SARÀ L’INFLAZIONE A MUOVERE I MERCATI ?

Come va l’economia globale? Piuttosto bene si potrebbe affermare al momento, sebbene grandi minacce geopolitiche e relative all’inflazione dei prezzi siano in agguato sovvertendo il mondo che conoscevamo. Non potremmo infatti avanzare la stessa conclusione per le sorti della democrazia nel mondo né per la tutela dell’ambiente. Due elementi che continuano a rimanere indietro nell’agenda dei governi. Uno scenario complesso quello che si prospetta per il 2022 che dovrebbe però vedere ancora una volta ottimi profitti per le grandi multinazionali e ciò potrebbe significare che le borse continueranno ad avanzare, sempre che non arrivino nuovi cigni neri!

 

Se nell’ultima settimana la Federal Reserve Bank of America (FED) voleva spaventare i mercati, al momento si può dire che c’è riuscita benissimo, dopo aver pubblicato una serie di “appunti” (relativi alle discussioni tra i partecipanti al consiglio della banca centrale) che facevano chiaramente comprendere un atteggiamento di forte volontà per rialzare i tassi d’interesse. E visto che le borse (soprattutto quella americana, e soprattutto i grandi titoli tecnologici) viaggiavano intorno ai livelli massimi di sempre nonostante la prospettiva di rialzo dei tassi d’interesse, quella pubblicazione ha contribuito non poco all’immediato ridimensionamento delle valutazioni d’azienda implicite nelle quotazioni azionarie.

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Ecco qui una tabella, proposta da Milano Finanza dello scorso sabato, circa le performances a fine 2021 delle principali borse.

Niente male, vero? Anche senza considerare la crescita annua del 72% delle quotazioni del Nasdaq (la borsa dei titoli tecnologici), sono da incorniciare la crescita del 47% della borsa americana e quella di quasi il 34% della borsa cinese. Nonché quel quasi +19% dei maggiori titoli europei, con i listini di Tokio, Parigi e Berlino che hanno fatto meglio!

QUANTO SONO SOPRAVVALUTATE LE BORSE ?

Ovviamente dopo questi risultati spettacolari occorre anche andare a vedere quanto sono “sopravvalutate” le borse, con due “iconici” indici americani al riguardo. Innanzitutto quello di Warren Buffett:

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E poi quello di Robert Shiller, premio Nobel per l’economia nel 2013 e considerato uno dei padri della finanza comportamentale. Shiller ha concentrato i suoi studi sulla formazione delle bolle speculative arrivando a creare un proprio indice (il cosiddetto C.A.P.E. ratio) relativo alla sopravvalutazione dei titoli rispetto al loro rendimento, dopo averlo aggiustato rispetto all’andamento generale del mercato finanziario:

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È PROBABILE UNA ROTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI AZIONARI

Come si può vedere, entrambi gli indici a fine 2021 sono intorno ai massimi storici, e questo nonostante un’inflazione galoppante, diversamente dagli anni precedenti, cioè con un incremento tendenziale dei prezzi al consumo che negli U.S.A. è già arrivato al 7% annuo. Dunque se ne può tranquillamente dedurre che le borse sono sopravvalutate!

Anche se più che alla media complessiva occorre guardare alla composizione degli indici azionari. Vediamo qui sotto com’è composto il principale indice della borsa americana:

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È dunque probabile che sia in corso una rotazione degli investimenti, se il listino americano è dominato dai grandi titoli tecnologici (quei il 30%) e se questi hanno sino ad oggi fortemente incrementato il valore della loro capitalizzazione dì borsa (come si può vedere dal grafico qui sotto riportato).

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DA COSA DIPENDONO I RIBASSI ?

E, se vogliamo parlare dei ribassi dell’ultima settimana (siamo nell’ordine di qualche punto percentuale), dobbiamo tener conto di questa rotazione dei medesimi portafogli verso titoli più “difensivi” rispetto a quelli (principalmente i tecnologici) sospinti al rialzo fino all’ultimo giorno utile dell’anno appena chiuso anche perché godevano del favore dei piccoli risparmiatori. dei medesimi portafogli verso titoli più “difensivi” di quelli (principalmente i tecnologici) sospinti al rialzo fino all’ultimo giorno utile dell’anno appena chiuso.

Ma non solo: dobbiamo anche chiederci quanto, nella loro genesi, ha influito il fatto che, con l’arrivo del nuovo anno, le performances dei gestori di patrimoni del 2021 erano state oramai cristallizzate e dunque i portafogli azionari potevano essere alleggeriti?

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Difficile misurare le diverse componenti, ma è probabile che, nello scivolare complessivo delle quotazioni negli ultimi giorni, queste componenti c’erano! E se così fosse allora potremmo considerare i recenti ribassi quali semplici assestamenti anche perché i rincari dei prezzi delle materie prime si sono oggettivamente acquietati nelle ultime settimane, come si può vedere dal grafico sopra riportato, che fa ben sperare per l’inflazione futura.

LE BANCHE CENTRALI E LA POLITICA DELL’ORACOLO DI DELFI

A proposito poi della confusione generata dai controversi annunci delle banche centrali, il professor Masciandaro (Università Bocconi) dalle colonne de Il Sole 24 Ore tuona inesorabilmente definendo la strategia adottata negli ultimi mesi come: “la politica dell’oracolo di Delfi”(riferendosi ai controversi vaticinii della sacerdotessa Pizia che interrogava il dio Apollo).

Con comunicati sibillini e indicazioni altalenanti i banchieri centrali stanno probabilmente prendendo tempo, nella consapevolezza che meno si fanno comprendere e più spazio di manovra guadagnano, senza timore di venire smentiti dai fatti troppo presto. Ecco dunque che un giorno rassicurano i mercati, quello dopo li spaventano, con il risultato complessivo di incrementare la volatilità degli stessi, ma non di farli scendere davvero di livello.

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E comunque, dal momento che subito dopo la pubblicazione delle “minute” della FED i mercati sono scesi, John Authers riporta, nella sua newsletter dello scorso Sabato, un complesso elenco di variabili economiche per farci comprendere che oggi è ragionevole supporre che i mercati abbiano già incorporato nei livelli attuali le attese di un più deciso rialzo dei tassi d’interesse, come si può leggere qui accanto dalla comparazione tra ciò che il “consenso” di mercato si aspettava agli inizi di Settembre, di Novembre, di Dicembre e ciò che si attende adesso.

LE BORSE SONO PRONTE PER SEGNARE NUOVI RECORD?

Dunque le borse hanno già effettuato la loro correzione e sono pronte per ripartire a crescere? Forse è così, ma le sorti del quadro complessivo dei mercati finanziari non dipendono soltanto dall’atteggiamento delle banche centrali.

Con i progressi dell’economia globale e con gli ultimi rincari dell’energia (che, ricordiamocelo, è la più importante catena di trasmissione dell’inflazione dei prezzi) tale quadro si è complicato non poco e, se fino a qualche giorno fa avremmo potuto scommettere sulla persistenza del fattore “T.I.N.A.” (“there is no alternative” all’affidarsi all’investimento azionario per ottenere uno straccio di rendimento positivo) e dunque al progressivo ricomporsi della fiducia nelle borse, oggi altri fattori si affacciano all’orizzonte degli eventi…

LE TENSIONI GEOPOLITICHE POSSONO MINARE LA FIDUCIA

Innanzitutto quello geo-politico: la crisi dell’Afghanistan è probabilmente tutto tranne che una questione interna dovuta a quella sorta di “primavera araba” con la quale i media vorrebbero etichettare la vicenda. La Federazione Russa la vede come una vera e propria minaccia ai confini del proprio territorio da parte dei servizi segreti anglosassoni nei confronti del regime-cuscinetto di Nursultan Nazarbaief, così come avevano agito ai tempi della destabilizzazione del Nord Africa e dell’Ucraina (e stavolta per evitare di sottovalutarla ha già inviato cospicue truppe scelte).

L’occidente parla quasi soltanto della brutalità della repressione della rivolta stessa, pur ammettendo numerosissimi morti tra le forze dell’ordine del Paese. Pochi parlano del fatto che quasi la metà di tutto l’uranio estratto nel mondo venga proprio da lì (proprio mentre si torna a parlare del nucleare come nuova fonte di energia “pulita”). È inoltre piuttosto probabile perciò che, a seguito dell’appoggio dato dai Russi all’esercito locale, nuove sanzioni verranno inflitte alla Federazione Russa.

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Dunque a seguito del fallito colpo di stato afghano è probabile che si creeranno nuove frizioni con l’Occidente, che potrebbero a loro volta alimentarne altre, dal momento che Cina, Turchia e altre repubbliche asiatiche hanno già proposto di schierarsi a favore della Russia e comunque non resteranno a guardare lo sviluppo degli eventi senza fare nulla. Soprattutto sul fronte dei prezzi dell’energia da petrolio e gas, che rischiano di rincarare ancora nonostante lo sforzo dichiarato di migrare più velocemente possibile verso forme di energie da fonti alternative.

Occorre ricordare al riguardo che l’America non è il primo esportatore di gas e petrolio, ma ne è sicuramente il primo produttore e ne è comunque un esportatore netto a dosi crescenti. Dunque le sue èlites potrebbero avere grande convenienza nel rialzo del costo dell’energia. Con l’eccezione della Federazione Russa il resto del mondo invece lo subirebbe, con conseguenze anche sui profitti degli operatori economici.

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Andrebbe tutto bene dunque, ma soltanto sino a quando l’eventuale persistenza dell’inflazione dovesse arrivare a minare la fiducia degli operatori economici, invertendo la discesa della disoccupazione (arrivata negli U.S.A. ai minimi storici, come si può leggere dal grafico) e iniziando a rallentare gli investimenti in efficienza produttiva. Questi fattori potrebbero ridurre le attese di profitto delle principali società quotate e determinare nuovi ribassi.

MA LA GOLDMAN SACHS È PIÙ CHE OTTIMISTA!

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Tuttavia, nonostante il fatto che la persistenza dell’inflazione, il rialzo dei tassi d’interesse e le tensioni internazionali siano tutti fattori che dovrebbero spingere alla prudenza, la banca d’affari americana Goldman Sachs non ha dubbi: non soltanto le nuove tecnologie continueranno a stupirci e a far guadagnare bene le grandi multinazionali, ma c’è ancora tanta liquidità in circolazione. Liquidità che al momento si rivolge alla speculazione su materie prime, metalli e immobili, ma che alla fine tornerà di nuovo a far incrementare l’investimento in titoli azionari, perché, appunto, a questi ultimi non c’è quasi alternativa in termini di rapporto rischio/rendimento.

Difficile dargli torto: la liquidità oggi in circolazione è davvero alta e, prima dì irrorare la crescita dei prezzi al consumo, essa si intrattiene sui mercati finanziari, dove però l’alternativa “reddito fisso” è davvero povera di attrattiva. E nelle sue previsioni non manca di elogiare le borse europee, meno sbilanciate sui titoli ipertecnologici e le cui performances sono state oggettivamente in calo per anni rispetto a quelle della borsa americana, e dove Goldman Sachs vede dunque le migliori opportunità, come si può dedurre dal grafico qui riportato da Bloomberg:

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Luci ed ombre insomma, come sempre all’inizio di ogni anno, ma forse con un pizzico di ottimismo, pur tenendo conto della volatilità aggiuntiva e del maggior rischio di fondo.

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Lo spettacolo però -come sempre- deve andare avanti. E probabilmente ci andrà. Soprattutto sul fronte delle tecnologie (che però sono investimenti ad elevatissimo rischio), ma anche sui titoli finanziari e sui titoli energetici, dovunque insomma ci sono da attendersi migliori performances per gli anni a venire.

Dunque al momento un pizzico di ottimismo non deve guastare il gusto agrodolce del mercato! Quantomeno la parte di amaro riguarderà i grandi sommovimenti che è lecito attendersi dalla rotazione dei portafogli e dall’incremento della volatilità complessiva. Ma è altrettanto probabile che i profitti aziendali continueranno a correre e, con loro, una messe assai interessante di dividendi !

Stefano di Tommaso




IN BORSA MAI DIRE MAI!

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Dopo l’improvvisa inversione di rotta degli ultimi giorni diviene più difficile prevedere dove saranno le borse intorno a fine anno. Ogni scenario è lecito, dal momento che sono tutt’ora al lavoro le tendenze che ne hanno scatenato la crescita. Ma sono entrati ancora una volta in gioco dei rischi asistematici dovuti alla quarta ondata pandemica e alle sue possibili conseguenze in termini di risvolti per l’economia reale. Le borse potrebbero sì riprendere la loro corsa la rialzo, ma la volatilità attesa è ai massimi, e la tempistica dei loro movimenti è dunque ben poco prevedibile. Morale: ci sono molte ragioni per le quali il mercato azionario globale potrebbe tornare a risalire, ma il condizionale è d’obbligo: in borsa mai dire mai!

 

IL SELL-OFF

Lo scorso anno di questi tempi l’allarme contagi -ancora in assenza dei vaccini- aveva generato quasi lo stesso panico di inizio pandemia. Stavolta è più complicato prendersela con l’ennesima variante del COVID ma per le borse di tutto il mondo l’allarme degli ultimi giorni ha funzionato alla grande: il sell-off (la svendita dei titoli quotati in borsa) è stato uno dei più avversi della storia borsistica recente. Nel grafico che segue ecco cosa è successo :

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Al calo medio delle borse nel mondo (indice MSCI ALL COUNTRY) di circa il 3% nell’ultima settimana si contrappone un guadagno del 15,50% da inizio anno e di oltre il 20% da un anno fa ad oggi. Per le borse europee è andata all’ingiù in maniera ancora più marcata, dopo una crescita dell’ultimo anno ancora maggiore: l’indice delle principali azioni quotate (STOXX EUROPE 600) è sceso di quasi il 4,5% nell’ultima settimana dopo una crescita di quasi il 20% da inizio anno e di oltre il 22% da un anno fa ad oggi.

LA VOLATILITÀ E’ ALLE STELLE

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D’altra parte ce l’eravamo già detto: con le quotazioni quasi ai massimi storici c’era da attendersi una volatilità in deciso aumento e così è stato. Ora, durante la calma del fine settimana, non è facile orientarsi tra le ondate della tempesta improvvisa che si è scatenata per comprendere qual’è la tendenza di fondo. Ma la sensazione è che questa non sia affatto cambiata. E cioè che sia ancora al rialzo e che il sell-off di questi giorni possa presto essere archiviato come un momento di panico e nient’altro.

I MOTIVI DI OTTIMISMO

Quali motivi per dirlo? Non ci sono grandi patemi d’animo per la crescita economica (le ultime rilevazioni mensili dell’indice dei direttori acquisti delle aziende (il MARKIT) sino positive e battono le aspettative, l’inflazione sembra potersi leggermente attenuare (ed è già una buona notizia). Questo vale soprattutto per le materie prime, mentre per il petrolio c’è un bel po’ di panico, oltre che una tendenza di fondo poco rassicurante, dovuta alla scarsità di materia prima prodotta, rispetto alla domanda.

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Soprattutto c’è il fatto che la situazione pandemica, che qualche colpo di assestamento lo darà di sicuro alla crescita economica globale, costituirà il movente principale (se non la scusa) per spingere le banche centrali a mantenere un atteggiamento accomodante e continuare -di fatto- ad immettere liquidità sul mercato. Cosa che non può mancare di avere effetti positivi sul mercato azionario, in particolar modo intorno a fine anno, quando i gestori di patrimoni devono portare a casa le loro performances, nonché le commissioni che ne derivano.

E’ dunque piuttosto probabile che la corsa delle Borse abbia soltanto avuto uno stop. E poi, come se non bastasse, secondo Goldman Sachs con il nuovo anno sta per riversarsi sul solo mercato azionario americano più di un trilione di dollari di “buy-back” aziendali (cioè di acquisti di azioni proprie da parte delle aziende), ai massimi della storia recente, come mostra il grafico qui riportato:

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IL POSSIBILE “RALLY” DI FINE ANNO

In quest’ottica potremmo anche vedere il sell-off di fine Novembre quasi soltanto come un’ottima occasione per comprare prima che il mercato raggiunga nuovi massimi. Determinati principalmente da un comportamento relativamente razionale di chi investe che risponde all’acronimo di “TINA” (“there is no alternative”: al mercato azionario).

Investire in obbligazioni in un momento in cui i tassi potrebbero salire può risultare infatti più rischioso dell’investire in Borsa, mentre mantenere la liquidità può significare non soltanto perdere delle opportunità di rialzo, ma prima ancora può comportare l’erosione del capitale ad opera dell’inflazione. Che potrà sì diminuire, ma difficilmente si fermerà, come dimostra la situazione dell’estremo oriente, dove la crescita economica si è già ridotta decisamente, ma l’inflazione no! Di seguito un grafico andamento le di USA e UE:

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PERÒ…

Mai dare per scontato il risultato però, perché è altrettanto vero che l’evolversi della quarta ondata pandemica non lo conosce nessuno, così come è vero che un dollaro troppo forte (come è già oggi) rischia di rovinare le feste a tutti, dai paesi emergenti fino agli americani stessi, gettando di conseguenza le borse in un possibile stato di panico.

Senza considerare il rischio che anche il caro-petrolio (che, appunto, rischia di riprendere presto) possa giocare un brutto scherzo all’economia e, di conseguenza, agitare ancora una volta le acque già particolarmente mosse dell’investimento azionario, per l’impatto negativo che può comportare sui profitti di periodo.

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Tutto questo per dire che, se la volatilità per le prossime settimane è servita quasi per certo su un piatto d’argento, persino nel caso in cui le borse dovessero parallelamente tornare a guadagnare nuovi massimi, la festa potrebbe non riguardare tutti. E’ altresì prevedibile infatti al momento l’ennesima rotazione dei portafogli, quantomeno nel caso in cui dovessero essere rispolverate restrizioni a viaggi e movimenti in genere.

Come dice Alessandro Fugnoli (di Kairos) nella sua ultima newsletter insomma: ci vuole anche tanta pazienza: per le banche centrali onde evitare di reagire eccessivamente ad un’inflazione che potrebbe attenuarsi, e per gli investitori per decidere quale strada prendere senza svendere nel momento sbagliato. Sempre che ce la si possa permettere…

Stefano di Tommaso




PERCHÉ CALANO BORSE E PETROLIO

Sono alcune settimane che vediamo una discesa marcata del prezzo del petrolio e, di conseguenza, tutti si chiedono per quale motivo, in piena stagione autunnale, questo possa succedere. Se possa essere sintomo di una imminente recessione o viceversa se questo possa addirittura provocare una stabilizzazione del tasso di inflazione e, di conseguenza, uno stop alla crescita dei tassi di interesse. Ma in fondo molte delle considerazioni possibili valgono anche per Wall Street…

 

 

Ogni teoria ovviamente può essere valida in un momento in cui è divenuto sempre più complesso non soltanto fare previsioni sui mercati finanziari, ma anche soltanto interpretare correttamente quel che accade nel mondo, ma una cosa è assolutamente indubbia: i prezzi al momento sono in ribasso per un eccesso di offerta, ed è questo che li fa calare, come afferma la microeconomia:

 

Non certo i timori di una futura recessione, dal momento che al riguardo non ci sono certezze circa l’incombere di un nuova recessione e, anzi, la domanda mondiale dell’oro nero continua a crescere, nonostante tutto (ivi comprese le politiche che si oppongono all’inquinamento atmosferico) come è mostrato dal grafico che segue :

 


Il fatto che ci sia un eccesso di offerta tuttavia non significa necessariamente che il prezzo del petrolio sia destinato a scendere troppo, poiché molta dell’offerta oggi in eccesso smetterebbe di affluire al mercato qualora il prezzo medio scendesse al di sotto dei 50 dollari al barile, come dimostra questo grafico che indica i prezzi di “break-even” (cioè al di sotto dei quali i produttori ci perdono) per le varie tipologie di estrazione:

 

Perché allora tutti speculano sulle sorti dell’economia reale quando vedono che Le borse o il prezzo di talune materie prime subiscono un eccesso di offerta? Le possibili risposte sono molteplici:

– In primo luogo c’è la psicologia: la volatilità di questi giorni ha riguardato un po’ tutti I mercati del mondo, a partire da quelli finanziari ed è divenuta un fattore di incertezza che deprime gli slanci;

– Poi c’è la domanda che languisce: la maggioranza degli speculatori chiude l’anno con un nulla di fatto (siamo quasi alla fine dell’anno e i mercati si sono riaccartocciati sulle quotazioni espresse all’inizio);

– Ma soprattutto ci sono le prospettive, anzi: non ci sono più! Nessuno oggi si aspetta davvero un 2019 in corsa come il 2016 (seconda metà dell’anno, dalla campagna elettorale di Trump in poi) e come il 2017 (che è salito quasi senza soluzione di continuità).

 

 

Tre fattori che pesano come pietre ad affossare persino la speculazione, quella che aveva tenuto in vita le speranze che i buy-back e la liquidità tutt’ora abbondante potesse giocare in rimpiazzo della domanda degli investitori di lungo periodo, oramai sopita da tempo. È questa la vera risposta alla domanda di “copertina”!

Risultato: sulle borse chi ha fatto buoni guadagni è più probabile che resti oramai alla finestra, pronto magari a speculare su qualche ondata in arrivo, mentre chi è rimasto intrappolato su prezzi di carico alti attende (con poco entusiasmo) di riuscire a realizzare ed è forse per questo che c’è più offerta che domanda e che la volatilità è in crescita ( si veda il grafico):

Lo stesso vale per la speculazione sulle materie prime e l’energia, con l’aggravante che, nonostante la domanda resti elevata, sono le prospettive quelle che più ne penalizzano i prezzi:

– È sotto gli occhi di tutti il peggioramento del clima globale e questo fa pensare che nuove misure verranno prese per evitare che la situazione precipiti;

– La speculazione è di conseguenza stanca di lottare contro le avversità e il calo delle riserve globali di petrolio immagazzinato (si veda il grafico qui sotto riportato) ne testimoniano il disimpegno;

– Il costo del denaro è cresciuto, così di conseguenza quello del “carry trade” (cioè del detenere qualcosa in portafoglio sinché non ne salga il prezzo) e l’ulteriore stretta alla liquidità globale non fa ben sperare per la disponibilità di credito nel prossimo futuro.

 


Qualcuno ha stimato che la stretta monetaria in arrivo innalzerà il prezzo del credito di ulteriori tre punti percentuali in capo a un anno, a prescindere dai rialzi dei tassi programmati dalla Federal Reserve Bank of America, che al massimo sembra saranno quattro ed assommeranno cumulativamente ad un solo punto percentuale in più.

Dunque il ciclo del credito è già alla svolta è anche questo induce previsioni pessimistiche che scoraggiano la speculazione e, con essa, anche la liquidità dei mercati.

Una vera iattura se teniamo conto del fatto che il ribasso del prezzo dell’energia e di numerose materie prime non può che avere effetti di ulteriore “compressione” dell’inflazione, che già non correva da sola, con il rischio quindi che la debolezza dell’inflazione possa ribaltare la tendenza che sembrava vedersi e trasformarsi di nuovo in deflazione!

Ma non si era detto che invece non ci sono prove né teorie affidabili sul fatto che una nuova recessione sia in arrivo?

Certamente si e l’argomento è così dibattuto che qualcuno si aspetta la fine (che sembra non arrivare mai) dell’attuale super-ciclo economico per non prima della fine del 2019. Un’eternità in termini speculativi!

La verità è che fare previsioni sino a ieri è stato relativamente semplice: i mercati andavano soltanto all’insù e l’unica vera leva da azionare prima o poi era il freno, dal momento che era ovvio non sarebbero continuati a correre per sempre.

Ma poi è arrivato il 2018: un anno intero di incertezza e spostamenti “laterali”, nel corso del quale il freno è stato azionato dai più, ma questo non ha significato alcun crollo. Certo il bitcoin è forse stato la vittima più illustre della disillusione collettiva e della riduzione della liquidità disponibile, complici le banche centrali che ha usato tutto il potere nelle loro mani per disinnescarne lo sviluppo (che invece prima o poi potrebbe arrivare). La verità è il panorama si è complicato a dismisura e che la maggioranza degli investitori ha oggi perso ogni orientamento.

Per dimostrare quanto sopra proverò a fare un esempio. Avete notato che nessuno parla più degli effetti maieutici e miracolosi delle innovazioni tecnologiche in arrivo? Eppure nessuno le ha stoppate, anzi! I risultati delle nuove tecnologie sono incoraggianti e gli effetti delle medesime sulla nostra vita quotidiana devono ancora farsi veramente sentire. I due continenti più vitali del globo (Asia e America) ci hanno scommesso l’anima e aspettano di vederne i ritorni economici, mentre il vecchio continente ha dimostrato di poterci convivere insieme, rinnovando le sue produzioni da esportazione, dal lusso all’impiantistica, passando per le costruzioni di grandi opere e proseguendo fino agli alimenti più sani.


Quel che ne consegue è che la prossima recessione non sarà con ogni probabilità uguale alle altre che l’hanno preceduta: molti fattori recentemente comparsi all’orizzonte è possibile che andranno a smorzarne gli effetti negativi e, anzi, i bradisismi in corso potrebbero indurre molte variazioni in positivo dei paradigmi della vita quotidiana, rivoluzionando i settori industriali e stimolando la crescita di nuovi parametri di ricchezza, benessere, reddito. Togliendo valore a ciò che lo aveva in passato e non necessariamente aggiungendone a quel che davvero conterà in futuro, contribuendo ad affossare in maniera quasi definitiva il concetto di inflazione che era considerato valido fino a ieri (anche perché il paniere dei beni preso per suo campione statistico dovrà essere continuamente rivisto).

Se questo fosse le attuali condizioni del mercato dei titoli a reddito fisso (i cui rendimenti reali diventerebbero estremamente interessanti se il tasso di inflazione dovesse tornare a calare) saranno da ricordare come memorabili, perché potrebbero non rivedersi più ancora per molto tempo. Mentre le borse sono già arrivate al loro nirvana, anche se ciò che resta da considerare è il livello reale dei profitti aziendali, che secondo me possono riservare sorprese positive.

Se così accadesse davvero (e solo il tempo potrà dirlo) allora le borse non collasserebbero mai più tutte insieme come è accaduto nel 2008, ma semplicemente continuerebbero a lungo in quella fase “laterale” di galleggiamento sul mare magno della liquidità (che non può letteralmente essere fatta sparire nel nulla a pena del collasso dei debiti pubblici mondiali) sotto la cui superifice molte cose si muovono velocemente e dalle cui profondità nuove isole vulcaniche sono pronte ad emergere, mentre altre ne scivoleranno lentamente al di sotto.

Stefano di Tommaso




PROVA A PRENDERMI!

Era il titolo di un famoso film con Leonardo DiCaprio nei panni di un giovane trasformista e truffatore che per sostenere una splendida vita e sposare la donna dei suoi sogni non lesina spavalderia, coraggio e genialità pur di riuscire nel suo intento di scrollarsi di dosso le indagini della FBI. Il film finisce in due modi diversi: da un lato il protagonista viene incastrato e finisce in galera, dall’altro la sua genialità viene riconosciuta dallo stesso governo americano che lo ingaggia come esperto falsario. L’impressionante rassomiglianza tra il protagonista del film (DiCaprio) e quello di un’altra storia: Elon Musk, ha eccitato la mia fantasia: entrambi giovani, spregiudicati e fulminei, ma anche troppi propensi all’estremo per riuscire a farla franca. Come nel film oggi DiCaprio rischia di vedere precocemente terminata la sua avventura a causa di un’indagine dell’autorità di Borsa (SEC) sul suo ultimo “cinguettio” (Tweet) sull’omonimo social network, che può trasformarsi in un‘incriminazione se non potrà provare che sia stato veritiero.

 

Tesla Inc. è una delle maggiori società quotate a Wall Street, ma anche senza il minimo dubbio la più controversa tra le “storie tese” che viaggiano sulla bocca di tutti gli investitori. I suoi prodotti sono amatissimi da chi può permetterseli (il top di gamma delle vetture elettriche) ma capaci di generare perdite mostruose che hanno costretto la società a chiedere continuamente capitali e finanziamenti al mercato, fino a creare molto nervosismo sulla sua capacità di riuscire dopo tanti anni -come promesso nell’ultima assemblea degli azionisti- a non bruciare più cassa. Per una compagnia automobilistica dimostrare di poter presto raggiungere gli obbiettivi di produzione e il pareggio di bilancio è un argomento non aggirabile.

 

LA CAPITALIZZAZIONE DI BORSA

Ciò nonostante il valore in Borsa del titolo (60 miliardi di dollari) è sempre riuscito a galleggiare al di sopra delle malelingue e della conseguente speculazione al ribasso, divenuta negli ultimi tempi l’ossessione del suo fondatore, un aitante ingegnere quarantenne sudafricano, anzi! La vicenda che rischia di vederlo incastrato dalla SEC è relativa alla sua ultima trovata: quella di anticipare sui social network una comunicazione di Borsa a dir poco rilevante come l’aver reperito gli investitori/finanziatori per un’OPA (offerta pubblica di acquisto) del titolo a 420 dollari, finalizzata a cancellarlo dal listino. Ora quella quotazione-obiettivo è il 33% in più di quanto viene valutata oggi e per tutti i piccoli azionisti rapppresenterebbe un ottimo risultato, mentre per Elon Musk, ossessionato dalla speculazione al ribasso, potrebbe essere un modo per concentrare il “focus” manageriale sui risultati a medio termine.

 


SERVONO 30 MILIARDI DI DOLLARI

Ora poiché a quella quotazione ($420) Tesla capitalizzerebbe più di 80 miliardi di dollari, tutti si sono chiesti da dove potessero arrivare i capitali per farlo, trovando risposta soltanto in illazioni. Sintantochè, infatti, il mercato dei capitali è disposto a valutare una fortuna i titoli di aziende tecnologiche come Tesla che esprimono forti aspettative di crescita, si può ancora sperare di reperirli, ma è oramai dall’inizio del 2018 la liquidità sui mercati si è rarefatta e di “venture capitalist” pronti a scommettere almeno 30 miliardi di dollari.

A causa infatti del lungo numero di investitori istituzionali e professionali nella compagine azionaria della società si ritiene che molti di essi potrebbero restare anche dopo il delisting riducendo l’effettivo esborso per l’OPA nell’intorno di tale cifra (si veda la tabella qui sotto riportata).

 

Ciononostante, seppur per “soli” 30 miliardi di dollari, di capitali in Occidente disposti a supportare quest’operazione -e i rischi che ne conseguono- c’è il rischio che non ve ne siano. Anche alla luce di ciò il titolo è scivolato in Borsa al di scodella precedente quotazione ($352).


ARRIVANO DA ORIENTE?

E qui viene il bello: altrove nel mondo invece di investitori che non vedono l’ora ce ne potrebbero essere eccome, soprattutto perché Tesla racchiude in sè importanti tecnologie che farebbero gola alla Cina innanzitutto, ma anche all’Arabia Sudita, il cui fondo sovrano è tra I suoi importanti azionisti: in una parola tutti quei paesi in cerca di un “technology transfer”. Non a caso il famoso “cinguettio” che rischia di incastrare Musk per aggiotaggio è arrivato dopo un viaggio in Cina dove ha incontrato un altro suo grandissimo azionista: Tencent (la società che possiede WeChat ) e dove tutte le grandi corporation dispongono potenzialmente di fondi statali illimitati. La Cina è comunque interessante per Tesla dal momento che si appresta a diventare il più grande mercato al mondo per gli autoveicoli e Musk stava comunque pensando di installarvi una fabbrica per ovviare al peso delle tariffe doganali. Da questo punto di vista Musk ha indubbiamente ancora una volta reperito “valore” dove gli altri non si sognavano nemmeno di andare a cercarlo.

 

LA VICENDA DELLE OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI

Ma c’è anche un’altra storia che vale la pena di raccontare: quella del debito di Tesla, espresso principalmente in obbligazioni convertibili. La soglia oltre la quale converrebbe agli azionisti convertire il titolo è guarda caso quella ($360) raggiunta qualche minuto dopo il “tweet” che rischia di incriminare Musk. Se quella quotazione non sarà tenuta allora Tesla in pochi mesi dovrà rimborsare il debito per quasi un miliardo di dollari. Sebbene non si tratti di cifre paragonabili ai valori in gioco, la scadenza era tenuta d’occhio dagli operatori di borsa perché rischiava di essere la buccia di banana sulla quale poteva scivolare l’azienda. Giocare d’anticipo rischia di essere l’unica possibilità di Elon Musk che con gli ultimi scossoni di borsa si sentiva comunque sotto assedio da parte della speculazione al ribasso (coloro che vendono i titoli allo scoperto per poi ricomperare quando scendono) dal momento che Tesla, non generando cassa, può ripagare i suoi debiti solo contraendone altri.

DUE MORALI, COME NEL FILM

Come nel film questa storia ha due morali: da una parte la spregiudicatezza e la temerarietà di un imprenditore che gioca con le perdite di bilancio e con i debiti da anni in tutta naturalezza e alla fine si butta tra le braccia dei dragone cinese (che però potrebbe garantirgli risorse di ogni tipo e vendite di vetture a milioni di persone) hanno una logica che non fa una piega, visto il possibile epilogo. Dall’altra parte il rischio che l’avventura di Musk si fermi prima (dal momento che è già sotto inchiesta e che potrebbe essere incriminato per aver diffuso informazioni confidenziali) andrebbe a danneggiare non soltanto l’azienda, ma anche migliaia di piccoli azionisti che hanno creduto nella borsa americana!

 

Ecco perché la manovra rischia di avere, nonostante tutto, successo. Ma di colpi di scena aspettiamocene ancora un bel numero. Il personaggio è controllato a vista ma non si darà così facilmente per vinto.

 

Stefano di Tommaso