LE DIVERGENZE DELL’OCCIDENTE

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I tassi d’interesse aumentano, l’economia rallenta, l’inflazione cala (ma non troppo), l’indebitamento continua a crescere e la guerra Ucraina rischia di allargarsi. Eppure le borse vanno alla grande e i mercati finanziari brindano: che succede? Dipende soltanto dal fatto che l’inflazione ha iniziato a calare? No,non solo. E quest’ultima non è detto sia ancora vinta..!

 

GLI EFFETTI DELL’ECCESSO DI CONCENTRAZIONE DELLA RICCHEZZA

Fior di studi sula concentrazione della ricchezza in poche potentissime mani hanno dimostrato che è una minaccia per la democrazia e il sistema di mercato che l’ha prodotta. Il rischio è quello di una progressiva inefficacia della politica a favore di chi esercita un potere finanziario o oligopolistico, arrivando a controllare le sorti di migliaia di posti di lavoro, il sistema sanitario, le risorse energetiche, le scelte delle amministrazioni locali e sinanco quelle dei parlamenti nazionali.

LA COMPAGNIA HOLDING SPACiò che però in queste ultime settimane stiamo sperimentando appare come una fase “nuova” dell’era “post-capitalistica”, in cui i mercati e i loro grandi protagonisti stanno mostrando la capacità di farsi un baffo non soltanto delle politiche economiche e fiscali delle nazioni, ma persino delle politiche monetarie, rendendole di fatto poco efficaci. Questa “novità” potrebbe aiutare a spiegare i rialzi azionari e il morbidissimo impatto dell’inflazione e delle misure messe in campo per contrastarla sui profitti delle grandi multinazionali.

LA COMPAGNIA HOLDING SPASP500 Corporate Earnings 12/2022

LA DISCUTIBILE “MANFRINA” DELLE BANCHE CENTRALI

Le banche centrali alzano i tassi d’interesse ben sapendo che poco saranno efficaci per combattere l’inflazione perché l’origine di quest’ultima non è il surriscaldamento dei consumi o l’eccesso di investimenti, bensì la scarsità di offerta di materie prime ed energia. Provocano non poco patimento alle piccole imprese, ai privati, e ai lavoratori autonomi che devono sobbarcarsi una spesa aggiuntiva fingendo che il rialzo dei tassi ridurrà l’inflazione.

Quegli aumenti colpiscono poi anche il costo del debito pubblico. I governi devono perciò stanziare maggiori risorse per il servizio del debito, distraendole dalla previdenza sociale, dall’assistenza sanitaria e dal rinnovo delle infrastrutture.

LA COMPAGNIA HOLDING SPAMa il calo della domanda di beni e servizi dei privati e delle piccole imprese appare -per la prima volta nella storia economica- poco percettibile nelle statistiche, fino a mettere in discussione il concetto stesso di “recessione”. Le grandi imprese, la grande finanza, i grandi oligopoli dell’energia, della farmaceutica, delle tecnologie e del commercio elettronico, ne risentono tutto sommato piuttosto poco, a causa delle enormi risorse a loro disposizione per contrastare i venti avversi.

E LE BORSE BRINDANO…

I listini azionari delle borse valori dipendono molto più dall’andamento dei titoli principali per ammontare di capitalizzazione che non da quello generalizzato dell’economia reale che condiziona quasi esclusivamente i profitti e le prospettive delle imprese minori. Ed è probabilmente questo il motivo principale per cui le borse occidentali stanno correndo a gonfie vele proprio da Ottobre, in strana coincidenza tanto con il picco dell’inflazione quanto con l’acuirsi del conflitto ucraino. Oggi la borsa americana delle tecnologie (il NASDAQ) è cresciuto del 20% dall’inizio dell’anno!

E’ quasi come se coesistessero due diverse economie nell’ambito delle stesse nazioni: quella dei grandi oligopoli e dei grandissimi investitori finanziari (che trae persino giovamento dai rialzi dei prezzi delle risorse naturali e dal rialzo dei tassi) e quella di tutti gli altri (che ne soffre).

LA “DIVERGENZA” TRA GRANDI E PICCOLI OPERATORI ECONOMICI

Si è creata insomma una situazione che viene alimentata dalle stesse istituzioni pubbliche (a partire dalle banche centrali) per cui se i tassi salgono e i debiti pubblici peggiorano aumenta anche la divergenza tra le due categorie di operatori: quelli della prima categoria ci guadagnano e quelli della seconda ci rimettono.

Difficile affermare che il panorama economico occidentale, rarefatto e fortemente polarizzato sui pochi grandissimi operatori economici del terzo millennio, sia ancora il medesimo del capitalismo storico, i cui valori erano: la concorrenza perfetta, la libera circolazione delle idee e del sapere scientifico, l’intervento dei comitati antitrust, l’innovazione e il pionierismo. Sembra di parlare di concetti relativi ad un’altra era geologica e invece si riferiscono soltanto all’altro ieri!

IL RIARMO FAVORISCE L’INFLAZIONE

Oggi poi l’Occidente propone attraverso i suoi mezzi di informazione di massa una “crociata” contro Russia e Cina (oltre che tutti gli altri stati accusati di “amicizia” con Russia e Cina), ree di non aver piegato la loro politica a questa nuova forma di “oligo-capitalismo” che rischia di sfociare in una sorta di dittatura occulta e globale. In nome di questa grande mobilitazione l’Occidente corre al riarmo, “sanziona” chi esprime “divergenza” e talvolta chiude sinanco alla libera circolazione delle idee, delle persone e delle merci.

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Finanziare il riarmo tuttavia comporta scelte importanti: la spesa pubblica cresce a scapito del “welfare” e accresce il debito pubblico. Al tempo stesso contrasta gli effetti restrittivi della politica monetaria delle banche centrali. Cioè favorisce l’inflazione.

 

 

 

IL RISCHIO DI UNA “SECONDA ONDATA”

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E le statistiche dicono che l’inflazione non è ancora vinta. Tutt’altro! Anzi il rischio è quello di vederne una “seconda ondata”! Ci sono per ora pochi segnali ma preoccupano non poco: se la discesa dell’inflazione in Occidente fosse già terminata non solo le borse non potrebbero che scendere bruscamente, ma le banche centrali sarebbero costrette a reagire bruscamente provocando, stavolta sì, una vera e propria recessione! Uno di questi segnali è il prezzo del rame, salito di circa il 30% dai minimi di Ottobre. Il rame è considerato un “anticipatore” dell’andamento degli altri prezzi delle altre materie prime, di solito di tre mesi.

LA COMPAGNIA HOLDING SPAAltri segnali da non sottovalutare riguardano l’inflazione “core”, cioè quella che non tiene conto dei prezzi energetici ed alimentari, in lieve salita in quasi tutti i paesi europei, e soprattutto gli aumenti salariali. Particolarmente accentuati negli Stati Uniti d’America, anche in Europa stanno arrivando un po’ dappertutto, con il rischio che possano innestare una spirale dei prezzi (soprattutto dei servizi) che si autoalimenta. D’altra parte è da considerarsi quasi fisiologico che, dopo una prima ondata di rialzo dei prezzi, ce ne siano di successive, così come accade per le pandemie. Una serie di “fattori di trascinamento” dell’inflazione appaiono inevitabili.

FANNO BENE LE BANCHE CENTRALI?

Fanno bene allora le banche centrali ad annunciare altri rialzi? Probabilmente no, dal momento che i tassi più elevati assai poco incidono sulle vere cause, fatto salvo il caso in cui esse riusciranno a “scatenare” una seria recessione economica e un rialzo della disoccupazione, due che però avrebbero anche molti effetti collaterali, tutt’altro che desiderabili. Ad esempio abbasserebbero il gettito fiscale, provocando nuove tasse o di mettere a rischio la sostenibilità dei debiti pubblici). Non solo: eventuali disagi sociali porterebbero quasi automaticamente i governi ad aumentare la spesa per il “welfare” (cn un effetto opposto sull’inflazione), proprio quando meno potrebbero permettersela!

LA “DIVERGENZA” TRA POLITICHE MONETARIE E FISCALI

C’è una seconda divergenza al riguardo: se le politiche fiscali restano espansive (a causa dell’incremento della spesa pubblica che deve finanziare il riarmo e che cerca di contrastare i problemi sociali generati dall’inflazione) a poco serve stringere sulle politiche monetarie!

LA COMPAGNIA HOLDING SPASenza pretendere di possedere la verità, in quest’ottica apparirebbe più corretta una manovra delle banche centrali coordinata con i governi per restringere la liquidità in circolazione senza alzare i tassi, onde riuscire a correggere i prezzi di materie prime ed energia, con la finalità di toccare le vere cause dell’inflazione degli altri prezzi ed evitare che il rialzo dei tassi provochi conseguenze spiacevoli.

Ma il rialzo dei tassi d’interesse (soprattutto se dovesse sortire un rialzo di quelli reali, cioè quelli al netto dell’inflazione) appare un toccasana per i bilanci di banche, finanziarie e holding di partecipazione. Con tassi reali più elevati le rendite finanziarie crescono, a scapito dell’industria e del commercio. Si può comprendere dunque che ci sono forti interessi in ballo!

COSA SUCCEDERÀ

Prima di lanciarsi nelle previsioni occorre ricordare l’andamento ciclico di quasi tutte le variabili economiche e finanziarie: è probabile che le borse non proseguano troppo a lungo nella risalita di cui hanno goduto negli ultimi mesi dal momento che l’economia globale rallenta, lievemente ma inesorabilmente. È inoltre possibile che l’inflazione arrivi a “rimbalzare”, seppur di poco, spingendo le banche centrali a ulteriori rialzi dei tassi, peraltro già ampiamente annunciati!

Tuttavia se il conflitto ucraino non si allargherà e se non si creerà un secondo fronte di scontro a Taiwan o in generale con la Cina, allora è possibile che il prezzo del petrolio e del gas continuerà a scendere, con un benefico effetto sull’economia mondiale e sull’inflazione dei prezzi. Ciò potrebbe permettere alle banche centrali di interrompere i rialzi dei tassi anche in presenza di piccoli rialzi dell’inflazione “core”. Il che darebbe manforte alle borse per toccare nuovi massimi.

LO SCENARIO PIÙ PROBABILE

Quello appena descritto non è tuttavia lo scenario più probabile. Il consenso di mercato attribuisce la probabilità più elevata ad una “lieve” recessione, forse confinata alle sole economie occidentali, che deprimerà la dinamica dei prezzi ma che scatenerà anche molta incertezza sui mercati finanziari, soprattutto se accompagnata da nuovi attacchi da entrambi i fronti in Ucraina. Provocando una discesa moderata delle borse.

E in tal caso gli scenari possibili sono almeno due: se i prossimi scontri in Ucraina saranno brevi ma intensi e lasceranno spazio a nuove trattative per la pace, l’effetto negativo sarà contenuto.

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Auspicando infine che l’ultimo scenario abbia la minima probabilità di verificarsi, c’è invece la teorica possibilità che gli scontri prossimi venturi siano pesanti e non consentano di “aprire” ad alcuna soluzione diplomatica. Anzi, se anche nei confronti della Cina dovessero aumentare le tensioni, allora l’inflazione potrebbe riprendere la sua corsa anche a causa dell’accresciuta necessità di materie prime ed energia, che porterebbe a rialzi dei prezzi in breve tempo generalizzati. In tutto il mondo forse. Con buona pace per il buonsenso!

 

Stefano di Tommaso




METAMORFOSI

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Avevamo descritto il recente rally delle borse come un rimbalzo destinato a scomparire in fretta. Lo stesso si era detto per la resilienza delle economie occidentali: destinata a scomparire non appena le tensioni geopolitiche dovessero crescere ancora. Tutti oggi prevedono una recessione nei prossimi mesi che però si fa quantomeno attendere. Nel frattempo tuttavia l’economia globale rallenta, il commercio internazionale crolla e l’inflazione sembra recedere ma è assai improbabile che torni in fretta al livello sperato (2%) dalle banche centrali.
Le mosse di queste ultime sono le più temute al momento, ma la verità sembra essere che al contrario oggi le banche centrali hanno ben poche munizioni da sparare all’arrivo di una possibile nuova crisi. Dunque il mondo si avvia verso il baratro? Probabilmente no, ma è altresì assai difficile interpretare l’attuale congiuntura, se non analizzando i profondi cambiamenti che la generano.

 

(da Wikipedia) “Metamorfosi” è un sostantivo femminile che significa:

  1. Trasformazione di un essere o di un oggetto in un altro di natura diversa, come elemento tipico di racconti mitologici o di fantasia, spesso consacrati in opere letterarie, spec. del mondo classico
  2. In zoologia, la modificazione funzionale o strutturale di un animale durante lo sviluppo, nel passaggio dalla fase larvale a quella adulta (per es. in Insetti e Anfibi).

GRANDI MUTAMENTI IN CORSO

Cosa succede all’economia globale alle soglie del nuovo anno? Provo a cercare previsioni autorevoli ma non ne trovo. Trovo invece molti catastrofisti e molti “navigatori di lungo corso” che tendono ad affermare un po’ di tutto, appellandosi ai benchmark, ai capricci delle banche centrali e a quelli del presidente ucraino, per potere aver una scusa per ogni stagione. Perché?

La verità sembra essere che -in un mondo che oggi cambia più bruscamente e più imprevedibilmente che mai- non esistono certezze circa l’evoluzione possibile non soltanto dello sviluppo economico, ma anche dei mercati finanziari, dei livelli dei prezzi e dei fattori che scarseggeranno, tanto da lasciare spazio a grandi timori. In realtà tuttavia è possibile cercare di analizzare le grandi trasformazioni in corso, perché è molto probabile che da esse dipenderà la maggior parte degli sviluppi che prenderanno forma nel corso dei prossimi anni, a partire dal 2023.

Inutile dunque tentare di emettere semplici e sensazionali previsioni per i mesi a venire, proprio in virtù della complessità dei cambiamenti in corso. Se anche ci provassimo, i rischi di sbagliare sarebbero molto più elevati che in passato. Molto meglio provare ad esaminare i singoli fattori della metamorfosi economica in corso, per dedurne degli andamenti e, in ultima analisi, per farci una nostra idea di ciò che succederà nel prossimo futuro.

LA RECESSIONE CHE VERRÀ

Sicuramente le variabili in gioco sono innumerevoli, e questo giustifica il comportamento “attendista” dei più moderati. Giustifica anche i numerosissimi “market pundits” (“soloni” dei mercati) come Jamie Dimon o Nouriel Roubini, i quali sono quasi tutti concordi nel pronosticare grandi disastri per i mercati finanziari nell’anno a venire.

LA COMPAGNIA HOLDINGSecondo il primo tanto l’inflazione quanto possibili nuove tensioni geopolitiche scateneranno tensioni sul fronte dell’approvvigionamento energetico e una recessione. Conseguentemente le borse torneranno a scendere del 30% circa. Per quanto autorevole Dimon si aggiunge peraltro ad una lunga lista di persone che la pensano allo stesso modo, tant’è vero che qualcuno ha definito la recessione in arrivo come la più “preannunciata” della storia recente.

Ma se andiamo indietro nel tempo quasi tutte le altre recessioni sono alla fine arrivate contro ogni previsione, mentre quelle annunciate alla fine si sono dissolte nel nulla. Proprio per questo viene il dubbio che, quando tutti sembrano concordare per un crollo delle borse, non sia altrettanto scontato che ciò succeda davvero.

LE DIECI “D”

Secondo Roubini invece la questione è più complessa: il mondo che cambia porta con sé dieci fattori-chiave che impediranno quello che potremmo chiamare il “ritorno alla normalità”: Debito, Demografia, Deflazione, Devaluation (svalutazione delle monete ufficiali), Digitalizzazione, De-globalizzazione, Democracy Backlash (arretramento della democrazia nel mondo), Duopolio (tra Stati Uniti e Cina), Digital Warfare (guerra delle tecnologie), Disastri (pandemici, ambientali, finanziari).

In effetti i grandi cambiamenti in atto è probabile che ci consegneranno quasi per certo un futuro denso di novità che potremmo appunto definire come una “metamorfosi economica”. Sarà forse un futuro che potrà alla fine risultare anche migliore, ma che oggi porta con sé grandi timori e grandi interrogativi circa il benessere dell’umanità, oltre che circa l’identità dei possibili vincitori e delle possibili vittime di questi profondi cambiamenti. Da un certo punto di vista sono dunque comprensibili le “allerte” che vengono lanciate, anche se non sono certamente da prendere alla lettera.

Proviamo perciò innanzitutto ad approfondire in ordine più o meno sparso i principali fattori del cambiamento che oggi è possibile toccare con mano:

  • L’Inflazione:

Sino a poco più di un anno fa sembrava che il mondo stesse per avvitarsi in un processo profondamente deflattivo di riduzione dei costi di quasi tutte le materie prime e, di conseguenza, dei prezzi di prodotti e servizi. Poi quasi di colpo sono iniziate a scarseggiare tanto alcune materie prime quanto le cosiddette “risorse energetiche”, sferzando bruscamente l’economia e togliendo il terreno sotto i piedi ai consumatori di tutto il mondo. Per una moltitudine di nazioni si tratta all’incirca di una perdita del potere d’acquisto di circa il 10% medio che si traduce, guarda caso, in una riduzione generalizzata dei consumi che si pensa indurrà una recessione economica. È indubbio che il calo degli acquisti riduce la capacità delle imprese di trasferire “a valle” i maggiori costi sostenuti per produrre e dunque le prospettive di mantenere elevati margini di profitto.

E se le imprese venderanno meno e non faranno profitti allora proveranno a tagliare i costi e ridurranno assunzioni e investimenti, contribuendo ad una frenata generale dell’economia. Ma l’inflazione costringe anche i risparmiatori a vedere decurtato il valore del proprio denaro, o a prendere grandi rischi per evitarlo, dal momento che non è più pensabile mettere semplicemente a reddito i risparmi senza temere di ottenere dei rendimenti reali di fatto nulli o negativi. Da questo punto di vista i mercati azionari possono costituire una miglior difesa dall’inflazione ma sono al tempo stesso più volatili e dunque intrinsecamente più rischiosi.

  • La Crescita dei Debiti:

A livello globale, i debiti del settore privato e pubblico in rapporto al Pil sono saliti dal 200% del 1999 al 350% del 2021. Il rapporto è ora del 420% tra le economie avanzate e del 330% in Cina. E ciò è avvenuto mentre le banche centrali stanno facendo retromarcia sull’enorme creazione di liquidità che ha sostenuto sino ad oggi questi debiti. Roubini argomenta poi che, se quel debito fosse stato impiegato negli investimenti produttivi la faccenda non sarebbe stata così grave. Gran parte di quel debito però è stata impiegata nella previdenza e assistenza sociale, cioè nel welfare, che notoriamente non è produttore di altro reddito, oltre che su poche infrastrutture spesso quasi inutili.

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L’azzeramento dei tassi d’interesse aveva lasciato sperare che quel debito crescente non fosse un vero problema, ma adesso che i tassi sono risaliti e debbono continuare a farlo, adesso che l’economia non cresce più, si rischia l’ insolvenza generalizzata, sebbene l’inflazione riduca al tempo stesso il valore reale del debito. Secondo Roubini questa incongruenza verrà amplificata dalle banche centrali e comporterà degli shock sui mercati dei capitali che si ripercuoteranno sulle borse e faranno sparire la speranza di un “atterraggio morbido” dopo anni di crescita economica.

  • Le Tensioni Geopolitiche:

Ovviamente oggi tutti parlano della guerra tra Ucraina (e la NATO che la sostiene) e la Russia. Ma la situazione geopolitica globale è peggiorata da tempo. Il mondo sta attraversando una serie di profondi e numerosi cambiamenti strutturali a causa dell’emergenza climatica e nelle relazioni tra popoli, nazioni, schieramenti e sinanco gruppi sociali, tali da renderlo in pochi anni letteralmente irriconoscibile. Uno degli effetti più deleteri delle nuove tensioni geopolitiche è sicuramente l’attuale caduta verticale del commercio globale. Ma anche il rincaro delle materie prime, la competizione tra le nazioni e dunque duplicazione della spesa per le ricerche scientifiche e tecnologiche

Ci sono molte ragioni profonde alla base delle numerose fratture che stanno emergendo tra i diversi blocchi di nazioni. Ignorarle sarebbe come voler chiudere entrambi gli occhi. Ma una cosa è certa: l’intera geografia industriale del mondo cambierà in pochi anni a causa di tali tensioni, con il rischio che la maggior parte delle risorse rivolte alla scienza e alla ricerca tecnologica possano essere deviate verso scopi militari, rallentando lo sviluppo tecnologico dell’umanità nel suo complesso.

  • I Disastri Ambientali

Negli ultimi anni soprattutto l’Occidente ha provato a imprimere una decisa svolta a tutte le attività umane che possono generare emissioni nocive o danni ambientali. Ma ciò ha contribuito a far lievitare il costo dell’energia e, in ultima analisi, a far crescere l’inflazione, che riduce la propensione agli investimenti infrastrutturali di cui il mondo ha bisogno affinché l’ambiente naturale possa risultare maggiormente protetto. Dunque la transizione ecologica non sarà semplice e non può avvenire troppo in fretta.

Al tempo stesso l’assommarsi delle emissioni nocive sta già provocando la “tropicalizzazione” del clima temperato la quale a sua volta genera (direttamente o indirettamente) una serie di disastri ambientali la cui portata è difficile stimare, ma che rischiano di lasciare un serio impatto (negativo) sulla crescita economica. Talvolta poi il riscaldamento globale comporta ondate di gelo senza precedenti, proprio perché saltano gli equilibri preesistenti.

Senza contare il fatto che i rischi di diffusione di virus letali non sono fermati con la vaccinazione contro il COVID19. L’umanità si è scoperta piuttosto indifesa al riguardo e i costi di una maggiore prevenzione e cura dalle malattie sono al momento quasi insostenibili.

  • La Demografia e l’invecchiamento della popolazione:

La popolazione mondiale continua a crescere non solo di numero, ma anche nei consumi e, di conseguenza, nelle emissioni nocive che questi ultimi generano. E già questo fatto pone molti interrogativi circa la sostenibilità ambientale della crescita demografica smisurata. C’è inoltre da chiedersi quali saranno le nuove tendenze e le nuove necessità. Ma c’è anche e soprattutto da interrogarsi circa un altro fattore alla base dei profondi cambiamenti che l’Occidente sta già registrando nel mercato del lavoro e che prima o poi si estenderanno anche al resto del mondo: l’invecchiamento progressivo della popolazione.


Una popolazione che invecchia muta abbastanza radicalmente il proprio paradigma dei consumi, è mediamente più benestante, desidera lavorare meno e in maniera meno faticosa, si sposta di meno e si adatta di meno ai cambiamenti, non accetta più determinate mansioni e richiede come si più elevati. Tutte cose che, a partire dagli Stati Uniti d’America, si stanno manifestando platealmente riducendo la domanda di posti di lavoro e dunque drogando il tasso di occupazione della popolazione, nonché alzando generalmente il costo del lavoro (cosa che può rappresentare uno stimolo alla propagazione dell’inflazione).

LE PROSPETTIVE DI RECESSIONE

Da più parti si sente perciò parlare di una forte probabilità di recessione per l’anno a venire. In parte, come già detto, ciò potrà dipendere dalla riduzione del potere d’acquisto che dovrebbe conseguire all’inflazione. Ma non basta: in realtà ciò che si è potuto vedere sino ad oggi è più che altro un rallentamento generalizzato della crescita economica, Insieme ad una riduzione in quantità (ma non in valore) dei consumi. Non ancora un crollo.

Molti pronosticano -almeno per l’America- un “soft landing” che potrebbe dipendere anche da quanto sapientemente le banche centrali potranno accompagnare la progressiva riduzione del tasso di inflazione. Per l’Europa tuttavia la situazione potrebbe essere facilmente peggiore a causa della maggior dipendenza dalle forniture straniere. Contemporaneamente si sente però parlare di “accorciamento della durata dei cicli economici” e conseguente di una loro certa sovrapposizione. Il che non lascia chiarezza sull’interpretazione dei dati statistici.

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La verità ovviamente non la conosce nessuno, ma quello che sembra già sufficientemente certo è che si stanno registrando tanti e tali cambiamenti (finanziari, tecnologici, produttivi, nella distribuzione e nei consumi) a causa dei quali alcuni settori industriali fioriscono ed altri subiscono forti sconquassi, tanto che è difficile generalizzare delle tendenze dell’economia nel suo complesso. È dunque ragionevole ritenere che sia poco prevedibile l’andamento complessivo del prodotto interno lordo globale (e anche poco utile conoscerlo), a causa del moltiplicarsi dei fattori che ne determinano la crescita o la decrescita.

A LIVELLO MACROECONOMICO

Qualche tendenza di fondo è comunque possibile percepirla: il credito ad esempio sarà con ogni probabilità più caro un po’ per tutto il mondo, e a prescindere dall’andamento dei tassi di rifinanziamento praticati dalle banche centrali, quantomeno in funzione dei maggiori rischi percepiti dagli investitori. La gamma dei tassi d’interesse dunque si amplierà, facendo divenire poco vantaggiosi i finanziamenti di piccola entità e quelli a soggetti economici di piccola dimensione.

Un altro elemento che sembra emergere con chiarezza sarà il progressivo maggior costo degli investimenti infrastrutturali, a partire da quelli per le abitazioni, a causa delle più complesse normative da rispettare, ad esempio in termini di inquinamento, sicurezza statica, salubrità degli edifici. Facile dunque prevedere che crescerà corrispondentemente (o anche più che proporzionalmente) il costo dei fitti abitativi. Parallelamente anche il costo della vita in generale è possibile che subisca ulteriori impennate, perché il medesimo ragionamento si applicherà a interi quartieri o città, ove quelle che esprimeranno il maggior livello di investimenti saranno corrispondentemente anche le più care.

Se ciò sarà vero è altresì probabile che il costo del lavoro subirà una progressiva impennata, anche a prescindere dal “costo della vita”, proprio perché i lavoratori più specializzati (e meglio pagati) dovranno far fronte ad una maggior spesa “strutturale”. È al tempo stesso probabile che anche l’offerta di lavoro sarà sempre più frastagliata, in funzione della domanda e dell’offerta.

Non necessariamente tutto ciò potrà comportare uno scenario di elevata inflazione che si tramuterà in tassi d’interesse elevati. Anzi, se posso azzardare una previsione temeraria, è possibile che i rendimenti reali del reddito fisso (cioè al netto dell’inflazione) possano risultare molto limitati o addirittura negativi anche nei prossimi anni. Ma sicuramente l’inflazione non sparirà in una stagione.

A LIVELLO MICROECONOMICO

A livello dei singoli settori industriali ci sono indubbiamente tendenze che non muteranno troppo di direzione nei prossimi mesi, quali una certa tensione nei costi energetici, una certa scarsità di talune materie prime e semilavorati, la scarsità di risorse umane qualificate, la necessità di incrementare fortemente gli investimenti per poter risultare competitivi, seppure soltanto a livello “regionale”, eccetera, eccetera. Ma se questo potrà o meno comportare una riduzione dei profitti attesi è assai arduo da prevedere, tant’è che sino a oggi tutte le previsioni per un crollo dei profitti delle principali società quotate sono state smentite dai fatti.

Bisogna poi tenere conto del progressivo intervento delle nuove tecnologie, strutturalmente “deflattive”, grazie alle quali cioè sarà possibile contenere i costi di produzione. La capacità però di investire pesantemente per adottarle diverrà altresì un grosso fattore di discriminazione competitiva. Poche grandi industrie riusciranno a godere di quei benefici, portando progressivamente fuori mercato le altre. È facile perciò immaginare che il processo di concentrazione competitiva dei singoli settori industriali si incrementerà terribilmente, almeno per i prossimi anni.

A LIVELLO BORSISTICO

La metamorfosi in corso dello scenario economico generale produrrà forti conseguenze sui mercati borsistici? È probabile che saranno sempre meno regolamentati, per incentivare imprese e investitori a parteciparvi. In secondo luogo è altrettanto probabile che gli scambi si concentreranno sempre più in pochi centri finanziari globali, di fatto quasi completamente smaterializzati, dunque raggiungibili online da ogni parte del mondo. Queste tendenze comporteranno necessariamente maggiori rischi per gli investitori, che di conseguenza saranno sempre più intermediati da grandi gestori del risparmio.

Se ciò fosse vero sarebbe altresì probabile una progressiva riduzione del trading online da parte dei singoli risparmiatori, ma le statistiche per il momento sembrano indicare il contrario. Così come dovrebbe essere vero che il rialzo dei tassi d’interesse e dei rischi generali degli investimenti (guerre e disastri ambientali compresi) dovrebbero tendere a deprimere gli indici azionari, almeno nel breve periodo. Anche in questo caso tuttavia bisogna tenere conto del fatto che dall’Autunno sta succedendo l’esatto opposto, schiacciando i rendimenti attesi degli investitori e facendo lievitare i moltiplicatori di valore espressi dalle borse di tutto il mondo (in particolare quelle orientali).

L’ANDAMENTO DELL’INDICE GLOBALE AZIONARIO MSCI

E’ altresì possibile che, come è successo per l’inflazione, anche per le borse alla fine arrivi il momento di “resa dei conti”. I mercati azionari tuttavia hanno mostrato negli ultimi anni non soltanto una tendenza generale al rialzo, ma anche una notevole resilienza alle crisi di fiducia, forse anche in funzione della grande liquidità in circolazione. Tutti dicono infatti che le cose potrebbero cambiare parecchio man mano che questa si ridurrà.

LA RIDOTTA CAPACITÀ DELLE BANCHE CENTRALI

Sono tuttavia un po’ scettico sulla capacità delle banche centrali di continuare a fare il bello e cattivo tempo sui mercati. Tanto per il fatto che risultano sempre in ritardo sui grandi cambiamenti in corso, quanto perché le armi a loro disposizione tendono strutturalmente a ridursi.

I bilanci delle banche centrali sono al momento ingolfati dall’aver acquistato così tanti titoli in passato che non si possono eliminare con un semplice tratto di penna. Questo impedirà loro di contrastare efficacemente la prossima recessione, soprattutto se questa sarà severa. Ma c’è un altro aspetto che va tenuto in considerazione: la progressiva riduzione della capacità di influire sull’economia attraverso le politiche monetarie. La progressiva perdita di valore delle cosiddette “fiat currencies” si traduce infatti in una minor efficacia delle manovre possibili.

Tende anche ridursi l’autonomia delle banche centrali dai rispettivi governi politici, anche in funzione delle progressive spaccature geopolitiche globali che impediscono loro una effettiva ”concertazione” degli interventi.

…E QUELLA DEI GOVERNI NAZIONALI

È relativamente probabile tuttavia che anche la politica arrivi a risultare meno capace di modificare il corso degli eventi rispetto a quanto è successo in passato, in funzione dei pesanti vincoli di bilancio che interferiscono con le volontà dei governi in carica e che impediscono loro di agire profondamente tramite politiche fiscali.

Non solo oggi nessun governo locale sembra oggi in grado di contrapporsi alle tendenze geopolitiche planetarie. Che vengono tracciate da poche élites globali. Ai governi nazionali restano però in carico i debiti, le spese per l’assistenza sociale e la raccolta di tasse e imposte. Dunque i vincoli esterni alle decisioni politiche sono parecchi e poche sono le leve che possono essere mosse. Ovviamente questo vale molto più per l’Occidente che per l’Oriente, dove le autorità pubbliche sembrano conservare molta più capacità di decisione.

CONCLUSIONI

È l’intero “sistema industriale globale” oggi a vedersi rivoluzionato, tanto per fattori ineluttabili quali la demografia e le nuove tecnologie, quanto per la scelta dei governi occidentali di far prevalere le leggi di mercato a quelle della politica. Ciò comporta sicuramente grandi dubbi sulla “tenuta” delle istituzioni occidentali (più che su quella delle istituzioni “orientali”) ma soprattutto comporta dubbi crescenti sulla sostenibilità economica del modello industriale oggi presente, che non può fare a meno di sostenere una finanza globale sempre meno sotto controllo e ancora non pronta a un’effettiva transizione dei sistemi di produzione e di consumo verso la sostenibilità ambientale e verso il pieno utilizzo di energie da fonti rinnovabili.

Ma questi dubbi non significano per certo sciagure e grandi crisi. Significano quasi sempre soltanto profondi cambiamenti, i quali sconvolgono l’ordine pre-esistente e possono generare sciagure, ma è relativamente improbabile che queste accadano. Ciò che è più probabile è inoltre che i cambiamenti generino altri cambiamenti, che bisognerà riuscire a prevedere e a cavalcare. E che molti effettivamente riusciranno a goderne, sebbene resti inevitabile che altri ne soffriranno.

Per tutti questi motivi è dunque relativamente probabile che il mondo occidentale in tutto questo possa vedere ridotta la propria ricchezza e che dunque debba affrontare una recessione sistemica. Che però non significherà necessariamente fame o malattie. Bensì un probabile freno agli eccessi attuali con benefici dal punto di vista ambientale e con maggiori stimoli verso una sostanziale rappacificazione dei rapporti tra le nazioni. Così come l’inflazione viene stemperata dal rallentamento dell’economia, così probabilmente anche un ridimensionamento dei listini azionari potrà comportare un loro riequilibrio rispetto a taluni eccessi visti di recente e un maggior spazio per i nuovi entranti (le “matricole” cioè le aziende che si quotano in borsa per la prima volta). E ciò non è affatto detto che possa essere un male per l’economia globale.

Stefano di Tommaso




IL RALLY DELL’ORSO

Il recente e un po’ improvvisato ottimismo delle borse valori ha riaperto più che mai il dibattito sugli scenari economici che si profilano per l’anno a venire, iniziando a mettere in discussione la narrativa prevalente secondo la quale il mondo andrebbe diritto incontro alla recessione. Anzi: proprio a proposito dei cicli economici si sono scomodati i più illuminati pensatori dell’Occidente per cercare di comprendere quale futuro ci attende, pur senza concludere su nulla di sicuro, se non nel prendere atto del fatto che l’economia globale non si limita mai soltanto ad oscillare tra riprese e recessioni, bensì ad ogni ciclo intervengono numerosi fattori di novità che stravolgono le previsioni più scontate per dare spazio a nuove e inconsuete prospettive. E questa fine d’anno difficilmente farà eccezione.

(nel grafico l’andamento nell’ultimo anno del più diffuso indice azionario a Wall Street)


NESSUNA CERTEZZA

Dunque il dibattito tra gli osservatori è acceso, e di certezze ce ne sono sempre meno: da un lato si scommette sul fatto che il rialzo dei listini azionari cui stiamo assistendo oramai da più di un mese potrebbe non essere altre che un “bear market rally” ovvero un rimbalzo nell’ambito di un mercato “orso” cioè ancora in discesa. A suggerire questa sensazione sono soprattutto i dati macroeconomici che sembrano proprio indicare una recessione in arrivo, con la conseguenza più ovvia che, in caso di recessione, i profitti aziendali dovrebbero necessariamente ridursi, e con essi anche le valutazioni delle società quotate.

Però, al di là delle oscillazioni giornaliere, nessuno può esibire certezze al riguardo, dal momento che ancora una volta al momento l’economia americana sembra reggere benissimo ai venti di crisi. E a certificarlo interviene il dato sulle vendite al dettaglio realizzate durante il cosiddetto “Black Friday” (cioè le promozioni di fine novembre): ben 9,1 miliardi di Dollari: un vero e proprio record! D’altra parte la disoccupazione americana stenta ad aumentare e la situazione politica sembra essersi stabilizzata. Dunque può davvero succedere di tutto nel 2023.

L’economia europea dal canto suo sembra essere meno in forma ma al tempo stesso le borse europee (che erano cadute di più) a partire da Ottobre sono rimbalzate di più, come si può vedere nel grafico qui sotto riportato, sulla scia della ripresa di un qual certo ottimismo sul prezzo dell’energia, che incombe come una mannaia sull’economia del vecchio continente.


Il prezzo dell’energia infatti, insieme alle quotazioni di petrolio e gas, continua a scendere nonostante tutto, portandosi dietro la speranza di una cospicua riduzione dell’inflazione, che per ora però si è vista soltanto negli Stati Uniti d’America. Ora ci si aspetta che possa propagarsi presto anche all’Europa, e ciò accade proprio quando poteva invece arrivare il peggio: cioè quando potevano avviarsi meccanismi perversi di inseguimento da parte dei salari, dei servizi e dei prezzi al consumo ai rialzi nella prima parte dell’anno delle materie prime e dei semilavorati.

GLI INDICATORI ECONOMICI NON AIUTANO L’OTTIMISMO

Fattori che in passato hanno propagato indiscriminatamente il fenomeno inflattivo e che invece -almeno in Europa- negli ultimi mesi non si sono quasi mossi al rialzo. Anche perché il rallentamento complessivo della crescita dell’economia reale c’è comunque stato (in tutto il mondo, sinanco nell’estremo oriente) e il rischio di chiusure aziendali e fallimenti incombe ancora più che mai.


L’INCOGNITA DEL DOLLARO FORTE

Un altro fattore che ha aiutato -sino ad oggi- ad evitare il peggio nel rialzo dei prezzi al consumo è stato sicuramente il rallentamento della corsa del Dollaro americano, sebbene non si possa parlare di una vera e propria inversione di tendenza. Questo (così come il ribasso di petrolio e gas) ha contribuito a calmierare il rialzo dei prezzi alla produzione per il resto del mondo, fornendo prospettive migliori per scongiurare l’aggressività futura delle banche centrali, alle prese con uno spiazzamento che non si ricordava dagli anni ‘70 (sono cioè rimaste così indietro rispetto al rialzo dei tassi che hanno iniziato a scatenarsi con rialzi repentini senza precedenti sino ad oggi, che però il mercato finanziario oggi stima non potranno continuare indiscriminatamente).

L’AGGRESSIVITÀ DELLA FED

E se le banche centrali alla fine ridurranno la pressione al rialzo dei tassi d’interesse le quotazioni azionarie ne potranno ricevere ulteriore impulso. E’ stata in particolare quella americana a mostrare la peggiore aggressività, con una serie di bruschi rialzi (e l’annuncio di voler proseguire senza meno anche nel prossimo anno) che non hanno precedenti nella storia. Anche per questo motivo la tendenza di fondo del biglietto verde resta al rialzo.

Nel grafico che segue si può vedere chiaramente non soltanto la proiezione a breve termine verso la soglia psicologica del 5% per i tassi federali di rifinanziamento delle banche americane, ma anche la possibilità che arrivino a toccare il precedente picco del 7% un quarto di secolo addietro! Non tutti quindi concordano con l’ottimismo mostrato nelle settimane dagli investitori sui listini azionari.


I RISCHI LEGATI ALLA GUERRA

Per esempio secondo l’ufficio studi del Crédit Suisse i mercati non stanno tenendo conto delle incognite legate alla guerra, per ora assai fredda da parte dell’America nei confronti della Cina (con la quale evita uno scontro diretto ma continua a impedire all’intero Occidente di esportarvi tecnologia). Guerra invece assolutamente calda dell’intero Occidente nei confronti della Federazione Russa, attraverso i numerosi supporti forniti all’esercito ucraino e attraverso le innumerevoli sanzioni che continuano a venire deliberate, soprattutto alla Commissione Europea, nonostante gli inviti ufficiali di Biden a Zelenski a sedersi presto al tavolo della pace.

E se la guerra dovesse continuare oltre la fine del presente anno diverrebbe chiaro che l’ottimismo di queste settimane risulterebbe mal riposto, con il rischio di tramutarsi in fretta in un nuovo pessimismo, e la conseguenza ulteriore che anche i ribassi nelle quotazioni di petrolio e gas potrebbero terminare (e l’inflazione riprendere la sua corsa).

QUANTO SALIRANNO I TASSI D’INTERESSE?

L’altra grande incognita sono -come già scritto- saranno i tassi d’interesse: se l’economia globale non entrerà in recessione sarà più probabile che le banche centrali proseguano nel rialzo dei tassi, anche ben oltre quel 5% che al momento appare l’obiettivo più probabile. E le banche centrali -se dovessero eccedere nell’ austerità- avrebbero da sole il potere di spedire l’economia dell’intero pianeta in recessione e questo senza dubbio farebbe ancora più male al mercato azionario.

Se ciò accadesse tra l’altro, sarebbe la prima volta che ci troveremmo di fronte ad una recessione con ben pochi strumenti di politica economica ancora utilizzabili per venirne fuori, dato il livello già elevatissimo di indebitamento pubblico e la grande quantità di titoli ancora in portafoglio delle banche centrali. E come se non bastasse bisogna tenere conto del fatto che tassi d’interesse troppo elevati danneggerebbero inevitabilmente la fiducia nella sostenibilità dei debiti pubblici dell’intero Occidente e prima di tutto metterebbero a rischio la tenuta della divisa unica europea, stante la situazione critica di paesi come l’Italia, la Grecia e il Portogallo.

QUANTO DIPENDE L’INFLAZIONE DAI CONSUMI?

Non solo: il capo economista di Moody’s Analytics Mark Zandi ha calcolato che quasi il 60% dell’attuale inflazione americana è imputabile a strozzature dell’offerta di beni più che all’eccesso di domanda, la quale a suo avviso non supera il 28% delle cause dell’inflazione. Se ciò corrispondesse a verità ci sarebbe il serio rischio che gli aumenti del costo del denaro andrebbero a limare soltanto quel 28% di fattori che determinano il rialzo dei prezzi, mentre rischierebbero di risultare quale ulteriore causa dell’aumento dei prezzi a causa del rialzo conseguente del costo del denaro che andrebbe ad aggiungersi ai costi di produzione. Insomma un vero e proprio autogol! E se questo vale per gli USA figuriamoci per l’Europa, dove i consumi sono storicamente molto più deboli.


Nessuno dunque può affermare alcuna previsione al momento senza rischiare di cadere presto nel ridicolo: non c’è chiarezza tra gli accademici circa le manovre più opportune per combattere l’inflazione così come non c’è nemmeno chiarezza circa l’andamento effettivo del ciclo economico: siamo sulla china di una brutta recessione o alla vigilia di una sorprendente ripresa? Se si guarda alla spettacolare inversione della curva dei tassi in Germania (che da sola conta per quasi un quarto dell’eurozona), la risposta appare purtroppo quasi scontata:

L’OCCIDENTE RISCHIA, L’ESTREMO ORIENTE CORRE

E soprattutto quella sincronizzazione dell’andamento economico che aveva caratterizzato il periodo precedente all’arrivo della pandemia oggi sembra essere perduta: c’è chi si arrischia a prevedere che quest’anno in arrivo l’economia della Cina crescerà addirittura del 5,5%, contro una previsione di crescita economica europea poco sopra lo zero assoluto e di crescita per l’intero pianeta, paesi emergenti compresi, di un mero 2,7%. Potremmo assistere dunque a cicli economici quasi inversi da una parte all’altra del pianeta.

Dunque il 2023 rischia di passare agli annali come l’anno della riscossa del continente asiatico, nonostante i boicottaggi americani e nonostante le tensioni geopolitiche alle stelle. Se però il continente asiatico dovesse assicurare all’economia globale un valido supporto sinanco le previsioni nere che riguardano l’Europa potrebbero essere riviste, non solo a causa di probabili maggiori esportazioni da parte del vecchio continente ma anche perché la liquidità in eccesso che si genererà in Asia andrà inevitabilmente a corroborare quella che mancherà invece in Occidente (favorendo indubbiamente i mercati finanziari). La banca centrale cinese insomma potrebbe arrivare a prendere il posto di quella americana quale punto di riferimento nel mondo!


E in un mondo che sembra correre a due diverse velocità, il blocco occidentale rischia di seppellirsi da solo dietro ad una retorica oltranzista anti-russa. Mentre quello asiatico potrebbe trarne il massimo profitto. Il che non appare esattamente come un buon presagio per le borse occidentali.

Stefano di Tommaso




NELL’OCCHIO DEL CICLONE

Ci sono segnali di ottimismo per i prezzi dell’energia, per l’inflazione e forse anche per i mercati finanziari. Cosa succede? Le tensioni internazionali sono destinate a scemare? Purtroppo l’analisi qui condotta porta in direzione opposta: il miglioramento della situazione sembra del tutto transitorio, come quando ci si trova “nell’occhio del ciclone”!

 

Con la pandemia prima, poi con l’inflazione dei prezzi e infine con lo scoppio della guerra in Ucraina, un vero e proprio ciclone sembra aver colpito l’Occidente e i suoi mercati finanziari, che sembravano inizialmente essersi mirabilmente ripresi fino alla fine del 2021 per poi ripiombare in discesa e, soprattutto, veder innalzare clamorosamente tassi di interesse e costi dei debiti pubblici.

In particolare la zona economica che ha subìto le peggiori conseguenze è senza dubbio l’Eurozona, l’area dei paesi che hanno adottato la moneta unica e la banca centrale europee, rinunciando a quelle nazionali. Non soltanto l’inflazione infatti sta erodendo i consumi privati e l’efficienza delle imprese industriali, ma anche le conseguenze della guerra in Ucraina si sono fatte sentire forte, in termini di scarsità e costo dell’energia, e di conseguenza nell’ondata di rincari che ne conseguiranno ulteriormente. La scarsità di gas naturale ha poi influito non poco sul costo dell’energia e peraltro rischia di limitare la capacità produttiva delle imprese situate nei territori più colpiti: quelli dell’Unione Europea.

QUALCOSA SEMBRA ESSERE CAMBIATO

Da metà estate però qualcosa sembrava essere cambiato: le borse erano tornate a salire e il costo del petrolio è man mano ridisceso, mentre le tensioni sul gas naturale sembrano in parte rientrate, nonostante il suo flusso di provenienza russa si sia quasi del tutto interrotto. (di seguito il prezzo del petrolio e il surplus di capacità produttiva)

LA COMPAGNIA HOLDING SPA
Da cosa dipende? E’ una conseguenza della recessione che sta colpendo l’Unione? In parte forse, ma essa non basta a spiegare il fenomeno complessivo, che si è accompagnato a stime di minor crescita dell’inflazione. Una moderazione complessiva di quegli elementi dirompenti che avevano fatto gridare all’allarme generale per l’autunno in arrivo, ha preso corpo. Ma quanto a ragione? Quanto ci possiamo contare per i prossimi mesi? (nel grafico qui riportato il prezzo della benzina in America)


Assai poco, a quanto sembra, e non soltanto per via del fatto che in America la crescita economica sembra proseguire e, con essa, la spirale dell’inflazione e degli incrementi dei tassi non può certo dirsi giunta al capolinea. Le banche centrali del resto del mondo infatti non possono non seguire la Federal Reserve Bank of America nell’incremento dei tassi d’interesse, pur rimanendo sostanzialmente impotenti alla prima delle conseguenze di questa situazione : il cambio del Dollaro contro quasi tutte le monete degli scambi internazionali continua a salire.

ALTRI NUVOLONI NERI ALL’ORIZZONTE

All’orizzonte poi si stagliano altri nuvoloni neri. Il rincaro di petrolio e gas infatti è stato senza dubbio una precisa conseguenza delle tensioni geopolitiche e del deciso schieramento pro-americano dell’Unione europea. Purtroppo tuttavia quelle tensioni geopolitiche non si sono mai ridotte negli ultimi tempi, anzi! Negli ultimi giorni il contrattacco dell’Ucraina fa pensare che il conflitto sia destinato a durare assai a lungo.

Non devono trarre in inganno il ribasso (relativo, peraltro) del costo del petrolio e di quello del gas, dal momento che per ottenere il primo ha sicuramente giovato quel milione di barili al giorno in più sul mercato derivanti dall’alleggerimento delle riserve strategiche americane (che però è destinato ad esaurirsi nel giro di un mese e mezzo al massimo, in coincidenza con le elezioni americane). Per il secondo più che altro i governi europei hanno cercato di ridurre gli effetti della speculazione e di controbilanciare la scarsità di gas con l’accumulo di importanti riserve per l’inverno, insieme ad una serie di misure destinate a limitarne i consumi. Ma se le tensioni di guerra risalgono come sembra, sono destinate ad apparire dei meri “pannicelli caldi”.

LE TENSIONI SUI PREZZI INDUCONO LA RECESSIONE

Morale: la tensione sui prezzi delle materie prime non è detto che non riprenda nei prossimi mesi, dal momento che la loro domanda scende piuttosto poco (più che altro scende in Europa, ma non in Oriente né in America) mentre i rischi di una nuova guerra mondiale tra Oriente ed Occidente restano elevati. L’unico vero fattore di moderazione risulta dal fatto che, nel complesso, complice anche la riduzione di scambi tra l’Occidente e la Cina, la crescita economica globale sta continuando a ridursi, (in Europa poi è già al di sotto dello zero).

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Ecco perché riteniamo sia possibile parlare di “occhio del ciclone”, cioè di quel momento di relativa calma che arriva quando ci si trova al centro di una grande perturbazione metereologica in movimento, prima che la violenza della medesima riprenda altrettanto fortemente mentre passa avanti. Anche lo shock energetico che sta subendo l’Europa sembra destinato a non finire tanto presto, e contribuisce a innalzare il costo dell’energia globale e, conseguentemente, anche quello dei prodotti di moltissime industrie che ne consumano abbastanza.

Questo, insieme al fatto che, a un certo punto della storia, l’inflazione inizia ad auto-alimentarsi, spinge a far pensare che le tensioni, sui prezzi e dunque sui mercati, non possano che tornare a crescere perché la spesa pubblica crescerà, tanto a causa dei maggiori interessi sui debiti governativi, quanto (soprattutto) per i sussidi che dovranno essere dispensati e per gli armamenti.

GLI ERRORI DELLE BANCHE CENTRALI E DEI GOVERNI

La politica monetaria è passata dall’essere estremamente espansiva a progressivamente restrittiva, costringendo le imprese a trasferire sui prezzi al dettaglio gli aumenti dei costi subìti e limitando la loro possibilità di investire per efficientare la produzione. Una politica monetaria restrittiva poi incide alla lunga anche sulla riduzione del valore degli investimenti finanziari, e contribuisce a ridurre la fiducia degli imprenditori avvicinando il momento in cui la recessione può allargarsi al resto del mondo.

La politica fiscale dei paesi occidentali viceversa è passata dall’essere prudente e orientata alla generazione di migliori incentivi per la transizione energetica a fortemente espansiva. Ma con la consapevolezza che le forti elargizioni alla popolazione non solo non riescono a lasciare invariati i consumi della popolazione (che continuano a scendere perché scende il reddito medio reale disponibile)ma in più alimentano inevitabilmente la domanda di beni e dunque l’inflazione (soprattutto in America) e spingono anche all’instabilità dei mercati finanziari, perché per molte nazioni occidentali sarà sempre più difficile incrementare l’offerta di titoli pubblici a reddito fisso.

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In una parola, l’inflazione sta divenendo strutturale, (nel grafico sopra riportato il CPI l’indice europeo dei prezzi al consumo per abitazioni e servizi di pubblica utilità) così come era successo a metà degli anni ‘70, solo molto più velocemente che allora. La progressiva monetizzazione del debito pubblico peraltro aggiunge instabilità al mercato dei cambi valuta e alimenta, indirettamente, l’inflazione, generando una corsa verso i beni-rifugio quali gli immobili innanzitutto, che però saranno evidentemente più tartassati che in precedenza. (di seguito un confronto dei tassi d’inflazione al consumo rilevata dagli istituti di statistica, dei principali paesi d’Europa).

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NEL BREVE TERMINE PREVALE L’OTTIMISMO

Come la mettiamo quindi con le previsioni di ripresa dei listini azionari e, addirittura, con le speranze di retromarcia sui tassi d’interesse da parte delle banche centrali? Nel breve termine è possibile che esse siano relativamente fondate anche a causa del fatto che la liquidità in circolazione resta abbondante e l’investimento azionario resta senza dubbio preferibile a quello del reddito fisso. Le borse sono spesso totalmente scollegate dall’economia reale e, oltretutto, l’autunno vede importanti appuntamenti elettorali in occidente che spingono a pensare che il “mainstream” diffonderà soprattutto buone e rassicuranti notizie.

Ma oltre l’orizzonte massimo di due-tre o quattro mesi al massimo lo scenario non appare affatto rassicurante. Deve davvero succedere qualcosa di eclatante perché il mondo non cada di nuovo in recessione nel 2023 e i mercati finanziari non ne risentano. I venti di guerra dovrebbero placarsi davvero e il commercio internazionale tornare a crescere. Prima o poi sicuramente succederà ma, al momento, è difficile vedere uno spiraglio di sereno sopra le nubi che si addensano.

Stefano di Tommaso