SARÀ L’INFLAZIONE A MUOVERE I MERCATI ?

Come va l’economia globale? Piuttosto bene si potrebbe affermare al momento, sebbene grandi minacce geopolitiche e relative all’inflazione dei prezzi siano in agguato sovvertendo il mondo che conoscevamo. Non potremmo infatti avanzare la stessa conclusione per le sorti della democrazia nel mondo né per la tutela dell’ambiente. Due elementi che continuano a rimanere indietro nell’agenda dei governi. Uno scenario complesso quello che si prospetta per il 2022 che dovrebbe però vedere ancora una volta ottimi profitti per le grandi multinazionali e ciò potrebbe significare che le borse continueranno ad avanzare, sempre che non arrivino nuovi cigni neri!

 

Se nell’ultima settimana la Federal Reserve Bank of America (FED) voleva spaventare i mercati, al momento si può dire che c’è riuscita benissimo, dopo aver pubblicato una serie di “appunti” (relativi alle discussioni tra i partecipanti al consiglio della banca centrale) che facevano chiaramente comprendere un atteggiamento di forte volontà per rialzare i tassi d’interesse. E visto che le borse (soprattutto quella americana, e soprattutto i grandi titoli tecnologici) viaggiavano intorno ai livelli massimi di sempre nonostante la prospettiva di rialzo dei tassi d’interesse, quella pubblicazione ha contribuito non poco all’immediato ridimensionamento delle valutazioni d’azienda implicite nelle quotazioni azionarie.

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Ecco qui una tabella, proposta da Milano Finanza dello scorso sabato, circa le performances a fine 2021 delle principali borse.

Niente male, vero? Anche senza considerare la crescita annua del 72% delle quotazioni del Nasdaq (la borsa dei titoli tecnologici), sono da incorniciare la crescita del 47% della borsa americana e quella di quasi il 34% della borsa cinese. Nonché quel quasi +19% dei maggiori titoli europei, con i listini di Tokio, Parigi e Berlino che hanno fatto meglio!

QUANTO SONO SOPRAVVALUTATE LE BORSE ?

Ovviamente dopo questi risultati spettacolari occorre anche andare a vedere quanto sono “sopravvalutate” le borse, con due “iconici” indici americani al riguardo. Innanzitutto quello di Warren Buffett:

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E poi quello di Robert Shiller, premio Nobel per l’economia nel 2013 e considerato uno dei padri della finanza comportamentale. Shiller ha concentrato i suoi studi sulla formazione delle bolle speculative arrivando a creare un proprio indice (il cosiddetto C.A.P.E. ratio) relativo alla sopravvalutazione dei titoli rispetto al loro rendimento, dopo averlo aggiustato rispetto all’andamento generale del mercato finanziario:

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È PROBABILE UNA ROTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI AZIONARI

Come si può vedere, entrambi gli indici a fine 2021 sono intorno ai massimi storici, e questo nonostante un’inflazione galoppante, diversamente dagli anni precedenti, cioè con un incremento tendenziale dei prezzi al consumo che negli U.S.A. è già arrivato al 7% annuo. Dunque se ne può tranquillamente dedurre che le borse sono sopravvalutate!

Anche se più che alla media complessiva occorre guardare alla composizione degli indici azionari. Vediamo qui sotto com’è composto il principale indice della borsa americana:

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È dunque probabile che sia in corso una rotazione degli investimenti, se il listino americano è dominato dai grandi titoli tecnologici (quei il 30%) e se questi hanno sino ad oggi fortemente incrementato il valore della loro capitalizzazione dì borsa (come si può vedere dal grafico qui sotto riportato).

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DA COSA DIPENDONO I RIBASSI ?

E, se vogliamo parlare dei ribassi dell’ultima settimana (siamo nell’ordine di qualche punto percentuale), dobbiamo tener conto di questa rotazione dei medesimi portafogli verso titoli più “difensivi” rispetto a quelli (principalmente i tecnologici) sospinti al rialzo fino all’ultimo giorno utile dell’anno appena chiuso anche perché godevano del favore dei piccoli risparmiatori. dei medesimi portafogli verso titoli più “difensivi” di quelli (principalmente i tecnologici) sospinti al rialzo fino all’ultimo giorno utile dell’anno appena chiuso.

Ma non solo: dobbiamo anche chiederci quanto, nella loro genesi, ha influito il fatto che, con l’arrivo del nuovo anno, le performances dei gestori di patrimoni del 2021 erano state oramai cristallizzate e dunque i portafogli azionari potevano essere alleggeriti?

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Difficile misurare le diverse componenti, ma è probabile che, nello scivolare complessivo delle quotazioni negli ultimi giorni, queste componenti c’erano! E se così fosse allora potremmo considerare i recenti ribassi quali semplici assestamenti anche perché i rincari dei prezzi delle materie prime si sono oggettivamente acquietati nelle ultime settimane, come si può vedere dal grafico sopra riportato, che fa ben sperare per l’inflazione futura.

LE BANCHE CENTRALI E LA POLITICA DELL’ORACOLO DI DELFI

A proposito poi della confusione generata dai controversi annunci delle banche centrali, il professor Masciandaro (Università Bocconi) dalle colonne de Il Sole 24 Ore tuona inesorabilmente definendo la strategia adottata negli ultimi mesi come: “la politica dell’oracolo di Delfi”(riferendosi ai controversi vaticinii della sacerdotessa Pizia che interrogava il dio Apollo).

Con comunicati sibillini e indicazioni altalenanti i banchieri centrali stanno probabilmente prendendo tempo, nella consapevolezza che meno si fanno comprendere e più spazio di manovra guadagnano, senza timore di venire smentiti dai fatti troppo presto. Ecco dunque che un giorno rassicurano i mercati, quello dopo li spaventano, con il risultato complessivo di incrementare la volatilità degli stessi, ma non di farli scendere davvero di livello.

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E comunque, dal momento che subito dopo la pubblicazione delle “minute” della FED i mercati sono scesi, John Authers riporta, nella sua newsletter dello scorso Sabato, un complesso elenco di variabili economiche per farci comprendere che oggi è ragionevole supporre che i mercati abbiano già incorporato nei livelli attuali le attese di un più deciso rialzo dei tassi d’interesse, come si può leggere qui accanto dalla comparazione tra ciò che il “consenso” di mercato si aspettava agli inizi di Settembre, di Novembre, di Dicembre e ciò che si attende adesso.

LE BORSE SONO PRONTE PER SEGNARE NUOVI RECORD?

Dunque le borse hanno già effettuato la loro correzione e sono pronte per ripartire a crescere? Forse è così, ma le sorti del quadro complessivo dei mercati finanziari non dipendono soltanto dall’atteggiamento delle banche centrali.

Con i progressi dell’economia globale e con gli ultimi rincari dell’energia (che, ricordiamocelo, è la più importante catena di trasmissione dell’inflazione dei prezzi) tale quadro si è complicato non poco e, se fino a qualche giorno fa avremmo potuto scommettere sulla persistenza del fattore “T.I.N.A.” (“there is no alternative” all’affidarsi all’investimento azionario per ottenere uno straccio di rendimento positivo) e dunque al progressivo ricomporsi della fiducia nelle borse, oggi altri fattori si affacciano all’orizzonte degli eventi…

LE TENSIONI GEOPOLITICHE POSSONO MINARE LA FIDUCIA

Innanzitutto quello geo-politico: la crisi dell’Afghanistan è probabilmente tutto tranne che una questione interna dovuta a quella sorta di “primavera araba” con la quale i media vorrebbero etichettare la vicenda. La Federazione Russa la vede come una vera e propria minaccia ai confini del proprio territorio da parte dei servizi segreti anglosassoni nei confronti del regime-cuscinetto di Nursultan Nazarbaief, così come avevano agito ai tempi della destabilizzazione del Nord Africa e dell’Ucraina (e stavolta per evitare di sottovalutarla ha già inviato cospicue truppe scelte).

L’occidente parla quasi soltanto della brutalità della repressione della rivolta stessa, pur ammettendo numerosissimi morti tra le forze dell’ordine del Paese. Pochi parlano del fatto che quasi la metà di tutto l’uranio estratto nel mondo venga proprio da lì (proprio mentre si torna a parlare del nucleare come nuova fonte di energia “pulita”). È inoltre piuttosto probabile perciò che, a seguito dell’appoggio dato dai Russi all’esercito locale, nuove sanzioni verranno inflitte alla Federazione Russa.

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Dunque a seguito del fallito colpo di stato afghano è probabile che si creeranno nuove frizioni con l’Occidente, che potrebbero a loro volta alimentarne altre, dal momento che Cina, Turchia e altre repubbliche asiatiche hanno già proposto di schierarsi a favore della Russia e comunque non resteranno a guardare lo sviluppo degli eventi senza fare nulla. Soprattutto sul fronte dei prezzi dell’energia da petrolio e gas, che rischiano di rincarare ancora nonostante lo sforzo dichiarato di migrare più velocemente possibile verso forme di energie da fonti alternative.

Occorre ricordare al riguardo che l’America non è il primo esportatore di gas e petrolio, ma ne è sicuramente il primo produttore e ne è comunque un esportatore netto a dosi crescenti. Dunque le sue èlites potrebbero avere grande convenienza nel rialzo del costo dell’energia. Con l’eccezione della Federazione Russa il resto del mondo invece lo subirebbe, con conseguenze anche sui profitti degli operatori economici.

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Andrebbe tutto bene dunque, ma soltanto sino a quando l’eventuale persistenza dell’inflazione dovesse arrivare a minare la fiducia degli operatori economici, invertendo la discesa della disoccupazione (arrivata negli U.S.A. ai minimi storici, come si può leggere dal grafico) e iniziando a rallentare gli investimenti in efficienza produttiva. Questi fattori potrebbero ridurre le attese di profitto delle principali società quotate e determinare nuovi ribassi.

MA LA GOLDMAN SACHS È PIÙ CHE OTTIMISTA!

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Tuttavia, nonostante il fatto che la persistenza dell’inflazione, il rialzo dei tassi d’interesse e le tensioni internazionali siano tutti fattori che dovrebbero spingere alla prudenza, la banca d’affari americana Goldman Sachs non ha dubbi: non soltanto le nuove tecnologie continueranno a stupirci e a far guadagnare bene le grandi multinazionali, ma c’è ancora tanta liquidità in circolazione. Liquidità che al momento si rivolge alla speculazione su materie prime, metalli e immobili, ma che alla fine tornerà di nuovo a far incrementare l’investimento in titoli azionari, perché, appunto, a questi ultimi non c’è quasi alternativa in termini di rapporto rischio/rendimento.

Difficile dargli torto: la liquidità oggi in circolazione è davvero alta e, prima dì irrorare la crescita dei prezzi al consumo, essa si intrattiene sui mercati finanziari, dove però l’alternativa “reddito fisso” è davvero povera di attrattiva. E nelle sue previsioni non manca di elogiare le borse europee, meno sbilanciate sui titoli ipertecnologici e le cui performances sono state oggettivamente in calo per anni rispetto a quelle della borsa americana, e dove Goldman Sachs vede dunque le migliori opportunità, come si può dedurre dal grafico qui riportato da Bloomberg:

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Luci ed ombre insomma, come sempre all’inizio di ogni anno, ma forse con un pizzico di ottimismo, pur tenendo conto della volatilità aggiuntiva e del maggior rischio di fondo.

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Lo spettacolo però -come sempre- deve andare avanti. E probabilmente ci andrà. Soprattutto sul fronte delle tecnologie (che però sono investimenti ad elevatissimo rischio), ma anche sui titoli finanziari e sui titoli energetici, dovunque insomma ci sono da attendersi migliori performances per gli anni a venire.

Dunque al momento un pizzico di ottimismo non deve guastare il gusto agrodolce del mercato! Quantomeno la parte di amaro riguarderà i grandi sommovimenti che è lecito attendersi dalla rotazione dei portafogli e dall’incremento della volatilità complessiva. Ma è altrettanto probabile che i profitti aziendali continueranno a correre e, con loro, una messe assai interessante di dividendi !

Stefano di Tommaso




LE BORSE SALIRANNO ANCORA

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Dove andremo a finire? Possibile che non vi sia limite ai rialzi dì borsa? Nonostante l’inflazione prosegua la sua corsa e la pandemia non demorda, a guardare i mercati finanziari pare proprio sia così. Nonostante i rischi di un crollo (o di elevata volatilità delle quotazioni) aumentino parallelamente ad ogni ulteriore salita degli indici dì borsa, l’orientamento dei mercati è ancora una volta positivo! Una ragione tecnica peraltro c’è e non è da sottovalutare: i tassi d’interesse reali. Mai stati così in basso, e con poche speranze che la tendenza si inverta. Continuerà? Pare proprio di si.

 

I FATTORI CHE ALIMENTANO LE BORSE

La liquidità in circolazione abbonda, l’alternativa ai mercati azionari spaventa (quelli obbligazionari promettono delle perdite, l’oro appare in rialzo ma molto speculativo e le criptovalute ancor di più): non c’è dunque troppo da stupirsi se le borse segnano quasi i massimi livelli di sempre. Ma c’è anche una ragione d’opportunità per la quale i rialzi dei listini potrebbero non finire qui: la fine dell’anno è vicina e i gestori di patrimoni vogliono far segnare delle belle plusvalenze. Ecco dunque che scatta la paura di perdersi il nuovo rialzo! La cosiddetta “fear of missing out”. Sebbene la prudenza consiglierebbe atteggiamenti più cauti, nessuno se la sente di rimanere fuori dai mercati borsistici se ha liquidità nelle mani, tanto più ora che è acclarata un’inflazione galoppante: se tutti i prezzi salgono (compresi quelli delle azioni) ciò che rimane liquido perde valore. L’inflazione dunque in un primo momento alimenta la salita dei listini azionari.

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L’IMMOBILISMO DELLE BANCHE CENTRALI

Oddio, non aspettiamoci che l’inflazione faccia per il momento altri salti quantici: non appare realistico. Anche perché permangono dubbi sul proseguire della ripresa economica. Ma nemmeno è realistico che l’aumento dei prezzi al consumo si dissolva come una nube passeggera, così come in troppi continuano a ripetere: mentono sapendo di mentire. La storiella del “fenomeno temporaneo” le banche centrali dovevano necessariamente raccontarcela, perché non potevano fare diversamente e perché non sapevano (e non sanno) che pesci pigliare. E a forte ragione. Ci sono molti altri fattori da valutare prima di decidere di rialzare i tassi, fra tutti il rischio di innescare una brutta reazione a catena che porti -come è già successo in passato- alla recessione. Poi c’è il rischio -gigantesco- di far saltare la sostenibilità dei debiti pubblici. Insomma la cautela è d’obbligo.

LE STATISTICHE E I TASSI D’INTERESSE “REALI”

Ma l’inflazione può restare anche soltanto ai livelli attuali per generare effetti dirompenti: i livelli oscillano dal 3% al 6% per i prezzi al consumo (in Europa è per il momento più bassa che negli U.S.A. e in Cina è frutto della “media del pollo” tra prezzi di mercato e prezzi amministrati). Ma per i prezzi all’ingrosso è a livelli doppi (cioè dal 6% al 12%) sebbene con una lieve tendenza al ribasso negli ultimi giorni. Non è dunque un fenomeno da sottovalutare e può comportare pesanti conseguenze, anche sui mercati finanziari.

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Tanto per cominciare queste ultime si mostrano in termini di tassi d’interesse “reali”: al netto dell’inflazione essi sono oggi decisamente negativi. Cosa che spinge al rialzo i titoli azionari, dal momento che la maggior parte delle imprese quotate si trova in posizione rialzista con l’inflazione. Ciò che invece appare depresso è il comparto dei titoli a reddito fisso: con l’erosione dei rendimenti reali esso può soltanto perdere terreno, anche perché prende maggior corpo l’aspettativa dì una risalita dei tassi nominali (i risparmiatori vendono titoli a reddito fisso per comperare azioni). E finché la liquidità in circolazione resta sempre molto alta, è difficile pensare che la tendenza possa invertirsi.

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Quello che prima o poi dovrebbe invece scomparire sono le tensioni relative alle filiere produttive così come la carenza di offerta di beni di consumo durevole (come le automobili e gli elettrodomestici) e dei loro componenti. Sebbene ciò avverrà certamente a fronte dì un riallineamento verso l’alto dei relativi prezzi finali.

TALUNE COMPONENTI DELL’INFLAZIONE PERMARRANNO

Ma altre componenti dell’inflazione risultano assai meno volatili: ad esempio se l’economia continuerà a “tirare” sarà più difficile che scompaia la carenza di manodopera qualificata, con la conseguenza che i salari non potranno che crescere, alimentando indirettamente l’inflazione, o almeno il suo permanere. Così come è piuttosto difficile che scompaiano da un giorno all’altro le tensioni sulla domanda di energia, alimentando altrettante tensioni sul prezzo del petrolio, caratterizzato al momento anche da un’offerta rigida. L’allarme climatico può inoltre contribuire a farne crescere il prezzo, a causa di possibili nuove “carbon tax”. E può a sua volta alimentare tensioni sul costo dei trasporti, dal momento che questo costo dovrà tenere conto della necessità di un accelerato rinnovo dei mezzi, per sostituirli con quelli meno inquinanti.

C’è da tener conto anche della necessità per i governi di proseguire talune politiche fiscali espansive, ad esempio in Europa e negli U.S.A. : non soltanto perché ci sono paesi che sono rimasti indietro (come il nostro) ma anche per l’esigenza di finanziare il rinnovamento e l’adeguamento tecnologico delle infrastrutture e dell’efficienza energetica. Giù quindi altri miliardi dai governi a favore di produttori e consumatori, con l’aiuto delle banche centrali che li finanziano. La pioggia di liquidità che si riversa inevitabilmente anche sui mercati finanziari insomma non è destinata ad esaurirsi così in fretta.

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LA RIPRESA ALIMENTA L’INFLAZIONE

Dunque l’inflazione dei prezzi sembra destinata a permanere, oltre che a dilagare anche nei comparti che ne erano rimasti immuni (come in taluni servizi pubblici e nelle retribuzioni orarie), ma soprattutto essa verrà tenuta viva dai rincari del prezzo dell’energia, la cui domanda supera costantemente l’offerta. Soprattutto se l’economia proseguirà la sua corsa (come si può vedere dal grafico qui sotto, aggiornato al terzo trimestre 2020), il prezzo del petrolio farà fatica a scendere.

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Ma se l’inflazione non è quindi passeggera e se le banche centrali faranno fatica a rialzare i tassi d’interesse nominali, allora i tassi d’interesse reali sono parallelamente destinati a rimanere negativi, anche perché la necessità di aiutare i governi a finanziare i più alti debiti pubblici di sempre spinge le banche centrali a non ridurre -al momento- l’offerta di moneta. Anzi: a lasciare che ne cresca la velocità di circolazione, assicurando in tal modo lunga vita all’inflazione.

ECCO PERCHÉ LE VALUTAZIONI SONO DESTINATE A SALIRE

E quella dei tassi d’interesse reali sottozero è la principale ragione per la quale i corsi delle società quotate crescono in borsa. Se infatti alla radice di tutti i metodi sulla valutazione delle imprese rimane il valore attuale netto dei flussi di cassa futuri che le medesime produrranno, o il loro valore implicito, che prima o poi potrebbe essere monetizzato con una cessione o con un IPO, ecco che il tasso di sconto dì quei flussi prospettici -quando risulta negativo- ne esalta il valore attuale. Soprattutto se si può ragionevolmente ritenere che il tasso di sconto resterà per un po’ di tempo negativo mentre i flussi di cassa aziendali potranno invece anche adeguarsi all’inflazione (e dunque crescere).

Questo meccanismo sembra tra l’altro destinato a far cambiare gli orientamenti in termini dì valutazioni d’azienda: quando le imprese mostrano capacità di crescere e di competere globalmente (o se risulteranno appetibili per altre imprese che vogliono acquisirle) le loro valutazioni sono trainate al rialzo (almeno in termini dì multipli della redditività) dalle logiche che oggi ispirano i mercati finanziari.

Anche se poi le medesime logiche imporranno altresì una più rigorosa selezione tra le imprese più capaci dì investire per rincorrere le nuove tecnologie e quelle che non potranno permetterselo, con una evidente falcidia per queste ultime. Il che però alimenta il flusso di fusioni e acquisizioni, un fattore da sempre positivo per i listini azionari, come si può leggere nel grafico qui sotto riportato dall’andamento del moltiplicatore medio dell’EBITDA (margine operativo lordo) espresso nelle ultime transazioni degli U.S.A.

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PRIVATE EQUITY E OPERATORI INDUSTRIALI SI ADEGUANO

I fondi di investimento di “private equity” sono stati i primi a riconoscere questa tendenza, e a cavalcarla al rialzo di conseguenza. Ma non sono soltanto loro oggi a muoversi con più decisione che mai: tutto il mercato dei capitali ha più mezzi a disposizione e idee più chiare. Dunque anche le valutazioni si adeguano al rialzo.

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Ora c’è dunque da attendersi che anche gli operatori industriali si adegueranno al rialzo delle valutazioni, soprattutto se -insieme ai flussi dì cassa futuri delle imprese che compreranno- essi vorranno portare a casa -uomini e tecnologie che potrebbero non trovare altrimenti. Ecco un altro motivo per il quale le borse potrebbero prenderne atto, chiudendo il cerchio e alzando ancora una volta l’asticella delle valutazioni d’azienda.

Stefano di Tommaso




AUTUNNO CALDISSIMO

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Petrolio a 80 dollari al barile, il massimo da sette anni! E il bello è che non è finita.il prezzo del gas è cresciuto molto di più, spingendo svariati produttori di energia elettrica a spostarsi sul petrolio per limitare i danni: solo questo fatto ha aggiunto circa mezzo milione di barili al giorno alla domanda mondiale di petrolio, tornata dopo il crollo pandemico a crescere negli scorsi mesi più di quanto è tornata a crescere l’attività estrattiva.

 

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IL RUOLO DELL’OPEC+

C’è dunque da attendersi nuove tensioni sui prezzi perché ieri l’OPEC+ (l’organizzazione dei produttori di petrolio che include anche la Federazione Russa) ha sì acconsentito ad accrescere la produzione di greggio, ma moderatamente e gradualmente, fino a raggiungere un incremento di 400mila barili, dunque meno dell’ accresciuta domanda.

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Se a questo ragionamento si aggiunge la considerazione del fatto che le scorte strategiche di petrolio e gas sono quasi dappertutto molto basse e che dunque governi, produttori e distributori stanno soltanto aspettando il momento buono per ricostituirle, ecco che non si intravede la fine del tunnel che sta portando verso la soglia psicologica dei 100 dollari al barile il prezzo del petrolio.

MA IL GAS È CRESCIUTO DI PIÙ

D’altronde se volessimo fare un paragone, il prezzo del metro cubo di gas naturale è cresciuto fino ad un livello equivalente a circa 180-190 dollari al barile di petrolio (cioè di circa il doppio della crescita del prezzo del petrolio sul mercato), seminando il panico persino tra gli intermediari, molti dei quali potrebbero rischiare il tracollo finanziario perché, di fronte a una tale impennata, avevano nei giorni scorsi scommesso su un ribasso.


La stessa America, che produce più materia prima energetica di quanta ne possa consumare (e dunque la esporta) è preoccupata per le conseguenze dolorose che ciò potrebbe scatenare sull’economia reale (l’incremento quasi scontato della velocità di circolazione della moneta), che rischia di trovarsi di fronte all’ennesima fiammata inflazionistica dopo che le autorità monetarie e politiche si erano sperticate sulla “temporaneità” del rialzo dei prezzi.

E ARRIVA LA SVALUTAZIONE MONETARIA

In un precedente articolo avevamo fatto notare che era andata più o meno nello stesso modo all’inizio degli anni ‘70, quando però il mondo non affogava nei debiti e in una marea di derivati finanziari come oggidì, con i quali stavolta si può “scherzare” molto meno di allora nel lasciare che i tassi di interesse rincorrano la svalutazione monetaria.

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Non a caso il Dollaro è risalito bruscamente la scorsa settimana e rischia di proseguire la tendenza al rialzo. Questo rischia di indurre ulteriore tensione sul prezzo delle materie prime, paradossalmente più preoccupando che facendo gioire i paesi emergenti, i debiti finanziari dei quali rischiano di rivalutarsi più dell’incremento dei ricavi da export.

I media ne parlano assai poco ma i governi di tutto il mondo sono in allarme, e stanno correndo ai ripari in ordine sparso, senza un opportuno coordinamento. Soprattutto dopo aver strombazzato ai quattro venti la necessità di ridurre le emissioni nocive, sostituendo le fonti energetiche di origine fossile con quelle da fonti rinnovabili.

BORSE GIÙ-PREZZI SÙ E, TUTTAVIA…

Concludiamo con due grandi -ma non scontate- ovvietà: 1) l’economia globale rischia ulteriori rallentamenti che sono l’esatto opposto di ciò che poteva sperare sino a pochissimi mesi fa, e 2) le borse (come anche le quotazioni dei titoli a reddito fisso) non potranno che accusare il colpo, quantomeno a livello psicologico.

Dunque ciò che è destinata ad amplificarsi è principalmente la volatilità, sebbene non necessariamente possa essere a rischio il livello finale dei listini (quello di fine anno, utile per calcolare la performance di chi amministra patrimoni), dal momento che c’è pur sempre in circolazione molta liquidità ancora a caccia di occasioni.

LA PROBABILE RINCORSA DEI SALARI

Un’ultima considerazione riguarda l’economia de’noantri: l’Italia ha sino ad oggi sperimentato una forte deflazione salariale, che ha compresso i consumi e trattenuto la risalita dei prezzi al consumo. Il paragone con gli altri paesi industrializzati lo si può leggere da questo grafico ed è impietoso: nel periodo dì riferimento il nostro potere d’acquisto si è praticamente dimezzato rispetto agli Stati Uniti d’America.

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Ma l’arrivo probabile dell’inflazione a due cifre porrà più dì un problema dì rivalutazione dei salari e della conseguente tenuta dei conti pubblici, dal momento che una parte importante (più dì un terzo) dì tutti gli assunti sono dipendenti della pubblica amministrazione!

Stefano di Tommaso




DRAGHI E TRUMP POTREBBERO DELUDERE I MERCATI

Stavolta le borse sembrano più prudenti del solito, in attesa del Consiglio della Banca Centrale Europea di Giovedì, perché le quotazioni incorporano sì l’aspettativa di un giudizio più severo sulla salute dell’economia nell’Euro-Zona ma anche quella (non ovvia ma ugualmente attesa con ansia) che la BCE possa lanciare di conseguenza nuovi stimoli monetari, quantomeno per scongiurare un nuovo “Credit Crunch” nelle zone più svantaggiate. Se gli stimoli saranno annunciati, allora ne beneficeranno innanzitutto le banche e le quotazioni delle borse valori. Quel che non è così scontato però è che le due notizie (la rilevazione dell’andamento macroeconomico e il pacchetto di stimoli monetari) giungeranno nello stesso momento.

 

La BCE potrebbe infatti riservarsi di calibrarne meglio il lancio e rimandarlo ad Aprile. Ma se questo avvenisse non sarebbe un bel segnale per i mercati nè per lo spread tra i Bund e i BTP. Le pressioni dei mercati sul governo italiano e sulla sostenibilità del debito pubblico nazionale potrebbero accrescersi, generando di conseguenza nuovi timori e nuove fughe di capitali dal nostro Paese e, a volerci ricamare sopra, forse queste ultime avidamente agognate dai registi occulti dello spettacolo in scena.

E’ un po’ quel che è accaduto per la sorte del dialogo Cina-America tanto agognata dalle borse internazionali: ci si aspettava che Trump segnasse già nei giorni scorsi due goal spettacolari, tanto al tavolo da gioco dei rapporti commerciali quanto sullo scacchiere ancora più complesso dei negoziati strategici con la Corea del Nord (considerata ancora un vero e proprio satellite della politica estera cinese, che mira a porre una propria zampata significativa sulla futura Corea riunita): il successo probabilmente ci sarà, ma nessuno ne ha davvero fretta, e nel frattempo le borse non brindano. Ora si parla di un consenso generale per la firma dell’accordo commerciale con la Cina al 27 di Marzo, sebbene nemmeno quella data sia certa.

Sullo sfondo poi le preoccupazioni sull’andamento dell’economia nel suo complesso aumentano e molti si chiedono se la crescita economica che ci si attendeva si verificherà davvero, inducendo perciò l’esposizione degli investitori al rischio dei mercati verso atteggiamenti di maggior prudenza ma soprattutto generando un ovvio “volo verso la qualità” dei capitali che, nel dubbio, preferiscono spostarsi sulle piazze finanziarie più liquide e sicure, riducendo la loro presenza dunque nell’Europa periferica (dove siamo noi Italiani), nonché in Cina e in molti altri Paesi Emergenti. Questa tendenza può suggerire a Donald Trump di generare altra pressione sull‘interlocutore cinese attraverso la fibrillazione dei mercati finanziari, anche al fine di indurlo a più miti consigli.

Ma a ben vedere lo stesso concetto può valere anche per i Paesi partner dell’Unione che oggi più influenzano la Commissione Europea (leggi Francia e Germania), non esattamente allineati con l’idea di veder proseguire con successo la manovra del governo giallo-verde in Italia, e dunque meno inchine a vedere la BCE agire troppo prontamente per tutelare i titoli scambiati sulle piazze finanziarie periferiche come la nostra.

Non ci sarebbe da stupirsi dunque che l’attesa di nuovi spunti dei mercati finanziari si trasformi in un lento logorìo, o addirittura in un vero e proprio allarme, pur non potendo imputarne la colpa a Mario Draghi, che resta condizionato alle decisioni collegiali del Consiglio e rimane in uscita a breve termine.

Non è ovviamente questo l’unico scenario possibile: il super governatore potrebbe ugualmente tentare un colpo di scena dai risvolti patriottici o anche soltanto un commento più generoso, e in fondo gli osservatori un po’ ci sperano.

Così come a Wall Street l’attesa della fine delle guerre commerciali tra poco più di un paio di settimane tiene ancora gl’indici sui massimi. Le borse possono contare ancora su un’ottima liquidità e sull’ennesima aspettativa di buoni profitti industriali che saranno pagati a breve dalle imprese quotate, dunque la benzina non manca loro e non hanno troppi problemi anche a divergere vistosamente dall’andamento delle principali variabili macroeconomiche, tutte o quasi oramai orientate all’opposto degli indici di borsa e delle quotazioni dei titoli a reddito fisso.

È per tutti questi motivi che nulla è scontato, e che in queste ore la cautela regna sovrana. Ma in fondo l’attesa è breve. Tra Giovedì e Venerdì qualche carta verrà scoperta.

Stefano di Tommaso