LE BORSE SCENDERANNO ANCORA?

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I mercati finanziari sono noti per precedere vistosamente gli eventi attesi nell’economia reale, fino addirittura ad andare quasi in direzione opposta per via del gioco delle aspettative. E anche stavolta rischia di andare così: dopo una lunga discesa delle borse mondiali abbiamo assistito finalmente, la settimana scorsa, ad una piccola risalita del listini, dopo che dall’inizio dell’anno le borse erano scese quasi del 20% in totale (si veda il grafico relativo all’indice globale MSCI), anticipando una possibile recessione che si materializzerà forse soltanto nella seconda parte dell’anno. Ma proprio per questo non è detto che, all’arrivo effettivo della recessione, le borse scenderanno ancora.

 

UN CALO DEL 22%, POI UN RIMBALZO DEL 4%

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Come si può leggere dal grafico non soltanto le borse di tutto il mondo sono scese parecchio dall’inizio dello scorso Aprile, ma peraltro ci sono stati anche diversi tentativi di risalita delle borse, tutti terminati con altre discese. Come dobbiamo interpretare allora l’ennesimo rimbalzo delle borse dell’ultima settimana? E cosa succederà dopo?

IL RIMBALZO DEL GATTO MORTO

Un vecchio detto a Wall Street recita che persino un gatto morto, dopo essere precipitato dal piano superiore, rimbalza quando tocca terra. Il rimbalzo delle borse degli ultimi giorni dobbiamo dunque paragonarlo a un gatto morto (e dunque avrà brevi effetti) oppure potrebbe anticipare qualcosa di diverso?

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Sebbene non sia quasi mai possibile predire con certezza ciò che avverrà sui mercati nel futuro, possiamo ugualmente provare a prendere atto di alcuni fatti e talune convinzioni collettive, i quali potrebbero influire non poco sui corsi delle borse valori.

-20% : UNA NUOVA NORMALITÀ?

Innanzitutto alcune certezze:

  • il rialzo dei tassi d’interesse deciso dalle banche centrali per combattere l’inflazione influisce negativamente sulle valutazioni azionarie delle imprese, abbassando il valore attuale netto dei flussi di cassa futuri attesi che esse si presuppone potranno generare. Fino all’inizio di Aprile la volatilità delle borse era stata alta ma i livelli delle borse da inizio anno erano scesi solo marginalmente (-2,5%). Poi il quadro è molto peggiorato e la discesa dei corsi azionari è divenuta una voragine che ha superato il 20% (sempre da inizio anno).
  • un’altra quasi-certezza è che la recessione in arrivo (piuttosto probabile) ridurrà i profitti delle imprese quotate, con pochissime eccezioni, come ad esempio per le società che operano sui mercati di petrolio, gas, energie in generale e rinnovabili in particolare che, pur essendo più che raddoppiate di valore in media da inizio anno per aver beneficiato dei maggiori prezzi dell’energia, nell’ultima settimana hanno invece subìto un ribasso (qui sotto il grafico).

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Le suddette certezze (rialzo dei tassi, riduzione dei profitti) rendono estremamente plausibile il fatto che i ribassi accumulati dai listini azionari rispetto a fine d’anno (circa il 20%), abbiano portato i corsi delle borse ad una “nuova normalità” basata sui livelli attuali del listino, derivante dalle mutate condizioni economiche generali. Ma è altrettanto vero che, se questo è il quadro, allora i mercati finanziari potrebbero aver già “fattorizzato” tutti gli elementi negativi che dovranno manifestarsi nei prossimi mesi. E in tal caso da adesso in avanti potrebbero guardare al futuro con nuovo ottimismo.

LE BORSE SONO IN “IPERVENDUTO”

Non per niente possiamo notare che l’umore degli investitori è ai livelli peggiori da un paio d’anni a questa parte. Dunque le aspettative appaiono sì ancora così negative da far pensare che esse in parte si autorealizzeranno lasciando spazio ad ulteriori ribassi, ma è altrettanto vero che, se le aspettative generali appaiono (come anche questa volta)eccessivamente negative, allora i mercati borsistici potrebbero aver maturato una fase di iper-venduto dalla quale potrebbero riemergere, come si può peraltro vedere dal grafico qui riportato (relativo al Nasdaq):

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Dunque anche quest’ultima considerazione porterebbe a pensare che le cose, per il futuro, potrebbero forse andare meglio di quello che tutti oggi stanno pensando.

NON È DETTO CHE I TECNOLOGICI ABBIANO FINITO DI SCENDERE

Il ragionamento però non può essere fatto troppo in generale, anche perché quasi tutte le borse valori del mondo hanno i loro listini affollati di titoli “tecnologici” (cioè azioni di imprese in media estremamente sopravvalutate rispetto alle loro performances reddituali attuali, in funzione della promessa di risultati futuri ben superiori alla media). La sensazione pertanto è che quelle iper-valutazioni non potranno essere mantenute a lungo e che i prezzi di questi titoli dovranno sgonfiarsi ancora un po’.

A Wall Street ad esempio il peso dei soli titoli FAANG (Facebook, Apple, Amazon Netflix e Google) è pari a circa 1/5 del totale dell’intero listino. Pur essendo scesi di valore più che proporzionalmente rispetto all’indice generale americano SP500 (mediamente del 30% da inizio anno, come si può vedere dal grafico qui sotto riportato), esprimono ancora una valutazione d’azienda pari a circa 23 volte gli utili, cioè di oltre il 40% superiore alla valutazione media (di 16 volte gli utili) dell’indice generale SP500.

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Con l’arrivo delle aspettative di inflazione, recessione e crescita dei tassi d’interesse reali questi titoli “tech” sono stati pesantemente penalizzati dagli investitori che li hanno scaricati, in funzione di una decisa riduzione di quelle aspettative di crescita che ancora oggi contribuiscono a lasciarli decisamente sopravvalutati rispetto alla media del listino. A nessuno è però dato conoscere l’esatta misura di queste aspettative e dunque nessuno è in grado di formulare previsioni corrette circa il fatto che la loro svalutazione proseguirà e quanto essa influirà sui listini azionari complessivamente

I MOTIVI DI UN CAUTO OTTIMISMO

I mercati borsistici, dopo la doccia fredda che hanno vissuto dall’inizio dell’anno, abbiamo visto che nell’ultima settimana hanno provato a sviluppare ancora una volta un rimbalzo. Cioè stanno interrogandosi, dopo aver preso atto del fatto che è arrivata l’inflazione e che questa sta generando una nuova recessione, su quanto durerà e cosa potrà succedere dopo la recessione.

Se infatti l’arrivo della recessione arrivasse a spingere le banche centrali a invertire la rotta dei rialzi dei tassi e tornare a intervenire sulla liquidità disponibile, allora i tassi potrebbero smettere anticipatamente di salire e l’allarme relativo al possibile default per i paesi più indebitati potrebbe rientrare. È altresì possibile che il concretizzarsi della recessione (quantomeno per l’Occidente, che mostra una crescita demografica meno consistente di Asia e Africa) aiuti a far ridiscendere ancora il prezzo del petrolio (e quelli di tutte le materie prime ad esso collegate) e, con esso, l’inflazione attesa.

Tutti fattori che gioverebbero non poco all’umore dei listini azionari, scesi ad esempio in America ben più di quanto sia accaduto in Cina, come si può leggere dal grafico qui riportato (aggiornato alla settimana precedente). Dunque non in tutto il mondo le borse sono andate nello stesso modo!

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IL POSSIBILE RITORNO ALL’INVESTIMENTO OBBLIGAZIONARIO

Ma soprattutto potrebbe verificarsi un ritorno degli investitori dal listino azionario a quello obbligazionario, cosa che allenterebbe le tensioni (e la volatilità) delle borse ma che contribuirebbe a far terminare la lunga fase vissuta sino ad oggi di “bondification” degli investimenti, attraverso la sostituzione delle cedole del reddito fisso (che erano arrivate a zero) con titoli azionari capaci di generare i migliori dividendi. Se dunque gli investitori torneranno a comperare reddito fisso allora compreranno un po’ meno azioni, attenuando le speranze di risalita dei listini azionari.

Insomma se si segue questo ragionamento è piuttosto probabile che la fase che si apre a partire dall’estate 2022 potrà vedere una leggera ripresa delle borse valori che però non sarà necessariamente corroborata dal ritorno alle stelle dei maggiori titoli tecnologici e che sarà anche moderata da un ritorno alla diversificazione dei portafogli verso una maggior quota di titoli a reddito fisso. Se così fosse probabilmente dunque la forte volatilità media, vissuta dalle borse sino ad oggi, potrebbe finalmente scendere e, forse, una maggior liquidità potrebbe tornare a circolare sui mercati azionari a causa della progressiva ripresa di fiducia degli investitori professionali e istituzionali.

È chiaro infine che un allentamento della stretta attualmente promessa dalle banche centrali potrebbe ulteriormente corroborare le aspettative degli investitori, ma è anche piuttosto probabile che l’eventuale ritorno all’intervento da parte delle banche centrali potrà risultare più moderato che in passato, stemperando le aspettative al rialzo delle borse ma anche contribuendo a stabilizzarle.

MA GUERRA E PANDEMIA POSSONO ANCORA GUASTARE LA FESTA

C’è però all’orizzonte dell’altra nuvolaglia che potrebbe guastare le feste a chi si aspetta un rialzo delle borse: quella relativa al diffondersi delle nuove varianti dei virus che hanno provocato le precedenti cinque ondate pandemiche (e che recentemente hanno spinto la Cina ad un deciso nuovo “lockdown” della popolazione interessata), e quella relativa alle incerte sorti della guerra in Ucraina, dove tutti i contendenti sembrano fortemente propensi a proseguire o intensificare gli scontri.

Una nuova pandemia e/o un eventuale accanimento del conflitto ucraino (o una sua estensione a zone europee limitrofe) potrebbe infatti gettare nuova incertezza sui mercati, riducendone le possibilità di ripresa. Bisogna però ricordare che i mercati “prezzano” già l’incertezza bellica nelle attuali quotazioni e che tendono a limitare le loro aspettative di rialzo anche in funzione del fatto che il conflitto non accenna a risolversi. Dunque non solo guerra e pandemia potrebbero generare nuove sorprese negative, ma la loro “endemicità” introduce sicuramente un fattore di attenzione che spinge gli investitori a mantenere una maggior quota di liquidità tra i propri asset anche qualora l’inflazione facesse un po’ di marcia indietro e la recessione fosse soltanto parziale o avesse effetti molto limitati sulla riduzione dei profitti aziendali.

DUE “DRIVER” CONTRAPPOSTI

Ricapitolando perciò possiamo individuare per il prossimo futuro due possibili tendenze contrapposte:

  • da un lato infatti l’arrivo della recessione non appare destinato a generare nuovi importanti cadute dei listini azionari bensì addirittura forse a presagire un loro lieve rafforzamento. In contropartita eventuali interventi delle banche centrali a favore dei mercati potrebbero risultare in rialzi dei corsi molto moderati, a favore invece di una discesa probabilmente generalizzata del livello di volatilità dei mercati, sino ad oggi restata molto vicina ai massimi storici. Si tratta dunque di fattori moderatamente positivi che porterebbero maggior serenità all’investimento azionario e in definitiva ad una sua lenta ripresa;
  • dall’altro lato però lo scenario sopra descritto tende a ignorare i rischi di nuove ondate pandemiche e della possibile acutizzazione dei conflitti bellici in corso. Due fattori che potrebbero tranquillamente riportare indietro di un paio d’anni le lancette dell’orologio dei mercati. Con l’aggravante che oggi l’economia occidentale è sicuramente più provata di un paio d’anni fa a causa delle crisi già vissute e dell’accresciuto debito complessivo globale. In tal caso le borse non potrebbero che scendere ancora, fattorizzando non soltanto la recessione in arrivo ma anche un nuovo possibile picco dei prezzi delle materie prime.

LA STAGIONALITÀ DELLE BORSE

Nessuno conosce l’entità delle probabilità collegate all’uno o all’altro scenario e, in questi casi, la moderazione è d’obbligo. Ma la possibilità di una lieve ripresa dei listini azionari -almeno durante l’estate- potrebbe tutto sommato non essere del tutto da escludere, come ben indicato da questo grafico, che mostra con la linea rossa il tipico andamento borsistico (sintetizzato con l’indice Dow Jones) in ragione della stagionalità degli ultimi 30 anni: nella prima metà dell’anno le borse tendono a scendere, mentre dall’estate in poi tendono a a tornare a salire. Ci auguriamo che il buon auspicio possa valere anche per quest’anno.

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Stefano di Tommaso




QUOTARSI IN BORSA NEL 2022

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Guerra, inflazione, possibile recessione stanno tenendo emittenti e investitori più lontani dai listini provocandone forti ribassi che hanno influito pesantemente sulla riduzione, nel corso del 2022, del numero delle Initial Public Offerings (IPO). Ma non le ha cancellate del tutto, anche perché la tendenza di fondo è quella di un incremento del loro numero. Sempre più imprese intendono raccogliere capitali nei mercati regolamentati e, per farlo, avviano un percorso di preparazione che può durare anni. Quando risultano pronte per l’IPO, ma arrivano periodi come questo, spesso non lo cancellano tutto bensì si limitano a rinviarlo. Il che è un bene per listini come quello italiano, dove il numero di società quotate è ancora limitatissimo.

 

LE BORSE SCENDONO…

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A Wall Street (di gran lunga la borsa più importante del mondo, spesso anticipatrice di tutte le altre) l’ultima settimana si è chiusa con un ribasso che non si vedeva dall’inizio di gennaio. La causa di questo violento ribasso è legata all’indice dei prezzi al consumo USA di maggio, che ha raggiunto il livello più alto dal 1981. Il dato ha mostrato un aumento dell’8,6% su base annua e del 6% se si escludono i prezzi di cibo ed energia. Gli economisti intervistati da Dow Jones si aspettavano un aumento su base annua dell’8,3% per l’indice principale e del 5,9% per l’indice core. Il grafico qui riportato mostra l’andamento di Wall Street dall’inizio dell’anno: un calo da 4800 punti a 3900 in soli sei mesi!

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Anche gli altri mercati borsistici hanno vissuto molto male la tempesta scatenata dalle banche centrali. L’indice europeo Stoxx 600 per esempio, perde da inizio anno quasi il 14%.

I dati sull’inflazione americana hanno anche riacceso i timori di una recessione. La fiducia dei consumatori americani è scesa violentemente. La lettura preliminare di giugno dell’indice di fiducia ha toccato un minimo storico: è diminuita del 14% rispetto a maggio, proseguendo la tendenza al ribasso dell’ultimo anno e raggiungendo il valore più basso registrato nella sua storia, paragonabile al minimo raggiunto nel mezzo della recessione del 1980. E in effetti grafici come questo mostrano una decisa probabilità che sia in arrivo una nuova recessione globale!

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…MA POI DI SOLITO RISALGONO…

Tuttavia, come si può intuire dal grafico sotto riportato, i corsi azionari hanno una loro ciclicità durante l’anno solare (scendono nella prima parte e salgono nella seconda) e forse anche stavolta, dopo i pesanti ribassi (linea blu) potrebbe esserci una fase di relativa traslazione laterale, seguita da un rimbalzo a partire dal mese di Luglio (i numeri dell’asse delle ascisse sono quelli delle settimane dell’anno), così com’è successo mediamente negli ultimi trent’anni (linea rossa).

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Certo le vendite in borsa riducono la liquidità disponibile, materia prima essenziale per alimentare il fenomeno dei collocamenti azionari delle matricole di borsa: i cosiddetti Initial Public Offerings (IPO).

LE IPO IN OCCIDENTE OGGI SONO UN DECIMO CHE NEL 2021…

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Il valore delle IPO tra USA e Europa quest’anno è sotto del 90% rispetto allo scorso anno. La raccolta di fondi nei primi 5 mesi del 2022 delle matricole al listino principale delle Borse è scesa a 17,9 miliardi di dollari con 157 IPO contro le 628 dei primi 5 mesi del 2021 e 192 miliardi di dollari raccolti. Il problema però non è soltanto occidentale: a livello globale è andata altrettanto male, con 596 IPO contro le 1237 dell’anno precedente e 81 miliardi di dollari raccolti nei primi 5 mesi, contro i 283 del 2021: cioè un calo del 71%. Certo, in questi numeri si può leggere un calo più vistoso dei mercati euro-americani rispetto a quelli asiatici, ma bisogna aspettare la seconda parte dell’anno per tracciare un quadro affidabile, dal momento che molte IPO sono state soltanto rimandate e potrebbero vedersi da Settembre.

Il comparto delle SPAC ha anch’esso visto una notevole riduzione dei numeri: a Wall Street erano state 613 le matricole con una raccolta di 162 miliardi di dollari, mentre nei primi 5 mesi dell’anno sono state soltanto 19 ma tutte di grandi dimensioni.

…MA IN MOLTI CASI SONO SOLTANTO RINVIATE A TEMPI MIGLIORI

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Cosa succede quindi: sono le imprese non vogliono più quotarsi o è il mercato che non è favorevole ad accoglierle? Il punto focale sembra quello della scarsa liquidità. Guerra, inflazione, possibile recessione stanno tenendo emittenti e investitori più lontani dai listini: magari in autunno potrebbe rivedersi un certo ritorno delle quotazioni, soprattutto in Italia dove resta molto elevato il numero di aziende che non sono quotate e che oggi potrebbero fare tale scelta.

La diminuita probabilità di successo del collocamento azionario rende oggettivamente più sfidante il lavoro di molti mesi che le candidate matricole devono svolgere per poter risultare idonee alla quotazione. Ma lo sbarco sul listino azionario è un’operazione complessa che viene preparata in tempi lunghi (soprattutto dal punto di vista della pianificazione strategica) e comunque che si può realizzare in non meno di un semestre. Dunque è possibile che molte società stiano pensando da tempo a tale scelta e che oggi stiano soltanto rimandando l’operazione a tempi migliori.

OGGI “VANNO” SOLTANTO LE ENERGIE VERDI

Sicuramente poi è un tema di settori industriali: in questo periodo di forti tensioni sul mercato dell’energia è evidente che questo è l’unico comparto non intaccato dai ribassi. E infatti buona parte delle candidate alla quotazione nei prossimi mesi sono proprio aziende del settore, a partire dalla De Nora, che fabbrica elettrodi per ottenere idrogeno, o dalla Plenitude, che vende al dettaglio l’energia rinnovabile prodotta dall’ENI. Come si può dedurre dalla tipologia delle maggiori candidate italiane, non soltanto il settore privilegiato per le IPO è quello dell’energia, ma anche e soprattutto se questa è “verde”! Ma restano sullo sfondo l’intelligenza artificiale, la robotica e la cura della persona. Tutti campi sui quali sarà più probabile raccogliere capitali in borsa.

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Nessuno può negare l’urgenza per gli investitori professionali di accumulare titoli con forti caratteristiche ESG (environmental, social and governance). Ma restano appetibili anche le società che operano nelle biotecnologie, nell’aerospaziale e nelle altre tecnologie “verdi” o che aiutano a risparmiare, perché si ritiene che potranno sostenere più di altre i loro margini di profitto con la prossima recessione. Un settore in piena ripresa poi è quello dell’ “outdoor”, a partire da biciclette e trekking, perché considerato pro-ambiente e privo di ricadute inquinanti. Non a caso un’altra candidata alla quotazione alla Borsa italiana è la storica Selle Royal (accessori per biciclette di alta gamma).

Qualche punto di domanda invece attiene (per il momento) alle imprese del settore alimentare perché, pur appartenendo a un comparto per definizione anticiclico, esse hanno subìto enormi rialzi nei costi delle materie prime lacerando di conseguenza negli scorsi mesi i conti economici, senza che sia così scontata la loro capacità di rialzare corrispondentemente i prezzi di vendita.

MA QUANDO ARRIVA LA RECESSIONE BISOGNA INVESTIRE

La borsa però è anche sinonimo del mercato dei capitali e qui si apre un tema ben più ampio: quali imprese hanno davvero saputo cogliere tutte le opportunità di creare valore per i propri azionisti anche senza ricorrere a maggiori investimenti e capitali di terzi? La risposta molto spesso è: “molto poche”. In tantissimi altri casi le imprese sono affette da scarsa capacità di guadagno perché non hanno investito abbastanza, scegliendo spesso di restare “famigliari” e magari poco aperte all’internazionalizzazione. Sebbene non siano soltanto i capitali investiti a poter garantire migliori performances (molto spesso un problema è anche la qualità delle risorse umane di vertice) è inutile dire che in molti casi la scelta di restare piccoli è perdente.

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Proprio perché viviamo in un mondo caratterizzato da una sempre maggiore velocità dei cambiamenti le imprese devono trovare la capacità di reagire, molto spesso investendo pesantemente, quantomeno per cogliere tre obiettivi strategici fondamentali :

  • poter comunicare adeguatamente sulle piattaforme digitali, potenziare la notorietà del marchio, ottenere potenti stimoli di ritorno dal dialogo con la clientela
  • raggiungere la massima efficienza operativa, per esempio a livello energetico e di economicità della produzione, ma anche a livello distributivo che spesso costituisce una formidabile barriera alla crescita
  • potersi permettere una più accurata pianificazione aziendale, con la quale misurare risultati e performances del proprio staff, nonché per adattarsi più velocemente alle mutate condizioni ambientali e alle crescenti richieste di personalizzazione di prodotti e servizi.

IN BORSA SI RACCOLGONO CAPITALI PER LA CRESCITA

E per investire correttamente occorre non soltanto avere capacità di credito, ma anche poter investire in misura congrua del capitale di rischio, adeguando il livello di quest’ultimo alla sfida che ciascun investimento strategico rappresenta: più è elevata e meno si può sostenere con capitale preso a prestito.

La borsa rappresenta per le imprese che possono candidarvisi un’opportunità da questo punto di vista più unica che rara, dal momento che i sottoscrittori del capitale che vi si può raccogliere non andranno ad incidere sul governo dell’impresa e non pretendono di riaverli indietro con gli interessi. Ovviamente però stanno molto attenti a comprendere se esistono reali opportunità di creazione di valore!

IPO: BUONE OPPORTUNITÀ NON SOLO PER LE IMPRESE

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Ma le matricole in borsa possono rappresentare anche una buona opportunità per chi investe: mediamente le valutazioni d’azienda in occasione dei collocamenti iniziali vengono scontate del 20-30% rispetto al valore teorico. E se guardiamo al listino americano la maggior parte delle imprese che oggi mostrano la più alta capitalizzazione vent’anni fa non c’erano!

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Questo non è di per sé garanzia di guadagno nel sottoscrivere tali offerte pubbliche, ma aiuta poiché soprattutto per la borsa italiana, fortemente dipendente da pochi titoli relativi alle banche e alle public utilities, le IPO sono un’occasione abbastanza rara (e dunque mediamente da cogliere) di diversificazione degli investimenti. Se mettiamo insieme lo “sconto matricola” con l’opportunità di diversificazione degli investimenti, ecco che quelli nelle matricole di bors risulta nel lungo termine vincente.

Stefano di Tommaso




NEL MONDO PREVALGONO I TIMORI

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La congiuntura internazionale non promette bene. Non sono soltanto i timori relativi all’inflazione e al conseguente rialzo dei tassi d’interesse a spaventare gli operatori. È soprattutto la prospettiva di recessione globale a generare aspettative riflessive e a frenare le borse. E il gioco delle aspettative spesso conta più di ogni altra cosa. Proviamo a osservare i fenomeni inizialmente a livello internazionale, per poi scendere in maggior dettaglio relativamente al nostro paese e alle conseguenze sui mercati finanziari.

 

A livello internazionale la prima cosa che possiamo notare è il rallentamento generalizzato dell’attività economica: una serie di fattori stanno infatti congiurando per una brusca frenata della crescita. La guerra in Ucraina, nonostante il forte impegno finanziario per molti paesi che la sostengono, è soltanto uno dei fattori che portano nella direzione della recessione: ce ne sono ancora molti altri! Così come la pandemia, pur avendo costretto mezzo mondo a stare a casa per mesi non è stata da sola capace di generare una grande recessione globale, oggi invece il quadro è più complesso per l’effetto congiunto di molti elementi negativi e tale possibilità si fa più concreta.

I MEGATRENDS CHE FRENANO

La società di consulenza di Washington Mehlman Castagnetti Rosen & Thomas per esprimere questo concetto ha elaborato il seguente grafico, dove si possono leggere i principali che oggi stanno rallentando la crescita economica:

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Come si può leggere nell’immagine, uno dei fattori che più hanno inciso sui “venti a favore” della crescita fino a un paio d’anni fa e che oggi generano invece “venti frontali” che ostacolano la crescita è quello della geopolitica. Siamo passati dalla cooperazione alla competizione tra America e Cina. Dalla globalizzazione selvaggia al confronto tra crescenti nazionalismi, dalla ricerca dell’efficienza globale delle filiere produttive alla ri-nazionalizzazione delle fabbriche in ottica di “resilienza” strategica.

DALL’INCREMENTO DEI COSTI INDUSTRIALI…

Dalla prevalenza di meccanismi deflattivi quali l’investimento in nuove tecnologie e la diversificazione delle fonti energetiche, siamo arrivati oggi alla restrizione della capacità produttiva delle filiere di approvvigionamento di minerali, materie prime e derrate alimentari, proprio mentre la ripresa post-pandemica ne incrementava la domanda.

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Ovviamente tutto ciò ha provocato un deciso incremento dei costi dei fattori produttivi, a partire da quelli dell’energia e dei trasporti, ostacolando il commercio internazionale. Quelle sopra citate sono inoltre delle tendenze generali di lungo termine che sono state innescate nel corso di diversi anni e che di conseguenza potranno andare avanti ancora molto a lungo. La cosa che più impressiona però è il fatto che nel complesso il mondo è passato da uno scenario di crescita economica e bassa inflazione (o addirittura di de-flazione) ad uno completamente inverso: di stagnazione e inflazione al tempo stesso!

…AL RIALZO DEI TASSI D’INTERESSE

Contestualmente al radicale cambio di scenario si inseriscono poi gli interventi (o sarebbe meglio dire: le tirate di freni) delle banche centrali. Correttamente ma tardivamente preoccupate per l’inflazione galoppante, esse rischiano, nella loro miopia, di fare ora altri danni, generando un rialzo dei tassi e riducendo la liquidità disponibile con la cancellazione delle facilitazioni monetarie. E questo avviene proprio quando i debiti pubblici dei paesi occidentali sono arrivati ad eccessi pericolosi e quando sarebbero potuti finalmente decollare importanti investimenti infrastrutturali (di cui ora si è smesso di parlare).

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Si tratta di politiche monetarie che comportano indubbie tensioni sulla tenuta dei giganteschi debiti accumulati negli anni “facili” della crescita economica (non a caso in Italia lo spread con la Germania sale), e che riducono le risorse disponibili anche per il settore privato, limitando di fatto l’incentivo a proseguire gli investimenti tecnologici e produttivi. Il maggior rialzo dei tassi è stato operato inoltre negli Stati Uniti d’ America, generando grande forza del Dollaro americano e un conseguente enorme danno per i paesi emergenti e le fasce più povere della popolazione mondiale, che pagano in Dollari tanto gli interessi sul debito con il resto del mondo quanto gli approvvigionamenti alimentari.

GLI EFFETTI NEGATIVI DELLE SANZIONI SULL’U.E.

A livello europeo poi c’è un problema in più: la spesa di diverse decine di miliardi di euro per il sostegno della resistenza ucraina e per l’accoglienza dei relativi profughi e, soprattutto, le sanzioni economiche imposte alla Russia, stanno comportando una brusca frenata per le esportazioni di moltissime imprese europee, nonché un calo dei flussi turistici. La guerra ha inoltre generato un problema che per sua natura è globale ma è molto più tangibile in Europa che altrove: esso riguarda il prezzo e la disponibilità di energia, balzato alle stelle il primo, scesa ai minimi storici la seconda. Anche grazie alle sanzioni alla Federazione Russa e ai suoi alleati, il rischio è concreto che l’Europa possa vedere fortemente compromessa la propria capacità di approvvigionamento di gas e petrolio.

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In Italia ad esempio il Centro Studi Confindustria (CSC) fa notare che il prezzo medio del gas naturale è salito di quasi 7 volte (+698%) in due anni (cioè da prima dello scoppio della pandemia). Il costo del petrolio in confronto è salito ben poco: ”soltanto” del 56%. Ora non si può ragionevolmente ritenere che questi aumenti potranno provocare per l’anno in corso un’inflazione limitata a quella oggi riportata dalle statistiche ufficiali (intorno al 7%).

E CHI CI RIMETTE DI PIÙ E’ L’EUROPA

Non a caso le principali economie europee nella prima parte del 2022 ristagnano, mentre Italia e Germania addirittura arretrano. Ha fatto scalpore nelle ultime ore la notizia che nello scorso mese di Marzo la produzione industriale in Germania (la principale economia europea e il principale paese esportatore nel resto del mondo) è discesa di quasi il 4% (del 4,6% se si escludono energia e edilizia). Sempre in Germania a Marzo si è registrato un incremento dei prezzi alla produzione di quasi il 31% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, con una prima rilevazione dell’inflazione dei prezzi sui beni di consumo giunta in Aprile quasi ai livelli americani: 7,4%!

Nel dettaglio, la produzione tedesca di beni strumentali è calata del 6,6%, quella dei beni intermedi del 3,8% e quella dei prodotti energetici dell’11,4% e addirittura la produzione delle auto è scesa del 14%. In Italia la produzione industriale sembra essere scesa a Marzo “solo” del 2,5%, ma molte altre delle dinamiche appena evidenziate per la Germania assomigliano parecchio a quelle nostrane, solo con qualche limitazione a causa della minor dipendenza dell’economia italiana dalla produzione automobilistica.

E IL RE-SHORING COSTA CARO!

Abbiamo già osservato come, dopo la fase delle delocalizzazioni produttive in Asia, il nuovo scenario geopolitico sta spingendo gran parte delle imprese che se lo possono permettere a investire sul “re-reshoring” delle produzioni industriali, spostandole a località e mercati con minore rischio geopolitico. Ma il “tornare indietro” per molte imprese europee sarà un processo costoso, difficile, doloroso e lento, con complicazioni che si aggiungeranno a quelle appena evidenziate!

Molti commentatori fanno poi notare che mentre oggi i principali fattori che rallentano l’economia sono le strozzature e i rialzi dei costi all’offerta di beni e servizi, a breve potrà intervenire a frenare ulteriormente l’economia un fattore che sino ad oggi era parso relativamente stabile: la domanda dei medesimi. L’inflazione dei prezzi ha infatti depauperato buona parte dei consumatori, privandoli sostanzialmente di una quota del loro reddito disponibile. E questo vale per buona parte della popolazione europea, sottoposta a contratti di lavoro più rigidi di quelli dei paesi anglosassoni e dunque meno capaci di reagire con un rialzo repentino delle retribuzioni.

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Ci sono paesi però come la Francia dove il 27% della produzione energetica arriva a costi bassissimi dalla fonte nucleare. Altri come molti paesi nordici che sono esportatori netti di petrolio e gas. Mentre in Italia e in Germania l’emergenza energetica ha spinto i governi a riattivare le centrali elettriche alimentate a carbone, ma con il rischio di un pesante incremento delle emissioni nocive!

LA FIDUCIA SCENDE IN ITALIA

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Tutto ciò non può non influire (negativamente) sul clima di fiducia che si respira nell’industria e che risulta essenziale per sostenere gli investimenti strumentali, a loro volta essenziali per sostenere l’occupazione. A casa nostra siamo inoltre più penalizzati di qualunque altro paese europeo dalla maggior tassazione rispetto a tutto il resto del mondo. Nel corso del 2021 l’Italia ha infatti battuto il record mondiale (nonché storico) di tassazione media dei redditi, arrivando al 43,5% del Prodotti Interno Lordo.

Non a caso l’indice delle attese sull’economia italiana ha registrato un crollo dal +0,6% a inizio anno fino a – 34,8% di aprile, valore comparabile a quello di dicembre 2020 (dopo la seconda ondata pandemica). Il peggioramento dell’indice di incertezza della politica economica che per l’Italia è salito a 139,1 punti a marzo per poi attestarsi su un valore poco inferiore in aprile (129,2 punti, +28,5% rispetto al 4° trimestre del 2021), accresce i rischi di un ulteriore indebolimento.

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I MERCATI FINANZIARI NE RIMANGONO DANNEGGIATI…

Ecco spiegati i contorsionismi delle Borse valori di tutto il mondo. Almeno sino a quando non arriverà qualche segnale positivo. Nonostante si potesse iniziare a sperare che il programma di rialzi dei tassi d’interesse fosse già stato assorbito dai mercati finanziari e che di conseguenza ogni futura flessione del picco inflazionistico attuale potesse tradursi in un rialzo delle Borse, assistiamo invece a un progressivo deterioramento del contesto economico globale, al perdurare di elementi inflattivi che non potranno essere disinnescati tanto presto, allo scemare delle speranze di fine della guerra con la Russia e alla conseguente caduta dell’ottimismo da parte degli operatori economici.

I mercati finanziari vorrebbero riuscire a vedere per primi la luce in fondo al tunnel, ma non la scorgono nemmeno con il più potente dei telescopi. È questo che dunque spinge gli investitori di tutto il mondo a cercare di liquidare buona parte dei propri asset per accumulare ciò che oramai sembra l’elemento che presto potrebbe scarseggiare: la liquidità.

Se le banche centrali non cambieranno presto la loro impostazione infatti l’unico modo di poter un giorno tornare a beneficiare della risalita delle quotazioni è quello di vendere oggi ogni genere di asset finanziario per tornare a disporre di quella liquidità che potrebbe consentire domani di comperare a prezzi più bassi.

…E GLI INVESTIMENTI IN INNOVAZIONE TECNOLOGICA RINVIATI

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Un meccanismo perverso che non può che rallentare gli investimenti di cui avremmo più bisogno: quelli in innovazione e tecnologia, penalizzando al tempo stesso tutte le attività economiche che non risultino strettamente legate all’energia, alla produzione alimentare e alle tecnologie per gli armamenti. E che rischia di provocare una recessione globale peggiore di quella post-pandemica!

Stefano di Tommaso




E’ FINITA LA GLOBALIZZAZIONE?

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La globalizzazione si è interrotta. La frase è divenuta il mantra di questi ultimi giorni e non soltanto perché lo ha detto Larry Fink (CEO di BlackRock e uno dei più influenti opinion maker degli USA. Siamo tornati alla “cortina di ferro”? Sembra di si, almeno con la Russia. Ma neanche con la Cina le acque sembrano calme. Se poi l’America chiudesse un accordo con l’Iran (stato islamico sciita) raggelerebbe i rapporti con l’intero medio oriente (che invece è islamico sunnita e perciò fortemente rivale). Il mantra della de-globalizzazione deriva perciò dall’acuirsi delle tensioni geopolitiche, salite nei giorni scorsi ben al di là dei normali livelli di guardia, che costringono ogni nazione a schierarsi e a organizzare il “re-shoring” delle produzioni essenziali.

 

IL RUOLO DEL “MAINSTREAM”

La guerra fredda sembrava un ricordo sbiadito della contrapposizione tra capitalismo e comunismo, fino a trent’anni fa. Oggi si è invece tornati insistentemente ad agitarne lo spettro. La caccia alle streghe è cioè di nuovo forzosamente in voga, sebbene senza più alcuna valenza ideologica. Oggi i russi non sono più comunisti ma sono definiti carnefici come allora. E, come allora, a influenzare l’opinione pubblica sono i media appartenenti al c.d. “mainstream”: cioè quell’insieme di giornali telegiornali, blog e dibattiti che vanno tutti nella stessa direzione politica. Neanche questo accadeva così palesemente da tempo in Occidente!

D’altra parte non serve sottolineare le differenze culturali e ideologiche per invocare lo sdegno collettivo dei nostri cittadini. Carri armati e missili che penetrano in un territorio dove -almeno in apparenza- prima regnava la democrazia, appaiono argomenti più che sufficienti per far lavorare i “persuasori occulti” (viene in mente l’omonimo saggio del 1957 di Vance Packard) a scaldare gli animi, alzare l’allarme, inneggiare al riarmo e insultare i leader politici e militari avversari. Insomma se la tensione tra gli stati è alta, i media la esacerbano.

COSA NE POTRA’ CONSEGUIRE ?

Così va il mondo, o almeno così va il mondo occidentale, dal momento che nessuno in occidente riporta le opinioni espresse dai leader dell’altra parte del mondo, cioè della Cina, del sud-est asiatico e dall’India, che non sembrano essere affatto allineate al “pensiero unico” occidentale. Comunque la si pensi dunque, non possiamo che constatare una consistente e crescente spaccatura tra Oriente e Occidente che nasce dalla geopolitica, ma che diviene oggetto di guerra economica e mediatica e può tradursi in una iattura assai generalizzata.

E qui viene il bello, perché al di là di qualche vuoto slogan, la verità è che nessuno al di fuori delle stanze del potere poteva prevedere che la tensione sarebbe salita così tanto. Né può affermare con certezza cosa succederà da adesso in avanti. Sicuramente occorre constatare il fatto che l’Oriente del mondo (con l’eccezione del solo Giappone) sembra a sua volta essersi compattato in senso opposto.

Si continua a sperare in una rapida soluzione al conflitto esploso da un mese, ma le ragioni di questo conflitto risalgono a molto tempo addietro. E probabilmente, per lo stesso motivo, non esso si risolverà così in fretta come vorremmo sperare. Quello che invece sarà più probabile sarà una sua pausa. Un “cessate il fuoco” per consentire alle parti di trovare soluzioni negoziali.

CAMBIERANNO LE FILIERE INDUSTRIALI…

Se davvero però nel frattempo dovremo fare i conti con la necessità di estrarre altrove nel mondo le materie prime e i semilavorati di provenienza russa o cinese l’economia globale avrà guadagnato un bel dilemma. Si dichiara di voler estrarre sempre più altrove gas e combustibili fossili, di voler creare in Occidente fabbriche sempre più integrate verticalmente (cioè capaci di lavorare l’intera filiera, dal trattamento delle materie prime al prodotto finito), ma tra il dirlo e il farlo passeranno anni!

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Se dovremo dire addio (almeno parzialmente) tanto alle forniture di materie prime e derrate alimentari, quanto ai mercati di sbocco dei paesi orientali ed asiatici, sino ad arrivare alla segregazione dell’Oriente dall’Occidente, allora si che saremmo a un passo dalla terza guerra mondiale e allora sì che saremo finiti nel pieno di una nuova guerra fredda. Si perché il costo di tale riconversione si farà sentire. E provocherà conseguenze di lunga durata.

… E SALIRÀ LA SPESA MILITARE

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La contrapposizione appena citata forse si potrà giungere ad evitare, ma nel frattempo dovremo probabilmente assistere ad una forte ripresa delle spese militari, e ad un ingente spreco di risorse nella duplicazione di scienze e tecnologie per far sì che i paesi appartenenti ai due schieramenti (Oriente e Occidente) si confrontino a distanza senza mettere a fattor comune le competenze e rallentando, di fatto, lo sviluppo economico globale.

EUROPA E PAESI EMERGENTI SUBIRANNO I DANNI MAGGIORI

Un altro grande, terzo incomodo di questa guerra è l’intero coacervo dei paesi emergenti, le cui economie sono già oggi in ginocchio per la rivalutazione del dollaro e per i rincari delle materie prime, che spesso non vanno in tasca loro, mentre i maggiori costi di tutto ciò che le loro popolazioni acquistano (a partire dagli alimenti) si toccano subito con mano. Un bel problema per molte nazioni che iniziavano soltanto adesso a tirarsi fuori dalla povertà diffusa, che risale addirittura allo scoppio della pandemia e che sta divenendo un dramma con le nuove tensioni.

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Ancor più pesante sarà il bilancio di sostenibilità globale, poiché in nome dell’indipendenza energetica, della necessità di sostenere le spese per gli armamenti, e dell’urgenza di rimpiazzare parte del commercio internazionale con produzioni domestiche sempre più automatizzate (per evitare di produrre con eccesso di costi), dovranno giocoforza rallentare o essere rinviati gli altri investimenti: quelli per l’economia circolare, la transizione verso energie “verdi”, le nuove infrastrutture digitali, e per ristabilire pari opportunità.

Ma è eclatante lo iato che si sta aprendo in questo momento tra Europa e America, e che non potrà che accentuarsi. A parte il diverso andamento dell’economia, lo si è visto anche in queste ultime ore: mentre nell’Unione Europea entravano due milioni di profughi ucraini, a Holliwood si celebrava la notte degli Oscar!

MA SARA’ L’INDUSTRIA A DOVER CAMBIARE MAGGIORMENTE

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L’incremento del prezzo delle materie prime e dell’energia rischia poi di provocare i più forti sconquassi soprattutto nell’apparato industriale europeo. Il più tecnologicamente arretrato e il più dipendente dalle importazioni. Nei due grafici sopra riportati si può toccare con mano la crescita dei costi industriali e in quello qui sopra manca tra l’altro l’ulteriore forte impennata dei costi energeticinel primo trimestre 2022.

L’incremento di questi costi va ad erodere immancabilmente i margini di profitto industriali. E con il rincaro progressivo anche dei prezzi dei prodotti finiti, si può facilmente prevedere che -almeno in Europa- i consumi tenderanno a restringersi, e numerosi posti di lavoro salteranno, generando nuova necessità di assistenza sociale (che i bilanci pubblici faranno molta fatica a sostenere). Insomma il rischio che un’inflazione dettata dalla scarsità di offerta provochi una frenata generale dell’economia è materialmente tangibile. Ma è anche molto difficile evitarlo. I prezzi dei fattori produttivi avevano già iniziato a lievitare con i problemi derivanti dalla restrizione ai movimenti imposta dal virus. Oggi sono letteralmente esplosi.

IL RUOLO DELLE BANCHE CENTRALI

Di fronte a tale congiuntura si può sperare che le banche centrali abbandonino presto l’attuale orientamento verso nuove restrizioni monetarie, atte a contrastare l’inflazione. Per evitare di esasperare esse stesse la stagnazione economica cioè, esse dovranno tornare ad assecondare con nuova liquidità le necessità dei governi e degli operatori economici privati di sostenere la spesa pubblica e gli investimenti. Con buona pace per l’inflazione, che è probabile non cederà il passo, visto che alla sua origine ci sono soprattutto limitazioni nell’offerta dei beni e non eccesso di domanda degli stessi. Nel grafico sotto riportato si può leggere a livello globale tanto il calo (superiore al 20%) dei livelli medi delle borse da inizio d’anno a questa parte, quanto (e soprattutto) il principale fattore che l’ha determinato: il calo della liquidità disponibile sui mercati. Con il rischio che il trascinamento verso il basso prosegua.

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Almeno in Europa insomma, lo spettro della “stag-flazione” si paleserà, quantomeno durante la prima metà dell’anno in corso. E si rifletterà, altrettanto probabilmente, in un innalzamento dei tassi di interesse anche qualora le banche centrali dovessero spingere sull’allenamento della liquidità in circolazione. Se cioè fino a ieri si poteva immaginare che inflazione e incertezza avrebbero frenato la crescita, con la crescita della tensione internazionale la situazione si aggrava ulteriormente e si prospettano in definitiva due grandi alternative:

GLI SCENARI POSSIBILI

  • Da un lato potrebbe succedere che la necessità di aumentare l’efficienza dell’industria e soppiantare le (scarse) materie prime energetiche di derivazione fossile scateni una vera e propria corsa agli investimenti, almeno in tutto l’Occidente, che da sola arrivi essa stessa a contrastare il rallentamento nei consumi e nella disponibilità di materie prime e “commodities” (cioè derrate alimentari). In tal caso assisteremmo di fatto ad una ulteriore accelerazione dell’introduzione di nuove tecnologie, le quali provocherebbero a loro volta l’accelerazione dei processi di trasformazione dell’industria, ulteriori passi avanti verso la digitalizzazione collettiva, e la definitiva sepoltura di molte arti, mestieri e piccole produzioni del passato. Lo scompiglio non mancherebbe ovunque nel mondo ma ci potrebbero essere anche effetti positivi derivanti dallo slancio e dagli investimenti. Uno dei quali potrebbe essere un relativo allentamento delle tensioni geopolitiche, in funzione della possibile mutua convenienza di Oriente e Occidente a fare qualche passo di riavvicinamento.
  • Dall’altro lato invece potrebbe succedere che la mancanza di fiducia nelle prospettive di rappacificazione, la nuova disoccupazione e la riduzione forzosa dei consumi in funzione del ridotto potere d’acquisto delle classi meno agiate agiscano da freno sull’economia, mandandone in stallo la crescita. Così come potrebbe accadere che le banche centrali arrivino a decidersi a fare marcia indietro troppo tardi, quando la recessione sarà stata oramai innescata. O potremmo assistere ad una “escalation” e ad un allargamento territoriale del conflitto armato oggi confinato alla sola Ucraina. In tutti questi casi lo iato con i paesi orientali si accentuerebbe, e sarebbe soprattutto l’Eurozona quella che finirebbe col subire il più clamoroso arretramento rispetto alle nazioni orientali (tra cui anche il Giappone) come Cina e India. In uno scenario del genere anche le contrapposizioni politiche si radicalizzerebbero, con il rischio di una più profonda spaccatura tra Oriente e Occidente.

Nemmeno l’Asia potrebbe beneficiare troppo da ciò che dovesse conseguire al secondo scenario, dal momento che verrebbe seriamente a mancare a quelle nazioni non soltanto la tecnologia occidentale, ma anche una parte importante degli attuali mercati di sbocco. Mentre nel primo scenario, al di là del gioco distruttivo delle sanzioni e delle possibili rappresaglie, si può ben sperare che il commercio internazionale subisca soltanto dei ritardi. Cioè che insomma la globalizzazione cambi sì, ma non si estingua del tutto.

LA GLOBALIZZAZIONE E’ DUNQUE FINITA? DIPENDE…

In definitiva, in risposta alla domanda iniziale (la globalizzazione è finita?) vi è un immancabile “dipende”! Forse soprattutto da Washington, che continuerà a deprecare l’uso dei carri armati russi e le morti provocate dalla guerra ma che potrebbe anche trovare una convenienza (interna ed esterna agli USA) in una tregua, una schiarita. Ma dipende anche da Mosca, che possiamo presumere difficilmente abbandonerà la campagna militare in corso in cambio di qualche blanda promessa di neutralità ucraina.

Cosa succederà nel frattempo non è chiaro. Perché -finché va avanti- l‘orrore di morti e distruzioni provoca indubbiamente danni alla Russia, ma anche all’Europa che si chiede se continuare ad alimentare il conflitto. E si è visto nelle ultime ore che provoca anche danni all’amministrazione Biden, che rischia di scadere nell’opinione pubblica interna. Dunque sta crescendo l’interesse di tutti per la ricerca di una soluzione negoziale.

UNA SOLUZIONE NEGOZIALE E’ POSSIBILE, ANCHE A BREVE

L’attuale congiuntura insomma sembra dunque nera, ma le forze in campo potrebbero anche finire per congiurare verso una svolta decisiva. La storia insegna che nulla è mai definitivo, e che in molti casi le più tristi previsioni possono essere clamorosamente smentite. Anche l’attuale ottimismo delle borse internazionali non fa che anticipare la probabilità di una soluzione negoziale. Ma potrebbero venire smentite dai fatti, viste l’apparente poca lungimiranza dell’attuale presidente americano e l’ostinazione del presidente russo.

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Certo, anche qualora una soluzione negoziale fosse trovata e applicata in fretta, i danni che derivano dalla campagna mediatica contro la Russia e le sue èlites interne, non svaniranno altrettanto in fretta. L’Occidente ha mostrato molta caparbietà nella gestione politica del suo rapporto con la Russia a proposito dell’Ucraina e il risultato economico di tale atteggiamento sarà quasi certamente il permanere di elevati costi di derrate e materie prime (cioè inflazione), una probabile stagnazione economica e un altrettanto probabile calo dei profitti dell’industria.

MA SARA’ DIFFICILE INVERTIRE LA RI-LOCALIZZAZIONE

Neanche per il resto dell’Occidente dunque (America in primis), visto che al momento ne ha tratto quasi soltanto svantaggi, sarà così facile invertire la rotta e tornare a invocare la ripresa del commercio internazionale. Lo shock da crisi di offerta di beni e servizi potrebbe andare avanti abbastanza a lungo, che vi sia o meno una schiarita nei rapporti geopolitici. E se l’inflazione continuerà a mordere allora anche i tassi d’interesse occidentali continueranno a salire, che le borse valori crescano o meno (una parte infatti della mancata discesa dei titoli azionari è infatti dovuta alla migrazione degli investitori dal reddito fisso alle borse).

E con la risalita dei tassi, la questione della sostenibilità dei debiti pubblici globali tornerà in grande evidenza, generando ulteriore scompiglio e il raffreddamento della loro appetibilità per i gestori di patrimoni di tutto il mondo. La guerra cioè potrebbe questa volta non rafforzare più il Dollaro americano, così come è successo quasi sempre in precedenza. Basterebbe infatti che la Cina liquidasse una piccola parte dei titoli di stato americani accumulati sino ad oggi, per creare il problema. Né ovviamente ne beneficherebbe la divisa unica europea, che rischia una vera e propria svalutazione indesiderata proprio mentre si appresta ad acquistare altrove materie prime e commodities.

CONCLUSIONI & PREVISIONI

Lo scenario più probabile insomma, sarà quello dell’incremento degli sforzi per trovare -almeno provvisoriamente- soluzioni di compromesso, onde evitare l’allargamento della guerra. Ma ciò difficilmente sanerà il clima di sfiducia che si è creato, che potrebbe far molto male al commercio internazionale e allo sviluppo economico mondiale. Da questo punto di vista abbiamo probabilmente già oltrepassato la linea di non-ritorno: la globalizzazione che abbiamo conosciuto negli ultimi trent’anni appare perciò irrimediabilmente compromessa.

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Al suo posto potranno tuttavia instaurarsi nuove e diverse forme di collaborazione internazionale, principalmente nella condivisione di parte del know-how (quello non considerato rilevante per la sicurezza delle nazioni) e nella concessione di licenze produttive e di software. Ma la spaccatura che si è creata con il blocco orientale non si riassorbirà così in fretta. L’inflazione potrebbe permanere a lungo e danneggiare irreparabilmente molte attività economiche legate alle tecnologie del passato, o al leisure, all’ entertainment, al turismo e alla produzione di beni voluttuari. Saliranno anche i prezzi degli alimenti, ma probabilmente non abbastanza da compensare i maggiori costi di produzione.

Potrebbero invece tornare a guadagnare terreno i produttori di automazione industriale, la farmaceutica, l’imprenditoria digitale, gli sviluppatori di nuove tecnologie per il risparmio energia, per la sua produzione da fonti rinnovabili, i programmatori di sistemi di sicurezza e di intelligenza artificiale. Anzi, quest’ultima probabilmente costituirà la prossima grande occasione per rilanciare l’economia globale. Così come potranno beneficiare dell’inflazione i prezzi dei beni rifugio (a partire dall’oro fino a tutti gli altri metalli pregiati) sino agli immobili.

Anche per questi motivi è probabile tuttavia che la disoccupazione tornerà ad allargarsi, colpendo quella parte della popolazione che sperava invece di contare sull’assistenza sociale e che si ritroverà con poca capacità di spesa a causa delle crescenti difficoltà dei bilanci statali. E’ possibile appunto che per qualche tempo di conseguenza i salari si appiattiranno e che i consumi collettivi si restringeranno, almeno per la popolazione di età più avanzata.

Si, è possibile che per giungere a una nuova fase della sua evoluzione l’umanità debba passare da un certo travaglio. Ma è anche possibile che questo sia più breve di quanto possiamo immaginare. Come al solito dipenderà dalle volontà umane, politiche e militari.

Stefano di Tommaso