2018: I TASSI DI INTERESSE SALIRANNO?

Cominciamo col dire che si, con ogni probabilità la Banca Centrale Europea alla fine qualche aggiustamento al rialzo lo farà anche lei, dopo aver esaurito il suo programma di Quantitative Easing e per adeguarsi alla politica monetaria di tutte le altre banche centrali. Ma vediamo perché e cosa succede nel resto del mondo, a partire dagli Stati Uniti d’America e dalla Gran Bretagna (due economie fortemente collegate fra loro e dotate di banche centrali capaci di grande autonomia monetaria).

Lo scorso 13 Dicembre Janet Yellen, con l’ultimo atto pubblico del suo mandato in scadenza di Governatrice della Federal Reserve Bank of America, ha alzato per la terza volta nel 2017 il tasso base di rifinanziamento di un quarto di punto, portandolo all’1,5%, ripetendo insieme ai suoi colleghi del Board e al suo successore Powell la volontà di continuare anche nel 2018 con altri tre rialzi. Lo ha fatto nonostante l’assenza di crescita dell’inflazione tenendo dritta la barra del timone sulla rotta che da tempo aveva indicato, sicura che alla fine i fatti le daranno ragione.

LA “FORWARD GUIDANCE”

La Yellen ha praticato forse più di ogni altro governatore la cosiddetta “forward guidance”, indicando cioè ai mercati finanziari, con comunicazioni ufficiali fatte in largo anticipo (molti mesi), le proprie intenzioni sui tassi di interesse e la politica monetaria in generale. Lo scopo di tale prassi è innanzitutto quello di risultare credibile e prevedibile, confermando nel tempo con i fatti la validità delle proprie proiezioni economiche e delle azioni che intende porre in atto. La forward guidance ha peraltro un ruolo fondamentale nel ridurre la speculazione e la volatilità dei mercati e al tempo stesso nel mantenere costante il flusso di finanziamenti che il sistema bancario erogherà all’economia reale.

I fatti che sono accaduti dimostrano che Yellen ha avuto ragione ad avvalersene e, non a caso, nonostante ben tre rialzi, la borsa di Wall Street ha continuato a correre e il prodotto interno lordo americano (ma non solo) è cresciuto più di quanto non accadeva prima del 2008 (negli ultimi mesi siamo al 3,3% su base annua). Lo ha fatto mentre i mercati globali festeggiavano la riforma fiscale USA e le borse asiatiche imitavano i record di Wall Street. Il mercato azionario nel 2017 è corso infatti più di ogni previsione e non stanno materializzandosi le (usuali in questi casi) prese di profitto per archiviare un anno positivo. Ben pochi operatori oggi ritengono di trovarsi nel ben mezzo di una bolla speculativa che sta per scoppiare come invece si riteneva tanto all’inizio dell’anno quanto durante la pausa estiva.

L’ECONOMIA DEI PAESI EMERGENTI CRESCE

Ma la Yellen è riuscita in un altro capolavoro: quello di effettuare manovre sui tassi credibili, composte e prevedibili senza far impennare il cambio del Dollaro o provocare un risucchio di capitali dai Paesi Emergenti, non contrastando dunque la loro ripresa economica che tanta parte ha avuto nella crescita dei profitti delle principali aziende multinazionali americane quotate a Wall Street. La Banca Mondiale ha infatti rivisto al rialzo le previsioni per la crescita economica della Cina nel 2017, al 6,8% dal 6,7% di ottobre. Nel 2018, la Cina probabilmente supererà addirittura le previsioni. Anche quelle per la sua valuta, il renminbi, sono migliorate, contrastando dunque le attese di ulteriori fuoriuscite di capitali e tensioni conseguenti sul cambio. Il rialzo di cinque punti base della banca centrale cinese sulle operazioni di reverse repo e quello sui tassi a 1 anno per i prestiti ha costituito un segnale restrittivo per le politiche monetarie future e si è coordinato con i segnali lanciati dalla FED.

Sono state diffuse al momento ben poche previsioni relative alla crescita mondiale nel 2017 ma la mia aspettativa è che si collocherà vicino ad un tasso del 4%, il più alto anch’esso da molto tempo a questa parte.

SINCRONISMI E CONCOMITANZE MONETARIE E FISCALI NON POTRANNO CHE STIMOLARE ANCHE L’INFLAZIONE

Difficile affermare che sia merito di qualcuno in particolare, ma sicuramente gli economisti concordano nel sostenere che buona parte del merito sia dovuta alla “sincronicitá” delle politiche monetarie e, di conseguenza, della reazione delle maggiori economie globali. Un secondo importantissimo motivo della crescita e dell’euforia dei mercati riguarda poi la quasi assenza di inflazione e tensioni salariali, imputandole alla forte innovazione tecnologica e al succede commercio elettronico, che ha fatto crescere la produttività del lavoro e incrementato le importazioni dirette dai paesi emergenti (Cina innanzitutto).

Anche la Banca d’Inghilterra (la Banca Centrale Britannica) ha finalmente innalzato di un quarto di punto il tasso base, in Novembre, ma questa lo ha fatto dopo aver rilevato che le statistiche indicano una crescita dell’inflazione oltre il 3%, superiore alle aspettative e a valle di un successo (o almeno percepito tale) sul negoziato con l’Unione Europea relativo alla fuoriuscita del Regno Unito. La Sterlina peraltro ha tenuto relativamente bene, nonostante le cornacchie del disastro che sarebbe dovuto accadere con la Brexit e anzi, adesso che il negoziato è terminato ci aspetta anche in Gran Bretagna uno stimolo fiscale che tenderà a sopperire all’assenza di quello monetario.

Anche da un punto di vista fiscale la recente manovra di riduzione delle aliquote che è in corso di definizione al Congresso Americano e quella che -a breve- verrà avviata dalla Gran Bretagna, dovrebbero dare ulteriore impulso agli investimenti, ai mercati finanziari e, in definitiva, anche all’economia reale. Tutto ciò però non potrà lasciare a lungo il tasso di inflazione dei prezzi così basso come lo vediamo oggi, non potrà non avere effetti sulla dinamica salariale e non potrà non riflettere l’attesa di rendimenti migliori sugli investimenti effettuati (immobili compresi), cosa che alla fine andrà ad impattare anche sui saggi di rendimento dei titoli obbligazionari.

EFFETTI MODERATI MA NON ASSENTI

Quanto è prevedibile che ciò possa trasmettere volatilità e incertezza sui mercati finanziari? Molto poco, verrebbe da dire, a meno che non si sommino ai tipici effetti del surriscaldamento delle economie anche altri fattori, come taluni strappi sui prezzi delle materie prime, piuttosto che eventuali nuove tensioni geopolitiche. Certo il 2018 si preannuncia carico di buoni eventi ma anche di possibili imprevisti.

Tuttavia è difficile pensare che il percorso di aggiustamento dei tassi di interesse verso l’alto verrà interrotto, tanto per effetto della politica monetaria quanto per il progressivo aggiustamento verso l’alto dei tassi a più lungo termine che, dalle economie anglosassoni, si trasferiranno anche a quella dell’euro-zona e a quelle asiatiche, forse le più esposte ad ulteriori tensioni inflattive.

Alla fine dell’anno magari, ma anche a casa nostra non potremo non sperimentare un progressivo aggiustamento verso l’alto dei tassi di interesse, oggi tenuti a bada anche dalla forza della Divisa Comune e dalla conseguente pressione al ribasso sui rendimenti.

Stefano di Tommaso

 




ESUBERANZA RAZIONALE?

IL NOBEL A RICHARD THALER PUÒ SPIEGARSI CON IL TENTATIVO DI DARE RISPOSTE AL TEMA DELL’ESUBERANZA IRRAZIONALE DEI MERCATI FINANZIARI? E SE FOSSE IL CONTRARIO?

L’altro giorno leggevo tra i commenti all’ultima premiazione della fondazione Nobel per gli studi economici quelli che fanno riferimento ad un semplicissimo sito web gestito da un altro premio Nobel per l’economia: Robert Schiller. Il nome del sito internet “http://irrationalexuberance.com/main.html?src=%2F#4,0” parla già da solo. Esso si limita ad esporre, accanto alla copertina del famosissimo libro omonimo (vedi immagine copertina), soltanto due grafici: quello dell’andamento dell’indice azionario Standard &Poor di Wall Street (Insieme a quello dell’andamento degli utili aziendali) e quello del rapporto prezzo/Utile insieme all’andamento dei tassi di interesse.


Anche il premio Nobel elargito in precedenza a Robert Shiller riguardava la “Finanza Comportamentale”. Dunque questo tema è percepito dal mondo accademico nonché dai giurati del premio Nobel come uno di quelli davvero importanti in un momento come questo.

I GIUDIZI ED I COMPORTAMENTI UMANI NON SONO DEL TUTTO RAZIONALI. NEMMENO QUANDO CREDONO DI ESSERLO

Il ragionamento di fondo di Schiller e Thaler osserva che il comportamento umano non può essere rappresentato con la sola logica delle aspettative razionali e I modelli economici di conseguenza non possono non tenerne conto. Solo che quel “tenerne conto” può non andare soltanto nella direzione di predire lo scoppio delle bolle speculative. Può invece anche essere interpretato all’opposto per riuscire a comprendere come mai le borse continuano a salire.

Andiamo infatti a leggere cosa ci raccontava Shiller nel suo libro, pubblicato nel 2000 (quando I mercati finanziari avevano toccato un altro picco massimo): che se si vuole interpretare correttamente l’andamento delle Borse Valori bisogna necessariamente tenere conto anche delle psicologie (e non solo delle argomentazioni razionali) le quali aiutano non poco a fabbricare ogni genere di bolle speculative sui mercati. Il libro spiega anche che alla fine le bolle esplodono sempre, anche se a volte in tempi più lunghi del solito.

 

Questi grafici così sintetici e quasi silenziosi ci raccontano però anche dell’altro: se andiamo a guardare il rapporto prezzo utili cui si riferiscono le attuali quotazioni borsistiche, non c’è dubbio che siamo oggi ben lontani dai massimi del 2001, poco prima che finisse l’era della prima “New Economy” e il mondo cambiasse per sempre. Più esattamente su quel rapporto, rispetto ai massimi siamo a metà strada, mentre i tassi di interesse a lungo termine (la linea rossa) sono invece arrivati in picchiata ai minimi di sempre più o meno un anno fa, nonostante le intenzioni più volte espresse dai banchieri centrali di tutto il mondo, concordi con la necessità di continuare a tirarli un po’ su, dal momento che neanche negli anni trenta si erano visti così in basso.

E SE LE ATTUALI QUOTAZIONI DI BORSA RISPECCHIASSERO LA “NUOVA NORMALITÀ”?

Dunque da un lato le azioni quotate a Wall Street non risultano poi così care se comparate con I profitti che esse esprimono, dall’altro lato i tassi sono oggettivamente bassi e dunque essi giustificano (almeno in parte) delle quotazioni più elevate a parità di tutto il resto. Come dire che la bolla speculativa alla fine scoppierà ugualmente, ma di strada da fare per gonfiarsi ancora potrebbe averne ancora tanta. Allora in questo caso ciò che sembra davvero irrazionale è il timore di un crollo, non il suo opposto.

A proposito dei tassi di interesse bisogna poi ricordare che quelli che contano davvero sono I tassi reali prospettici, cioè quelli futuri e al netto dell’inflazione. Per soppesare il livello dei tassi di interesse reali e tenerne conto nel chiedersi come attualizzare i profitti futuri sono perciò importanti le aspettative di inflazione, che fino a qualche giorno fa sembravano puntare verso l’alto mentre poi è arrivata l’ennesima doccia fredda che gli economisti non riescono a spiegare se non con il salto quantico della digitalizzazione.

TASSI, CRESCITA E INFLAZIONE

La crescita economica infatti si accompagna di norma a un surriscaldamento dell’economia che porta qualche tensione sui prezzi al consumo perché aumenta la propensione alla spesa da parte dei consumatori che si ritrovano con un reddito maggiore. Questo sarebbe particolarmente evidente negli Stati Uniti d’America dove l’economia cresce oramai da più di sette anni ( altrove solo negli ultimi tempi l’economia è tornata a crescere ) e la disoccupazione è giunta ai minimi storici, eppure l’inflazione non risale. Senza di essa I tassi di interesse reale attuali, pur bassi, non sono nulli e pertanto hanno più probabilità di restare a livelli simili a quelli attuali.

Dunque I profitti futuri vanno attualizzati a tassi bassi e -in generale- giustificano maggiormente le quotazioni stratosferiche di molte società quotate.

Poi ovviamente per giudicare se le valutazioni espresse dalle borse appaiono o meno eccessive, dipende anche da ciascun settore di appartenenza. Tipico è il paragone che si fa tra I moltiplicatori degli utili di due titoli che sono chiaramente molto grandi ed esprimono business all’avanguardia e globalizzati, sono percepiti entrambi come titoli “tecnologici” ma appaiono tuttavia agli investitori molto diversi tra loro: Apple e Alphabet (Google). Il Financìal Times di stamane faceva notare che la prima, dal momento che buona parte dei suoi utili arrivano dagli apparati cellulari, viene considerata “cara” dal mercato al prezzo di 15 volte gli utili mentre la seconda, I cui profitti derivano per oltre l’80% dalla pubblicità online, quota tranquillamente (e da tempo) ben 27 volte gli utili. Le aspettative di crescita della prima sono infatti diverse da quelle della seconda.

MORALE

Per giudicare eccessive le valutazioni del mercato bisogna prima stabilire quale tasso di crescita dell’economia riduce il fattore di sconto dei profitti futuri. E se quel fattore prima di tener conto della crescita già partiva da un livello basso in assoluto, è sufficiente attendersi una lieve crescita prospettica del. Intesto economico per valutare molto più caro un titolo quotato. E nessuno può negare che, con una previsione di crescita economica globale vicina al 4% nell’anno in corso, le aspettative di crescita ulteriore dei profitti sono più che giustificate. Casomai perché il sistema prezzi/tassi/aspettative sia sostenibile bisogna che restino vere tanto le prospettive di un‘ inflazione limitata quanto quelle di un forte interscambio internazionale, fattore essenziale anche per tenere viva la prospettiva di importanti profitti aziendali. Diverso sarebbe infatti se quelle premesse mutassero.

Tornando alle aspettative-non-esattamente-razionali, appare possibile che se pensiamo di poter giudicare gli eventi sulla base di ciò che è successo in passato stiamo tralasciando quasi certamente una parte della verità. I lavori di Richard Thaler riguardano proprio la verifica del fatto che gli esseri umani si basano moltissimo sul comportamento passato per fondare le loro decisioni, anche quando chiaramente il futuro non rassomiglia più al passato.

Nonostante Thaler abbia espresso chiaramente il suo disappunto per il livello da lui giudicato eccessivo delle borse odierne, resta il fatto che le sue teorie possono funzionare anche all’opposto. Cioè nell’indicare “a prescindere “ come eccessivi I livelli borsistici attuali solo perché in passato non si era vissuto un salto quantico nello sviluppo economico (delle economie emergenti) come quello attuale. Nessuno può vantare delle certezze al riguardo ma il beneficio del dubbio deve continuare ad animare la ricerca dell verità!

Stefano di Tommaso




IL VENTURE CAPITAL CORRE IN AMERICA E EUROPA MA NON IN ITALIA

Il 2016 è stato in buon anno in Europa per la raccolta di capitali finalizzati a supportare le start-up innovative: sei miliardi e mezzo di euro. Uno in più del 2015. E il 2017 si preannuncia ancora migliore. L’anno scorso il 44% di quei capitali è stato investito in “information&communication technology”, mentre il 27% è andato in aziende che si occupano di sanità e biotecnologie.

Per comprendere l’importanza strategica degli investimenti rivolti alle innovazioni tecnologiche, ricordiamoci che in tutto il mondo buona parte delle tecnologie che oggi sono parte integrante della nostra vita quotidiana sono in realtà state introdotte da sconosciuti e spesso giovanissimi imprenditori che non lavorano per gli uffici di ricerca e sviluppo delle grandi multinazionali, per mille e un motivo.

E ricordiamoci anche che buona parte di tutte le innovazioni che hanno generato venti o trent’anni fa i colossi che oggi valgono di più a Wall Street (tenendo conto del fatto che ciascuno di essi capitalizza in Borsa quanto il Prodotto Interno Lordo della Gran Bretagna) sono nate in un garage grazie ai cosiddetti “family&friends” e a qualche lungimirante capitalista di ventura.

Se l’America oggi mantiene una leadership tecnologica rispetto al resto del mondo pur con una popolazione inferiore a quella di molti altri Paesi è solo grazie alle sue università (private) e al moltiplicarsi di quegli sparuti lungimiranti investitori di ventura iniziali che hanno scommesso su alcuni giovani promettenti.

 

Questo dovrebbe far riflettere quando si parla di politica economica, di futuro dei giovani e di creare occupazione: questa non si crea per decreto e non si supporta (solo) puntellando le fabbriche del passato oggi in crisi. L’occupazione del futuro -com’è ovvio- sarà generata dalle aziende del futuro.

Eppure in Italia nessuno ne parla e nessuno è disposto ad ammettere che se tutte le volte che un giovane ha un progetto ambizioso questi deve fuggire all’estero per realizzarlo o per non morire soffocato da un eccesso di burocrazia, tassazione e rivendicazioni sindacali, ne avremo poche nel nostro Paese di aziende del futuro, all’altezza dell’evoluzione tecnologica in corso.

Nel nostro Paese già il 93% dei capitali raccolti dalle imprese (spesso tradizionali) quotate in Borsa viene sottoscritto dall’estero, figuriamoci i capitali di ventura! Persino in Europa un decimo di quei 6 miliardi e mezzo raccolti l’anno scorso dal Venture Capital proviene dall’America. E la sola Francia si prepara ad essere uno dei principali incubatori di startup del pianeta. Dopo gli Stati Uniti d’America l’Europa è il secondo ecosistema delle innovazioni, in gran fermento di risorse umane e capitali.

In Italia invece i dati ISTAT parlano di una nazione che spende il 77% della spesa pubblica per gli anziani sopra i 65 anni, mentre il 20% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni che non studia ancora, non ha e non cerca un lavoro. E il 2,8% per cento della spesa pubblica se ne va in “pensioni di reversibilità”, cioè alle vedove dei pensionati defunti mentre siamo l’ultimo Paese dell’Unione Europea per investimenti in capitale di rischio.

Ma non solo abbiamo politiche economiche sbagliate a dir poco che favoriscono l’esportazione di cervelli e l’immigrazione di braccianti e delinquenti. Se abbiamo il 93% degli investitori in aziende quotate (buona parte delle quali sono banche e società immobiliari) è anche perché il nostro è un contesto economico che rappresenta il bengodi delle rendite di posizione! Rendite le cui dinamiche sono agli antipodi rispetto alla logica di chi investe capitale di rischio!

In Europa sono 13 i fondi di investimento in “venture capital” che hanno raccolto più di €100 milioni. Da noi la più importante operazione di venture capital è stata appena lanciata (dunque non ha ancora raccolto nulla) ed è il fondo dal valore di 100 milioni di euro annunciato da Cariplo Factory e dedicato a growITup, la piattaforma di Open Innovation creata in partnership con Microsoft e rivolto a tutte le startup digitali italiane.

Un ottimo segnale di cambiamento. Ma prima di recuperare tutto il terreno perduto la strada per il Bel Paese si preannuncia molto lunga!
E nel frattempo saremo destinati a crescere e ad assumere molto meno degli altri Paesi sviluppati.
L’esatto opposto di ciò che sarebbe coerente con la nostra vocazione benefica che ci spinge a restare il Paese principe nell’accoglienza degli extracomunitari e nella tolleranza dell’immigrazione clandestina!

 

Stefano di Tommaso