L’ECONOMIA CORRE, IL LAVORO E L’INFLAZIONE NO

Solo un paio di anni fa il mondo temeva una “stagnazione secolare” e la possibilità di una contestuale ripresa dell’inflazione (dunque una “stagflazione”) a causa dei timori legati a presunti effetti perversi dei Quantitative Easings (le politiche delle banche centrali volte a immettere liquidità sui mercati attraverso l’acquisto di titoli). Oggi sembra essere cambiato tutto: dai timori siamo passati agli stupori e persino alla noia nel leggere tutti i mesi bollettini economici trionfanti più o meno in tutto il mondo e al tempo stesso ciò avviene in assenza di fiammate inflazionistiche. Viviamo nel migliore dei mondi possibili o dobbiamo rivedere seriamente i metodi di raccolta dei dati statistici per effetto delle mutate condizioni generali al fine di riuscire a rappresentare un quadro più veritiero? Probabilmente sono vere entrambe le affermazioni.

 

Le borse valori sono passate da una crisi profondissima nel 2008 (che tutti concordavano nell’accomunare a quella del 1929 per la sua straordinarietà) a una grande euforia negli ultimi anni ma adesso destano una generalizzata apprensione per i livelli stratosferici toccati. E per di più godono di una bassa volatilità dei corsi, quasi che la situazione attuale sia percepita come assolutamente normale e non vi sia niente di strano nel poter toccare il cielo con un dito.

Un altro segno che le normali teorie dei cicli borsistici sono anch’esse superate dai fatti e che gli economisti e gli analisti finanziari non sanno più a che santo votarsi? Probabilmente si, sebbene nessuno si senta di escludere la possibilità che domani mattina qualche notizia inaspettata possa far crollare rovinosamente i mercati finanziari e mettere fine al regno del bengodi che stiamo sperimentando negli ultimi tempi.

UNA MONTAGNA DI DENARO FRESCO ASPETTA DI RIENTRARE IN BORSA

Eppure il numero di soloni che hanno sperato di passare alla storia nel riuscire a predire la prossima crisi dei mercati è in continuo aumento. Gli “strategist” delle società di gestione degli investimenti finanziari che consigliano di vendere tutto in borsa sono sempre più numerosi e, tra l’altro, vanno avanti da più di un anno a cercare asset alternativi. Tutto denaro che sarebbe potuto affluire in borsa e che invece ha perduto la giostra dei mercati che ha spedito più in alto del 30% i corsi azionari rispetto a circa un anno fa (quando si pensava che il mercato fosse già ai massimi di sempre) è stato riversato su immobili, opere d’arte, beni rifugio e criptovalute. Solo su queste ultime hanno avuto ragione. Mentre su tutto il resto magari non hanno perduto quattrini ma sicuramente hanno perduto più di un’opportunità di guadagno e si chiedono quando “rientrare” in posizione.

Adesso chiaramente il rientrare in posizione nel momento in cui i mercati toccano l’apice del massimo valore sembra una fesseria e però questa impasse per I grandi investitori va avanti da più di un anno! “Usque tandem?” Direbbe un banchiere centrale in deciso imbarazzo parafrasando Cicerone che si rivolgevano a Catilina! Dunque se da un lato le borse fanno paura dall’altro c’è un’altra montagna di liquidità di coloro che sono rimasti fuori e che si chiedono quand’é che le borse scenderanno un po’ per trovare l’occasione giusta per giustificare il loro ravvedimento. La morale è semplice: le borse difficilmente crolleranno ma anzi, sugli eventuali storni troveranno altro denaro fresco ad attenderle, anche per cogliere l’opportunità dei profitti sempre più grassi che stanno caratterizzando le principali società quotate nel mondo.

LO SPETTRO DELL’INFLAZIONE E DEL RIALZO DEI TASSI

Ma non ci sono solo i mercati finanziari: l’economia mondiale cresce per la prima volta a ritmo elevato e sincronizzato e non si trova quasi traccia di inflazione, nemmeno dove essa dovrebbe naturalmente stare: nei paesi più avvantaggiati dalla crescita nel terzo mondo, che hanno sperimentato il maggior incremento del numero degli occupati e che dispongono perciò di maggior reddito disponibile da spendere nei consumi. Gli economisti se lo chiedono ma, quale che ne sia la ragione, le statistiche fanno piovere numeri che sembrano certi: la stagione dell’inflazione sembra archiviata per un po’ di tempo almeno.

Il punto è che qualche segnale di attenzione relator ai prezzi è spuntato quá e lá: il petrolio è decisamente sui massimi delle medie storiche recenti (ha sfondato il muro dei 60 Dollari, contro molte previsioni che vedevano il permanere di un eccesso di offerta) e sembra puntare ancora più in alto mentre il corso del Dollaro, tanto per le annunciate politiche fiscali accomodanti del Presidente Trump, quanto per l’attrazione dei mercati finanziari americani, sembra di nuovo orientato al rialzo.


Se i prezzi di tutte le altre materie prime verranno influenzati da queste due variabili alla fine un po’ di inflazione la importeremo di sicuro! Tardi magari ma sì: non si colgono al contempo pari forze deflazionistiche all’opera per controbilanciare le pressioni sui prezzi.

Come sempre tuttavia la questione non sta nelle discussioni di principio (inflazione si o no) bensì nella misura delle cose: un leggero incremento ci proietterebbe -più di quanto non sia già oggi- nel migliore dei mondi possibili. Un incremento sostenuto dell’inflazione suonerebbe invece come una campanella d’allarme. Se posso avanzare uno spassionato parere: per molte ragioni è più probabile il primo che il secondo scenario (come si è visto per la Gran Bretagna). Dunque è possibile che la stagione della crescita non sia a un passo dalla svolta, bensì abbia imboccato un lungo percorso.

Le banche centrali tra l’altro sono sul piede di guerra pur senza avere individuato il fronte dove combatterla. Gli incrementi omeopatici dei tassi di interesse con ogni probabilità si concretizzeranno, e contribuiranno a debellare la possibilità di una più forte fiammata inflazionistica, mentre non è affatto scontato che danneggeranno i mercati.

LE PROSPETTIVE ITALIANE

In un quadro internazionale così rassicurante, l’Italia resta un Paese che guarda i grandi avvenimenti in una posizione non esattamente da protagonista, non solo per il macigno del debito pubblico che continua a crescere ma soprattutto perché un’intera area del Paese mostra scarsi segnali di vitalità e a causa delle pesantissime limitazioni della burocrazia. Eppure ha appena incassato una promozione sul proprio rating (quasi inaspettata) e da parte della più autorevole delle Agenzie: Standard & Poor’s, ragione per la quale è probabile che le altre seguiranno.

Un recente sondaggio tra gli analisti finanziari dá per scontati almeno altri sei mesi di crescita economica sostenuta, la cui vera portata sarà probabilmente rivelata solo al termine di tale periodo, cioè a ridosso delle elezioni politiche, vero banco di prova della stabilità.

Nel frattempo la rincorsa ai grandi del mondo continua con relativo successo e una serie di indicatori “fondamentali” porta il segno positivo. È possibile tra l’altro come dicevamo che i migliori dati macroeconomici verranno al riguardo rilasciati il più tardi possibile, per ovvi motivi di campagna elettorale dei partiti oggi al governo, cosa che lascia sperare in una relativa ulteriore forza del sistema bancario nazionale, vero flucro della tenue ripresa subalpina e comparto cardine di una parte consistente della capitalizzazione complessiva della Borsa Italiana, la quale già gode di ottima salute per lo straordinario numero di nuove imprese che decidono di varcarne la porta.

Quasi impossibile comporre dunque un quadro negativo, o anche soltanto fumoso se non fosse per il fatto che si prepara l’ennesimo autunno caldo di lotte sindacali. E questo a ridosso di una ripresa industriale ancora giovane e poco consolidata con molte imprese italiane che invece devono ancora fare quella pulizia nei bilanci (e negli esuberi) la sola cosa che può permettere loro di trasformare una brezza di positività in miglior produttività ed efficienza, essenziali per consolidare le buone performances.

Dunque una frase di cautela concedetemela: il momento è positivo, fin che dura!

Stefano di Tommaso




IL PREZZO DEL PETROLIO NON PREOCCUPA PIÙ ?

Chi l’ha detto che il petrolio salirà? Gli investitori, ovviamente, i quali cercano ogni giorno di imboccare per primi nuovi trend di mercato e giustificare, attraverso nuove strategie, il loro operato rispetto alle migliori performances che da mesi inanellano i fondi di investimento indicizzati. Peccato però che anche questa volta rischiano di sbagliarsi alla grande, così come non si è visto un vero “reflation trade” (un ritorno di fiamma dell’inflazione che avrebbe potuto giustificare nuove rotazioni dei portafogli titoli). E alla mancata crescita dell’inflazione la questione del prezzo futuro del petrolio è molto connessa.

 

LO SCENARIO GLOBALE È MOLTO COMPOSTO

L’economia globale cresce alla grande ma non dá alcun cenno di surriscaldamento, facendo saltare i nervi agli operatori e agli speculatori che ci avevano scommesso sopra. Non surriscaldandosi non crescono nemmeno i prezzi delle materie prime e nemmeno oscilla il dollaro, che ne esprime l’unità di misura. Rimane tutto piuttosto stabile insieme ad una volatilità dei mercati finanziari che continua storicamente a decrescere e ad una liquidità globale che aumenta tanto da fare invidia agli oceani alle prese con il disgelo delle calotte polari.

Nel lungo percorso che ha portato in tutti i dodici mesi precedenti i mercati verso nuovi massimi storici e a tornare a crescere significativamente i prodotti lordi della maggioranza delle nazioni, soprattutto quelle emergenti, molte volte i grandi investitori hanno gridato al lupo al lupo, molte volte le banche centrali hanno minacciato impennate dei tassi di interesse (anche per limitare sul nascere i possibili scoppi di bolle speculative).


Ma la verità è che un po’ dappertutto nel mondo i consumi sono tornati a crescere, la disoccupazione è in discesa e i profitti delle imprese sono in forte crescita, mentre tutto il resto fornisce confortanti segnali di rilassamento e permette ai mercati di dimenticare i livelli stratosferici raggiunti dai debiti pubblici anche a causa dei bassissimi tassi di interesse che essi devono pagare, lasciando sperare i più in un lento discioglimento di quei debiti nell’acido della progressiva monetizzazione.

IL PETROLIO IN UN TUNNEL TRA 50 E 60 DOLLARI AL BARILE

In uno scenario così composto, sincronizzato e positivo, procedono le politiche di incremento dell’uso delle energie da fonti rinnovabili e anche per questo motivo il petrolio rischia di restare a lungo confinato magicamente nel tunnel che va dai 50 ai 60 dollari al barile (vedi grafico), ove al ribasso agiscono immediatamente le iniziative di incremento delle riserve strategiche e al rialzo invece giocano tutti i produttori che hanno congiurato sino ad oggi per una ripresa del prezzo i quali servono maggiori quantità non appena gli risulta possibile.


Eppure la domanda globale di petrolio sta tornando a crescere eccome, non solo per effetto della ripresa economica (che ha effetti sulla domanda del petrolio quasi solo in America), ma soprattutto per la crescita strutturale delle due grandi economie asiatiche (Cina e India). Ma contemporaneamente sale l’offerta del petrolio, soprattutto di quello americano (che in parte è “shale oil”cioè estratto con tecniche di pressurizzazione degli anfratti in cui giace che non sono pozzi petroliferi veri e propri ma sono molto più diffusi) la cui produzione è fortemente legata al prezzo di vendita:sotto determinati livelli non conviene estrarlo.


Il risultato di questo bilanciamento tra domanda e offerta, sebbene difficile perché, appunto, con la ripresa economica che prosegue salgono entrambe, va ben al di là del tenue impatto che può sortire la politica dell’OPEC, (il cartello dei produttori petroliferi) che autoimpone dei tagli alla produzione e in tal modo favorisce i paesi che non vi aderiscono (si veda il grafico qui sotto riportato).

LA VERA DIFFERENZA L’HA FATTA IL “FRACKING”

La situazione complessiva ha tra l’altro favorito le economie dei paesi emergenti, i quali hanno trovato lo spazio per esportare più petrolio e, in una situazione di stabilità globale del relativo prezzo, la possibilità di programmare nuovi investimenti infrastrutturali (principalmente nella raffinazione) che possono aiutare non poco a dare slancio allo sviluppo economico locale.

La vera differenza però l’ha fatta l’America con il suo “fracking“ (la suddetta tecnica con la quale si ottengono gas e petrolio da scisto), inducendo sul mercato un pesante fattore di stabilità. Tutto bene dunque? Si, ma solo fino a quando non dovessero acuirsi le tensioni geopolitiche globali oggi tutto sommato sotto controllo. La discontinuità in uno scenario globale così sincrono e bilanciato può provenire solo queste ultime.

La corsa al riarmo di ogni Paese del mondo sta infatti favorendo tanto l’industria degli armamenti (tradizionalmente grande divoratrice di materie prime energetiche) quanto lo stoccaggio di maggiori riserve strategiche di petrolio. Il controllo delle emissioni dannose per l’atmosfera ha inoltre giocato la sua parte sino ad oggi nel limitare il prezzo dell’energia, ma risulterebbe poco più che superfluo qualora dovessimo assistere ad una escalation militare in grande stile. La geopolitica insomma può fare la sua parte nel rovinare la festa all’economia reale, anzi: rischia di essere l’unico fattore che può fare la differenza.

Stefano di Tommaso




ECCO DA QUALE SETTORE PROVERRÀ UNA PARTE CONSISTENTE DELLA CRESCITA ECONOMICA GLOBALE

(da una ricerca dell’Economist di Venerdì 18 Agosto)

Quasi non ci accorgiamo del cambiamento ma ogni giorno che passa consumiamo -direttamente o indirettamente- qualche frazione infinitesimale di carburanti in meno e utilizziamo un po’ di più i sistemi elettrici per spostarci, illuminare, effettuare lavori, riscaldarci o raffrescarci e molti di questi sistemi elettrici/elettronici non potrebbero funzionare senza le batterie di ultima generazione (quelle al litio e simili).
 

I sistemi di accumulo risultano fondamentali inoltre anche per il recupero di energia e dunque per la sua economizzazione. L’esempio più evidente ai nostri occhi sono le auto ibride-elettriche ma in realtà il fenomeno è molto più pervasivo e riguarda anche tutti gli altri sistemi di propulsione e movimentazione, le abitazioni, le fabbriche, e persino l’agricoltura. Ma siamo solo agli inizi di una nuova rivoluzione tecnologica che ci migliora la vita.

La maggior parte delle persone che oggi acquista (a caro prezzo) un’automobile Tesla oppure (a più buon mercato) una Nissan Leaf non lo fa per aiutare l’ambiente, bensì per i vantaggi di confort, prestazioni e innovatività che esse esprimono. Eppure, nonostante ancora oggi i produttori di auto elettriche perdono denaro (o ne guadagnano pochissimo) a costruirle, un recente studio dell’Economist, indica la previsione di una crescita esponenziale per la produzione di auto elettriche nei prossimi vent’anni.


Ma l’industria delle batterie non si muove solo per le automobili. Il primo utilizzo massiccio al di fuori del settore auto sarà quello dell’autonomia energetica delle abitazioni, che in questo modo potranno trovare conveniente l’utilizzo dei pannelli solari.

Altri fronti di forte innovazione nelle batterie, oltre a quello di migliorare la loro capacità, riguardano il numero di volte possibili di carico e scarico dell’elettricità immagazzinata nonché la sua velocità: più saranno elevati e più le batterie rassomiglieranno a dei supercapacitori e potranno perciò essere utilizzate meglio e più economicamente, dunque anche in altri settori. Ma soprattutto è il loro costo di produzione che si prevede possa crollare letteralmente nei prossimi anni, tanto per le fatidiche economie di scala delle nuove mega-fabbriche quanto per l’avanzare della ricerca tecnologica.

Ma ci sono almeno due fattori di incertezza nelle previsioni di un drastico calo dei costi di accumulo di energia:

– il costo futuro del litio e degli altri metalli pregiati utilizzati nella produzione di sistemi di accumulo, che sino ad oggi in media è sceso anch’esso grazie alle economie di scala di estrazione, ma che in futuro potrebbe riservare delle sorprese, come è accaduto ad esempio per il Cobalto o il Nichel. Si narra che siano in Cina e in Corea del Nord i territori più ricchi al mondo di giacimenti di metalli e terre rare utilizzati per la produzione di batterie e questo potrebbe aiutare a spiegare parte dei sommovimenti geo-politici in corso.

– Il rischio che il perseguire economie di scala da parte di tutti i grandi produttori di batterie possa generare enorme sovracapacità industriale rispetto all’assorbimento da parte del mercato di sbocco. Il fenomeno è già in atto e potrebbe creare molto scompiglio se dovesse degenerare.

Viceversa potrebbe risultare sempre più profittevole recuperare materie prime pregiate dal riciclo di batterie e altri materiali esausti mentre si prevede un vero e proprio boom nell’utilizzo delle nanotecnologie per la fabbricazione dei catodi (uno dei due componenti tecnologici fondamentali di ogni sistema di accumulo di energia, insieme agli elettroliti).

Come dicevamo più sopra tuttavia una parte rilevante che si prevede possa svilupparsi sono i grandi sistemi di accumulo stazionari, utilizzati come riserva di capacità elettrica delle reti di distribuzione per i momenti di picco, come pure per ottimizzare l’utilizzo di energie generate da fonti rinnovabili (sole e vento innanzitutto).

Tesla ha anticipato tutti con la proposta commerciale al grande pubblico della sua “Powerwall” da piazzare in garage, ma molti altri produttori come Nissan, ad esempio, stanno attrezzandosi a fare anche di meglio. Il mercato della sostituzione dei generatori di emergenza (tipicamente diesel, di piccola e media taglia ed estremamente rumorosi) è molto ampio nel mondo ma sino ad oggi sono risultati più cari e più complessi da manutenere.

La doppia prospettiva di riduzione dei costi dei componenti e di maggior diffusione della normativa in materia di emissioni inquinanti potrebbe cambiare decisamente lo scenario e aprire nuove possibilità alla tecnologia che vi sottende. I sistemi di “storage” più grandi (dal megawatt in su) utilizzano infatti anche diversi materiali per l’accumulo e molta più intelligenza elettronica per ottimizzare la propria resa nonché la durevolezza. Il loro utilizzo peraltro si estende quantomeno alla capacità di assicurare continuità all’elettricità fornita, eliminando o riducendo fortemente in un prossimo futuro i rischi di black-out e anche quelli di rottura dei sistemi elettronici cui sono collegati.

Esiste un mondo dorato di applicazioni “premium price” (cioè più o meno indifferenti alle tematiche di costo intrinseco) nella ricerca di sistemi mobili per l’accumulo dell’energia che a sua volta costituisce un mercato molto appetitoso (ad esempio per le applicazioni militari e aerospaziali) sino ad oggi quasi nemmeno sfiorato dalla grande industria, dove probabilmente sarà la capacità di ottimizzare le prestazioni e quella di miniaturizzazione dei componenti a farla da padrona. E come si può ben immaginare i sistemi di controllo e gestione intelligente saranno in questi campi più interconnessi che mai con il successo di queste applicazioni.

La riflessione finale riguarda perciò lo sviluppo economico che può derivare dai sistemi di accumulo di energia, che come si può ben intuire dalle poche considerazioni riportate è molto ampio, e le frontiere dello sviluppo tecnologico ad essi connesso ancora di più. Dunque più ancora che dalla digitalizzazione e dallo sviluppo dei futuri sistemi di intelligenza artificiale i valori in gioco nel campo della gestione energetica nei prossimi tre decenni sono immensi e le opportunità di business sono ancora a portata di mano di chiunque!

Stefano di Tommaso




L’EFFETTO “AMAZON” SULLA CRESCITA E SUI CONSUMI GLOBALI

Una delle obiezioni più frequenti mosse dagli scettici nel rifiutare di voler prendere atto di un nuovo ciclo economico espansivo risulta essere proprio la debolezza dell’inflazione riscontrata nelle ultime statistiche.

Se ci fosse davvero una crescita economica -essi notano- allora la spesa per consumi crescerebbe ben di più di quanto viene riscontrato di recente dai principali istituti di statistica, così come -per effetto di quest’ultima- si innescherebbe una dinamica non solo di maggiore occupazione, ma anche di incrementi salariali che sfocerebbe in una risalita dell’inflazione. Invece l’inflazione cresce poco o nulla e gli scettici obiettano che dunque manca la prova di una ripresa economica effettiva.

NEL 2017 LA CRESCITA ECONOMICA GLOBALE DOVREBBE RAGGIUNGERE IL 4% MA LE STATISTICHE REGISTRANO UNA DINAMICA PIÙ LIMITATA DEI PREZZI AL CONSUMO

Con diverse gradazioni di intensità la questione dell’apparente scarsità di domanda di beni e servizi si pone un po’ dappertutto nel mondo, a partire dai Paesi “OCSE” (i più ricchi), e tra questi a partire dagli Stati Uniti d’America, ove l’espansione del P.I.L. prosegue al ritmo più o meno costante del 2% annuo (ma è vecchia di otto/nove anni e perciò sono in molti a presagire un’imminente inversione del ciclo) per proseguire poi con i Paesi dell’Asia continentale, dove la crescita è ben più impetuosa (intorno al 6%) e dal Giappone, che finalmente sembra aver registrato nell’ultimo trimestre (il secondo del 2017) una crescita su base annua dell’ordine del 4%, in linea con la media globale che dovremmo registrare a fine anno (il miglior risultato da anni).

L’Europa invece quest’anno a mala pena dovrebbe toccare l’1,9%, pur registrando la sua crescita del prodotto interno lordo più elevata dai tempi della crisi del 2008 e solo se tutto dovesse andare nel migliore dei modi e l’innalzamento del cambio non rovinerà troppo la festa alle imprese esportatrici. In tutte queste regioni del mondo però la crescita del prodotto interno lordo è più elevata di quella della spesa per consumi. La spiegazione ovvia che se ne potrebbe dare è che la domanda di beni e servizi resta debole, nonostante la ripresa, ma se proviamo ad approfondire, emergono altre dinamiche, ben più complesse!

LA DIFFUSIONE DEL COMMERCIO ELETTRONICO LIMITA L’INFLAZIONE

La diffusione di internet e delle vendite online ha infatti una forza deflativa sui prezzi che resta ancora da misurare con precisione. Ma la riduzione dei prezzi (che si contrappone e annulla l’effetto della crescita dei prezzi dovuta alla maggior domanda di beni e servizi) imputabile alle vendite online (il cosiddetto “Effetto Amazon”) contribuisce solo per una parte alla creazione fenomeno di limitata inflazione cui assistiamo.

L’utilizzo di applicazioni per il telefono cellulare che “in virtualità” sostituiscono beni e servizi (buona parte dei quali è gratuito perché sono sostenuti da ecosistemi di “sharing economy”) è vastissimo e pieno di implicazioni pratiche. Eccone ad esempio un piccolo elenco comparativo (a sx gli strumenti precedentemente utilizzati e a dx quello che si può fare con uno smartphone):

LA DIGITALIZZAZIONE, LA SHARING ECONOMY E LE NUOVE TECNOLOGIE CONTRIBUISCONO AL CONTENIMENTO DEI PREZZI E ALLA DIFFICOLTÀ DI RILEVARE LA VERA CRESCITA DEI CONSUMI

Per non parlare della miriade di servizi offerti tramite la digitalizzazione dell’economia : dalla diffusione del “car sharing” al successo mondiale dell’affitto breve delle unità abitative legato alle catene di Bed&Breakfast e all’esplosione della catena AIRBNB, dei servizi finanziari che vengono forniti con la consulenza computerizzata, per non parlare di tutti i sistemi innovativi di risparmio energetico, dell’aumento della disponibilità globale di pezzi di ricambio e di strumenti tecnici a buon mercato venduti o affittati online, della diminuzione del numero di viaggi aziendali dovuta ai sistemi di videoconferenza, eccetera…

La stessa disponibilità dell’accesso alla rete è migliorata ed è divenuta più economica, dal momento che i costi di connessione tramite cellulari “intelligenti” sono crollati, e con essi è lievitato il consumo di servizi tramite accesso mobile.

L’offerta di beni e servizi è inoltre anch’essa in crescita, a causa della costante espansione della capacità produttiva per i beni a minor valore aggiunto nell’intero sud-est asiatico. Cosa che contribuisce a limitare la pressione inflattiva nonostante la vivacità della domanda, che scaturisce tanto dalla crescita globale quanto dalla dinamica demografica dei Paesi Emergenti.

Morale: non possiamo non tenere conto dei fenomeni economici collegati al concetto di digitalizzazione dell’economia globale nel chiederci per quale motivo l’inflazione non corre altrettanto quanto gli utili aziendali e quanto la crescita del Prodotto Interno Lordo. La corretta interpretazione dei fenomeni economici che discendono da essa sarà probabilmente oggetto di studio ancora per molti anni.

Quando però ci chiediamo perché il mercato mobiliare corra ancora nonostante tutti i segnali di attenzione che da oramai molti mesi gli analisti rilevano, ecco che dobbiamo guardare anche all’altro lato della medaglia: quello che esprime una crescita dell’economia globale, ancora solo parzialmente rilevata dai sistemi statistici di misurazione delle attività economiche basate sulla rete!

 

Stefano di Tommaso