per un po’ ) i sistemi di pagamento tradizionali e i clienti privati, ma converrà sempre meno erogare mutui aziendali.

Chi rischia di farne pesantemente le spese saranno inevitabilmente le imprese (soprattutto le più piccole), dal momento che i prestiti loro erogati continuano a calare e che l’alternativa del mercato dei capitali c’è soltanto se queste riescono a raggiungere determinate soglie dimensionali. D’altra parte la pressione cresce anche per queste ultime, dal momento che anche per loro gli investimenti in generale saranno sempre più urgenti, è in particolare anche per loro la parte del leone la faranno i processi di trasformazione digitale.

C’è un’altra vittima del risiko bancario, ma non si vede: il moltiplicatore del credito, che tende inevitabilmente a ridursi man mano che le aggregazioni proseguono e il totale dei prestiti erogati scende. Dunque la liquidità del circuito finanziario italiano si riduce, e con essa la ricchezza dei suoi cittadini. Ma c’è qualcuno che ne parla in giro? A me non sembra proprio…

Stefano di Tommaso




SARANNO GLI INVESTIMENTI A FARE LA DIFFERENZA

Cosa sta succedendo sui mercati con l’arrivo della ripresa economica? E’ reale o immaginaria? L’inflazione devasterà i risparmi o contribuirà a stabilire un nuovo equilibrio? L’uscita dalla pandemia provoca come sempre opportunità e minacce. E l’esito della sfida sarà costituito da qualità e quantità degli investimenti che saremo capaci di sviluppare.

 

I CICLI DELLE BORSE SONO SFASATI CON L’ECONOMIA

Fa sempre un certo effetto notare come i cicli delle borse siano spesso praticamente agli antipodi rispetto a quelli dell’economia reale: siamo stati sino a ieri per un anno intero in forte precarietà dell’economia reale ma i listini delle borse crescevano come non ci fosse un domani.

Ora che invece finalmente la pandemia arretra e la crescita economica globale sembra essersi consolidata e persino in Europa si parla di un forte rimbalzo del prodotto interno lordo (P.I.L.), le borse tendono al ribasso, sebbene in misura moderata.

I tassi d’interesse, sebbene oggi tendano al rialzo, sino ancora sotto ai minimi storici e le valutazioni delle società quotate restano decisamente elevate, soprattutto in America, come si può vedere dall’andamento dell’indice C.A.P.E. (cyclically adjusted price-earnings multiple, che compara le quotazioni alla media dei profitti reali degli ultimi dieci anni) elaborato dal premio Nobel Robert Schiller:

Il punto è che se oggi la crisi economica appare superata, allora la creazione di liquidità da parte delle banche centrali dovrà essere arrestata. E se si ridurrà la liquidità in eccesso che ha sorretto i listini delle borse oltre le leggi della gravità, allora anche tassi d’interesse non potranno che riprendere a salire e le valutazioni d’azienda saranno meno generose.

LA LIQUIDITÀ IN CIRCOLAZIONE È ECCESSIVA

Ma davvero il ritorno alla crescita economica globale è stabilmente acquisito? Per il momento i segnali macro sono positivi, anche se meno di come si poteva pensare. Ed è vero che di conseguenza le banche centrali non potranno che chiudere i rubinetti? Non vi sono certezze al riguardo, né segnali chiari da parte delle autorità monetarie (anzi: fino a ieri hanno affermato l’esatto opposto) ma a volte sono sufficienti le aspettative degli operatori per generare effetti sui mercati.

D’altro canto bisogna ricordarsi che la percezione di liquidità in eccesso non dipende soltanto dalla quantità di moneta complessivamente disponibile, ma anche dalla velocità di circolazione della stessa. Velocità che, con il ritorno dell’inflazione e con il rialzo dei P.I.L., dovrebbe necessariamente aumentare, controbilanciando l’eventuale “tapering” (riduzione) della liquidità che dovessero decidere di operare le banche centrali.

I FATTORI DI TURBOLENZA DELLE BORSE

Nessuno dunque si aspetta davvero un crollo dei mercati, ma (almeno in America) una “tosatura” probabilmente si, a causa della coincidenza di diversi fattori:

  • i tassi e l’inflazione in risalita,
  • la pandemia che non è ancora debellata,
  • la stagione turistica estiva oramai compromessa,
  • la scarsa cooperazione tra i membri dell’Unione Europea per procedere speditamente sui vaccini e sui fondi del ”Next Generation EU”,
  • i venti di guerra in medio oriente e
  • la forte risalita dei prezzi delle materie prime (che potrebbe danneggiare i margini industriali).

A ben guardare le borse, dopo gli eccessi visti fino si primi di maggio, sembrano più che altro entrate in una nuova fase di decisa turbolenza che, favorita dall’incertezza e dall’inflazione, rischia di permanere ancora a lungo e non aiuta la crescita ulteriore dei listini, anzi la penalizza. E più la turbolenza cresce, meno è facile individuare la tendenza di fondo dei mercati. Ma le borse sono lontane dall’aver innestato una spirale negativa che possa anche lontanamente rassomigliare a quella del marzo 2020!


MA NULLA È COME SEMBRA, NEMMENO L’INFLAZIONE

Persino l’inflazione non è così certo che tornerà a consumare decisamente (come oggi appare) il valore reale di risparmi, attività finanziarie e valute di conto. Il prezzo del petrolio ad esempio è raddoppiato in un anno ma il fatto è che molti prezzi di riferimento sui quali calcolare gli scostamenti un anno fa erano appena precipitati ai minimi storici di sempre e quindi la sensazione di una ventata inflazionistica di stampo argentino di questi giorni (soprattutto oltreoceano, dove anche la ripresa economica di è più consolidata), potrebbe risultare nei prossimi mesi fortemente ridimensionata, quando i prezzi di un anno prima con i quali confrontare i rincari saranno quelli di giugno o luglio 2020 e non di marzo o aprile 2020.

Tutto potrebbe congiurare insomma per l’inversione delle principali tendenze osservate nell’ultimo mese (borse giù, inflazione e PIL sù), ma in realtà esistono molti motivi per i quali si può affermare che piuttosto che invertirsi, tali tendenze risulteranno probabilmente soltanto più moderate. A partire da quella del rialzo dei prezzi e dei tassi d’interesse, sino a quella della crescita economica, passando per delle probabili manovre di moderazione degli effetti eccessivi della creazione di liquidità da parte dei regolatori di mercato. Manovre di “tapering” di fatto, che in America sono già in corso anche se poco strombazzate.


La Federal Reserve Bank of America fa bene a disinnescare la componente speculativa della domanda con massicce vendite di titoli sul mercato aperto. In Europa invece non ce n’è bisogno perché ci vorrà altro tempo per registrare una concreta ripresa: il primo trimestre 2021 ha dato segnali contrastanti per il P.I.L.

DOPO IL “RIMBALZO” COSA ACCADRÀ ?


Comunque vada il ritorno alla crescita stabile e duratura dell’economia reale porterà con sé necessariamente un po’ di inflazione (quantomeno per la crescita del prezzo dell’energia), ma potrà anche favorire la ripresa degli investimenti produttivi e tecnologici, oltre a quelli infrastrutturali dove il ritardo accumulato era maggiore. Anzi è molto probabile che la vera partita l’Europa se la giocherà sugli investimenti, pubblici e privati, produttivi e tecnologici, infrastrutturali e in attività immateriali.


Sarà dunque probabilmente soltanto l’intensità gli investimenti a decretare la durata della “bonanza” che ci si aspetta possa raggiungere il suo apice intorno alla fine dell’anno in corso. Poi il rimbalzo tecnico si sarà esaurito e torneranno a contare soprattutto i “fondamentali”. Le imprese che avranno trovato il modo di coprire grandi e intelligenti investimenti resteranno competitive e redditizie, le altre probabilmente chiuderanno prima di quando ci si aspetta perché, con l’arrivo dell’inflazione strutturale, non riusciranno a trasferire al loro mercato gli incrementi dei prezzi dei fattori di produzione.

Gli investimenti perciò faranno la differenza, a livello di divise di conto ed aree valutarie, come a livello di distretti industriali e singole imprese. Questo è probabilmente il momento migliore per metterli in atto, prima che l’ “output gap” (cioè la differenza tra il prodotto lordo attuale e quello potenziale) si riduca a zero (cosa che succederà a causa della ripresa e dell’inflazione).

È IL MOMENTO DI AGIRE !

Oggi le risorse finanziarie, per chi le cerca davvero, si trovano. E quelle liquide si possono ancora investire con profitto. Le opportunità di collaborazione, aggregazioni, acquisizioni e ricapitalizzazione sono molte, tanto per le nazioni quanto per le imprese e i privati. Il momento insomma è propizio per agire. Bisogna “solo” pianificare subito le iniziative e perseguirle con molta oculatezza. Ma questa grande opportunità non può durare in eterno e la finestra offerta dal rimbalzo post-pandemico si richiuderà necessariamente molto presto. Quando ciò avverrà qualcuno potrebbe non essere più in affari, mentre l’inflazione avrà iniziato a erodere il valore delle risorse liquide. Qualcuno ne avrà approfittato per fare il grande salto. Qualcuno avrà perduto l’occasione.

I cicli economici ci insegnano che sono destinati a ripetersi senza fine, ma la storia economica ci insegna anche che al termine di ciascuno dei suoi cicli niente è come prima. E come se non bastasse la concorrenza per aggiudicarsi le risorse disponibili, ci sarà anche l’inflazione a rimescolare le carte e a ridurre il valore dei debiti in essere. Probabilmente sarà anche l’unico rimedio possibile, insieme a quello della crescita economica, per porre riparo agli eccessi di indebitamento di questi anni.

Stefano di Tommaso




L’INFLAZIONE SPEGNERA’​ LE BORSE ?

Quasi tutti concordano sulla possibilità che la fiammata d’inflazione in arrivo possa risultare passeggera, dal momento che per poter durare a lungo l’inflazione dovrebbe essere sostenuta da un ritorno importante alla crescita economica delle principali economie del mondo, arrivando a far prevalere la domanda sull’offerta di beni e servizi. Per lo stesso motivo le banche centrali continuano imperterrite ad erogare i loro incentivi monetari (cioè sino a quando non vi saranno segnali concreti di stabile ritorno alla crescita economica) e, di conseguenza, continuano a non lasciar crescere i tassi d’interesse a lungo termine.

 


L’INFLAZIONE IN ARRIVO SEMBRA SOTTOSTIMATA

Ma quanto è credibile che la ripresa economica globale possa risultare effimera? Ci sono indicazioni contrastanti in proposito i quali lasciano il dubbio che stiamo semplicemente assistendo al rimbalzo delle aspettative. E ci sono altri fattori che potrebbero ugualmente far crescere eccessivamente i prezzi su tutta la filiera produttiva (dalle materie prime ai prodotti finiti) anche laddove le condizioni economiche complessive non dovessero migliorare significativamente, come il prezzo dell’energia, che si diffonde nel mondo istantaneamente.


È chiaro che uno scenario di “stagflazione” (stagnazione più inflazione) risulterebbe in uno dei fiaschi peggiori possibili per le banche centrali occidentali. Scriviamo questo anche perché ci sono dati relativamente poco lusinghieri circa la solidità del ritorno alla crescita economica, quali il mancato ritorno alla piena occupazione e una relativa scarsità degli investimenti produttivi.

D’altra parte se qualcosa sembra davvero essersi materializzata in pochi mesi (sebbene non si sappia quanto possa durare) questa è l’inflazione dei prezzi: praticamente non c’è materia prima o genere di prima necessità alimentare che non abbia in corso un rincaro. Per non parlare dei prezzi di petrolio ed energia, ove c’è anche parecchia speculazione e forti interessi ad una loro risalita. Dunque l’inflazione sarà anche provvisoria, ma in America ha già sfondato abbondantemente quel muro psicologico del 2% che le banche centrali si erano date come obiettivo (arrivando al 4,2% in media con punte settoriali del 10+%) e nel resto del mondo rischia di essere solo questione di tempo perché accada lo stesso.

QUANTO DURERÀ ?

Resta perciò da verificare se anche la crescita economica sia tornata vigorosa ovvero assistiamo soltanto ad un rimbalzo tecnico dopo la caduta dei consumi dello scorso anno. E qui la faccenda si fa più complicata, dal momento che le misure ancora in vigore di restrizione alla libera circolazione delle persone sembrano sul punto di essere rimosse, ma in buona parte del mondo non lo sono ancora.


E poi la pandemia ha indubbiamente accelerato i processi di trasformazione digitale dell’economia e nessuno può sapere davvero in questo momento che fine faranno tutti i lavoratori e le imprese che sono rimasti ai margini di tali cambiamenti, nemmeno negli U.S.A. Dunque il rischio di stagflazione rimane più che mai vivo perché importanti studi dimostrano che c’è una forte vischiosità temporale tra il momento in cui le nuove tecnologie buttano fuori mercato le attività economiche basate su quelle vecchie e il momento in cui le prime generano ricchezza, profitti, crescita e occupazione.

COME IMPATTERÀ SUI PROFITTI ?

Ma se anche la ripresa mostrasse di poter continuare oltre il rimbalzo “tecnico”, la vera domanda che interessa ai mercati finanziari riguarda i margini di profitto: con l’arrivo dell’inflazione essi cresceranno o decresceranno? Se si trattasse soltanto di trasferire i maggiori prezzi dalle materie prime verso i clienti finali sarebbe più probabile che i profitti subissero delle battute d’arresto, quantomeno per le vischiosità intrinseche nella filiera produttiva che non riesce istantaneamente a trasferire i rincari delle materie prime nei prezzi dei prodotti finiti.

Ma se accanto all’inflazione si manifestasse anche una non troppo temporanea crescita economica ecco che la domanda di beni e servizi supererebbe stabilmente la loro offerta e che quindi anche i profitti delle imprese potrebbero tornare a correre più che proporzionalmente, ingrassando indirettamente i valori d’azienda e dunque il tono generale dei listini azionari. Una vera e robusta crescita economica globale insomma (anche al netto del rialzo dei tassi d’interesse che si porterebbe inevitabilmente dietro), potrebbe far bene alle quotazioni delle borse valori.

L’OTTIMISMO SUPERA IL PESSIMISMO

Il mondo sembra volerci credere, non foss’altro che perché la domanda di financial assets (titoli) supera di gran lunga l’offerta a causa della liquidità globale che continua a crescere. È chiaro che ogni volta che gli indici di borsa si avvicinano alle quotazioni massime qualcuno pretende di realizzare le plusvalenze e liquida alcune posizioni. Ma come andrà davvero non lo si può dedurre dalle correzioni in corso, dal momento che l’enorme liquidità dei mercati ne amplifica la volatilità dei corsi.


E -nel dubbio- di segnali positivi ce ne sono almeno quanti quelli negativi. E di voglia di soffermarsi su questi ultimi ce n’è sempre meno. Ma l’inevitabile volatilità in arrivo nei prossimi mesi renderà il “gioco” in borsa assai arduo che in passato per i più deboli di cuore. È piuttosto probabile che scenari globali alla “Goldilocks” (la bambola dai riccioli d’oro che preferisce situazioni stabili e intermedie) faremo fatica a vederne ancora, mentre la tendenza al rialzo dei prezzi e quella di tensione sui tassi d’interesse reali (cioè al netto dell’inflazione) consigliano caldamente gli investimenti in beni dell’economia reale aziende industriali ed immobili e, più ancora, di affidarsi ad operatori professionali piuttosto che fare da soli.

Stefano di Tommaso