OLTRE L’ORIZZONTE

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Cosa succederà di qui a breve? Tutti si sperticano in previsioni catastrofiche e, in effetti, non c’è troppo da stare allegri. Ma oltre l’orizzonte degli eventi (e se non accadrà dell’altro) si può cercare di ragionare per immaginare cosa ci aspetta sulla base delle recenti esperienze. E non tutti i mali vengono per nuocere!

 

LA MISURA ERA COLMA

Tanto tuonò che piovve: la tradizione vuole che la frase fosse esclamata da Socrate dopo che la moglie, avendolo rumorosamente e platealmente redarguito sulla soglia casa, gli rovesciò addosso un vaso d’acqua. Cioè la misura era colma. Quello che non avremmo ragionevolmente ritenuto probabile è successo (l’attacco della Russia all’Ucraina) e l’occidente ha reagito con pesanti sanzioni economiche alla Russia. E non c’è da stupirsi se, dopo tale scelta, e anche la Russia porrà in atto misure simmetriche di ritorsione o se i suoi alleati (Cina in primis) prenderanno ancor più le distanze dall’Occidente. Di seguito l’indice delle materie prime energetiche aggiornato allo scorso venerdì (di pari passo pare che il Petrolio Brent sia giunto a 130$ per barile):

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Ciò danneggia non poco lo sviluppo economico, soprattutto quello dell’Europa. Tuttavia ancora non è chiaro il vero motivo per cui è la Russia ha sferrato l’attacco. Abbiamo ascoltato teorie di tutti i generi e l’unica cosa che abbiamo capito è proprio di non averlo compreso. Le informazioni-chiave sono rimaste occulte e forse non ce n’era da stupirsene. Questo però ricorda la presenza di variabili a-sistemiche nelle possibili previsioni che ci accingiamo a fare, di cui bisognerà tenere conto per non essere troppo sicuri del futuro.

LE BORSE, NEL DUBBIO, HANNO FATTO RETROMARCIA

Le borse -di fronte all’incertezza- hanno supinamente accusato il colpo, con una serie di ribassi che (a livello globale) hanno toccato circa un quinto del loro valore di capitalizzazione. E l’inflazione ha subìto un’impennata ulteriore, che per il momento non viene riportata dalle statistiche ufficiali, ma che non si farà attendere nell’appesantire l’elenco dei danni economici. I tassi impliciti nelle quotazioni dei titoli a reddito fisso sono dì conseguenza saliti ulteriormente, facendone crollare il valore. Lo scenario che si prospetta ai nostri occhi perciò è quello dei postumi di un campo di battaglia. Col rischio di camminare sul terreno ancora minato, ma anche con altrettante opportunità di cui trarre profitto dopo la devastazione intervenuta. Di seguito l’indice più noto relativo all’andamento medio di tutte le borse del mondo (che riporta una perdita da inizio anno di oltre il 12%:

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Chiaramente nulla accade a sproposito. In uno scenario in cui il potere d’acquisto dei consumatori occidentali viene meno a causa degli incrementi dei prezzi, in cui il debito pubblico diviene meno sostenibile a causa del rialzo del costo del debito, e in cui il denaro in circolazione rischia di scarseggiare (se non interverrà la Banca Centrale Europea), allora anche le prospettive di profitto delle imprese si riducono, e inevitabilmente scende il valore intrinseco delle azioni di società quotate in borsa.

MA POI… COSA CI ATTENDE?

Questo però attiene allo shock del momento, non alle prospettive di lungo termine, a meno che anche la guerra in atto, ancora vista dai più come una manovra di neutralizzazione del potenziale militare ucraino, possa estendersi, se non al resto del mondo, quantomeno ad altre zone dell’est europeo (ipotesi improbabile, ma lo era stato anche l’attacco russo).

Però -ai fini di poter valutare correttamente le conseguenze in termini pratici ed economici di ciò che accade- occorre chiedersi di quale termine ai nostri occhi può essere considerato lungo, e quale lo sia agli occhi di chi investe sui mercati. La guerra in atto infatti non sembra destinata a terminare presto, tanto per l’invio ai ribelli dell’Ucraina di armi e supporti da parte dell’Europa, quanto per la determinazione mostrata da Putin in risposta alle provocazioni subite.

La sensazione è pertanto che quella in corso si possa trasformare in una lunga guerra di posizione, dove le truppe della Federazione Russa punteranno a raggiungere un disarmo unilaterale dell’Ucraina e la sua “neutralizzazione” (fino all’instaurazione di un governo di transizione) cercando di non colpire la popolazione civile e le abitazioni, mentre i ribelli (e chi da dietro soffia sul fuoco della rivolta) punterà invece a creare situazioni di panico, a trasmetterne le drammatiche immagini in occidente per giustificarne il supporto logistico, e a trasformare i campi ucraini in qualcosa di simile alle foreste amazzoniche del Vietnam, dove la Russia possa incontrare un notevole impedimento a completare in fretta la sua campagna militare.

Se ciò sarà (ed è piuttosto probabile) si possono prevedere due scenari: che la Russia attenda pazientemente di completare la sua opera secondo le direttive attuali, oppure che possa alzare la posta in gioco, anche grazie al principio del “perso per perso” (dal momento che l’occidente la dipinge già come un regime sanguinario, tanto vale incrementare la pressione militare e terminare prima possibile l’operazione).

LE MACRO-VARIABILI ECONOMICHE

Anche se non sappiamo quale dei due si materializzerà, dal punto di vista economico poco cambierà: gli scenari prospettati sono entrambi negativi per le macro-variabili economiche, che proviamo qui sotto a prevedere :

  1. La tensione alimenta costantemente il rincaro dell’energia e delle materie prime (carbone compreso) e il mondo scopre anche di averne più fame di quanto pensava (nonostante le dichiarazioni sulla transizione verde), mentre i paesi estrattori di petrolio e gas hanno bellamente ignorato l’appello a calmierare i loro prezzi, godendo di extra-profitti.
  2. Tanto gli investimenti quanto gli utili delle imprese probabilmente prenderanno una pausa, contribuendo a deprimere i prodotti interni lordi occidentali e il valore intrinseco delle aziende. E potrebbe frenare anche le fusioni e acquisizioni.
  3. I titoli azionari quotati in borsa di conseguenza potrebbero continuare a scendere ma, come ai tempi del primo impatto da Covid19, le borse hanno già notevolmente anticipato gli eventi con importanti e bruschi cali dei loro listini, dunque una volta che la prospettiva dovesse chiarirsi con la mancata escalation del conflitto, le loro quotazioni potrebbero rimbalzare.
  4. Ovviamente come in tutti i casi di precedenti “cigni neri” le azioni delle imprese quotate (se mai dovessero farlo) non risaliranno tutte allo stesso modo: alcune addirittura potrebbero guadagnarci, altre è possibile che restino depresse, perché questi eventi accelerano sempre il ritmo dei cambiamenti di lungo periodo.
  5. Non è infine chiaro come reagiranno le banche centrali: se si muoveranno nella più completa razionalità, allora dovrebbero prendere atto che l’inflazione è la conseguenza di diversi e successivi shock da mancata offerta e che a nulla servirebbe alzare i tassi, cambiando rotta e inondando di nuovo di liquidità il sistema bancario (che adesso rischia il collasso). Contribuendo così anch’esse alla risalita delle borse e a favorire l’arrivo di nuove matricole. Ma non v’è alcuna certezza in tal senso: la vecchia scuola potrebbe sempre prevalere!

I SETTORI PIÙ A RISCHIO

Se le banche centrali daranno una mano però, abbiamo visto come sia probabile che soltanto i titoli azionari di alcuni settori industriali torneranno a crescere, ed è possibile che stavolta siano soltanto i bond a breve scadenza quelli che risaliranno un po’ di prezzo, dal momento che è divenuto sempre più chiaro che l’inflazione è arrivata per restare, e che non ha ancora finito di scaricarsi a valle e sui beni di prima necessità.

Dunque una parte della “decrescita” economica (seppure le statistiche pubbliche come sempre troveranno il modo di addolcire la pillola) ci sarà per forza, e l’inflazione di molti prezzi al consumo non potrà che proseguire il suo percorso. Tutto questo è molto negativo per i settori tradizionali, per i servizi, per le “vendite al dettaglio” e per i beni voluttuari. Forse con la possibile eccezione di immobili, beni di lusso e beni-rifugio (come l’arte o il collezionismo) che invece troveranno alimento dalla loro funzione di “protezione del valore” dall’erosione inflativa.

E I SETTORI CHE CI GUADAGNANO

Quel che si può tuttavia aggiungere è che -mentre tutto ciò accade- nessuno resterà inerme a guardare (né i governi né gli imprenditori), per diversi importanti motivi, e che quindi possiamo attenderci che ci sarà -oltre all’avvio prosieguo della sempre maggior concentrazione della ricchezza in poche mani- anche una ripresa degli investimenti, degli incentivi fiscali e del finanziamento delle nuove tecnologie, da quelle per ridurre consumi ed emissioni, a quelle per produrre energia verde, fino a quelle per la riduzione di ogni genere di costi, a partire dalla robotica avanzata (innanzitutto volta all’automazione industriale):

LA LIQUIDITÀ E LE INNOVAZIONI POTREBBERO AIUTARE LE BORSE

Così come è successo qualche mese dopo l’arrivo della pandemia insomma, in assenza di un’escalation senza fine della tensione geopolitica (sulla quale -ripetiamo- non ci è possibile in alcun modo fare previsioni sensate) e con un aiutino delle banche centrali, potrebbe accadere quel che successe nella seconda metà del 2020: che le borse si riprenderanno e che le nuove tecnologie torneranno ad essere grandi protagoniste dell’accelerazione del cambiamento dei costumi. Soprattutto però quelle cinesi e americane. Le quali potrebbero risultare le grandi vincitrici della pace che seguirà (speriamo) alla guerra.

Chi ha già venduto perciò in borsa forse ha fatto bene, dal momento che la prosecuzione della rotazione dei portafogli potrebbe riservare altre sorprese. Così come chi ha già effettuato importanti investimenti lo ha fatto probabilmente a sconto sui prezzi futuri. Chi invece sta meditando di farlo adesso (o di entrare sul mercato azionario a questi prezzi scontati) si trova a muoversi in assenza di una tendenza definita. L’eventuale escalation militare poi è tutt’altro che esclusa, anche se ci si rende conto del fatto che sarebbe drammatica.

Non è facile perciò riuscire a interpretare le grandi trasformazioni di fondo dell’economia, onde non imboccare la strada sbagliata! Se non lo si è già fatto conviene piuttosto raccogliere del denaro (a titolo di finanziamenti o di capitale), e attendere invece nell’investirlo.

Stefano di Tommaso




IN BORSA ARRIVANO I “DISTINGUO”

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Sebbene dopo qualche importante sussulto ci si possa attendere dei possibili rimbalzi, i mercati azionari sono chiaramente ancora sotto choc, soprattutto per il timore di una guerra potenzialmente devastante alle porte dell’Europa. La correzione in atto è stata forte nel corso di gennaio e rischia di continuare, anche per motivi strettamente tecnici (disinvestimenti dei risparmiatori dai fondi comuni, analisi tecnica ancora negativa, possibili ulteriori rialzi dei tassi d’interesse impliciti nei corsi dei titoli obbligazionari).

 

PERCHÉ LE BANCHE CENTRALI POTREBBERO SBAGLIARE

Ma in realtà c’è almeno un altro motivo che può portare ancora scompiglio sui listini azionari, ed è il pericolo che la reazione che le banche centrali possano essere tentare di mostrare i muscoli, di fronte all’oggettivo peggioramento del contesto macroeconomico relativo all’inflazione. Proviamo qui di seguito a comprenderne meglio il perché.

Come si può leggere nel grafico qui riportato, le aspettative del mercato relative ai rialzi dei tassi che verranno praticati dalle banche centrali sono già state più volte aggiornate al rialzo, comportando ogni volta che ciò succedeva una forte delusione per gli investitori e per le borse, con un conseguente “aggiustamento” dei listini azionari al ribasso:

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Dal nostro punto di vista questo significa soltanto una cosa: non è detto che le sorprese siano finite qui. Anche perché il mercato azionario americano, (quello che di solito dà l’intonazione a tutto il resto del mondo) nel corso del 2022 è sceso all’incirca del 7,7%, ciòè più o meno esattamente della misura dell’inflazione dei prezzi al consumo registrata a Gennaio negli USA. Dunque se l’inflazione salirà ancora, anche il listino azionario potrebbe scendere corrispondentemente.

L’INFLAZIONE È ANCORA IN AGGUATO

Ora, dal momento che il principale motore del rialzo dei prezzi è ancora oggi quello dell’energia, e dal momento che quest’ultimo sta continuando a salire vertiginosamente (il prezzo del petrolio è arrivato a 100 dollari al barile), ecco che il meccanismo sopra illustrato appare quantomai possibile, se non addirittura probabile. Con la conseguenza che nel grafico di cui sopra potremmo arrivare a marcare l’ennesima linea aggiuntiva, più in alto delle precedenti, che rispecchi l’innalzamento delle aspettative del mercato per i rialzi dei tassi d’interesse. I mercati azionari potrebbero ancora una volta subire una cocente delusione proprio da ulteriori prospettive di rialzo dei tassi d’interesse.

D’altra parte le banche centrali di tutto il mondo sono oggettivamente state fin troppo accomodanti sino ad oggi, e forse anche per un buon motivo (evitare di provocare recessioni economiche e innalzare il costo dei debiti pubblici). Ma se l’inflazione dovesse rivelarsi ancor più elevata di quella attuale, rischiano di perdere la faccia nel continuare a sostenere che sia passeggera. Cosa che le potrebbe sospingere a rivedere i tassi di sconto più al rialzo di quanto già annunciato.

Resto convinto del fatto che ciò si rivelerebbe nel tempo come un errore, non perché l’inflazione che osserviamo non permarrà davvero a lungo, ma a causa del fatto che il maggior costo del denaro potrebbe a sua volta generare altri problemi all’economia, rallentando gli investimenti produttivi e mandando definitivamente in crisi le aziende più indebitate, le piccole imprese e molti lavoratori autonomi. Il mondo occidentale oggi resta troppo appesantito dai debiti per permettersi di combattere l’inflazione a suon di rialzi dei tassi d’interesse, come poteva avvenire fino a mezzo secolo fa.

E I TASSI HANNO GIÀ INIZIATO A CRESCERE

Ciò nonostante i mercati finanziari hanno ovunque anticipato le possibili mosse delle banche centrali, e i rendimenti impliciti dei titoli a reddito fisso sono comunque saliti. Quindi da un certo punto di vista le sole dichiarazioni di intenzione futura delle banche centrali hanno già ottenuto la cosiddetta “forward guidance” del mercato. Eventuali eccessi in tal senso potrebbero non aiutarne la credibilità.

Ma vediamo cosa ha significato sino ad oggi questa ondata di ribassi che hanno afflitto le borse dall’inizio dell’anno: il doppio grafico qui sotto riportato mostra l’attesa più diffusa sul mercato relativa alla fine prossima ventura della correzione al ribasso a Wall Street, insieme al probabile andamento al rialzo dei profitti aziendali, che al momento sono infatti ancora in crescita.

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Personalmente concordo abbastanza con questa visione a medio termine dei mercati azionari, per una lunga serie di motivi, a partire da quello maggiore: è piuttosto improbabile che si scateni davvero un conflitto armato in Ucraina. Ovviamente ulteriori revisioni al rialzo dei tassi potrebbero porre fine all’aspettativa di crescita dei profitti, e cancellare così anche le prospettive di un rimbalzo.

MA COMUNQUE NON ANDREBBE BENE PER TUTTI…

Tuttavia anche in caso contrario l’andamento potenziale dell’indice generale non deve ingannare l’investitore: rischiamo che rispecchi la media del pollo di Trilussa !

È probabile infatti che al momento alcuni settori industriali continueranno a salire (energia e immobiliare, ad esempio) e altri continueranno a scendere (come ad esempio banche, tecnologia e telecomunicazioni). Altre sorprese potrebbero inoltre provenire da settori sino a oggi considerati “sicuri”, come il farmaceutico e la sanità, a causa del fatto che la spesa sanitaria non può continuare a crescere all’infinito e che, viceversa, i consumi potrebbero tornare ad orientarsi maggiormente verso i beni di consumo durevole e la formazione.

Tra le imprese quotate poi l’accentuarsi dei problemi relativi ai mercati finanziari potrebbe determinare un ennesimo “volo verso la qualità” dei gestori di patrimoni, arrivando a penalizzare le quotazioni delle imprese minori, meno capaci di contrastare il momento difficile con ingenti investimenti, e a valorizzare invece le grandi multinazionali.

QUALI SETTORI E PERCHÉ

Ovviamente non ci sono certezze al riguardo di quali titoli risulteranno davvero premiati e quali penalizzati, ma è abbastanza chiaro che i gestori di patrimoni dovranno fare i conti con una serie di fattori che li costringeranno a fare una maggior selezione, quali:

  • l’elevatissima volatilità, che spinge a cercare imprese con una più bassa probabilità di oscillazione rispetto al resto del mercato;
  • ancora una elevata liquidità in circolazione, che li spinge a tornare a investire cercando però soltanto vere occasioni di investimento (e dunque nelle aree più sicure del mercato);
  • un contesto di tassi d’interesse crescenti ma ancora al di sotto del tasso di inflazione, che spinge a cercare opportunità tra le più resilienti a questo fenomeno, come ad esempio gli investimenti immobiliari, abbandonando invece quelle più esposte ai tassi reali negativi, come i titoli del settore finanziario.

Sebbene dunque il contesto attuale resti piuttosto incerto per gli investitori e anche se l’investimento azionario, in tale congiuntura, possa rimanere di gran lunga il favorito rispetto ad altre opportunità di impiego dei risparmi, la situazione oggi si fa più difficile per determinare dove andrà il livello medio dei listini.

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Che arrivi una guerra o meno, che si decidano ulteriori strette monetarie oppure no. Duole dirlo, perché eravamo rimasti ottimisti nonostante si potesse intravedere un incremento della volatilità. Ma se le banche centrali dovessero cambiare atteggiamento, allora nessuno se la sentirebbe di andare controcorrente!

Stefano di Tommaso

 




SARÀ L’INFLAZIONE A MUOVERE I MERCATI ?

Come va l’economia globale? Piuttosto bene si potrebbe affermare al momento, sebbene grandi minacce geopolitiche e relative all’inflazione dei prezzi siano in agguato sovvertendo il mondo che conoscevamo. Non potremmo infatti avanzare la stessa conclusione per le sorti della democrazia nel mondo né per la tutela dell’ambiente. Due elementi che continuano a rimanere indietro nell’agenda dei governi. Uno scenario complesso quello che si prospetta per il 2022 che dovrebbe però vedere ancora una volta ottimi profitti per le grandi multinazionali e ciò potrebbe significare che le borse continueranno ad avanzare, sempre che non arrivino nuovi cigni neri!

 

Se nell’ultima settimana la Federal Reserve Bank of America (FED) voleva spaventare i mercati, al momento si può dire che c’è riuscita benissimo, dopo aver pubblicato una serie di “appunti” (relativi alle discussioni tra i partecipanti al consiglio della banca centrale) che facevano chiaramente comprendere un atteggiamento di forte volontà per rialzare i tassi d’interesse. E visto che le borse (soprattutto quella americana, e soprattutto i grandi titoli tecnologici) viaggiavano intorno ai livelli massimi di sempre nonostante la prospettiva di rialzo dei tassi d’interesse, quella pubblicazione ha contribuito non poco all’immediato ridimensionamento delle valutazioni d’azienda implicite nelle quotazioni azionarie.

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Ecco qui una tabella, proposta da Milano Finanza dello scorso sabato, circa le performances a fine 2021 delle principali borse.

Niente male, vero? Anche senza considerare la crescita annua del 72% delle quotazioni del Nasdaq (la borsa dei titoli tecnologici), sono da incorniciare la crescita del 47% della borsa americana e quella di quasi il 34% della borsa cinese. Nonché quel quasi +19% dei maggiori titoli europei, con i listini di Tokio, Parigi e Berlino che hanno fatto meglio!

QUANTO SONO SOPRAVVALUTATE LE BORSE ?

Ovviamente dopo questi risultati spettacolari occorre anche andare a vedere quanto sono “sopravvalutate” le borse, con due “iconici” indici americani al riguardo. Innanzitutto quello di Warren Buffett:

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E poi quello di Robert Shiller, premio Nobel per l’economia nel 2013 e considerato uno dei padri della finanza comportamentale. Shiller ha concentrato i suoi studi sulla formazione delle bolle speculative arrivando a creare un proprio indice (il cosiddetto C.A.P.E. ratio) relativo alla sopravvalutazione dei titoli rispetto al loro rendimento, dopo averlo aggiustato rispetto all’andamento generale del mercato finanziario:

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È PROBABILE UNA ROTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI AZIONARI

Come si può vedere, entrambi gli indici a fine 2021 sono intorno ai massimi storici, e questo nonostante un’inflazione galoppante, diversamente dagli anni precedenti, cioè con un incremento tendenziale dei prezzi al consumo che negli U.S.A. è già arrivato al 7% annuo. Dunque se ne può tranquillamente dedurre che le borse sono sopravvalutate!

Anche se più che alla media complessiva occorre guardare alla composizione degli indici azionari. Vediamo qui sotto com’è composto il principale indice della borsa americana:

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È dunque probabile che sia in corso una rotazione degli investimenti, se il listino americano è dominato dai grandi titoli tecnologici (quei il 30%) e se questi hanno sino ad oggi fortemente incrementato il valore della loro capitalizzazione dì borsa (come si può vedere dal grafico qui sotto riportato).

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DA COSA DIPENDONO I RIBASSI ?

E, se vogliamo parlare dei ribassi dell’ultima settimana (siamo nell’ordine di qualche punto percentuale), dobbiamo tener conto di questa rotazione dei medesimi portafogli verso titoli più “difensivi” rispetto a quelli (principalmente i tecnologici) sospinti al rialzo fino all’ultimo giorno utile dell’anno appena chiuso anche perché godevano del favore dei piccoli risparmiatori. dei medesimi portafogli verso titoli più “difensivi” di quelli (principalmente i tecnologici) sospinti al rialzo fino all’ultimo giorno utile dell’anno appena chiuso.

Ma non solo: dobbiamo anche chiederci quanto, nella loro genesi, ha influito il fatto che, con l’arrivo del nuovo anno, le performances dei gestori di patrimoni del 2021 erano state oramai cristallizzate e dunque i portafogli azionari potevano essere alleggeriti?

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Difficile misurare le diverse componenti, ma è probabile che, nello scivolare complessivo delle quotazioni negli ultimi giorni, queste componenti c’erano! E se così fosse allora potremmo considerare i recenti ribassi quali semplici assestamenti anche perché i rincari dei prezzi delle materie prime si sono oggettivamente acquietati nelle ultime settimane, come si può vedere dal grafico sopra riportato, che fa ben sperare per l’inflazione futura.

LE BANCHE CENTRALI E LA POLITICA DELL’ORACOLO DI DELFI

A proposito poi della confusione generata dai controversi annunci delle banche centrali, il professor Masciandaro (Università Bocconi) dalle colonne de Il Sole 24 Ore tuona inesorabilmente definendo la strategia adottata negli ultimi mesi come: “la politica dell’oracolo di Delfi”(riferendosi ai controversi vaticinii della sacerdotessa Pizia che interrogava il dio Apollo).

Con comunicati sibillini e indicazioni altalenanti i banchieri centrali stanno probabilmente prendendo tempo, nella consapevolezza che meno si fanno comprendere e più spazio di manovra guadagnano, senza timore di venire smentiti dai fatti troppo presto. Ecco dunque che un giorno rassicurano i mercati, quello dopo li spaventano, con il risultato complessivo di incrementare la volatilità degli stessi, ma non di farli scendere davvero di livello.

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E comunque, dal momento che subito dopo la pubblicazione delle “minute” della FED i mercati sono scesi, John Authers riporta, nella sua newsletter dello scorso Sabato, un complesso elenco di variabili economiche per farci comprendere che oggi è ragionevole supporre che i mercati abbiano già incorporato nei livelli attuali le attese di un più deciso rialzo dei tassi d’interesse, come si può leggere qui accanto dalla comparazione tra ciò che il “consenso” di mercato si aspettava agli inizi di Settembre, di Novembre, di Dicembre e ciò che si attende adesso.

LE BORSE SONO PRONTE PER SEGNARE NUOVI RECORD?

Dunque le borse hanno già effettuato la loro correzione e sono pronte per ripartire a crescere? Forse è così, ma le sorti del quadro complessivo dei mercati finanziari non dipendono soltanto dall’atteggiamento delle banche centrali.

Con i progressi dell’economia globale e con gli ultimi rincari dell’energia (che, ricordiamocelo, è la più importante catena di trasmissione dell’inflazione dei prezzi) tale quadro si è complicato non poco e, se fino a qualche giorno fa avremmo potuto scommettere sulla persistenza del fattore “T.I.N.A.” (“there is no alternative” all’affidarsi all’investimento azionario per ottenere uno straccio di rendimento positivo) e dunque al progressivo ricomporsi della fiducia nelle borse, oggi altri fattori si affacciano all’orizzonte degli eventi…

LE TENSIONI GEOPOLITICHE POSSONO MINARE LA FIDUCIA

Innanzitutto quello geo-politico: la crisi dell’Afghanistan è probabilmente tutto tranne che una questione interna dovuta a quella sorta di “primavera araba” con la quale i media vorrebbero etichettare la vicenda. La Federazione Russa la vede come una vera e propria minaccia ai confini del proprio territorio da parte dei servizi segreti anglosassoni nei confronti del regime-cuscinetto di Nursultan Nazarbaief, così come avevano agito ai tempi della destabilizzazione del Nord Africa e dell’Ucraina (e stavolta per evitare di sottovalutarla ha già inviato cospicue truppe scelte).

L’occidente parla quasi soltanto della brutalità della repressione della rivolta stessa, pur ammettendo numerosissimi morti tra le forze dell’ordine del Paese. Pochi parlano del fatto che quasi la metà di tutto l’uranio estratto nel mondo venga proprio da lì (proprio mentre si torna a parlare del nucleare come nuova fonte di energia “pulita”). È inoltre piuttosto probabile perciò che, a seguito dell’appoggio dato dai Russi all’esercito locale, nuove sanzioni verranno inflitte alla Federazione Russa.

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Dunque a seguito del fallito colpo di stato afghano è probabile che si creeranno nuove frizioni con l’Occidente, che potrebbero a loro volta alimentarne altre, dal momento che Cina, Turchia e altre repubbliche asiatiche hanno già proposto di schierarsi a favore della Russia e comunque non resteranno a guardare lo sviluppo degli eventi senza fare nulla. Soprattutto sul fronte dei prezzi dell’energia da petrolio e gas, che rischiano di rincarare ancora nonostante lo sforzo dichiarato di migrare più velocemente possibile verso forme di energie da fonti alternative.

Occorre ricordare al riguardo che l’America non è il primo esportatore di gas e petrolio, ma ne è sicuramente il primo produttore e ne è comunque un esportatore netto a dosi crescenti. Dunque le sue èlites potrebbero avere grande convenienza nel rialzo del costo dell’energia. Con l’eccezione della Federazione Russa il resto del mondo invece lo subirebbe, con conseguenze anche sui profitti degli operatori economici.

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Andrebbe tutto bene dunque, ma soltanto sino a quando l’eventuale persistenza dell’inflazione dovesse arrivare a minare la fiducia degli operatori economici, invertendo la discesa della disoccupazione (arrivata negli U.S.A. ai minimi storici, come si può leggere dal grafico) e iniziando a rallentare gli investimenti in efficienza produttiva. Questi fattori potrebbero ridurre le attese di profitto delle principali società quotate e determinare nuovi ribassi.

MA LA GOLDMAN SACHS È PIÙ CHE OTTIMISTA!

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Tuttavia, nonostante il fatto che la persistenza dell’inflazione, il rialzo dei tassi d’interesse e le tensioni internazionali siano tutti fattori che dovrebbero spingere alla prudenza, la banca d’affari americana Goldman Sachs non ha dubbi: non soltanto le nuove tecnologie continueranno a stupirci e a far guadagnare bene le grandi multinazionali, ma c’è ancora tanta liquidità in circolazione. Liquidità che al momento si rivolge alla speculazione su materie prime, metalli e immobili, ma che alla fine tornerà di nuovo a far incrementare l’investimento in titoli azionari, perché, appunto, a questi ultimi non c’è quasi alternativa in termini di rapporto rischio/rendimento.

Difficile dargli torto: la liquidità oggi in circolazione è davvero alta e, prima dì irrorare la crescita dei prezzi al consumo, essa si intrattiene sui mercati finanziari, dove però l’alternativa “reddito fisso” è davvero povera di attrattiva. E nelle sue previsioni non manca di elogiare le borse europee, meno sbilanciate sui titoli ipertecnologici e le cui performances sono state oggettivamente in calo per anni rispetto a quelle della borsa americana, e dove Goldman Sachs vede dunque le migliori opportunità, come si può dedurre dal grafico qui riportato da Bloomberg:

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Luci ed ombre insomma, come sempre all’inizio di ogni anno, ma forse con un pizzico di ottimismo, pur tenendo conto della volatilità aggiuntiva e del maggior rischio di fondo.

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Lo spettacolo però -come sempre- deve andare avanti. E probabilmente ci andrà. Soprattutto sul fronte delle tecnologie (che però sono investimenti ad elevatissimo rischio), ma anche sui titoli finanziari e sui titoli energetici, dovunque insomma ci sono da attendersi migliori performances per gli anni a venire.

Dunque al momento un pizzico di ottimismo non deve guastare il gusto agrodolce del mercato! Quantomeno la parte di amaro riguarderà i grandi sommovimenti che è lecito attendersi dalla rotazione dei portafogli e dall’incremento della volatilità complessiva. Ma è altrettanto probabile che i profitti aziendali continueranno a correre e, con loro, una messe assai interessante di dividendi !

Stefano di Tommaso




PERCHÉ LA BORSA CONTINUERÀ A PERFORMARE

La Compagnia Holding
Non ci sono soltanto argomenti a favore delle borse a causa della liquidità dilagante dei mercati in queste ore: la narrativa delle cause per le quali i mercati finanziari dovrebbero continuare a brindare nonostante le difficoltà dell’economia reale e il forte incremento dell’inflazione dei prezzi si è recentemente ampliata ad una moltitudine di fattori, soltanto alcuni dei quali vengono normalmente presi in considerazione dagli operatori di mercato. Eppure rischiano di essere quelli che conteranno di più…

 

Chi compra e vende in Borsa infatti ha soltanto parzialmente la possibilità di informarsi sui macro-trend di lungo periodo e forse non vi è nemmeno troppo interessato dal momento che resta sempre valida la famosa massima di John Maynard Keynes: “nel lungo periodo siamo tutti morti”. Eppure talvolta può avere senso guardare anche oltre l’orizzonte per chiedersi dove va il mondo, soprattutto quando nel breve termine le nebbie dell’incertezza lo avvolgono e una serie di segnali di possibile inversione del ciclo mettono paura e costringono chi ne rimane interdetto a cercare di comprendere meglio ciò che succede.

Le borse notoriamente tendono ad anticipare le grandi tendenze di fondo, anche quando queste anticipazioni possono rivelarsi contraddittorie e rischiano di venire ribaltate. È la natura dei mercati ed è il motivo per il quale, di tanto in tanto, la volatilità dei loro corsi si impenna e arrivano tempeste. Difficile predirle con certezza e ancor più difficile è mettersi al riparo quando arrivano.

Questa volta la congiuntura economica non potrebbe apparire più in contraddizione con l’andamento dei mercati finanziari, così come lo è addirittura una serie di segnali che, storicamente, li hanno accompagnati ad importanti ribassi, quali la prospettiva di un rialzo dei tassi d’interesse, quella di un vistoso ribasso dei rendimenti “reali” (cioè al netto dell’inflazione), e persino quella di una possibile riduzione dei profitti aziendali.

Se in passato tutti questi indicatori avrebbero riempito di timori chi investe per professione o per gestire i propri risparmi, oggi sembra che le famose “regole del pollice” possano non funzionare più come una volta, almeno nel breve termine. Se poi ci aggiungiamo che la vera causa di ciò risiede probabilmente nelle tendenze di lungo termine (cioè quelle che poi nessuno guarda davvero quando opera) ecco che il disorientamento cresce e ci si può chiedere con angoscia se stiamo vivendo in un mondo rovesciato (e di conseguenza quanto potrà durare).

Probabilmente si, una serie di coordinate dell’intelletto appaiono oggi saltate o in seria difficoltà a fornire indicazioni utili e, nonostante tutto quanto sopra possa indicare con decisione la prospettiva di un consistente ribasso dei mercati e rialzo dei tassi d’interesse, non si trova (quasi) nemmeno uno spaventapasseri pronto a scommetterci seriamente. Tutti sanno che l’albero della cuccagna non ha esaurito i suoi frutti, sebbene si possa soltanto tentare vagamente di comprenderne le ragioni:

  • Le banche centrali non vogliono e non possono allentare davvero la presa sugli acquisti di titoli a reddito fisso (quantomeno quelli che finanziano i debiti pubblici) perché è la politica che -indirettamente- glielo impone. Dunque i mercati rischiano di restare a lungo piuttosto liquidi, nonostante ogni tanto qualche portavoce dei “prestatori d’ultima istanza” provi a fare “buh”! e faccia finta di andare nella direzione opposta.
  • I profitti aziendali non scenderanno davvero e non hanno alcuna prospettiva seria di ribasso nonostante il peggioramento tangibile dell’economia reale. I motivi: probabilmente perché non vivono al “ground zero” come gli altri comuni mortali: il 60-70% del valore di capitalizzazione totale dei maggiori indici borsistici è composto di grandi e grandissime conglomerate multinazionali, il cui potere di mercato tende soltanto a crescere e le cui risorse tecnologiche tendono soltanto ad aumentare. Morale: comprate titoli di larga capitalizzazione e state attenti agli altri, soprattutto quando esprimono un basso contenuto tecnologico. Le innovazioni in arrivo rischiano di radere al suolo la vecchia industria e di continuare ad arricchire le imprese più capaci di “cavalcare la tigre”!
  • È in arrivo (nonostante i debiti pubblici) una montagna di denaro pubblico e di garanzie governative a favore dei grandi investimenti infrastrutturali che porteranno forti salti di qualità nello sviluppo delle città, dei mezzi di comunicazione e dei sistemi logistici e di trasporto. Non perché qualche politico illuminato lo abbia voluto strenuamente, bensì per la mole di interessi che vi risiedono attorno. I grandi “contractors” non potranno che continuare a guadagnare, così come i banchieri che li assistono e i fornitori strategici che li controllano di fatto (a partire da quelli che li approvvigionano di energia, materie prime e semilavorati strategici, o che cercano e forniscono risorse umane. Anche i titoli di questi ultimi perciò sembrano molto bene impostati ma… attenzione! Soltanto quelli più importanti e più globalizzati!
  • Il Green Deal è tutt’altro che morto dopo la pandemia epocale che stiamo tutt’ora subendo: anzi rischia di esaltarne i diktat e le priorità politiche, dunque anche su questo fronte c’è da attendersi una montagna di investimenti pubblici e privati, grandi incentivi fiscali e grandi monopoli e oligopoli di fatto che nessuno si sognerà di sanzionare (per il momento almeno). Ne beneficeranno ovviamente tutti i settori più esposti alla cosiddetta “sostenibilità” ambientale, a partire dai produttori di veicoli elettrici e di energie da fonti rinnovabili, fino a chi gestisce l’ecologia e il riciclo dei materiali (anche se in misura minore).
  • Infine ancora una volta la tecnologia. Ma non quella de’noantri! Quella epocale e “spaziale”: l’intelligenza artificiale, la grande cybersecurity, la robotica, l’informatica quantistica e iper-performante sui “big data”, la fabbricazione delle batterie del futuro e dei sistemi di conservazione dell’energia e, soprattutto, la ricerca medica e farmacologica più avanzata. I titoli dei gruppi (grandi e piccoli) capaci di accreditarsi come i campioni di questi settori non potranno che volare alle stelle, indipendentemente dalla loro effettiva capacità di trasformarsi in grandi produttori profittevoli. Di nuovo: almeno per il momento! Di questi operatori c’è un grande bisogno anche se è chiaro a tutti che prima o poi la festa arriverà alla sua conclusione naturale…

Morale: non è difficile prevedere che di fronte a “cotanto consesso” di candidati a guadagni stellari per tutti gli altri non resteranno che le briciole, se resteranno. E, a prescindere dal fatto che siano quotate in borsa o meno, le imprese più profittevoli, più estreme e con maggiore di capacità di crescere verticalmente e globalmente saranno ovviamente le altre preferite. Per esempio dai grandi fondi di private equity, che arrivano dove non arriva la Borsa e dove non ha senso che arrivi il Venture Capital. Insomma la grande finanza sembra destinata a vincere dovunque, sempre per il momento. E dove non arriva la grande finanza è probabile che resti soltanto un deserto.

E in Borsa sono quotate soprattutto le imprese migliori, gli indici di borsa sono composti dalle imprese più grandi e più globalizzate. E circa la metà di tutta la capitalizzazione di borsa dell’indice Standard & Poor 500 (a Wall Street) è fatto da imprese iper-tecnologiche. Difficile pensare che – nella lotta per la sopravvivenza –  avranno la peggio, così come è difficile prevedere un futuro roseo per le borse dei Paesi Emergenti o delle repubbliche più piccole dell’Unione Europea, persino quando le quotazioni delle rispettive borse hanno ancora un bel diverso di performance da recuperare, come nel caso dell’Italia.

Se vi piace vincere facile dunque bisogna riuscire a scommettere sui titoli quotati, sulla grande finanza, sui settori favoriti e sulle grandi trasformazioni epocali. Al momento è così, mentre rischia di essere molto “grigia” per tutti gli altri, per la piccola industria di stampo tradizionale e per le imprese familiari che non hanno acceso ai monopoli e oligopoli garantiti dalla politica. E tutto questo sempre per il momento. Quando sarà passato questo momento nessuno sa bene cosa succederà. E non mi stupirebbe osservare una specie di cataclisma che si abbatterà sul mondo. Ma quelli della mia generazione rischiano di non vivere abbastanza a lungo per riuscire ad osservare il ritorno alla realtà. Oggi è quella virtuale che vince su tutto!

Stefano di Tommaso