IL GIOCO DELL’OCA* DEI MERCATI

Nonostante gli annunci e gli inviti alla prudenza, nonostante i rialzi dei tassi annunciati e, in parte varati in America, le banche centrali di tutto il mondo continuano a darsi il cambio nell’immettere nuova liquidità netta sui mercati finanziari e quella liquidità sospinge in alto qualsiasi titolo quotato.
Il fenomeno genera macroscopiche distorsioni della realtà percepita, avvolgendo in una nuvola dorata ogni asset che sui mercati possa vantare una certa liquidabilità e innalzandone senza ragioni apparenti la valutazione.

 

L’ECCESSO DI LIQUIDITÀ AL CENTRO DEL DIBATTITO

Con i mercati che continuano a inanellare quotazioni stellari gli investitori restano prudenti e disorientati, perché non posseggono strumenti analitici che permettano loro di giustificare gli eccessi dei mercati. Scrivo dei “mercati” e non solo delle borse perché la pandemia da eccesso di liquidità ha travolto anche gli altri mercati, a partire dal reddito fisso dove gli investitori acquistano qualsiasi titolo anche senza alcuna ragione apparente, per non parlare di taluni immobili a reddito, delle criptovalute e dei metalli preziosi, per arrivare ultimamente addirittura alle riserve petrolifere, le cui valutazioni erano rimaste notoriamente in stallo per eccesso di offerta.

IL PARADOSSO DEI BOND “KROGER FOODS”

A proposito di eccessi un fenomeno apparentemente inspiegabile se non con la lente della disperazione derivante dalla sovrabbondanza di liquidità è quello che ho osservato qualche giorno fa con il piazzamento di bond in tre tranches (a 5,10 e 30 anni) per un miliardo di dollari da parte di Kroger, una media catena americana di supermercati alimentari, praticamente subito dopo che le sue azioni sono andate a picco (insieme a quelle di quasi tutte le catene di supermercati) per effetto dell’acquisto di Whole Foods da parte di Amazon.
Posso comprendere la prudenza di chi preferisce una cedola ad un mercato azionario percepito dai più oramai come estremamente speculativo, ma qualcuno si è chiesto se, fra trent’anni, la catena esisterà ancora? Probabilmente no, visto che tra l’altro, il rendimento che offrono quei bond resta al di sotto del 5%. Come nessuno quindi si è chiesto se quel 5% (scarso) può compensare i rischi cui va incontro il detentore di quel finanziamento non garantito concesso ad un distributore tradizionale di alimentari operante in un mercato che -chiarissimamente- va incontro a forti cambiamenti.

A CORTO DI TEORIE ECONOMICHE ADEGUATE

Il fenomeno appena citato è significativo tanto dell’apparente cecità degli investitori relativamente agli elementi fondamentali dell’analisi economica, quanto del fatto che, indubbiamente, tutti coloro che da quasi un anno a questa parte hanno gridato allo scandalo dell’eccesso di valutazioni dei mercati finanziari è poi rimasto scottato dalla realtà dei fatti, che è andata nella direzione opposta, smentendoli clamorosamente!

La verità perciò è che ben pochi tra gli investitori riescono a capire qual è il gioco, e a farsene una ragione, soprattutto perché mancano di adeguati strumenti analitici: le vecchie infrastrutture dell’analisi economica evidentemente non risultano adeguate a spiegare la situazione eccezionale in cui si trovano i mercati finanziari globali!
Ma soprattutto, anche qualora saltasse fuori qualche teoria economica in grado di meglio giustificare la situazione corrente alla luce di una razionalità che ai più invece sfugge, questa non costituirebbe necessariamente una garanzia del fatto che la situazione di “bonanza” perdurerà a lungo in futuro e che dunque i mercati a un certo punto non crolleranno precipitosamente.

BASSA VOLATILITÀ, CONTRO OGNI RAGIONEVOLE PREVISIONE

L’eccedenza di liquidità ha tra l’altro ridotto la volatilità dei mercati a meno della metà dai picchi toccati un anno fa. Ecco ad esempio l’andamento a un anno dell’indice VIX (che misura la volatilità dell’indice SP500 relativo ad un ampio paniere di titoli di Wall Street):


IL TIMORE DELL’INFLAZIONE E LO SPETTRO DELLA DEFLAZIONE

Sebbene dunque non sia un mistero per nessuno che risieda nella grande liquidità disponibile la causa primaria della beata calma piatta e dei meravigliosi ritorni sul capitale per chi ha investito sino ad oggi, la sensazione tra gli operatori è che il trascorrere del tempo senza che l’inflazione faccia significativi passi in avanti non migliori la situazione di incertezza circa il futuro delle borse e del risparmio gestito.

Il timore generalizzato è infatti che la crescita economica, degli investimenti, dell’occupazione e dei salari possa mostrare a un certo punto più o meno di colpo i suoi effetti inflattivi, spiazzando tutti e generando panico.
Nemmeno le banche centrali in quel caso avrebbero a disposizione molti strumenti, perché l’eccesso di rigonfiamento dei propri bilanci, l’eccesso di debito pubblico e il livello davvero basso dei tassi di interesse attuali impedirebbe loro molte delle manovre previste nelle principali teorie economiche accreditate, oppure le costringerebbero ad azioni estreme, tornando a dover muoversi come nel 2009, in territori inesplorati.

L’ECCESSO DI DIPENDENZA DALLE BANCHE CENTRALI E I BUONI FONDAMENTALI

Il punto è che la situazione eccezionale di picco che oggi osserviamo -per quanto per sua natura instabile- potrebbe ugualmente perdurare per un tempo indefinito, perché quel che sembra è che le banche centrali sono diventate prigioniere del loro stesso gioco, impossibilitate a tornare indietro nella loro millimetrica regolazione del rubinetto e anche senza alcuna volontà di farlo, se non il più gradualmente possibile.
Gli operatori d’altronde dipendono più che mai dalle loro indicazioni, e nessuno si mette davvero a scommettere contro gli attori di gran lunga più importanti dei mercati, assecondandoli pedissequamente.

Il contesto generale è peraltro fortemente positivo: l’economia europea è il nuovo campione mondiale di performance, quella asiatica continua la sua corsa (sempre che la bolla finanziaria cinese non imploda), quella americana c’è il sospetto che vada meglio di ciò che le statistiche ci raccontano perché sarebbe politicamente incoerente mostrare agli elettori i successi economici dell’era politica irriverente inaugurata da un Presidente eletto contro tutti i sacri crismi della tradizione americana e oggi sotto pesante assedio da parte del Congresso. E la tendenza globale alla riduzione della tassazione sui redditi e al miglioramento dell’efficienza delle imprese suggerisce di non fare follie tirando la corda di un aumento dei tassi sin tanto ché l’inflazione non si manifesti impetuosa. Ma è difficile dire se ciò succederà mai.

COME NEL “DESERTO DEI TARTARI”

Non credo di essere il solo a rievocare nella situazione attuale il meraviglioso e surreale romanzo “Il Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, dove le banche centrali di oggidì sono forse l’equivalente del Tenente Drogo, che viene inviato giovanissimo alla Fortezza Bastiani nell’attesa che un giorno da oltre il deserto spuntino i nemici del Regno (dei non meglio definiti “Tartari”, cioè l’inflazione, fuor di metafora).
Appena arrivato si rende conto di essere forse caduto in una trappola, e vorrebbe fuggire. Ma quella situazione surreale e magica in cui si trova in fondo gli piace. E così il comando del suo manipolo a difesa della fortezza diviene nel tempo il suo pretesto per dare un significato al suo ruolo e agli anni vissuti lì dentro nel prepararsi al combattimento. Prima o poi dovrà arrivare l’occasione tanto attesa, quell’evento glorioso che gli regalerà finalmente prestigio ed onore, ma invece il tempo passa ed egli finisce in quella prigione dorata i suoi giorni, nella nebbia delle abitudini e delle ritualità, a guardia un baluardo immaginario a difesa del nulla. Un simbolo delle convenzioni e degli schemi con cui puntelliamo le nostre esistenze cercandovi missioni inesistenti e sicurezze impossibili.

Stefano di Tommaso

*L’Oca che dà il nome al gioco è un animale tenuto in grande considerazione da molti popoli antichi, a partire dagli Egizi per giungere ai Greci. I Romani avevano affidato alle oche il compito di vegliare sul tempio di Giunone, nel Campidoglio. Per i Celti, il palmipede era simbolo dell’aldilà e guida dei pellegrini, ma anche simbolo della Grande Madre dell’Universo. Le regole del gioco si conformano a questa valenza sacra dell’animale, sottolineando il suo ruolo di “guida provvidenziale”: capitare su una casella contrassegnata da un’oca permette infatti di abbreviare il percorso, raddoppiando il punteggio ottenuto.
Il numero delle caselle, 63, è particolarmente significativo: come prodotto di 9 x 7 permette di intendere il percorso come successione di 7 cicli di 9. Questi numeri si collegano direttamente alla teoria degli “anni climaterici”, tenuti in grande considerazione dall’astrologia classica: i cicli settenari e novenari segnano infatti gli anni fondamentali della vita umana che, in questo caso, si concluderebbe col sessantatreesimo anno, chiamato “il grande climaterio”. In questo senso il gioco può essere inteso come una rappresentazione simbolica del percorso stesso della vita. Ma c’è di più: la casella 63 è quella che permette di accedere al centro della spirale, al “castello o giardino dell’oca” che non è numerato. Considerando anche il centro, avremmo in tutto 64 caselle e questo numero, oltre ad essere simbolo dell’Unità, verso la quale il cammino ci deve ricondurre (6+4=10; 1+0=1), è il prodotto di 8 x 8 e suggerisce immediatamente una possibile analogia del nostro gioco con quello degli scacchi, che, a sua volta, ha la sua matrice simbolica nei 64 esagrammi dell’I Ching o “Libro dei Mutamenti”, i cui simboli descrivono appunto tutti gli stadi possibili dell’esistenza umana.

 




IL VENTURE CAPITAL CORRE IN AMERICA E EUROPA MA NON IN ITALIA

Il 2016 è stato in buon anno in Europa per la raccolta di capitali finalizzati a supportare le start-up innovative: sei miliardi e mezzo di euro. Uno in più del 2015. E il 2017 si preannuncia ancora migliore. L’anno scorso il 44% di quei capitali è stato investito in “information&communication technology”, mentre il 27% è andato in aziende che si occupano di sanità e biotecnologie.

Per comprendere l’importanza strategica degli investimenti rivolti alle innovazioni tecnologiche, ricordiamoci che in tutto il mondo buona parte delle tecnologie che oggi sono parte integrante della nostra vita quotidiana sono in realtà state introdotte da sconosciuti e spesso giovanissimi imprenditori che non lavorano per gli uffici di ricerca e sviluppo delle grandi multinazionali, per mille e un motivo.

E ricordiamoci anche che buona parte di tutte le innovazioni che hanno generato venti o trent’anni fa i colossi che oggi valgono di più a Wall Street (tenendo conto del fatto che ciascuno di essi capitalizza in Borsa quanto il Prodotto Interno Lordo della Gran Bretagna) sono nate in un garage grazie ai cosiddetti “family&friends” e a qualche lungimirante capitalista di ventura.

Se l’America oggi mantiene una leadership tecnologica rispetto al resto del mondo pur con una popolazione inferiore a quella di molti altri Paesi è solo grazie alle sue università (private) e al moltiplicarsi di quegli sparuti lungimiranti investitori di ventura iniziali che hanno scommesso su alcuni giovani promettenti.

 

Questo dovrebbe far riflettere quando si parla di politica economica, di futuro dei giovani e di creare occupazione: questa non si crea per decreto e non si supporta (solo) puntellando le fabbriche del passato oggi in crisi. L’occupazione del futuro -com’è ovvio- sarà generata dalle aziende del futuro.

Eppure in Italia nessuno ne parla e nessuno è disposto ad ammettere che se tutte le volte che un giovane ha un progetto ambizioso questi deve fuggire all’estero per realizzarlo o per non morire soffocato da un eccesso di burocrazia, tassazione e rivendicazioni sindacali, ne avremo poche nel nostro Paese di aziende del futuro, all’altezza dell’evoluzione tecnologica in corso.

Nel nostro Paese già il 93% dei capitali raccolti dalle imprese (spesso tradizionali) quotate in Borsa viene sottoscritto dall’estero, figuriamoci i capitali di ventura! Persino in Europa un decimo di quei 6 miliardi e mezzo raccolti l’anno scorso dal Venture Capital proviene dall’America. E la sola Francia si prepara ad essere uno dei principali incubatori di startup del pianeta. Dopo gli Stati Uniti d’America l’Europa è il secondo ecosistema delle innovazioni, in gran fermento di risorse umane e capitali.

In Italia invece i dati ISTAT parlano di una nazione che spende il 77% della spesa pubblica per gli anziani sopra i 65 anni, mentre il 20% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni che non studia ancora, non ha e non cerca un lavoro. E il 2,8% per cento della spesa pubblica se ne va in “pensioni di reversibilità”, cioè alle vedove dei pensionati defunti mentre siamo l’ultimo Paese dell’Unione Europea per investimenti in capitale di rischio.

Ma non solo abbiamo politiche economiche sbagliate a dir poco che favoriscono l’esportazione di cervelli e l’immigrazione di braccianti e delinquenti. Se abbiamo il 93% degli investitori in aziende quotate (buona parte delle quali sono banche e società immobiliari) è anche perché il nostro è un contesto economico che rappresenta il bengodi delle rendite di posizione! Rendite le cui dinamiche sono agli antipodi rispetto alla logica di chi investe capitale di rischio!

In Europa sono 13 i fondi di investimento in “venture capital” che hanno raccolto più di €100 milioni. Da noi la più importante operazione di venture capital è stata appena lanciata (dunque non ha ancora raccolto nulla) ed è il fondo dal valore di 100 milioni di euro annunciato da Cariplo Factory e dedicato a growITup, la piattaforma di Open Innovation creata in partnership con Microsoft e rivolto a tutte le startup digitali italiane.

Un ottimo segnale di cambiamento. Ma prima di recuperare tutto il terreno perduto la strada per il Bel Paese si preannuncia molto lunga!
E nel frattempo saremo destinati a crescere e ad assumere molto meno degli altri Paesi sviluppati.
L’esatto opposto di ciò che sarebbe coerente con la nostra vocazione benefica che ci spinge a restare il Paese principe nell’accoglienza degli extracomunitari e nella tolleranza dell’immigrazione clandestina!

 

Stefano di Tommaso




SULLE BORSE GLOBALI DUE MONDI CONTRAPPOSTI: TITOLI DIFENSIVI O TECNOLOGICI?

Sui listini di tutto il mondo la galassia dei titoli tecnologici appare avere andamenti sempre più contrapposti a quelli di un’altra galassia, quella dei titoli azionari dei comparti tradizionali. Investire sugli uni risponde infatti a logiche molto differenziate dall’investire sugli altri.

 

Sono oramai molti molti mesi che le borse globali galleggiano su livelli record e che, per questo motivo, i gestori del risparmio si interrogano su come orientare gli investimenti per rispondere alle esigenze dei loro sottoscrittori. L’onda lunga delle nuove tecnologie ha favorito guadagni meravigliosi ma sicuramente i titoli “tecnologici” se da un lato promettono ancora performance eccezionali, dall’altro costituiscono una scommessa forte e rischiosa. I loro corsi sono soggetti a violente oscillazioni anche a causa del fatto che la calma piatta in superficie dei mercati ha incentivato una decisa rotazione dei portafogli.

Sino ad oggi poi anche il mercato dei titoli a “reddito fisso” ha fornito ottime soddisfazioni, ma il livello “quasi zero” dei tassi di interesse fornisce poca attrattiva per gli investitori e per questo motivo essi tendono a preferire investimenti azionari “difensivi” cioè orientati verso titoli a bassa oscillazione e con elevate politiche di dividendi.

Quel che accade perciò rassomiglia ad un processo di polarizzazione degli investimenti. È ormai come se ci fossero per ogni grande borsa del mondo due diversi mercati azionari:

•da un lato quello dei titoli azionari emessi da aziende tradizionali, dove gli investitori hanno da tempo rinunciato a fare scorribande e alla speranza di cospicui apprezzamenti in conto capitale, ma dove cercano invece una sponda di lungo termine, che assicuri loro la cedola e la solidità (per “bondificare” cioè “obbligazionarizzare” i loro investimenti).

•dall’altro lato quello dei titoli emessi da start-up tecnologiche, aziende del mondo internet e società con elevato potenziale di crescita: tutti titoli che esprimono invece forti attese di rivalutazione, assieme ad un’elevata volatilità. Questo mercato risponde al veloce cambiamento delle attese man mano che si chiariscono le tendenze di fondo delle curve esponenziali delle performances. Dunque con titoli come Snapchat che vanno giù e quelli come Amazon o Tencent che invece continuano a correre.

Ovviamente gli investitori non sanno bene se e quando saltellare dall’una all’altra galassia, ma appare loro tuttavia abbastanza chiaro che i titoli appartenenti alla prima sembrano divenuti quasi inscalfibili e immutabili alle oscillazioni degli umori persino quando i peggiori timori geopolitici prendono il sopravvento. Dipendono forse maggiormente dalla liquidità dei mercati che però ancora oggi resta molto elevata (vedi il grafico qui allegato che riporta una delle spiegazioni”tattiche” per cui le borse sino ad oggi non sono andate giù: anche nell’ultimo semestre la liquidità sui mercati si è accresciuta ).

Mentre i titoli appartenenti alla seconda galassia (i “tecnologici”) appaiono molto più sensibili alle oscillazioni degli indicatori economici, al trading online e, in definitiva, al “consensus” del mercato. La loro volatilità è infinitamente più alta anche perché settimana dopo settimana qualcuno di essi appare essere un cavallo stanco, altri corrono più delle aspettative e in media scontano maggiormente i timori di un improvviso ridimensionamento dei listini.

Un interessante comparto industriale rimasto forse a cavallo tra i due mondi appare essere quello dell’automobile, dove convivono FCA e GM da una parte, ancora ostinatamente orientati al design più che all’innovazione e dall’altra parte aziende innovative come Tesla, produttrice di auto elettriche supertecnologiche e capaci di guidare quasi da sole. Con tutte le vie di mezzo come Toyota, WW e Volvo, che hanno saltato il fosso della tecnologia di trazione con motori termici tradizionali ma non del tutto e non prevalentemente.  Ovviamente i titoli di Tesla volano, dominati dalle attese sulle consegne di autoveicoli la cui domanda supera di molte volte l’offerta, mentre sugli altri titoli aleggiano minacciosi i nuvoloni della prossima riduzione della spesa per consumi, cui essi possono risultare più sensibili della media.

Utile anche domandarsi chi ci rimette in una tale forte diaspora tra le due diverse tipologie di titoli azionari, mossa dai timori di fondo di possibili ridimensionamenti delle quotazioni. La risposta è che non rientrano in nessuna delle due categorie oggetto di questa polarizzazione i titoli meno liquidi e quelli a minor capitalizzazione. Ma anche quelli emessi da imprese non fortemente caratterizzate come “market leader” di qualche specifico settore, le start-up in generale e forse anche i progetti di IPO. La polarizzazione degli investimenti in fondo è uno dei tanti modi adottati dal mercato per mettersi sulla difensiva !

 

Stefano di Tommaso

 




BENVENUTI NELL’ERA DEL QUANTITATIVE INVESTING

Dopo l’euforia dei mercati arriva una fase di consolidamento che vede gli investitori attenti alle nuove tecniche quantitative di costruzione dei portafogli basate sul concetto di “Bondification”. Vediamo cosa significa.

 

C’era una volta il “Trump Trade”, vale a dire quell’euforia dei mercati finanziari che era immediatamente succeduta all’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, provocando forti aspettative di riduzione della tassazione e incremento degli investimenti infrastrutturali. Per molti mesi i mercati di quasi tutto il mondo (emergenti compresi) sono saliti uniformemente creando la sensazione che la rinnovata crescita economica globale avrebbe risvegliato il mondo dalla deflazione e alimentato guadagni generalizzati sui mercati.

Oggi invece, alla vigilia di un’estate che si preannuncia algida e relativamente povera di novità sostanziali, salvo il forte rischio di un nuovo acuirsi delle tensioni geopolitiche globali (quantomeno in Siria), con il raffreddarsi delle aspettative di inflazione nei paesi OCSE (che si pensava potesse addirittura tornare prepotente sulla scena) molti investitori stanno facendo “ruotare” i portafogli limitando gli investimenti più speculativi, mentre si torna ancora una volta a parlare di “quantitative investing” e, in particolare, di quella nuova tendenza nelle strategie di investimento che seleziona portafogli di titoli azionari configurandoli per avere caratteristiche simili a quelle di un titolo a reddito fisso di natura sintetica, nota come “bondification”.

ALLA SCOPERTA DELLA “BONDIFICATION”

La strategia, al di là delle sue caratteristiche tecniche (di rischio e rendimento) e dell’intelligenza che essa può esprimere, torna oggi in voga per rispondere ad una fondamentale esigenza di combinare prudenza e ritorni significativi negli investimenti da parte dei gestori di fondi pensione, degli amministratori di riserve tecniche delle compagnie assicurative e dei tesorieri istituzionali di qualunque tipo.

Quello che si è visto infatti dopo le ultime, drammatiche crisi finanziarie, è che anche seguendo una politica di forte differenziazione degli investimenti effettuati e anche limitandosi a selezionare titoli a reddito fisso o collegati ad una importante garanzia sottostante, quando i mercati finanziari picchiano, essi tendono a muoversi più o meno tutti nello stesso modo, provocando ingenti perdite di valore anche nei portafogli gestiti dagli investitori più moderati, quelli che avevano sperato di scambiare minori rendimenti potenziali con una maggior protezione dai rischi.

Una volta cadute quelle certezze del passato relativamente alle cosiddette “asset classes” (cioè alla tipologia di titoli disponibili sul mercato), ecco che quegli operatori del mercato finanziario che sono ugualmente costretti a cercare forme di impiego a limitato rischio speculativo e con buona capacità di pagare un reddito periodico, si sono rivolti a sistemi complessi di analisi quantitativa per trovare delle risposte alle loro esigenze.

Il Financial Times di qualche giorno fa per mano di John Authers ne compie un’ampia indagine per comprendere il fenomeno, descritto come il trend del momento dal Rapporto Annuale fornito da “Create-Research” per Principal Global Investors, che ha intervistato oltre 700 gestori professionali di patrimoni i quali, nel complesso, controllano investimenti per quasi 30.000 miliardi di di Dollari.

Il segreto della Bondification sta sicuramente nella selezione scientifica di titoli azionari emessi da grandi società con basso indebitamento, business stabile, buona generazione di cassa e conseguente forte politica dei dividendi. Più o meno il contrario delle caratteristiche dei titoli tecnologici che sono andati a ruba fino a qualche mese fa.

LA “ROTAZIONE” DEI PORTAFOGLI

Non soltanto in tale modo gli investitori più avversi al rischio possono risultare in grado di costruire l’equivalente di un portafoglio obbligazionario evitando di accettare i rendimenti quasi a zero che si trovano ancora oggi sul mercato.

Quel che sta avvenendo è anche che la rotazione dei portafogli nelle ultime settimane derivante dai timori di qualche significativa correzione sui mercati sta spingendo anche gli altri gestori di patrimoni, che normalmente erano più propensi a prendere dei rischi, tra le braccia degli analisti “quantitativi” capaci di costruire portafogli di titoli diversificati non più sulla base delle “asset classes” bensì soprattutto sulla base dei loro indici statistici di rischio, indipendentemente da quale asset class cui appartengono e, ovviamente, alla “bondification”.

IL TRIONFO DEI “QUANTS”

Per comprendere l’attenzione che sta generando il fenomeno della progressiva sostituzione dei “traders” sui mercati finanziari con ingegneri e specialisti di analisi finanziaria quantitativa, può essere utile dare un’occhiata a un articolo apparso su Bloomberg Finance qualche mese fa denominato “Inside A Moneymaking Machine Like No Other” (ecco il link: https://www.bloomberg.com/news/articles/2016-11-21/how-renaissance-s-medallion-fund-became-finance-s-blackest-box ) dove si spiegava la rivoluzione copernicana negli investimenti proposta da Renaissance Technologies, un misterioso e leggendario gruppo economico, gestore di fondi “hedge” e in particolare del “Medallion Fund”, riuscito a generare profitti per 55 miliardi di dollari dai propri investimenti negli ultimi 28 anni senza quasi mai perdere nemmeno nei momenti più difficili.

Renaissance Technologies ha insomma performato meglio di George Soros e Ray Dalio, prendendo tra l’altro un numero di rischi molto minore e in un periodo più breve!

Quale il segreto? Enunciarlo è più semplice di quanto si possa immaginare: mettere insieme e investire in cervelli e conoscenze scientifiche provenienti dai rami più disparati dello scibile per generare tecnologie interpretative dei segnali provenienti dal mondo reale, applicandole negli investimenti azionari. Più difficile è ovviamente farlo davvero, e per un periodo di tempo così lungo come quasi un trentennio.

Ma al di là della storia straordinaria di questa società di investimenti, campione mondiale del settore, l’impossibile risposta all’eterna questione di dove investire nei momenti più difficili oggi arriva soltanto da quelli che una volta erano definiti i “nerds”, gli intellettuali con la testa fra le nuvole. Che oggi -con il loro approccio pragmatico ai numeri della Finanza- più che mai sembrano aver vinto la battaglia per il successo.

Stefano di Tommaso