BORSE: IL “VOLO VERSO LA QUALITÀ“ E IL GIOCO DELLE ASPETTATIVE

L’America di Trump non smette di stupire tutti: nonostante gli aumenti dei tassi di interesse della Federal Reserve vadano avanti da un anno e mezzo (più o meno da quando è stato eletto Trump) la sua borsa continua a galoppare, la sua economia si trova tecnicamente ancora in fase espansiva dopo ben nove anni da una delle crisi più terribili della storia recente, le sue aziende continuano a crescere (il fatturato delle quotate nella prima metà del 2018 è cresciuto su base annua mediamente del 10% ) e a fare grassi profitti (cresciuti nella prima metà del 2018 di circa il 24,5% su base annua). Qui sopra è riportato un confronto dell’indice principale di Wall Street con quello delle borse europee e quello dei paesi emergenti: il contrasto, a partire dallo scorso Giugno in poi, non poteva essere più evidente!

 

Gli analisti finanziari hanno denominato questo fenomeno “volo verso la qualità”, spiegando così la razionalità della propensione di chi investe a spostare i capitali dove gli affari vanno meglio e le disgrazie di chi ne resta a bocca asciutta.

I CAPITALI FUGGONO E LA BORSA ITALIANA TREMA

Sull’altra faccia della medaglia c’è infatti l’andamento della borsa italiana, le cui oscillazioni nel medesimo periodo sono state più ampie anche della media europea e la cui discesa persino più accentuata, come si vede dal grafico qui riportato:

 

L’Italia sconta il timore che la nuova coalizione governativa possa accelerare la deriva centrifuga dell’Unione Europea ma soprattutto paga lo scotto di un debito nazionale che non accenna a smettere di crescere, mentre l’ombrellone europeo che ne ha puntellato fino ad oggi la sostenibilità (e non ci viene fornito gratis) è stato annunciato che presto verrà chiuso, sospingendo dunque capitali e imprese italiane a varcare i confini per trovare minor tassazione, meno rischi-paese e migliori infrastrutture.

IL CASO DELLA TURCHIA

C’è poi il caso-Turchia, con il solito copione della svalutazione-inflazione-recessione che sta andando in onda in questi giorni a causa del fatto che il suo leader-tiranno Erdogan, ha fortemente deluso gli investitori stranieri e non ha voluto in alcun modo piegarsi di fronte alla richiesta americana di riequilibrare le proprie esportazioni (di acciaio innanzitutto, di cui l’America era il primo cliente) con altrettante importazioni. Colpita e affondata dalle sanzioni americane e dalla sfiducia degli operatori economici (anche interni), la Turchia deve confrontarsi con una fuga di capitali senza precedenti come si vede dall’evoluzione del tasso di cambio nei mesi estivi.

 

MA LA LIQUIDITÀ FUGGE DALLE PERIFERIE ANCHE PER ALTRI MOTIVI

Il punto però è che il medesimo andamento lo troviamo un po’ dappertutto tra i Paesi Emergenti: da Giugno in poi anche le borse asiatiche puntano al ribasso e il motivo è sempre lo stesso : l’America si sta riprendendo le risorse finanziarie che prima aveva disseminato in giro per il mondo esprimendo dati “fondamentali” economici migliori. La più attenta selezione (da parte di chi alloca le risorse finanziarie) alla qualità degli investimenti, degli ambienti macroeconomici e delle prospettive di sviluppo premia dunque le economie più virtuose.

Questo significa che invece in molti paesi del mondo la liquidità si riduce e ciò amplifica la crisi dei mercati finanziari di nazioni come la Turchia ma anche dell’Italia e di altri paesi mediterranei, per non parlare degli altri paesi emergenti, a partire da quello che è ancora classificato come tale ma di fatto è divenuta la seconda potenza economica globale: la Cina.

Il problema della Cina non è troppo diverso da quello della Turchia: dall’inizio di Giugno i dazi americani stanno danneggiando l’industria e le esportazioni cinesi ma soprattutto stanno danneggiando le prospettive dell’economia cinese, così i capitali fuggono da quel paese e la sua moneta si svaluta, riducendo il potere di acquisto (di beni importati) della popolazione:

 

DAZI E SANZIONI PER ORA HANNO FUNZIONATO (PER L’AMERICA)

Non c’è dubbio quindi che le politiche di Donald Trump per riportare capitali e investimenti in America stiano funzionando alla grande, checchè ne scrivano gli oppositori.

E poi dazi e sanzioni significano forti incassi per le casse federali americane, con i quali si può addirittura arrivare a finanziare gli sgravi fiscali!

Ovviamente alla lunga il sistema rischia di incepparsi, poiché buona parte dei lauti profitti delle aziende americane sono stati sino ad oggi realizzati all’estero, dove i consumi potrebbero cominciare a contrarsi seriamente a causa della forza del Dollaro.

Ma per il momento non è così: i consumi interni agli USA crescono e gli investimenti in tecnologia creano posti di lavoro e tengono alte le aspettative, che sono fondamentali perché le aziende distribuiscano a valle denaro e l’economia cresca. Non è un caso se la crescita del prodotto interno lordo americano è più alta del solito. D’ora in avanti la partita si sposta invece sulla capacità dell’America nel risultare convincente a riequilibrare le bilance commerciali con il resto del mondo e, riuscendovi, azzerare le tariffe doganali. Il grafico qui sotto illustra l’aggravamemto del deficit commerciale con la Cina (e dunque il motivo dell’innalzamento dei dazi):

 

È IL MOMENTO DEI TITOLI “TECNOLOGICI”

E poi se c’è un comparto industriale che -non solo a Wall Street, ma sicuramente lì innanzitutto- sta andando alla grande il borsa è proprio quello delle aziende “tecnologiche”, sia perché in molti casi ha mantenuto le promesse di redditività agli investitori, che per per il fatto che i loro fatturati andranno progressivamente a soppiantare quelli delle altre imprese, destinate inevitabilmente anche a svalutare nel tempo i loro valori di capitalizzazione di borsa.

D’altra parte gli investitori globali si stanno posizionando tutti su un atteggiamento più cauto per il futuro, aumentando la quota di liquidità detenuta, il reddito fisso e i beni-rifugio, sottraendo dunque risorse agli investimenti azionari che infatti stanno in molti casi arretrando.

LA LIQUIDITÀ DEI MERCATI GIOCA UN RUOLO IMPORTANTE

Qualche eccezione (per ora) è data dall’immissione ancora di nuovi mezzi freschi da parte di alcune banche centrali (tra le principali quella europea, quella cinese e a tratti quella del Giappone) e, soprattutto, l’eccezione è data dai forti programmi di buy-back (riacquisto di azioni proprie) delle grandi Corporation americane che dispongono di fortissima liquidità e la distribuiscono in questo modo indirettamente ai loro azionisti. Il fenomeno vale molti miliardi di dollari ed è una delle principali ragioni per le quali Wall Street “tiene” più di altre piazze, come si vede dal grafico riportato:

 

La morale dello scenario appena tratteggiato però è molto chiara: l’America corre perché taglia la tassazione e incoraggia gli investimenti. Le borse che avanzano sono quelle che hanno in listino le aziende più redditizie, mentre quelle che arrancano di più sono le piazze che esprimono le maggiori incertezze riguardo al futuro.

 

 

IL GIOCO DELLE ASPETTATIVE

È in questa prospettiva che si deve leggere l’incremento dello spread italiano, nonché la presa di beneficio dei maggiori investitori stranieri: se il nuovo governo riuscirà anche a favorire la ripresa economica e gli investimenti produttivi allora le migliori prospettive torneranno ad attrarre capitali e questi faranno ri-crescere il listino nostrano, caratterizzato tra l’altro dall’esibire oltre un centinaio di belle ma piccolissime imprese quotate all’Alternative Investment Market (AIM) e in attesa di passare al listino principale una volta raggiunte le dimensioni per farlo. Se lo facessero tutte, allora il numero delle imprese quotate al listino principale di Milano crescerebbe notevolmente, e così la sua liquidità complessiva.

Se viceversa il governo non riuscirà a fare nulla di tangibile allora l’attenzione del mercato dei capitali si sposterà ancora una volta sulla sostenibilità del debito pubblico e lo spread con i tassi tedeschi volerà inevitabilmente alle stelle, aprendo la strada a un copione già osservato prima in Grecia e poi in Turchia. Entrambe guarda caso bagnate dal Mediterraneo e devastate da fenomeni di immigrazione di massa, come del resto il nostro Paese!

Stefano di Tommaso




È IL MOMENTO DELL’ORO?

Nonostante l’acuirsi dei rischi geopolitici, i mercati finanziari sono rimasti fino a ieri relativamente calmi e le quotazioni dell’oro di conseguenza, anche. Questo perché gli investitori tendono a rimanere neutrali sino a quando un serio rischio di escalation della tensione non è comprovato.

Ma qualora la situazione progredisca negativamente (come temo) e il rischio di un ritorno dell’inflazione si fa più concreto, allora i rendimenti reali dei principali titoli espressi in Dollaro e Euro non potranno che ridursi e, al tempo stesso, le quotazioni di azioni e obbligazioni non potranno che adeguarsi ad uno scenario deteriorato di futuri profitti.

Molti investitori paventano da tempo la supervalutazione dei molti titoli tecnologici che affollano i principali listini borsistici globali, nonché il timore di una fiammata inflazionistica e di conseguenza la possibilità che le borse alla fine scendano ancora e che il Dollaro si svaluti. Tuttavia chi sino ad oggi ha venduto azioni e obbligazioni per timore degli eventi ha -nella quasi totalità dei casi- scambiato quei titoli con liquidità, il che significa in genere che costoro hanno scelto di conseguenza (spesso involontariamente) di detenere una posizione al rialzo nelle valute forti.

Però, a meno che non si ritenga che il Dollaro e l’Euro subiranno delle forti rivalutazioni a seguito dell’acuirsi delle tensioni militari nel prossimo futuro, è più probabile che in uno scenario quantomeno di guerra fredda le aspettative di inflazione e quelle della programmata riduzione della liquidità disponibile (ad opera delle banche centrali) non arrivino a compensarsi completamente, lasciando ancora molta liquidità disponibile sul mercato, sempre più in cerca di impieghi alternativi, e uno spazio di manovra decisamente ampio per gli investitori per allocare qualche buona scommessa sulle quotazioni dei beni rifugio, primo fra tutti ovviamente il metallo giallo.

Se si guarda poi alla situazione delle posizioni speculative costruite sulla quotazione dell’oro a partire dai fondi ETF quotati ad essa collegati, si può notare un lento ma costante incremento della medesima, a partire da tutto il 2017:

L’oro fino ad oggi non ha brillato però anche perché forti quantità del metallo giallo sono detenute dalle banche centrali di tutto il mondo e queste ultime hanno mostrato un deciso interesse a calmierarne le quotazioni.

Ma se la domanda di oro fisico da parte degli investitori istituzionali (tramite I fondi quotati: gli Exchange Traded Funds, detti anche ETF) continuerà a progredire come è successo negli ultimi tempi, allora sarà sempre più difficile tamponarne l’ascesa del prezzo con altre vendite, a fronte delle quali nella quasi totalità dei casi le banche centrali si troverebbero in mano il biglietto verde. Siamo sicuri che è ciò quello che esse vogliono ?

Probabilmente no, ed è questo il motivo per cui potrebbe farsi invece strada una tendenza rialzista.

Nel grafico che segue la domanda di oro fisico da parte degli ETF:

Di qui l’intuizione che c’è forse dello spazio per un movimento al rialzo delle quotazioni dell’oro, che fino ad oggi non si è quasi visto.

Stefano di Tommaso




I PROFITTI E I FONDAMENTALI DELL’ECONOMIA TENGONO ALTE LE BORSE

Siamo arrivati quasi al mese di Agosto e i sapientoni che continuavano a prevedere un disastro imminente sui mercati finanziari ancora una volta sono stati smentiti dai fatti! Ovviamente in una situazione così contraddittoria nessuno può fare previsioni inequivocabili. Anzi, per molte ragioni i mercati potrebbero sperimentare qualche imprevisto temporale estivo! Però quando l’analisi tecnica dell’andamento dei mercati non ci viene incontro non resta che guardare agli elementi fondamentali dell’economia globale. È quello che anch’io intendo fare per commentare la situazione generale e dedurne qualche utile considerazione.

 

Le stime che riguardano la crescita economica mondiale infatti sono tutte in continua revisione al rialzo, mentre quelle che riguardano la previsione di un ritorno dell’inflazione sono assai più controverse perché non sembra esserci alcuna “curva di Phillips” in grado di spiegare più o meno linearmente per quale motivo i prezzi i beni e servizi quasi non si allineano al rialzo mentre l’occupazione e le retribuzioni salgono un po’ in tutto il pianeta.
Persino la Federal Reserve Bank of America ha sentito la necessità di esprimersi al riguardo, correggendo un po’ il tiro e ammettendo che per rivedere un rialzo dei prezzi generalizzato ci vorrà ancora molto tempo.

Questo non significherà necessariamente che i tassi (soprattutto quelli a lungo termine) non potranno salire ugualmente. Troppi i motivi per cui dovrebbero comunque farlo, a partire dal fatto che le autorità monetarie di tutto il globo è da tempo che blaterano in tal senso ma poi hanno di fatto mantenuto gonfi i loro portafogli di titoli acquistati sul mercato, lasciando vicini ai minimi storici i tassi di interesse e addirittura innalzando la liquidità disponibile sui mercati finanziari.

È chiaro a tutti che prima o poi le banche centrali dovranno invertire la rotta e che questo non potrà che elevare i livelli dei saggi di interesse, costringendo i mercati a guardare solo agli elementi fondamentali dell’analisi economica e a chiedersi se le valutazioni implicite che circolano in Borsa sono corrette. Una manovra che può portare qualche sussulto sui mercati.
È altrettanto chiaro però che questo non accadrà tanto presto, almeno sin tanto che i loro uffici studi non spiegano meglio per quale motivo l’armamentario degli strumenti di analisi economica (a partire dalla Curva di Phillips) non funzionano più.

GLI UTILI AZIENDALI

In realtà basta guardare meglio all’esplosione dei profitti delle principali società quotate in Borsa in tutto il mondo e alla crescita complessiva del reddito lordo prodotto dai cittadini di tutto il mondo (in qualche caso, come in Italia, quello netto è più o meno totalmente controbilanciato da un incremento della pressione fiscale).

Non solo sono saliti in tutto il mondo gli utili aziendali riportati nel primo trimestre 2017, ma dalle prime indicazioni che arrivano da J.P. Morgan e Citi Bank sembra che la festa sia decisamente continuata nel secondo. A partire dalle banche e società finanziarie, posizionate per beneficiare al meglio della situazione. Sinanco quelle europee, dopo che sono riuscite a tagliare buona parte degli sprechi e delle inefficienze, adesso vedono che il mercato finanziario fa affluire loro quei capitali che possono permettergli di riprendere a fare il loro mestiere fondamentale: prestare denaro.

Oltre ai titoli finanziari quelli per i quali ci si può aspettare maggiore attenzione da parte degli investitori sono probabilmente i grandi produttori di commodities a buon mercato (ici inclusi i metalli e in particolare l’acciaio), mentre tra i titoli tecnologici sarà sempre più evidente che rimangono sulla cresta dell’onda quelli più liquidi e patrimonialmente solidi e, tra questi, quelli che non hanno deluso le aspettative di crescita.

I FONDAMENTALI MACROECONOMICI

Il Fondo Monetario Internazionale ha incrementato quest’anno le aspettative di crescita economica globale dal 3,5% al 3,8%, ben al di sopra del 3,1% realizzato nel 2016. Le migliori sorprese sono arrivate dall’Europa e dal Giappone, per le quali si prevedeva uno scenario molto più statico ma secondo il mio modesto parere queste si spiegano assai bene con la volata delle rispettive esportazioni, che a loro volta sono generate da una crescita economica anche al di sopra di quanto rivelano le statistiche nelle aree dov’è più si concentra la popolazione mondiale e la sua relativa espansione demografica: i Paesi Emergenti, con l’Asia in testa, Cina e India comprese.

Persino il Prodotto Interno Lordo degli U.S.A. è previsto che quest’anno crescerà di almeno il 2%, sebbene la macchina politico-legislativa americana resti intrappolata nello stallo istituzionale seguìto alle accuse rivolte al neo-Presidente Trump di aver ricevuto un supporto dagli “hackers” russi. Ciò accade nonostante il governo non stia concludendo nulla sul fronte della riduzione fiscale e neppure su quello della spesa infrastrutturale!

Anzi, in tutti i paesi avanzati si rivedono copiose delle nuove quotazioni in Borsa (sulle quali era sceso un certo gelo da parte degli investitori) e continua imperterrita la crescita delle Fusioni ed Acquisizioni, che in tanti casi hanno avuto un ruolo positivo nelle razionalizzazioni da queste provocate e dunque nel miglioramento dei profitti aziendali. Le aspettative sono di ulteriori avanzamenti in tal senso e dunque i fattori fondamentali al lavoro in sottofondo fanno sperare che questo scenario quasi idilliaco possa non venire interrotto.

IL BASSO RUMORE DI FONDO DERIVANTE DALLE TENSIONI GEOPOLITICHE AIUTA LA CRESCITA DEI PAESI EMERGENTI

Dunque osserviamo uno scenario economico globale positivo cui si temeva potesse guastare la festa il riacuirsi delle tensioni internazionali, che invece sembrano essere state quasi quasi un fuoco di paglia. E se neanche la geo-politica rovinerà queste aspettative moderatamente ottimiste allora possiamo sperare che sarà quasi indolore il progressivo disimpegno delle autorità monetarie dagli stimoli imposti sino ad oggi?
Inutile dire che l’ottima salute -nonostante tutti i soloni- che stanno mantenendo i mercati finanziari, non aiuta necessariamente a sollevare dalla povertà le fasce più povere della popolazione, non riduce (anzi aumenta) le disuguaglianze nel reddito e, soprattutto, non cancella i debordanti e in qualche caso -come quello nostrano- addirittura crescenti debiti pubblici.

Però l’elevato livello (consolidato oramai da tempo) dei mercati finanziari può indubbiamente aiutare l’economia globale a migliorare e, indirettamente, a curare -sebbene non a risolvere-  i problemi di chi rimane più indietro. Quantomeno aiuta la crescita dell’occupazione, la speranza che questo aiuti l’inclusione economica dei più deboli in circuiti virtuosi di miglioramento, e lascia maggiori spazi per il futuro affinché gli investimenti proseguano la loro corsa e, con essi, nuove iniziative di spesa infrastrutturale possano tornare a prendere piede. Due elementi fondamentali affinché la grande liquidità che ancora alimenta i mercati possa trasmettere a valle un incremento di reddito che a sua volta può tenere alte le aspettative degli investitori.

In fondo l’incremento degli investimenti e il miglioramento dell’efficienza generale costituiscono la strada maestra che i sacri testi raccomandano per migliorare il benessere economico, insieme al diffondersi della conoscenza e degli interscambi. Se perciò i ricchi diventano più ricchi, è possibile che anche i poveri riescano a migliorare la loro situazione e ciò risulta indubbiamente migliore dell’alternativa!
Stefano di Tommaso