LA GRANDE TRANSIZIONE

L’ECONOMIA GLOBALE SI ACCINGE AD UNA GRANDE TRANSIZIONE VERSO L’INDUSTRIA “VERDE” E L’EFFICIENZA ENERGETICA. QUALI OPPORTUNITÀ PORTA E COME CAMBIANO LE VALUTAZIONI D’AZIENDA ?
DOPO LA PANDEMIA
La pandemia COVID-19 ha fatto tanti morti, ha distrutto interi settori economici e confinato in casa per un po’ di tempo buona parte dell’umanità. Soprattutto tra le classi sociali più disagiate molti hanno subìto umiliazioni, perduto il lavoro e con esso quel minimo di dignità che assicurava loro un ruolo nella società. Ma, un po’ come succede con le guerre, le carestie e i disastri naturali, indubbiamente le precauzioni imposte dalla pandemia hanno scatenato l’attenzione collettiva alla casa, alla famiglia, alla salute e i ai valori fondamentali della vita. Hanno accelerato i processi di cambiamento e fatto tornare prepotentemente in luce l’attenzione all’ambiente, alla sanità e al progresso (anche tecnologico) dell’umanità.
Anche l’attenzione alle responsabilità sociali di chi dirige la società civile è divenuta oggi più diffusa, gettando una luce nuova sulle tipologie di business che sono più sensibili a questo tema, o che sono di più sulla bocca di tutti, e sulla necessità che le nuove normative facciano tutto il possibile per contribuire alla preservazione dell’ambiente.
UN NUOVO ORIENTAMENTO
I governi hanno ripreso con decisione i grandi progetti infrastrutturali su alcuni dei quali hanno addirittura dovuto riscoprire il ruolo imprenditoriale dello Stato e la necessità di collaborare con l’industria, incentivando talune attività e penalizzandone altre.
È nota ad esempio la decisione della nuova Commissione Europea di ridurre progressivamente le emissioni che provocano l’effetto-serra, con vaste conseguenze per tutti i mezzi di trasporto, per le attività fortemente energivore e persino per gli allevamenti animali, ed è recentissima la decisione europea di mettere al bando tutti gli articoli in plastica monouso e tutte le produzioni basate su materiali che verranno poi dispersi nell’ambiente. Giustamente, le associazioni degli industriali hanno fatto notare che in tal modo interi settori economici verranno cancellati o fortemente ridimensionati, e che il costo sociale di tali scelte deve essere opportunamente considerato.
Al tempo stesso un’altra filiera industriale, quella collegata al concetto di mobilità sostenibile, ha avuto fortissimo impulso e sta godendo di generosi incentivi pubblici. Lo stesso vale per la produzione e la conservazione di energia da fonti rinnovabili e -ancor più- per la ricerca, la produzione e la distribuzione di farmaci e integratori alimentari che possono dare sollievo o fornire sicurezza.
I TEMPI SONO MATURI PER UNA GRANDE TRANSIZIONE
Tutto questo accelera processi iniziati già da tempo ma che oggi stanno finalmente venendo alla luce: il progressivo invecchiamento della popolazione, la diffusione delle nuove forme di telecomunicazione e dei mezzi informatici, le prime applicazioni dell’intelligenza artificiale, le prime manipolazioni genetiche e le nuove stimolazioni immunitarie, così come le prime applicazioni di arti e organi bionici a quelle parti del corpo che non sono guaribili o non sono adeguate alle necessità di assicurare una vita attiva più lunga e un forte miglioramento delle condizioni di vita del genere umano (sempre più caratterizzato da forte sedentarietà). Le premesse tecnologiche per una nuova rivoluzione industriale c’erano insomma già tutte, ma lo shock post pandemico ne ha esaltato pervasività e velocità di diffusione.
IL GREEN NEW DEAL
Oggi a tutto ciò si aggiunge la grande sfida del “Green New Deal”: un insieme di riforme sociali ed economiche intraprese dal presidente Roosevelt in risposta alla grande depressione di un secolo fa. Esso combina l’approccio economico interventista di Roosevelt con concetti fortemente ambientalisti, l’efficienza energetica, l’economia circolare e la produzione di energia da fonti rinnovabili.
La sfida, lanciata dai soliti americani ma immediatamente raccolta dai governi di tutto il resto del mondo è in apparenza soltanto uno slogan. Ma l’attenzione alle attività economiche che rispondono ai criteri “ESG” (acronimo che sta per Environmental, Social, Governance: si utilizza in ambito economico/finanziario per indicare tutte quelle attività legate all’investimento responsabile che tengono in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di correttezza della governance) sta contribuendo a focalizzare l’attenzione degli investitori sui titoli quotati di imprese che hanno abbracciato criteri di rispetto per l’ambiente e relative certificazioni, come il bilancio sociale, o il rendiconto sulla Corporate Social Responsibility, conosciuto in Italia come Bilancio di sostenibilità.
VERSO L’ECONOMIA CIRCOLARE
Una tendenza, quella verso l’economia “verde”, che oggi si è quasi liberata da connotazioni politiche e sociali, e che a maggior ragione sembra destinata a incidere nelle nostre vite e sui nostri portafogli ben al di là di quanto ancora riusciamo ad immaginare, anche perché -appunto- non è soltanto uno slogan: l’esigenza di proteggere la natura (e con essa l’ambiente in cui viviamo) è davvero divenuta pressante. In queste condizioni (cioè con il rischio che incombe di possibili disastri ambientali) è normale che si generi una profonda transizione verso scelte “ecologiche” e che questa transizione possa modificare parecchio i mercati di sbocco di prodotti e servizi, così come l’approvvigionamento delle materie prime o delle risorse finanziarie.
COME CAMBIA IL MONDO DI CONSEGUENZA?
Non che non vi risiedano intorno dei rilevantissimi interessi economici, anzi! Probabilmente sono proprio loro alla regia di buona parte delle scelte più importanti di governi e organizzazioni internazionali ma, prima ancora di decidere se si vuole filosofeggiare al riguardo, occorre chiedersi come cambia di conseguenza il mondo e come si può reagire in maniera proattiva a queste tendenze. Occorre chiederselo in qualità di cittadini, di consumatori, di membri di nuclei familiari, di comunità urbane e di aggregati sociali, così come occorre chiederselo nella veste di operatori economici di ogni genere, e in quella di professionisti, dirigenti, intellettuali, imprenditori e investitori del risparmio e della previdenza.
La “nuova normalità” è sì già dappertutto, ma è altresì anche appena arrivata. Non ha ancora fatto in tempo a penetrare in profondità nella coscienza collettiva, non ha ancora rivoluzionato seriamente l’industria, i consumi, gli investimenti e le modalità di vita quotidiana. E questo genera grandissime opportunità. La transizione all’economia “verde” richiederà di rinnovare su vastissima scala l’industria, il commercio, i servizi, l’intrattenimento, l’alimentazione, i trasporti, le abitazioni e tutte le attività sociali. I programmi del “Green New Deal” -nella loro aspirazione ideale- tendono a combinare l’innovatività industriale e tecnologica con la tutela dei lavoratori, della loro salute e dell’ambiente che li circonda, e con la riduzione delle barriere che limitano la diffusione delle informazioni, delle conoscenze e del benessere. E se tutti (o quasi) i governi li adottano, allora anche produttori e consumatori dovranno prenderne atto.
NUOVE FORME DI COLLABORAZIONE CON LO STATO

Per raggiungere tali risultati le pubbliche amministrazioni non potranno che promuovere nuove forme di collaborazione con le imprese e con le istituzioni finanziarie. Anche perché essi richiedono investimenti stratosferici e grandissima mobilitazione generale. E questa volta tutti sembrano volere (e dovere) fare molto sul serio perché in gioco è il futuro del pianeta. I complottisti avranno molto da commentare ma indubbiamente non è soltanto un’urgente esigenza collettiva: è anche un’occasione di quelle che si presentano poche volte nella storia: la mobilitazione di enormi forze in campo genera grandissime opportunità d’affari e generosissime opportunità di investimento. A tutti i livelli. La collaborazione delle banche centrali e i nuovi orientamenti della fiscalità a favore delle scelte ecologiche liberano anche le risorse per riuscirci e l’euforia dei mercati finanziari a sua volta traduce queste opportunità di business in condizioni di migliore fattibilità di praticamente qualsiasi progetto che vada a inserirsi nel solco e nella direzione del “green new deal”.
COME CAMBIANO LE VALUTAZIONI DELLE IMPRESE
Anche le valutazioni delle imprese che meglio rispondono ai criteri che oggi vanno per la maggiore possono risultare molto generose, molto più di quanto sarebbe stato in tempi di normale ripresa economica e di tassi temporaneamente bassi. Questo comporta anche taluni eccessi, come certe famigerate “meme stocks”, le cui quotazioni risultano estremamente elevate ed estremamente speculative. Ma è ciò che succede quando c’è euforia sui mercati e non è detto che qualcuna di esse (ad esempio: “beyond meat”) non possa risultare in un buon investimento nel lungo termine, così come lo sono stati Google e Tesla.
Oggi sappiamo che la mobilitazione generale verso la grande transizione ecologica potrà favorire l’immissione di ancora molta liquidità sui mercati e probabilmente ancora molto a lungo. Questo farà si che le nuove tecnologie “verdi” saranno ancora una volta probabilmente le più favorite, insieme a tutto ciò che accompagna la trasformazione digitale, la cura della salute, la prevenzione delle disgrazie, la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali e di nuovi sistemi di convivenza civile improntati al controllo di emissioni nocive, al riciclo delle scorie, delle materie prime e delle risorse primarie, come l’acqua e l’ossigeno.

Occorre tenerlo presente non soltanto perché tutto questo potrà generare ottime opportunità d’affari, ma anche perché tutto ciò che viceversa non potrà rispondere ai criteri ESG sarà necessariamente e inevitabilmente penalizzato, svalutato, destinato a subire normative più stringenti, e sarà soggetto a sempre minore consenso da parte dei consumatori più giovani, che risultano più sensibili al cambiamento di paradigma. Sotto il profilo degli svantaggi che la transizione comporterà occorre poi ricordare che per molte imprese l’accesso al mercato dei capitali e quello alle contribuzioni pubbliche risulterà fondamentale onde poter reperire le risorse necessarie per supportare gli importantissimi investimenti necessari.
LA NECESSITÀ DI FORTI INVESTIMENTI
La barriera finanziaria potrà dunque di per sé costituire un micidiale setaccio per comprendere quali attività saranno favorite e quali svantaggiate. Anche quella dimensionale risulterà altrettanto terribile: al di sotto di determinate dimensioni aziendali le imprese (già oggi sottoposte alla concorrenza globale) non potranno mai qualificarsi per i fondi che investono in titoli ESG o non riusciranno a fare il salto tecnologico e strutturale che le nuove tendenze richiedono. Anche questo congiurerà perché si moltiplichino le opportunità di compravendita delle stesse, come quelle di aggregazioni e collaborazioni esterne onde evitare di soccombere. Il problema, già grande di per sé, sarà particolarmente importante per il frastagliatissimo panorama industriale italiano.

Ma le fusioni e acquisizioni tra imprese sono da sempre anche un’ottima occasione di profitto, di liberazione di nuove risorse, di generazione di sinergie e nuove opportunità, di crescita del valore dei relativi titoli quotati in borsa e di finanziamento del rinnovamento. E quest’anno le statistiche indicano che saranno battuti tutti i record in tal senso. Sarà probabilmente l’anno record per le fusioni e acquisizioni d’azienda, anche se non è detto che la tendenza di limiti soltanto all’anno in corso.
MA LA TRANSIZIONE PORTA GRANDI OPPORTUNITÀ
Dunque anche per le imprese italiane la minaccia può divenire un’opportunità. La necessità una virtù. Ed è anche per questo motivo che restiamo tutto sommato ottimisti sulla tenuta delle mirabolanti quotazioni delle borse valori: le opportunità di crescita economica derivano anche dai profondi processi di razionalizzazione che non potranno che essere provocati dal cambiamento!
Il percorso verso la grande transizione ovviamente non sarà perfettamente lineare. Anzi! Come tutte le rivoluzioni anche quella “verde” comporterà un bel numero vittime, di nodi da sciogliere, di problemi conseguenti, di incidenti di percorso e di battaglie senza quartiere. L’impetuosa crescita economica in corso (di rimbalzo dopo il pesante stop) ha generato un’inflazione che minaccia di incombere e offuscarla, i debiti crescono e quelli pubblici preoccupano, le diseguaglianze tendono a prevalere, la scarsità di determinate risorse (come l’acqua e i terreni agricoli) si accentua. Nel frattempo i disastri naturali si moltiplicano, anche a causa della tropicalizzazione del clima. Il sistema sanitario tende a cedere sotto i colpi delle conseguenze della pandemia.
Eppure accanto a tutti questi problemi risiedono grandi opportunità, grandi miglioramenti complessivi sono in arrivo per tutti, con la speranza che essi si traducano anche in maggior benessere collettivo. La transizione è in atto, ed è inesorabile. Conviene orientarsi di conseguenza, invece di farsene travolgere.
Stefano di Tommaso

Occorre anche ricordare il fatto che l’America ha inaugurato -dopo le elezioni presidenziali- un nuovo corso politico (con l’avvento dei Democratici al potere) che spinge verso una maggiore tassazione delle attività economiche ed una maggiore spesa pubblica, soltanto parzialmente orientata a colmare i divari sociali. In realtà il grosso della spesa e delle nuove politiche fiscali dei Democratici vuole indirizzare maggiori risorse verso la tutela dell’ambiente (tutela anche solo apparente, come nel caso delle vetture elettriche) e verso le nuove infrastrutture.

ANCHE L’ETERNO LIMBO CREATO DALLE NUOVE TECNOLOGIE CREA PROBLEMI SOCIALI
In questa situazione i consumi -soprattutto quelli europei dove la ripresa stava facendo capolino soltanto adesso- diventano più volatili, meno prevedibili, meno razionali e ancor più basati sul credito di quanto lo fossero prima della grande crisi del 2008-2009 (con il rischio che una nuova valanga di debiti insoluti possa travolgere nuovamente i mercati finanziari). La situazione economica reale insomma è abbastanza pesante, soprattutto a casa nostra, mentre in estremo Oriente e in America è sicuramente migliore.
Questa situazione favorisce anche quelle imprese che sono meno importanti ma sono esportatrici di macchinari, tecnologie e sistemi infrastrutturali, delle quali hanno spesso più bisogno le grandi corporations che non le piccole realtà. L’elettronica, la meccanica di precisione e i produttori di macchinari per l’industria vedono perciò volare il loro portafoglio ordini, anche se fanno più fatica di prima ad assicurarsi un margine positivo sulle vendite, dal momento che i prezzi dei fattori produttivi rischiano di salire più di quelli dei prodotti finiti.
Lo stesso vale per le startup innovative: anche di queste le grandi corporations hanno molto bisogno e sono disposte a strapparsele di mano a colpi milionari. La creazione di ricchezza dunque oggi passa molto di più per la finanza che non per la crescita industriale.
È il trionfo dell’economia di carta, anzi oramai dell’economia completamente digitalizzata, su quella reale e sulle effettive sorti del benessere economico collettivo. Le disparità sociali, di reddito e di patrimonio, con l’attuale congiuntura tendono perciò inesorabilmente ad ampliarsi. E nessuno prende ancora seriamente in considerazione il rischio di forti scollamenti sociali o di grandi sommovimenti politici.
Ragione per cui possiamo facilmente prevedere che l’immissione di liquidità da parte delle banche centrali occidentali (e soprattutto di quella europea) continuerà nonostante gli effetti negativi che comporta sulla crescita dei prezzi e sulle disparità sociali. Possiamo inoltre facilmente prevedere che, con l’arrivo dell’inflazione, anche i tassi d’interesse dalle nostre parti risaliranno più che in America o in estremo Oriente e che in Europa l’inflazione potrà crescere ancor più dei tassi d’interesse, pur senza che la ripresa economica dell’Euro-zona possa eguagliare le attuali (elevate) aspettative.
La fiammata inflazionistica partita alla grande dagli Stati Uniti ci metterà probabilmente qualche mese a trasmettersi appieno nel resto del mondo, quantomeno a causa del rialzo dei prezzi dell’energia e della tecnologia.
Ma i mercati borsistici nei giorni scorsi hanno preso paura, in particolare lo scorso giovedì, dopo il discorso del governatore della Federal Reserve Bank of America, Jerome Powell. E questo nonostante il fatto che ad acquistare i titoli a reddito fisso non è soltanto la banca centrale americana, anzi: come si vede dal grafico qui accanto, essa conta soltanto per circa la metà del totale.







