CRESCITA ECONOMICA : TUTTO DIPENDERÀ DAGLI INVESTIMENTI

Il 2019 ha quasi compiuto un mese di vita e si è presentato fino ad oggi ai mercati finanziari come un anno le cui prospettive di crescita economica globale sono difficili da interpretare ma sicuramente è stato foriero di cospicui rialzi di borsa nonché di una decisa stabilizzazione dei rendimenti (che si sono addirittura ridotti).
Persino la volatilità si è data una regolata, dopo un Dicembre da brivido. Ciò è accaduto piuttosto inaspettatamente a partire dal periodo di Natale, dopo mesi preoccupanti di borse in ribasso e di grandi tensioni geo-politiche, e nonostante che molti risparmiatori hanno liquidato le loro posizioni nei fondi di investimento.
A influenzare positivamente i mercati è intervenuto anche il cambio di atteggiamento delle banche centrali, che fino all’anno passato sembravano avviate in direzione “ostinata e contraria” a continuare con il raffreddamento monetario e la risalita dei tassi.

 

UN AUTUNNO DIFFICILE

Quello appena trascorso è stato un autunno-inverno denso di tensioni e guerre psicologiche, commerciali e politiche: è difficile definire diversamente non soltanto quella (ancora) in atto tra l’America e la Cina, ma anche quella che abbiamo vissuto nello stesso periodo tra il nuovo Governo Italiano e la vecchia classe dirigente dell’Unione Europea. Magicamente invece, nell’anno appena iniziato non solo l’inflazione ha mostrato di essere un fantasma e il petrolio è risultato in ribasso, ma persino le prospettive dell’economia reale sembrano decisamente meno peggiori di quel che si poteva ritenere.

IL MIGLIOR GENNAIO DAL 1987

Dunque ciò che è accaduto nella prima parte del 2019 è che per le borse è stato il miglior mese di Gennaio dal 1987). Nel grafico a destra l’indice MSCI WORLD (che rappresenta l’andamento medio delle borse di tutto il mondo nell’ultimo mese):

Quel che stupisce di più è che è possibile che il trend al rialzo delle borse addirittura prosegua anche nei prossimi mesi, nonostante il pessimismo che si è respirato a Davos, diffuso tra i grandi leader del mondo radunati per il World Economic Forum, nonostante i forti venti della mini-recessione europea d’autunno abbiano fatto temere i più per il peggio (i soliti Tedeschi avevano già aperto l’ombrello prima della pioggia con l’indice IFO ai minimi storici) e nonostante che quei timori abbiano immediatamente amplificato altri timori: quelli riguardanti la conseguente possibile fragilità dei debiti pubblici di molti Paesi sovraindebitati, come il nostro.

I CONSUMI RISTAGNANO

Ammettiamolo. Sicuramente alla fine del 2018 (e altrettanto sicuramente all’inizio del 2019) l’economia mondiale ha subìto una forte frenata, complici molte concause sbandierate dal “mainstream” (cioè i giornali, le televisioni e gli opinionisti prevalenti): dai populismi alla Hard Brexit, dal Blocco della spesa degli uffici del Governo Americano alla protesta dei Gilet Gialli, eccetera eccetera… Ma probabilmente la causa principale della frenata dello sviluppo economico globale poco ha a vedere con tutto ciò: dopo l’avvento di un ciclo economico positivo (che è risultato estremamente longevo nei Paesi Anglosassoni, sin troppo roboante in quelli Asiatici e molto più recente ma al tempo stesso estremamente fragile in quelli Latini), i consumi di beni e servizi in tutto il mondo hanno mostrato un’intrinseca tendenza alla flessione, com’è d’altronde normale dopo un lungo periodo di bonanza.

GLI INVESTITORI SONO DUBBIOSI

Al tempo stesso anche gli investimenti hanno segnato il passo: “Si investe per produrre, si produce per vendere. Se non sono in grado di sapere che ci sarà qualcuno pronto a comprare, io smetto di investire” ha detto al World Economic Forum Angel Gurrìa, Segretario Generale dell’OCSE. Ma questo non significa necessariamente che il mondo sia inevitabilmente avviato verso la recessione, almeno non sùbito.

Le abitudini della gente stanno cambiando radicalmente e così anche i panieri di spesa, quelli su cui si basano le attese statistiche di inflazione. Crescono ugualmente infatti quella sanitaria, quella per gli adeguamenti tecnologici, quelle per la formazione e l’istruzione. Cresce persino la spesa per alimenti più sani e di migliore qualità. Decresce la spesa per accessori e gadgets, per l’arredo e l’abbigliamento, e scendono gli acquisti per autoveicoli, elettrodomestici e altri beni di uso durevole. Cioè gli oggetti che erano più “glamour” in passato ma che interessano meno ai “millennials” (le nuove generazioni divenute adulte). Di conseguenza anche gli investitori si orientano diversamente nel selezionare i settori industriali più interessanti.

LE STATISTICHE INGANNANO

Ma il punto è che molti servizi oggi non sono più oggetto di spesa monetaria a causa dell’avvento della “digital sharing economy” ma essi creano ugualmente benessere per chi li ottiene e ricchezza per chi li produce. Arrivano inoltre sul mercato i primi prodotti e servizi basati sull‘intelligenza artificiale (si pensi ad “Amazon Alexa”, o ai sistemi esperti di assistenza alla guida dei veicoli, al fintech e all’insurtech, eccetera…) e c’è chi è pronto a scommettere che l’invasione di questi ultimi determinerà una vera e propria rivoluzione, tanto economica quanto sociologica, immettendo presto nuova benzina nel motore della crescita economica globale.

C’E TROPPO PESSIMISMO

Proprio a Davos, dove è noto che le previsioni ivi formulate al termine di ciascun Forum dell’ultimo decennio sono quasi sempre risultate sbagliate, al Segretario dell’OCSE ha fatto eco il Presidente Cinese Xi: “c’è troppo pessimismo”! Dello stesso avviso il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “il prodotto interno lordo italiano crescerà come previsto” ovviamente se gli investimenti avranno luogo, ha aggiunto.

E probabilmente la chiave è tutta qui: nel trovare il modo di mantenere alta la fiducia e nel continuare in ciò che quest’anno sarà probabilmente più facile fare che non l’anno prossimo (quando magari un possibile d’inflazione potrebbe anche arrivare a manifestarsi, rialzando i tassi di interesse): incentivare gli investimenti tecnologici e supportare quelli infrastrutturali. La Cina sta tenendo fede a quanto pianificato in precedenza, ovvero sta mantenendo in corsa gli investimenti pubblici e sta cercando di stimolare quelli privati, immettendo altra liquidità nel sistema, esattamente quello che l’Europa sembra oggi non voler fare.

L’IMPORTANZA DELLE ELEZIONI EUROPEE

Ed è forse anche per questo motivo che le elezioni europee che si terranno a primavera potrebbero risultare determinanti affinché il vecchio continente non cada in una crisi di sfiducia (con tutto quello che ne consegue a livello economico): per riuscire a mantenere la rotta sul fronte della crescita economica, la quale tra l’altro resta l’unico vero antidoto al rischio di default del debito pubblico italiano bisogna cambiare le teste che lo guidano. È infatti oramai chiaro a tutti che quella dell’austerità, promossa sin dai tempi della grande crisi dalla vecchia classe dirigente europea, è la ricetta sbagliata (nel migliore dei casi) o addirittura uno strumento di sottomissione (nel peggiore).

I MERCATI FINANZIARI NON SI AGITANO

Nel frattempo i mercati finanziari non scontano oggi alcuna recessione nè l’ombra di alcuna fiammata inflazionistica, anzi restano piuttosto tranquilli, esattamente come era successo durante il fuoco di paglia delle tensioni internazionali nate a valle degli screzi “balistici” tra Giappone e Corea del Nord, esattamente come quando il Medio Oriente sembrava una polveriera pronta ad esplodere ed esattamente come è successo subito dopo il voto sulla Brexit. Chi la sa lunga cerca sicuramente di mettere ancora un po’ di fieno in cascina per tempi peggiori che potrebbero sempre arrivare, ma sa anche che magari non arriveranno sùbito, non così rovinosamente, e non senza che si prepari nel sottofondo una nuova stagione della crescita dei profitti legata all’avanzata delle nuove tecnologie.

Molto ovviamente dipenderà dal comportamento degli investitori ma ancor più da parte dei governi e delle banche centrali, le quali come dice il nome risultano (e risulteranno anche in futuro, almeno per un po’) sempre più “centrali” nelle decisioni di investimento e nel determinarne il loro costo. Una responsabilità importante ma che esse hanno mostrato sino a questo momento di voler prendere molto sul serio!

Dunque se una recessione globale prima o poi arriverà, questa volta forse non dipenderà dal sistema bancario e finanziario. E se ciò risultasse una previsione corretta anche la portata del suo impatto sarà minore. Potrebbe essere questo il motivo per cui le borse non sembrano al momento avviate ad alcun inesorabile declino…

 

Stefano di Tommaso




CONSOLIDAMENTO

Nel corso della settimana che si concluderà oggi il principale indice della borsa americana, lo SP500, è cresciuto di quasi il 4%. Una performance di tutto rispetto che non si vedeva dallo scorso Settembre, principalmente basato sulle buone notizie provenienti dai due fronti caldi per gli investitori anglosassoni: la politica dei tassi di interesse e l’andamento delle negoziazioni commerciali con il grande rivale d’America: la Cina. La settimana è peraltro stata positiva in generale per borse e cambi valute di tutto il mondo per lo stesso motivo.

 

A destra sono riportati i principali indici della borsa americana, mentre la borsa italiana ha anch’essa visto un primo scorcio di settimana al rialzo, ma soltanto dell’1%, come si può leggere dall’andamento dell’indice sotto riportato:

 

 

 

IL 2018, ANNO DEL “PARADOSSO”

Un’importante banca svizzera (Pictet) ha scritto che il 2018 può venire definito dalla parola “paradosso”: dal momento che a un‘ incredibile ascesa dei profitti industriali in tutto il mondo e alla riduzione della tassazione degli stessi che si è materializzata nel corso dell’anno si sono accompagnati frequenti rovesci sui mercati finanziari, i cui indici hanno chiuso l’anno quasi tutti in territorio negativo.

Le azioni americane hanno chiuso l’anno 2018 a -4,4%, quelle europee a meno 10,3%, quelle giapponesi a -10,4% e quelle cinesi addirittura a -22,7%.

Le ragioni di quei rovesci vanno innanzitutto cercate nell’accresciuta volatilità dei mercati, ma anche quest’ultima più che una causa può costituire un sintomo: i rialzi dei tassi di interesse, le tensioni geopolitiche internazionali e la prosecuzione apparentemente irrinunciabile della crescita del debito globale hanno fatto la loro parte nello spaventare gli investitori e i risparmiatori, provocando loro un’accentuata disaffezione per i mercati finanziari e, soprattutto, un‘ appiattimento delle aspettative per il 2019.

SCENARIO PIATTO

Nel corso dell’anno 2019 è infatti opinione comune che la crescita dei profitti aziendali non proseguirà con la medesima intensità, l’economia globale rallenterà la sua crescita e i consumi delle famiglie stagneranno, mentre la zampa delle banche centrali si ritiene che vorrà monitorare molto da vicino l’andamento dei mercati, non tanto per evitare che tornino a crescere in modo vigoroso quanto per il pericolo che a tali rimbalzo possano seguire momenti rovinosi.

Questa specie di “tunnel” imposto dalle banche centrali ai mercati finanziari tanto verso l’alto quanto verso il basso, ovviamente non eccita gli entusiasmi di nessuno, ma d’altra parte ha contribuito a rasserenare gli animi.

LA ROTAZIONE DEI PORTAFOGLI (DA PRO-CICLICI A ANTI-CICLICI)

Dopo una fine d’anno che potremmo definire quasi “rovinosa”, esso ha stimolato una seria riflessione: forse dopo i capitomboli delle scorse settimane i mercati sono finalmente approdati a rive più tranquille, ed è forse tornato il tempo di fare delle scelte, tanto in funzione di un’importante rotazione dei portafogli(in buona parte già avvenuta nello scorso Dicembre: si veda nel grafico qui sotto quali settori ne hanno beneficiato) e in parte per correggere qualche eccesso di ribasso che non si giustifica se non con l‘irrazionalità…

In altre parole sembrerebbe essere tornati in uno scenario da “bambola dai riccioli d’oro” (Goldilocks): non troppo buono e nemmeno troppo pericoloso, che non può che favorire una generale ripresa di fiato degli operatori finanziari.

 

 

QUANTO DURERÀ LA TREGUA ?

Una domanda allora si impone su tutte: quanto durerà la “tregua” ? Ovviamente non lo sa nessuno, ma i mercati si muovono sulla base delle notizie e degli eventi e, in previsione, sono relativamente pochi i sommovimenti che è ragionevole prevedere per l’anno in corso: la geopolitica non fa più paura (lo abbiamo già visto nel mio precedente articolo : “Sussurri e Grida”), anzi potrebbe essere foriera di buone notizie.

I prezzi del petrolio e delle altre materie prime è ragionevole supporre che resteranno infatti relativamente calmi, il ciclo economico positivo sarà pure in esaurimento, ma quantomeno molto lentamente, gli investitori si sono già tutti riposizionati su assetti molto più prudenziali e, apparentemente, il ciclo del credito è già fortemente in regressione, ragione per cui nessuno prevede alcuna esplosione incontrollata dei debiti e, di conseguenza, alcuna crisi di fiducia dei mercati, l’occupazione è ancora in lieve crescita e così non è probabile un crollo dei consumi.

Uno scenario da puro consolidamento insomma, nel quale i gelidi venti freddi della disillusione riducono la volatilità dei mercati e potrebbero aiutare a vederli ricomporre i pezzi, in attesa delle prossime vicende.

 

Stefano di Tommaso




COSA SUCCEDE AI MERCATI FINANZIARI?

È sotto gli occhi di tutti lo scivolone di Natale delle borse! La scivolata a Wall Street fino a ieri (lunedì 24 Dicembre) ammonta a oltre il 25% dai massimi di Settembre. Ma addirittura stamane (25 Dicembre) la borsa di Tokio è scesa di un ulteriore del 5% (mentre le borse occidentali sono chiuse).

 

 

Poi c’è chi fa notare che il prezzo del petrolio in fondo è precipitato di quasi l’80% e dunque probabilmente la misura del ritracciamento che dobbiamo attenderci per l’indice della borsa americana è ancora più ampia di quel 25%.

La borsa italiana in confronto appare un’isola felice, con un calo di “solo” il 18% ma in realtà è scesa di oltre il 33% dai massimi dell’anno, lo scorso 7 maggio.

Ma quali sono le cause di quest’ondata di vendite sui mercati finanziari?

La prima e più banale risposta è quella che mostra le vendite indiscriminate come diretta conseguenza della rotazione dei portafogli degli investitori (da titoli azionari pro-crescita a titoli difensivi e in buona parte titoli a reddito fisso), ma c’è da tenere conto dell’andata di richieste di riscatto da fondi e gestioni che gli investitori professionali hanno dovuto fronteggiare andando a liquidare alla bell’in meglio i loro giardinetti.

Dunque c’è un aspetto congiunturale, dettato dalla politica di rialzo dei tassi della banca centrale americana (e dall’aspettativa di utili in decrescita), ma c’è anche e forse soprattutto un aspetto psicologico, dettato dalla sfiducia di investitori e risparmiatori nei confronti dei mercati finanziari, che li ha portati a disinvestire dalle borse per comperare titoli a reddito fisso, ma anche per lasciare della liquidità, che rischia di divenire più preziosa in futuro dato il programma di progressivo riassorbimento della stessa da parte delle banche centrali.

 


Ovviamente questo fa decisamente salire le quotazioni dei titoli a reddito fisso e fa ridiscendere i loro rendimenti, in totale controtendenza rispetto alla salita dei tassi a breve. Il fenomeno è notevole persino in Italia, dove due mesi fa il Buono del Tesoro decennale aveva toccato il tasso del 3,80% e che oggi offre un misero 2,74%, cioè un’intero punto percentuale in meno ovvero ancora con una riduzione di un terzo del rendimento totale. Esattamente quanto rende oggi il Treasury bond americano a 10 anni.

Il fenomeno della discesa dei tassi a lungo termine e contemporanea risalita di quelli a breve è stato molto vistoso in America e ha contribuito a gettare disagio sui mercati perché da decenni è sintomo di un’inversione di tendenza dell’economia.

Ma se fosse soltanto un tema di rialzi “sbagliati” dei tassi a breve da parte della Federal Reserve (sui quali è difficile obiettare agli strali del presidente Trump) e di conseguente scoramento dei risparmiatori, potremmo pensare che il fenomeno sia quasi del tutto passeggero. E invece no: nessuno lo ritiene tale e comunque tutto ciò non spiegherebbe il perché del crollo di petrolio e materie prime.

La ragione principale sta probabilmente nella frenata della crescita economica globale, particolarmente accentuata sui mercati asiatici, dove l’indice Nikkei della borsa di Tokio ha perso il 28% ad oggi rispetto ai massimi di fine settembre, e dove la borsa di Shanghai è arrivata addirittura a perdere il 46% da inizio anno.

Dunque alle porte del 2019 nessuno si aspetta grandi guadagni dai listini di borsa e questo è il motivo per il quale ci sono quasi solo venditori sui mercati. Qualcuno afferma che l’inflazione alla fine salirà, azzerando perciò i rendimenti reali delle obbligazioni, ma la verità è che il mercato finanziario non sconta nelle loro quotazioni alcuna nuova fiammata inflazionistica, anzi: inizia a serpeggiare il sospetto che la recessione (almeno negli U.S.A.) arriverà prima del 2020, aiutata dall’andamento negativo delle borse che riduce la ricchezza dei risparmiatori e penalizza i consumi, responsabili nel 2018 di circa il 70% della crescita economica americana.

L’Asia sta forse peggio, dell’America e le sue borse lo testimoniano, ma in tutti i Paesi Emergenti la crescita economica prosegue quantomeno a causa della demografia. I capitali però fuggono verso porti più sicuri e dunque lo stop alla crescita è possibile che arrivi anche da loro per motivi finanziari. Cosa può interrompere dunque il “loop” negativo? Probabilmente proprio il fatto che nella discesa generale dei listini inizia a intravvedersi molto valore a basso prezzo e dunque non troppo tardi mani esperte torneranno a comperare, seguite poi dal “parco buoi”. Questo non vale soltanto per gli Emergenti ma è dove le divise nazionali hanno perso maggior terreno contro Dollaro che potranno trovarsi le migliori occasioni d’investimento.

La vera domanda è: quando? Difficile rispondere senza correre il rischio di tirare a indovinare. Meglio lavorare sulla ricerca del valore nella selezione di aziende interessanti, con buone prospettive e basso indebitamento, invece che a livello aggregato, il cui l’andamento dipende anche da numerosi altri fattori…

Stefano di Tommaso




SUSSURRI E GRIDA

LA GEOPOLITICA NON FA PIÙ PAURA

 

Il 2018 è stato un anno difficile, denso di timori e tensioni internazionali, nessuno dei quali si è tuttavia trasformato in tragedia. Primo fra tutti lo scontro frontale tra i due colossi economici globali: America e Cina. Forse l’accordo si farà, più probabilmente si farà ma solo su determinate questioni scottanti, quelle che fanno del male a entrambe, ma la competizione tra i due sistemi ideologici e industriali più contrapposti della storia è più difficile che si attenui, continuando a seminare tensione tra i rispettivi partners industriali e commerciali.

 

IL CASO ITALIANO

Non troppo diversa è la storia del nostro Paese, da decenni sulla china di un possibile fallimento dello Stato. Dopo molti mesi (estivi) di timori e fughe in avanti, generate e conseguenza al tempo stesso delle impennate dello spread tra i tassi di rendimento nostrano e quelli della Germania, è oramai chiaro che non conviene a nessuno lasciar fallire l’Italia, ma al tempo stesso il debito pubblico nazionale continua (e continuerà a lungo) a generare tensioni e maggiori costi, innanzitutto a noi Italiani. Nè si può sperare che i problemi con i ”partners” europei possano venire d’un tratto cancellati.

LA BREXIT

Storia simile era stata quella della Brexit: il popolo del Regno Unito ha votato “contro” le forze prevalenti che lo volevano assoggettato ad un’Europa germanocentrica e questo è sembrato aprire le porte dell’inferno per l’economia britannica… che invece ha retto benissimo l’impatto e, nonostante le tensioni continuino ancora oggi, dopo più di due anni, alla fine il dialogo con l’Unione Europea va faticosamente avanti, nel segno della moderazione così come di una malcelata diffidenza reciproca. Le tensioni insomma restano, ma è oramai chiaro che nessuna vera frattura arriverà.


LA FRANCIA

Se i tre esempi riportati possono aiutare a costruire un paradigma, allora facile profezia resta quella sulla possibile sorte della rivolta dei “Gilets Jaunes”, i quali in questi giorni stanno facendo pensare a un nuovo 1789 ma che, con ogni probabilità, stempereranno invece gradualmente le loro proteste di piazza, in parte perché alcune delle loro richieste sono in accoglimento ma anche perché sanno anche loro che non potranno andare avanti in eterno.

Macron dal canto suo è improbabile che cadrà domani mattina dallo scranno della Presidenza, ma è altrettanto vero che dal confronto con la piazza egli esce con le ossa rotte e poca voglia di proseguire sulla strada globalista a oltranza precedentemente percorsa. Anche in Francia dunque le tensioni sociali proseguiranno probabilmente nei prossimi mesi pur senza sfociare nella rivolta, così come i conti pubblici continueranno a deteriorarsi e tutto questo avrà effetti economici negativi anche nel resto d’Europa.

LA PREDOMINANZA DELL’AMERICA

In fondo nel corso del 2018 è andata così come descritto per Italia, Gran Bretagna e Francia, anche in Siria, in Turchia e in Argentina: nessuna delle forti tensioni scoppiate in questi paesi ha provocato una vera e propria escalation, tale da bloccare la crescita economica globale, sebbene il combinato disposto di ciascuna di esse abbia contribuito non poco a ridurre i risultati potenziali della grande stagione di progresso che avrebbe potuto esserci quest’anno e che non c’è stata.

Ciò nonostante il mondo mostra tutte le intenzioni di voler andare avanti imperterrito, stemperando le tensioni in un’economia globale che nonostante tutto mantiene il segno positivo, in un mercato finanziario globale che nonostante tutto affoga ancora nella liquidità e in un sistema di potere geopolitico globale che vede ancora una volta gli U.S.A. sempre più decisamente al suo vertice.

“SUSSURRI E GRIDA”

La situazione descritta è perciò paragonabile a quella algida e plastica litania di situazioni glaciali mirabilmente descritte dal regista Ingmar Bergman nel suo famosissimo film “Sussurri e Grida” del 1972.

Il motivo dominante della cupa atmosfera che si respira in quelle scene è il peso che un elegante e colpevole passato impone alla vita di ognuno dei suoi protagonisti, che torna a premere sul presente non solo come substrato psichico ma anche con una immanente tensione generatrice di buone e cattive notizie al tempo stesso.

Non succede nulla di plateale eppure tutto si trasforma al fuoco delle tensioni che si agitano nel sottofondo, sino alla scomparsa della protagonista, che rende protagonista il personaggio più umile della narrazione: la domestica. Eppure tra un dramma e l’altro, il regista riesce a inserire un’inestimabile morale di vita: accetta il dolore e sorridi alla felicità. Un messaggio che viene accolto prima e più decisamente da chi appartiene alle classi sociali più basse.

Così forse un fenomeno simile sta avvenendo nel mondo contemporaneo: il ricambio tra vecchie glorie e nuovi slanci avviene nel sottofondo delle conseguenze di atti precedenti, macerandosi e mimetizzandosi tra una tensione e l’altra, e facendo sì tuttavia che il panorama complessivo risulti alla fine decisamente mutato.

NESSUN ENTUSIASMO SUI MERCATI

Essa costituisce di sicuro una buona notizia per l’uomo della strada, colui che farebbe le maggiori spese di situazioni opposte a quella presente (nessuna guerra scoppia davvero, nessuna recessione getta tutti sul lastrico), ma è una situazione che non genera alcun entusiasmo per i mercati finanziari, ebbri delle sbornie da rendimento sin qui godute e privi di alcuna prospettiva di poterle propagare nell’immediato futuro, anzi! Spesso le guerre sono state un buon affare per molti settori industriali e altrettanto spesso i momenti di tensione hanno generato stop importanti al progresso economico. Nessuno oggi si aspetta perciò grandi guadagni in borsa e ritorna di prepotenza l’attenzione ai titoli a reddito fisso, gli unici in grado di far dormire sonni tranquilli a chi deve cercare di fare tesoro delle performances precedenti.

Questo non significa che i mercati finanziari si addormenteranno in un sapido torpore, ma anzi che periodicamente le tensioni sperimentate nel corso del 2018 potranno esacerbarsi nel corso del 2019, seppure con ogni probabilità ciò avverrà senza mai giungere all’apoteosi della crisi economica vera e propria, casomai di una impalpabilmente moderata recessione, assai attesa dopo un intero decennio di crescita. La prospettiva non allude a buone notizie per le borse e nemmeno a grandi fiammate di inflazione che potrebbero rilanciare i rendimenti obbligazionari, ma non possiamo attenderci neppure tonfi clamorosi dei listini, l’unica vera grande iattura che i risparmiatori di tutto il pianeta si augurano di scansare.

L’INEVITABILE ROTAZIONE DEI PORTAFOGLI E UN “DILEMMA”

 

È così altrettanto probabile che i multipli stratosferici dei titoli tecnologici si ridimensioneranno, ma anche che sia arrivato il momento di far ruotare i portafogli verso titoli anticiclici e che serbano le migliori prospettive di sviluppo. La grande incognita è però se essi coincideranno con gli stessi settori industriali che in passato potevamo definire “anticiclici” oppure se, con l’affermazione della digitalizzazione, del commercio elettronico e dell’intelligenza artificiale, il panorama del business cambierà così radicalmente da spedire per sempre nel libro dei ricordi le strategie di investimento che erano valide in questi momenti nel recente passato e costringere i sempre più cauti investitori verso terreni inesplorati (cosa assai probabile).

Anche per questo motivo il periodo di grande spolvero del reddito fisso sembra destinato a durare più dello spazio di un mattino…

Stefano di Tommaso