MERCATI SEMPRE MENO PREVEDIBILI

Di motivi per preoccuparsi ce ne sono molti: dalle cosiddette guerre commerciali di Donald Trump ai tassi di interesse che la FED banca centrale americana) vuol far risalire vendendo i titoli acquistati in passato, dalle supervalutazioni dei principali titoli tecnologici all’eccesso di programmi di buy-back (riacquisto azioni proprie) che stanno sostenendo i listini, dai timori per la continua espansione dei debiti di Paesi come il nostro all’eccesso di rialzo delle quotazioni di Dollaro e Petrolio…

L’elenco delle preoccupazioni che dovrebbero aggredire i gestori di portafogli potrebbe continuare a lungo, tenendo presente che tutto ciò sta letteralmente mettendo in ginocchio le economie dei Paesi Emergenti e i loro mercati finanziari. Ma, ciò nonostante, tutto sommato le principali borse dei Paesi OCSE fino ad oggi hanno retto bene, pur mostrando segni sempre più evidenti di convulsioni (volatilità in ascesa) e di incertezza.

ALLA LARGA DAI FINTI “GURU”

I sacri libri di testo affermano che è normale tutto ciò camminando per il viale del tramonto di uno dei più lunghi periodi di rialzo delle borse, e che di conseguenza è tempo di fare i preparativi per l’inverno dei mercati, facendo ruotare i portafogli verso titoli di aziende che producono più cassa, le cui quotazioni sono meno speculative e i cui valori intrinseci sono maggiori. Ma se volessimo dare retta queste indicazioni è probabile che ancora una volta rischieremmo di sbagliare, poiché sono almeno due anni che le borse sono alle stelle e i finti “guru” vanno ripetendo invano che crolleranno.

ANCORA UNA VOLTA CORRERANNO I TITOLI TECNOLOGICI?

La speculazione, che sembra essere il principale attore dei mercati in tutto il 2018, continua a privilegiare i cosiddetti titoli “growth” (alla lettera: “crescita”) che quindi sono costantemente sulle montagne russe ma non sono certo precipitati in basso. Ma anche perché viviamo in un momento di forte crescita economica che supera costantemente le previsioni dei vari Istituti di ricerca (a partire da quello del Fondo Monetario Internazionale) e conseguentemente i profitti aziendali non sono mai stati così grassi e perché l’inflazione stenta a decollare nonostante la decrescita costante della disoccupazione e, soprattutto, nonostante il forte incremento della bolletta energetica (che ne compone una buona parte).

ATTENTI AI TASSI

Chi non si sente pronto a forti emozioni e di esporsi al rischio di forti perdite in conto capitale dovrebbe -continuano i sacri testi- rivolgersi al mercato obbligazionario, puntando su ritorni molto più limitati ma più sicuri. Peccato che, con i tassi in salita, con la curva dei rendimenti che esprime i medesimi ritorni tanto per il brevissimo quanto per il lunghissimo termine e con i rendimenti reali apparentemente negativi che i mercati esprimono, nemmeno i titoli del reddito fisso sembrano promettere bene.

Dunque non è per niente facile orientarsi eppure, con un equilibrio sempre più precario, chi investe qualche scelta la deve fare, perché ancora una volta non è così sicuro che tenere denaro liquido sui conti correnti bancari sia una buona idea.

IL POSSIBILE “RALLY” ESTIVO

Anzi: secondo numerosi autorevoli commentatori e “strategist” delle principali case di investimento (coloro che indicano la linea da seguire agli operatori di portafoglio), c’è ancora spazio per i i principali mercati finanziari per riprendere a correre durante l’estate, sebbene tale corsa si sviluppi sempre più sul filo del rasoio.

Questo perché di denaro in circolazione ce n’è ancora parecchio e alcune banche centrali come quelle Europea, della Cina e del Giappone, stanno ancora immettendone altro, i buy-back continuano imperterriti (mossi dalle casse piene delle aziende) e il boom di petrolio e gas torna a far brillare l’intero settore delle energie da fonti rinnovabili e, soprattutto, perché la digitalizzazione dell’economia globale continua inesorabilmente a generare efficienza sui costi e, in definitiva, tanto valore, il quale mano mano si trasforma (anche) in valore azionario.


UN EQUILIBRIO ALTAMENTE INSTABILE

Il mondo va avanti, insomma, le tigri asiatiche ruggiscono e l’Occidente continua a trarne ampio beneficio, sebbene sia chiaro che l’equilibrio dei mercati finanziari sia sempre più a rischio, che la loro volatilità possa continuare a salire e che un loro significativo ridimensionamento sia sempre più prossimo.

Dal momento che sui mercati non si può continuare a far finta di niente si può cercare di trarre vantaggio dalla situazione cavalcando con gli strumenti derivati la possibilità di guadagnare dalla volatilità crescente, dalla sempre maggiore fragilità dei mercati e dall’ondata ribassista che prima o poi si svilupperà.

COSA FARE ALLORA?

Nel frattempo l’economia reale continua la sua corsa e dunque saranno soprattutto i titoli azionari di aziende pro-cicliche quelli che potranno beneficiarne di più, soprattutto se le loro quotazioni hanno di recente subíto un ridimensionamento. Così come sono ancora una volta i titoli delle imprese che sviluppano nuove tecnologie (come l’intelligenza artificiale, la robotica e i servizi di internet) quelli che potrebbero portare a casa nel breve termine i migliori risultati, sebbene si debba tenere presente che nel lungo termine solo alcune di quelle imprese resteranno vive.

Ci sono fondi di investimento che selezionano solo comparti industriali come questi: inutile dire che le loro quotazioni sono già cresciute moltissimo. Ma con l’ondata di ulteriori fusioni e acquisizioni (siamo giunti ai massimi storici) che si apprestano a “ridefinire” i singoli comparti industriali, il “fai da te” resta ampiamente sconsigliato.

Sui mercati obbligazionari invece è tutta da vedere se i tassi d’interesse continueranno a salire, in assenza (o quasi) di inflazione endemica (cioè non originata da fattori esterni come guerre o shock petroliferi). È persino possibile il contrario, almeno per i tassi a lungo termine, sebbene questo valga molto più per i titoli americani che per quelli europei, la cui divisa di conto potrebbe scivolare ulteriormente a seguito delle tensioni interne.

E’ facile perciò prevedere il contrario per il Dollaro, ma anche per il Franco Svizzero e la Sterlina Inglese, considerati paradisi più sicuri in caso di intemperie, anche se -ricordiamocelo- purtroppo di certezze sui mercati ce ne sono sempre meno!

Stefano di Tommaso




NUVOLONI NERI ALL’ORIZZONTE

Il fenomeno del Dollaro forte, che si combina con quello del caos politico europeo, non congiura a favore delle quotazioni dell’ingente massa di debito pubblico del vecchio continente, nè delle quotazioni dell’Euro. Qualcuno porrebbe ritenere che sia tutta colpa di questo o di quel fatto, ma la verità è che, mentre l’Italia affronta uno dei momenti più bui della sua storia istituzionale, là fuori dei nostri confini (e anche di quelli europei) succede anche di peggio.

 

L’Unione Europea è un soggetto strano, a cavallo tra una nazione federale (che oggi non è, ma batte moneta unica come se lo fosse) e una specie di Commonwealth che invece di essere britannico è di fatto franco-germanico. L’Unione tuttavia ha un suo parlamento e, soprattutto, una “Commissione“ (che agisce talvolta con decisione nel premiare o sanzionare qualcuno, come si trattasse di un vero e proprio potere esecutivo, cioè di un governo). Ma un po’ dappertutto i singoli Stati membri vi sono rappresentati nella ripartizione degli onori e dei poteri innanzitutto sulla base della loro popolazione (per eleggere i deputati ad esempio) e ancor più sulla base del loro peso economico, e talvolta arrivano a spartirsi le cariche che contano sulla sola base del loro peso politico .

SI VA ALLO SCONTRO O E’ ANCORA POSSIBILE UN DIALOGO?

La ventata gelida che Domenica sera è sprizzata sulle massime istituzioni della Repubblica Italiana non gioverà a stabilizzare l’Unione o a spingere per il suo completamento fino a diventare una singola nazione. Oppure si? Certo se l’Italia dovesse arrivare a votare per l’uscita dall’Unione il sistema barcollerebbe non poco, ma è uno scenario che resta ancora oggi piuttosto improbabile, mentre è ancora plausibile che dopo la scazzottata un’intesa sul governo e tra questo e i suoi “partners” europei la si trovi.

Il problema a breve termine è tuttavia quello del rating (e della sua tendenza, cioè il suo ”outlook”) e dell’appetibilità conseguente del debito pubblico italiano, contro i quali peraltro ha sempre giocato una pesantissima speculazione internazionale. Se il gioco, come sembra, si fa duro e si va allo scontro frontale tra poteri politici chi rischia di rimetterci innanzitutto è il mercato dei capitali, che potrebbe vivere una fuga di risparmi dal nostro Paese paragonabile forse solo a quella dell’Argentina. Gli effetti possono apparire drammatici e rapidissimi, mentre per porvi rimedio probabilmente ci vorrà molto tempo.

LO SCENARIO INTERNAZIONALE

Ma la situazione dell’Italia va inquadrata in un contesto internazionale già di per sé negativo e incerto, in cui i capitali stanno comunque fuggendo da buona parte dei Paesi Emergenti o comunque “non centrali” per la finanza globale, tanto per timore di rimanerne intrappolati, quanto per il rialzo dei tassi americani e di conseguenza del Dollaro, che di per sé rischia di fare molti danni alle economie di quei Paesi.

È in questo contesto internazionale (ed extraeuropeo) che vanno lette tanto la situazione politica rovente del contrasto tra cittadini dei Paesi più deboli dell’Unione e poteri europei (che non promette nulla di buono) quanto la possibilità che l’Italia subisca una forte pressione al ribasso sulle quotazioni dei propri titoli di Stato. Il fatto che il resto dell’Unione faccia quadrato e tenga i propri tassi ai minimi della storia ovviamente non aiuta l’Italia che avrebbe bisogno di rendersi più appetibile mentre ciò non fa che aumentare lo spread con i tassi tedeschi e rendere più interessante la fuga dei capitali.

Immaginare manovre che contrastano il rischio di una simile deriva dovrebbe trovarsi al primo posto tra le priorità della Banca Centrale Europea, che però ha probabilmente le mani legate da un mandato assai stretto e dalla difficoltà di agire in fretta visto che il suo Governatore rappresenta moltissimi Stati eterogenei fra loro.

L’EVENTUALE SCIVOLATA DEL RATING ITALIA POTREBBE FUNZIONARE DA DETONATORE PER I MERCATI FINANZIARI

Ma poi bisogna ricordarsi anche del possibile “effetto domino”: se la situazione europea (o anche solo Italiana) degenerasse, poiché riguarderebbe valori di migliaia di miliardi (trilioni, come dicono gli Americani) di Euro, ecco che anche gli altri mercati ne risentirebbero negativamente, contribuendo a sospingere la migrazione dei capitali verso le piazze (e le valute) più sicure o più neutrali, ma anche a creare volatilità nelle borse di tutto il mondo.

Il crepuscolo del lungo ciclo economico positivo che il mondo fino all’anno in corso ha vissuto per quasi un decennio anche in modo sincronizzato, la prospettiva di una riduzione della liquidità disponibile sui mercati e il rischio che il super-Dollaro non si arresti e faccia danni a catena tra i Paesi Emergenti (dove oramai risiede buona parte della popolazione mondiale e dove si alloca una fetta consistente del prodotto globale lordo) possono risultare fattori decisivi per riuscire a creare uno smottamento consistente sui mercati finanziari. Anche in quelli più solidi.

E questo rischio alimenta le aspettative negative che in tal modo potrebbero auto-realizzarsi, quantomeno spingendo gli operatori a minor fiducia sul futuro e dunque a ridurre gli investimenti strutturali e scientifici, che sono alla base dello sviluppo economico. Anche la voglia di trasformare gli investimenti mobiliari in liquidità “‘tattica” contribuisce a dare forza al Dollaro, creando le condizioni per una possibile tempesta valutaria.

Dio non voglia…

Stefano di Tommaso




IL DOLLARO FORTE AGITA I MERCATI

Il mese di Maggio si è aperto nel peggiore dei modi per i mercati finanziari dei Paesi Emergenti: l’innalzamento dei tassi d’interesse a lungo termine sul mercato americano oltre la soglia psicologica del 3% sembra aver innescato un violento spostamento di capitali da quei mercati alle grandi piazze finanziarie internazionali e ha costretto le banche centrali di numerose economie “periferiche” ad alzare considerevolmente i tassi locali d’interesse.

 

Il caso più eclatante è stato quello dell’Argentina, che ha visto arrivare il proprio Peso a scendere del 22,5% dall’inizio dell’anno contro il Dollaro, per poi risalire del 7% quando la banca centrale ha portato d’un colpo i tassi interni di interesse per il rifinanziamento dal 27,25% al 40%.

Il problema però della fuga dei capitali dall’Argentina sembra solo tamponato con l’incremento dei tassi d’interesse, dal momento che il principale timore degli operatori economici che spostano i loro capitali verso piazze più sicure fuggano sembrano quelli relativi alla capacità dei Paesi Emergenti affetti da eccesso di indebitamento di riuscire a pagare maggiori interessi provocati dal rialzo generalizzato dei tassi.

Se ciò venisse confermato l’operazione di incremento dei tassi interni potrebbe giungere a maturare l’effetto opposto poiché innalzerebbe il costo del rifinanziamento del debito oltre la soglia della sopportabilità.

È evidente però che se i grandi movimenti di capitali che hanno rilanciato le quotazioni del Dollaro (visto come divisa-rifugio tutte le volte che uno shock attraversa i mercati) derivano dai timori di sostenibilità dei debiti pubblici dei Paesi Emergenti al crescere dei tassi di interesse internazionali, i possibili danni che ne possono derivare che non si limitano alla sola Argentina. Ecco in effetti un panorama dell’andamento di alcune divise di cambio nei confronti del Dollaro nel corso dell’ultimo mese:


La tendenza dei capitali a fuggire dai paesi emergenti è iniziata orami più di sei mesi fa quando gli investitori professionali hanno preso atto del fatto che la volontà delle banche centrali di procedere gradualmente a ridurre gli stimoli monetari (Taper Tantrum) era divenuta inequivocabile. Ciò che oggi ha innestato una brusca accelerazione al processo di progressivo disimpegno dalle piazze finanziarie più periferiche è stato però l’incremento dei tassi a lungo termine, con la conseguenza che anche i piccoli risparmiatori hanno iniziato a disinvestire pesantemente da quei mercati.

Nell’ultima settimana più di 6 miliardi di dollari sono stati disinvestiti dai fondi di investimento dedicati ai Paesi Emergenti per riversarsi su quelli occidentali e in particolare USA, Europa e Giappone. Il grafico qui riportato parla da solo:

Il problema è che quest’anno scadono titoli di stato emessi da numerosi Paesi Emergenti per oltre 900 miliardi di Dollari. Tra questi vi sono Turchia, Polonia e Argentina che contavano decisamente sull’interesse degli investitori stranieri per rifinanziare il proprio debito e che oggi appaiono decisamente vulnerabili alla risalita del Dollaro e dei tassi di interesse.

L’EURO-ZONA RIMANE STABILE (PER ORA)

 


In questo oceano agitato di tassi che salgono -anche per l’inflazione che riprende vigore- (persino in Giappone ha superato l’1,2%), borse che oscillano, capitali che fuggono e divise che si svalutano troppo, sta invece (per ora) beatamente ferma come un’isola l’Euro-zona, con una crescita modesta, un‘ inflazione addirittura in declino, tassi di interesse ancora a zero e con un cambio Euro-Dollaro tornato ai livelli di Gennaio (ma con deciso plauso delle imprese esportatrici continentali che temevano di rimanere spiazzate dall’eccessiva rivalutazione della divisa unica).


Come si può vedere dalla tabella sotto riportata mentre il Dollaro si apprezzava l’Euro si è mosso relativamente poco al ribasso nelle ultime settimane mentre ha ancora un margine positivo di quasi 9 punti% se si prende a riferimento il cambio di un anno fa e ci sono numerose valute minori nei confronti delle quali l’Euro si è decisamente rivalutato:

 

Ciò rassicura i mercati continentali e lascia le borse europee meno mosse delle altre, anzi leggermente in crescita come si può vedere dal grafico :Le previsioni sono che la Banca Centrale Europea non muoverà i propri tassi alla prossima riunione, per prudenza nei confronti di Paesi come l’Italia, la Slovenia e il Portogallo che potrebbero prendere il contagio dei timori sulla tenuta del debito. Ma se questa congiuntura prosegue ordinatamente (con l’Euro che si svaluta moderatamente sul Dollaro) la BCE potrebbe decidere di ampliare il proprio programma di intervento sui mercati, muovendosi controcorrente rispetto a tutti gli altri.

L’Europa sembra quindi “tenere botta” con risorse proprie e non dipendere affatto dai vistosi flussi di capitali che agitano il resto del globo terraqueo. Nel resto del mondo però tutti si chiedono se -Dollaro forte o meno- siamo arrivati sul ciglio dell’ennesima crisi finanziaria dei Paesi Emergenti.

Molti analisti sono pronti a scommettere che, rispetto a casi analoghi occorsi in passato, “stavolta è diverso”: c’è stata una forte ondata emotiva sui mercati azionari che ha scoraggiato l’investimento in fondi orientati ai mercati emergenti (vedi grafico):


Ma, sintantochè l’economia globale continuerà a crescere e se le banche centrali non rovineranno la festa, la crescita sincronizzata e l’espansione del commercio mondiale continueranno ancora per molti mesi. Magari a ritmo ridotto e con ulteriori svalutazioni delle divise minori, ma non ci sono ancora fattori che fanno pensare al peggio. Come si può vedere qui sotto, la crescita del prodotto globale lordo e del commercio mondiale sembra relativamente stabile e le previsioni non sono (ancora) cambiate:


Nonostante lo sconquasso sui cambi valute perciò, sembra decisamente presto per i mercati finanziari per indossare gli elmetti e alzare le difese, almeno in Europa.

Stefano di Tommaso




IL CARO-PETROLIO PUÒ TRAINARE L’INFLAZIONE

Mentre le economie più avanzate del mondo (e in particolare in America e Asia) ancora gongolano nel godersi i benéfici effetti di uno dei più lunghi e meglio sincronizzati cicli economici positivi di tutta la storia economica (tassi di interesse ancora bassi, profitti industriali alle stelle, commercio internazionale in ascesa, investimenti infrastrutturali di ogni genere allo studio…) i prezzi delle materie prime vanno alle stelle (in special modo petrolio e gas) perché risentono della maggior domanda mondiale.

 

Non c’è molto da stupirsene se non fosse che l’anomalía era stata casomai la loro mancata crescita sino a ieri.

Il fatto è che la ripresa economica in corso non è neanch’essa priva di stranezze, dal momento che la ripresa è stata registrata nelle statistiche ma, per molti motivi (vedi un mio precedente articolo : “amazzonizzazione dell’economia”) non ha generato un’effettiva maggior capacità di spesa degli individui, e non solo nella periferia Europea dove noi viviamo, bensì un po’ dappertutto, a partire dall’America di Donald Trump (che si preoccupa di riportare entro i confini il denaro delle multinazionali perché investano a casa loro e qualche briciola di quel denaro arrivi anche agli operai del mid-west e alle piccole imprese), fino ai paesi del sud-est asiatico che pullula di fervore e sembra essere il crogiolo dell’umanità dei prossimi decenni.

Inoltre la prospettiva di ulteriori tensioni commerciali (se non vere e proprie guerre delle tariffe doganali) ha inoltre aiutato la ripresa dei costi (e quindi anche dei prezzi) di talune materie prime, dando ulteriore fiato ai timori di fiammate inflazionistiche che, tuttavia, fino a ieri non si erano ancora manifestate. Sono in molti a ritenere che nei prossimi giorni il prezzo del barile possa raggiungere la soglia psicologica degli 80 dollari.


L’INFLAZIONE DEI PREZZI E IL PERICOLO DI TASSI TROPPO ALTI

Dopo tanto tuonare però, la pioggia sembra finalmente essere arrivata, e con la risalita dei prezzi di petrolio e materie prime (che aiuta a esportare la ripresa economica ai paesi emergenti, loro grandi produttori), i primi effetti della crescita dell’occupazione, dei salari e dei consumi, cominciano a fare capolino, quali :
– L’incremento dei costi energetici
– L’inflazione di buona parte degli altri prezzi che ne deriva
– Il rialzo dei tassi di interesse che deriva dalle attese di inflazione
– I rinnovati timori per i forti debiti, pubblici e privati che dovranno pagare maggiori interessi.


Chiaramente infatti un’eventuale forte fiammata inflazionistica rilancerebbe l’attenzione sull’importante stock di debito che il mondo intero si porta appresso dall’epoca della grande crisi finanziaria del 2008. Qualora il costo di quel debito dovesse crescere oltremisura l’intero ecosistema economico internazionale si troverebbe a fronteggiare un bel problema!

Tutto scontato e previsto, se non fosse che questi effetti creano pericoli per la tenuta delle quotazioni dei mercati finanziari e che quest’ultima, con la crescente finanziarizzazione dell’economia, non è più un optional, come si è visto dopo i disastri del 2008 !

LA NECESSITÀ DI STABILITÀ DEI MERCATI FINANZIARI

La stabilità dei mercati finanziari è divenuta sempre più importante mano mano che i cittadini del mondo intero hanno scoperto la pressante necessità di questi ultimi tanto per far filtrare le risorse monetarie alle imprese più meritevoli, quanto (e soprattutto) come riserva di valore oramai essenziale per andare a sostituire le sempre più esigue risorse dei welfare nazionali destinate a infrastrutture, previdenza sociale, sanità e sicurezza.

La crescente “privatizzazione” della maggior parte delle funzioni che in passato erano assolte dalle pubbliche amministrazioni rende dunque quantomai necessaria non soltanto la stabilità dei prezzi (inflazione) ma addirittura anche quella dei mercati finanziari ! Il mondo cioè può permettersi sempre meno che l’arrivo di una seppur periodica e limitata recessione economica arrivi anche a generare forti cadute delle borse o forti impennate dei tassi di interesse.

LA PROBABILE RESILIENZA DI FONDO

Fortunatamente tuttavia, alla necessità generale che ciò non accada si affianca, più o meno inspiegabilmente, la sua scarsa probabilità complessiva. L’inflazione può arrivare cioè, magari trainata proprio dalla crescita di domanda di materie prime ed energia, e le borse possono affrontare un periodo di moderata correzione al ribasso per scontare una risalita dei rendimenti di mercato, ma nessuno si aspetta davvero l’apocalisse né che essa permanga stabilmente!


Ovviamente se lo scenario dei mercati finanziari dovesse procedere in questa prospettiva molta ricchezza rimarrebbe più o meno nelle casse delle banche, spesso liquida e quasi inutilizzata, e questo altrettanto ovviamente non è un bene, ma la verità è che se il petrci sono molti fattori correttivi che in caso di emergenza si metterebbero all’opera (primo fra tutti il monitoraggio da parte delle banche centrali, ma anche le importanti riserve di petrolio sino ad oggi non sfruttate, i produttori americani che fanno “fracking” pronti ad immettere sul mercato forti quantità a questi prezzi, eccetera) per ristabilire l’equilibrio sui mercati.


Stefano di Tommaso