METAVERSO E CRIPTOVALUTE

La Compagnia Holding

Mentre l’Europa si interroga ancora sulla pericolosità della possibile quarta ondata pandemica e la Cina approfitta del vuoto politico che si è creato attorno alla retorica globale relativa alle questioni cruciali dell’ambiente in cui viviamo (incrementando l’uso del carbon fossile per alimentare di energia la propria industria), l’America fa un altro incredibile balzo in avanti nella corsa verso il futuro: negli U.S.A. le due parole-chiave dell’ultima settimana sono state infatti: “metaverso” e criptovalute.

 

IL METAVERSO

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È il cosiddetto universo digitale, cioè quello che -attraverso le piattaforme digitali- si estende oltre il mondo tangibile, e fino a ieri era soltanto uno dei tanti concetti della fantascienza che si aggiravano tra ambienti intellettuali e specialisti di realtà virtuali, anche se ultimamente è stato più volte indicato come l’evoluzione più probabile di internet.

Poi la settimana scorsa Facebook (che non è soltanto il nome del più famoso e pristino social network del pianeta, ma anche il nome di una multinazionale miliardaria, quotata a Wall Street e famosa per aver comperato anche: Whatsapp, Instagram, Oculus Virtual Reality eccetera…) ha deciso di cambiare il proprio nome aziendale (non quello del suo social network) in “Meta”, per segnare indelebilmente anche nel nome il suo nuovo obiettivo aziendale: quello di riuscire a tagliare per prima il traguardo del futuro dei social network, i quali molto probabilmente sono destinati ad entrare pervasivamente nei mondi della realtà virtuale e dell’intelligenza artificiale. E da quel momento tutti stanno parlando di Metaverso.

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Per espressa ammissione di Zuckerberg l’evoluzione prospettata con il cambio del nome non gli sarà davvero possibile prima di un certo numero di anni, ma sebbene la mossa sia stata audace e, probabilmente, prematura, non si può che ammettere l’inevitabilità di un futuro dell’economia che si sposta rapidamente verso i nuovi mondi digitali, spesso totalmente distaccati dalla realtà. E gli americani, che amano essere protagonisti, non volevano farsi soffiare dagli asiatici la leadership del nuovo mondo. Poco importa che esso esista soltanto “online”: se è destinato a far ”girare” 800 miliardi di dollari entro soli tre anni, allora probabilmente è più concreto di una roccia!

LE CRIPTOVALUTE

Sono spesso saltante agli onori della cronaca negli ultimi anni per aver raggiunto livelli di valore elevatissimo. Ma anche per l’altrettanto elevata volatilità dei loro corsi, tanto da essere considerate un investimento altamente speculativo, non certo una riserva di valore.

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La scorsa settimana tuttavia il neo-eletto sindaco di New York ha deciso di giocarsi la faccia nella corsa della sua città alla leadership mondiale nell’adozione del Bitcoin e delle altre criptovalute anche nelle transazioni quotidiane (negozi, bar, ristoranti…), arrivando a parlare dell’emissione una moneta “cittadina” (così come è già successo poco tempo fa per Miami) e a chiedere di ricevere il proprio “stipendio” in Bitcoin.

Una vera e propria rivoluzione digitale sta dunque attraversando l’America in pochi giorni: cosa succede? C’è un sottile fil rougeche lega i due concetti (la realtà virtuale del metaverso e i pagamenti digitali effettuati tramite criptovalute): quello della corsa verso il futuro digitale del pianeta.

Un futuro che già oggi è fatto di marchi concepiti e registrati espressamente per il mondo virtuale, di conseguenti grandi volumi d’affari online (Bloomberg Intelligence stima che il Metaverso” potrà raggiungere un miliardo di persone e un valore delle transazioni di 800 miliardi di dollari già nel 2024, cioè in soli 3 anni).

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Le quotazioni delle criptovalute d’altra parte, se non interverranno nuovi problemi regolamentari e “politici” sono destinate ad aumentare: da quando esistono la loro domanda ha quasi sempre superato l’offerta. Soprattutto ora che potrebbero risultare essenziali per gli scambi digitali. Si parla già del Bitcoin a 100mila dollari (oggi è a 65mila).

IL FUTURO PASSA DAL “GAMING”?

Si erano viste le prime avvisaglie dei modi virtuali per almeno tre decenni. Ma nessun mondo fatto di pupazzi e di “avatar” aveva siano ad oggi conquistato il podio di Wall Street. I videogiochi erano diventati sì un grosso business ma senza raggiungere le vette di ricchezza toccate da Facebook, Google, Amazon, Apple e Microsoft. Negli ultimi anni c’è poi stata l’esplosione degli sport digitali, che hanno appassionato tuttavia quasi soltanto le generazioni più giovani. Spesso i premi per i vincitori sono stati espressi in criptovalute e in buoni-acquisto su Amazon e Ebay, alimentando così un circuito totalmente digitale che in precedenza potevamo soltanto ipotizzare.

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Facebook l’anno scorso ha fatturato più di 86 miliardi di dollari facendo utili netti per quasi 30 miliardi (oltre un terzo del fatturato), ma soprattutto capitalizza oggi in borsa quasi 1800 miliardi di dollari, cioè circa 68 volte gli utili dello scorso anno. Quelle 68 volte sono oltre il triplo della capitalizzazione di borsa media a Wall Street, che corrisponde a circa 22 volte gli utili. E ovviamente in quella media ci sono anche i colossi sopra menzionati, le quali inevitabilmente la innalzano.

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Il multiplo citato è ovviamente molto elevato e corrisponde ad un impegno aziendale che non può per nessuna ragione venir meno (pena il crollo della capitalizzazione di borsa) : quello di lavorare costantemente alla crescita di valore della società. Facebook è dunque condannata ad esplorare nuovi mondi (e quelli virtuali sono tra quelli dove ha scommesso maggiormente: è sua Oculus VR, la prima maschera facciale per la realtà virtuale) ed è condannata a cercare di trarne profitto prima di tutti gli altri, se vuol mantenere alta la propria capitalizzazione.

ANCHE NVIDIA, MICROSOFT E NIKE NELLA CORSA AL METAVERSO

Pochi giorni dopo Facebook anche Microsoft, in un evento rivolto alle aziende, ha annunciato spazi personalizzati e immersivi per incontrarvisi nel lavoro. «Il metaverso è qui e non sta solo trasformando il modo in cui vediamo il mondo, ma anche il modo in cui vi partecipiamo, dalla fabbrica alla sala riunioni», ha detto Satya Nadella.

Tra le aziende che puntano su questo ambito ci sono anche Nvidia, il colosso americano dei semiconduttori e la piattaforma di giochi Roblox, nonché le cinesi ByteDance, Alibaba e Tencent. Quest’ultima, in particolare, ha registrato quasi cento marchi relativi al metaverso e starebbe allestendo un nuovo team internazionale per entrarvi al più presto.

Anche la vendita dei beni virtuali già esploso da anni nel gaming è tornato d’attualità con gli NFT: i certificati digitali che negli ultimi mesi hanno conosciuto un vero e proprio boom. Per questo, anche aziende non tecnologiche come Nike stanno programmando di investire nel Metaverso: ha registrato alcuni dei suoi marchi per l’uso in contesti virtuali, il che fa pensare che si stia preparando a una presenza massiccia.

SENZA INNOVAZIONE NON C’È CRESCITA ECONOMICA

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D’altra parte la tendenza riflessiva della demografia del pianeta (si veda il grafico qui sopra) mostra la necessità di impostare la crescita economica sull’innovazione tecnologica, dal momento che, con l’invecchiamento della popolazione, in molti settori l’offerta è destinata a superare la domanda.

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Per contrastare il declino probabile occorrerà allora molta innovazione tecnologica, che però oramai si basa quasi sempre sulla digitalizzazione spinta all’estremo. E più ci avviamo verso un mondo fortemente digitale, più è concreta la possibilità di sviluppare (anche dal punto di vista del business) nuovi mondi virtuali. Ed è una delle poche risposte concrete che le grandi multinazionali possono trovare per tenere alte le proprie quotazioni. Non stupisce allora che (anche in Borsa) l’illusione possa superare la realtà.

Stefano di Tommaso




IL BITCOIN A 235.000 DOLLARI?

Il prezzo della criptovaluta più famosa del mondo è cresciuto, dal 2010 ad oggi, 5 milioni di volte, provocando una miriade di reazioni e la convinzione generale che si tratti di una bolla speculativa o di una catena di Sant’Antonio. Quello che però non tutti hanno notato è che la natura del Bitcoin, la cui offerta (detta “estrazione “, in Inglese “mining”) è fortemente sotto controllo, è tale da impedirne la diffusione senza che parallelamente il suo valore si apprezzi, mentre in numero ancora minore sanno che del Bitcoin tutti ne parlano ma ben pochi al mondo lo hanno comperato o utilizzato. Si è mai vista una bolla speculativa sul mercato di cui tutti parlano senza che la medesima sia diffusa tra i partecipanti? Viene il sospetto che allora sia l’esatto opposto: che il bello debba ancora venire.

TUTTI NE PARLANO, POCHI LO DETENGONO

Nel mondo esistono soltanto 21 milioni di conti denominati in Bitcoin (in inglese “wallets”), certificati dai registri ufficiali (in inglese “ledgers”)che si scambiano la cripto valuta e condividono la tecnologia della catena di blocco (in inglese “blockchain”). Perciò è ragionevole affermare che, nonostante la sua gran notorietà, quel numero di conti in Bitcoin sia un’inezia rispetto ai 5 miliardi di persone che hanno oggi almeno un conto corrente bancario.

Si stima che il valore complessivo dei mezzi di pagamento (il cosiddetto aggregato monetario “M1”, oltre evidentemente all’oro in circolazione) oggi nel mondo ammonti a qualcosa come 40.000 miliardi di dollari (di cui solo 3.500 miliardi di dollari sono il valore dell’oro) ed è un dato di fatto che una quota crescente di transazioni stiano iniziando a passare dalla rete internet e dal commercio elettronico. Se parallelamente a tale trasferimento degli scambi dal mondo fisico a quello virtuale anche una parte del valore dei medesimi sarà denominato in Bitcoin, se anche solo il 10% di quella cifra si trasferisse in Bitcoin, essa ammonterebbe alla mirabolante capitalizzazione complessiva di 4.000 miliardi di dollari, cioè quasi 14 volte l’attuale valore complessivo di 287 miliardi di dollari del bitcoin al prezzo attuale di 17.000 dollari. Questo risultato -data la rigidità dell’offerta, che non può essere aumentata- porterebbe il valore del Bitcoin a 235.000 dollari (14 volte quello attuale).

L’ipotesi del 10% è in realtà conservativa, mentre ovviamente il nesso logico fra l’incremento dell’ e-commerce e quello dell’utilizzo di Bitcoins non è scontato. Tuttavia si stima che le oltre 1.6 miliardi dì persone che hanno fatto acquisti online a fine 2017 diventeranno 2,14 miliardi a fine 2020, mentre l’ammontare complessivo degli acquisti online cresceranno più rapidamente: si stima che passeranno

da quasi 2.800 miliardi di dollari nel 2017 a quasi 4.500 nel 2021. Nel sud-est asiatico le vendite online sono già divenute il 12,1% delle vendite al dettaglio, mentre sono ancora poco più dell’8% in Europa e Stati Uniti.

 

RISPONDE A ESIGENZE INELUDIBILI

Il fenomeno delle criptovalute ha comunque delle profonde ragioni di esistere (e sulle quali si sono scritte milioni di pagine) e la sua tecnologia, esattamente come ogni altra tecnologia -una volta che è stata inventata- non è possibile cancellarla. Nonostante dunque che oggi qualcuno, allettato dai grandi guadagni realizzati così rapidamente, decida di vendere la sua cripto valuta e (ancor più raramente ) lo faccia chiudendo il suo conto in Bitcoin, è facile predire che invece, nel complesso, la diffusione della cripto valuta più diffusa nel mondo prosegua inevitabilmente e che, in tal caso, il suo prezzo non possa che salire, a causa dell’impossibilità di espanderne l’offerta.

Le cripto valute stanno infatti iniziando ora ad aprire le porte di un gigantesco mercato potenziale che è quello delle valute virtuali universali da utilizzare sulla rete per scambiarsi pagamenti.

Questo mercato oggi è dominato da sistemi di pagamento -come ad esempio PayPal- denominati in una o più valute pregiate (Euro, Dollari, Yen o Renminbi, ad esempio) che non solo sono soggette a restrizioni nella circolazione e alla tassazione, ma in più non potranno mai avere la medesima funzionalità delle cripto valute per tutto il resto del mondo (i miliardi di persone che vivono nei paesi emergenti) le quali non trovano particolarmente comodo detenere a casa loro conti in valuta pregiata per comprare o vendere su internet.

UNA RISERVA DI VALORE

Le cripto valute assolvono inoltre in modo originale e, forse, insostituibile, ad una seconda funzionalità: sono una riserva di valore, un po’ come l’oro o i diamanti. Ma a differenza dei tipici beni-rifugio, la loro offerta sul mercato non è manovrabile dalle istituzioni, non può essere aumentata, e la loro detenzione non può essere vincolata dalle autorità di nessun tipo. L’argomento appena citato può non risultare così importante agli occhi di un cittadino contemporaneo americano o europeo, abituato a contare sui propri diritti di proprietà e su sistemi di circolazione del denaro più o meno liberalizzati, ma diviene una qualità fondamentale per tutti gli altri -molti miliardi di persone- che vivono altrove.

 

L’infrastruttura che è nata negli ultimi cinque anni e che si è diffusa nel mondo per registrarne gli scambi non solo è di per se il “pezzo pregiato” che fa del Bitcoin una vera perla (tant’è che persino la IBM sta pensando di utilizzare la “blockchain” per certificare i dati aziendali spediti sulla “nuvola”) ma rappresenta oramai un investimento miliardario difficile da rimpiazzare e risulta inscindibile dal Bitcoin stesso.

AUTORITÀ E INVESTITORI NON LO HANNO ANCORA ADOTTATO

I mercati finanziari di tutto il mondo lo hanno riconosciuto e hanno iniziato a trattare il Bitcoin come una separata “asset class” su cui investire, consci del fatto che esso è divenuto una riconoscibile riserva di valore, ma di fatto quasi nessuno ci ha ancora investito. Quando lo faranno il suo valore non potrà che crescere. Addirittura il Giappone lo ha equiparato ad ogni altra valuta di conto quale mezzo ufficiale di pagamento. Se al momento gli altri Paesi non lo hanno ancora fatto è perché risultano infastiditi da un qualcosa che non possono controllare, ma la tendenza ad adottarla come mezzo di pagamento sembra inevitabile per scongiurare il peggio (che diventi il mezzo di pagamento universale e che possa relegare quelli ufficiali di Stato allo stesso ruolo che hanno oggi francobolli e marche da bollo) .

CONCLUSIONI

Esattamente come le carte di credito ma con una dignità e un‘ affidabilità completamente diverse, il Bitcoin risponde perciò a esigenze ineludibili e, non diversamente dalle carte di credito, nonostante che ne siano nate a valanghe, alla fine quasi solo il circuito Visa-MasterCard è rimasto quello universalmente accettato, dal momento che risulta poco utile per chiunque gestirne una pluralità. Così come su internet continuano a nascere iniziative di ogni tipo ma il motore di ricerca per eccellenza resta Google e per chiunque risulta relativamente scomodo andarne a cercare altri. In più, mano mano che l’utilizzo di Google si diffonde, risulta ancor più inutile avvalersi delle alternative. Lo stesso potrebbe valere per la più diffusa delle cripto valute, ma ciò determinerebbe -quasi automaticamente- anche un aumento di valore.

Stefano di Tommaso




IL TRIONFO DELLE CRIPTOVALUTE

Farsi un’idea del perché il BitCoin è quasi arrivato a valere 6000 dollari americani non è una cosa semplice. Tantomeno se teniamo conto del fatto che solo all’inizio del 2017 il suo valore superava appena 1000 dollari. In un mio precedente articolo dello scorso Maggio ( http://giornaledellafinanza.it/2017/05/15/la-carica-esplosiva-del-bitcoin/ ) accennavo alla difficoltà di sottoporlo a regolamentazione come pure alla probabilità che la sua quotazione sarebbe salita ancora, proprio perché la quantità in circolazione di Bitcoin è sottoposta a rigide regole e la domanda non manca.

Eppure non solo il Bitcoin è volato quotazioni che ridicolizzano ogni più recente apprezzamento delle borse valori, ma la più famosa delle criptovalute è oggi così richiesta che -visto che la sua domanda ne supera ampiamente l’offerta- stanno comparendo sul mercato così tante altre criptovalute da porsi almeno una domanda (sopra tutte le altre) a proposito di questa singolarità del mercato finanziario.

C’È DAVVERO COSÌ TANTO BISOGNO DELLE CRIPTOVALUTE?

Evidentemente la risposta è affermativa, altrimenti avremmo assistito viceversa ad un numero infinito di tentativi senza successo e le quotazioni di quelle più famose non sarebbero arrivate oggi alle stelle. Oltre al Bitcoin infatti vediamo l’Ethereum, il Ripple, il Litecoin e qualcosa come altre 1700 criptovalute comunemente censite.

Ecco di seguito un elenco delle prime 100 in ordine di capitalizzazione complessiva.


UNA VERA E PROPRIA “ASSET CLASS”

Il fatto però che in totale la somma dei valori di queste criptovalute in circolazione arriva a oltre 170 miliardi di dollari significa che qualcosa è cambiato.

Non si tratta più di un interessante esperimento, bensì di una nuova vera e propria “Asset Class” per gli investitori.

Ecco qui sopra un paragone (nemmeno troppo aggiornato, visto che nell’immagine qui riportata la capitalizzazione delle criptovalute arrivava “solo” a 163 miliardi). In teoria quindi questa “asset class” ha già scalato altre posizioni tra I titoli più capitalizzati a Wall Street.


Il fenomeno della diffusione esponenziale delle monete digitali è oramai sulla bocca di tutti, ma il vero boom è arrivato solo a partire dall’inizio del 2017, dal momento che prima di quella data i valori in gioco erano quasi ridicoli. Ecco ad esempio un grafico dell’andamento delle quotazioni delle prime 10 divise digitali: se escludiamo il Dash e l’Ethereum si vede subito che per tutte le altre le quotazioni non sono salite altrettanto velocemente (e solo a partire da inizio anno).


COS’È CAMBIATO?

Dunque cosa è cambiato nel contesto generale dei mercati finanziari perché si è accesa questa nuova stella? Per rispondere a questa domanda non è evidentemente sufficiente parlare del trionfo di internet, dell’esplosione del commercio online, né dell’incremento delle quotazioni di quasi tutti I listini azionari del mondo, perché l’ampiezza del fenomeno non è paragonabile a nessuno di questi fatti, sebbene indubbiamente ciascuno di essi (e molti altri) abbiano contribuito al successo delle criptovalute.

Qualcos’altro perciò ha dato fuoco alle polveri. Probabilmente tra I fattori di contorno è stata presa in considerazione la riservatezza del loro possesso. È virtualmente impossibile infatti darne la caccia ai possessori e l’accesso al denaro criptato può avvenire -senza costi- da qualsiasi internet bar del pianeta. L’incremento dell’interscambio internazionale e la possibilità di non essere tracciati nella titolarità dei movimenti finanziari ne ha fatto una cuccagna per gli agenti segreti, I trafficanti di materiale illecito, gli evasori fiscali e tutti coloro che subiscono restrizioni alla circolazione dei propri capitali.

LA RISERVATEZZA

Ecco però, forse è proprio quest’ultima caratteristica (non essere soggette ai controlli sulla circolazione dei capitali) quella che ha fatto la differenza. L’economia cinese, si sa, da tempo cerca di tenere sotto controllo il deflusso di capitali, anche perché la svalutazione programmata del Renminbi è oggetto di grande attenzione da parte del Governo centrale. La Cina sarebbe infatti diventata la prima economia al mondo (Inntermini di P.I.L.) già nel 2012 se non fosse stato per il fatto che la classifica si fa in dollari e che da allora ad oggi il Renminbi è stato pesantemente ridimensionato. Sembrerebbe infatti che buona parte dell’ascesa dei valori in gioco nelle criptovalute abbia origini nel sud-est asiatico.

Certamente le criptovalute per definizione non hanno territorio, né subiscono limitazioni nei loro movimenti dentro e fuori delle maggiori economie del mondo. Sicuramente la recente maggior diffusione ha contribuito a dare fiducia a questo strumento ribaltando la precedente ritrosia ad affidarsi a circuiti poco trasparenti. Gli esperti però garantiscono che la trasparenza non manca al sistema che presiede alla loro registrazione: la “blockchain”. Anzi! È molto più sicuro di qualunque altro proprio perché nessuno lo controlla.

MEGLIO DELL’ORO


Molti hanno paragonato le criptovalute ad altri beni rifugio, primo fra tutti il principale tra di essi: l’oro. Il paragone non è fuori luogo. Ma c’è un’importante differenza: la quantità in commercio dell’oro è controllata dalle banche centrali, che ne posseggono una forte quota del totale di loro forzieri. Dunque il prezzo dell’oro è controllabile. Quello delle criptovalute invece dipende solo dalla domanda e dall’offerta. E probabilmente l’ascesa dei prezzi è funzione del combinato disposto di domanda a fini protettivi, riservatezza, assenza di fiscalità sui guadagni in conto capitale, offerta limitata e non manovrata che l’ondata di capitali in fuga dalle borse (giudicate troppo care) a caccia di strumenti di investimento alternativi. I valori sono esplosi anche perché l’offerta di criptovalute è direttamente dipendente dalla circolazione della stessa, attraverso un complicato meccanismo chiamato “estrazione mineraria” (mining), anch’esso basato su regole chiare e sull’impossibilità oggettiva di infrangerle.

Con quelle regole la protezione dalla diluizione del valore intrappolato nelle criptovalute è praticamente assoluta. E allora ecco che ci avviciniamo a farci un’idea delle ragioni dell’ascesa: niente costi di trasporto, niente rischi di detenzione, niente tasse e niente controlli. Le criptovalute nascono con la caratteristica di adattarsi perfettamente al contesto generale del commercio elettronico senza frontiere. Soprattutto quando riguarda oggetti smaterializzati (come I titoli azionari) o servizi di ogni genere, digitalmente forniti.

UNICI NEMICI: GOVERNI E DEFLAZIONE

Resta però il rischio (Non banale a questi livelli) che l’aereo che si è alzato in volo torni a terra: che l’interesse verso tali strumenti arrivi a rarefazione, vuoi per normative al riguardo vuoi per qualche altro fattore come un ritorno della deflazione, che spinge al ribasso le quotazioni dei beni rifugio e incita gli investitori ad andare a cacciare rendite “sicure”, al riparo dal calo generalizzato delle quotazioni. Se dovesse affacciarsi all’orizzonte nuovamente uno scenario di Stagnazione Secolare come quello dipinto da Larry Summers (http://larrysummers.com/2016/02/17/the-age-of-secular-stagnation/) in un famoso intervento del 2016 è possibile che il contesto generale, oggi così favorevole alla diffusione delle criptovalute, possa mutare radicalmente. La sensazione però è che un tale scenario non sia dietro l’angolo.

Stefano di Tommaso