ANCORA UN TRANQUILLO AGOSTO DI PAURA

I mercati finanziari sono rimasti (quasi) calmi in tutta la prima metà del 2018. Un anno un po’ speciale dal punto di vista geopolitico perché è con il suo arrivo che Trump si è sperticato nell’instaurazione forzosa di una sorta di “nuovo ordine mondiale” nei rapporti dell’America con gli Emirati del Golfo Persico, la Turchia, la Siria, la Germania, la Cina, la Corea del Nord, la Russia e persino con l’Italia del nuovo corso.

 

Il 2018 è stato anche l’anno in cui il macchiavellico presidente americano sul fronte interno vede i risultati (positivi) della coraggiosa riduzione delle tasse, ma sul fronte esterno con altrettanto coraggio ha scatenato una ventata senza precedenti di nuove tariffe doganali e di conseguenti nuovi accordi commerciali globali (come quello appena stretto con l’Unione Europea), oltre che aver decretato il sostanziale abbandono di numerosi organismi sovranazionali per far posto ad accordi bilaterali e persino la rinegoziazione (poco spontanea) degli accordi NAFTA.

L’intenzione di Trump sembra quella (positiva) di voler costringere tutti a riequilibrare la bilancia commerciale con gli USA, ma per ora ha ottenuto risultati (parziali) quasi solo con l’Unione Europea e con il Messico, mentre sembra molto più difficile riuscire a piegare la Cina e il Canadain tal senso. Nel frattempo i mercati finanziari soffrono dell’incertezza che ne deriva per le sorti della crescita economica globale.

IL PANORAMA GEOPOLITICO

Un anno un po’ speciale il 2018 anche per la continuazione del ciclo economico positivo globale, la ri-crescita dei tassi di interesse e dei profitti aziendali, l’avvento delle prime applicazioni dell’intelligenza artificiale, la risalita dei prezzi di gas e petrolio e, ciò nonostante, il mantenimento dell’inflazione mondiale alla soglia di guardia del 2% sono tutte ottime notizie che fanno pensare che siamo all’interno di un super-ciclo economico che non ha ancora finito di stupirci.

Anche in Italia quest’anno 2018 potrà rimanere tra quelli memorabili perché si è instaurato un governo nuovo, molto criticato dai media ma assai meno dai cittadini, molto meno propenso ad accettare ricatti e lusinghe dell’Unione Europea (in particolare sull’immigrazione selvaggia dal continente africano) e molto più favorevole all’America di Trump come alla Russia di Putin. Certo però che il rischio-incertezza che la nuova coalizione genera sui mercati rischia di far ricadere l’Italia in una nuova “trappola del debito” !

 Nemmeno per la Cina l’anno si è aperto all’insegna della tranquillità: con l’arrivo del 2018 il nuovo presidente Xi Jinping ha inaugurato di fatto un nuovo corso, molto più farcito di propaganda di quelli precedenti, nel quale per controbilanciare le tirate di giacchetta americane la banca centrale cinese ha ripreso a stampare denaro e a svalutare lo Yuan. Ma il rischio che l’economia cinese imploda sotto un eccesso di debito spaventa gli investitori che vorrebbero investire sulle imprese di quel paese.

Adesso poi è arrivata la doccia fredda del Fondo Monetario Internazionale che (finalmente) bacchetta la Germania per una condotta economica che qualche decennio addietro si sarebbe potuta definire “crumira”: troppa austerità imposta a casa propria e in Europa, eccessivo surplus commerciale e troppa asimmetria tra le dichiarazioni e i fatti. L’ironia è che nel farlo il FMI è arrivato a dare ragione a Trump, per altri versi quasi sempre su posizioni opposte!

LA LIQUIDITÀ DEI MERCATI E LA “BOLLA” SPECULATIVA

Ma soprattutto sta arrivando (forse) il momento della verità a proposito della liquidità sui mercati finanziari globali: le borse europee sono in flessione come pure quelle asiatiche, mentre quasi solo Wall Street “tiene” ma a ben vedere i soli titoli che sono rimasti sulla cresta dell’onda sono ancora una volta i più grandi tra quelli “tecnologici”. La nuova sigla che li identifica è addirittura divenuta “MAGA” (Microsoft, Apple, Google, Amazon) invece della precedente “FAANG” (ovvero Facebook Apple, Amazon, Netflix e Google).

E fino a quando la crescita di un listino azionario con migliaia di titoli quotati è sostenibile sulla sola base di quattro di essi? La Federal Reserve americana promette di continuare a far crescere i tassi anche perché considera le borse ancora sopravvalutate e non vedrebbe male una loro correzione estiva. Uno scenario non positivo dunque, sebbene nemmeno da panico.

D’altra parte di motivi per affermare che i mercati finanziari sono ancora in piena bolla speculativa ne abbiamo a bizzeffe, basta voler scegliere l’indicatore piu idoneo: dall’eccesso di rialzo (+300%) che possiamo registrare sull’indice Standard&Poor 500 all’indice CAPE (Cyclically adjusted Price/Earnings Ratio), fino all’eccesso di capitalizzazione dei titoli quotati rispetto al prodotto interno lordo (americano) e all’eccesso di valore espresso dalle blue-chips tecnologiche (i MAGA, appunto) rispetto al resto del listino azionario. Di seguito qualche grafico che lo dimostra:


NON SOLO TIMORI PERÒ

Peraltro a riequilibrare la bilancia delle aspettative verso l’alto c’è il fatto che “The Donald” attende con impazienza di trovare uno spazio di mediazione con la nuova Cina, quella risoluta sì di Xi Jinping, ma non così stupida da farne solo una questione di principio portando avanti la guerra dei dazi che inevitabilmente danneggia il suo Paese.

Basterebbe uno spiraglio in tal senso per risollevare le attese sui titoli industriali americani (ma anche europei) che sino ad oggi hanno subìto le tariffe imposte agli scambi internazionali riducendo i margini. Dal momento che il tavolo negoziale con la Cina di Xi Jinping è segreto ma è già aperto, non è escluso che questo spiraglio arrivi presto, cioè durante l’estate.

E poiché l’economia americana “tira” piu del previsto e può fare da traino anche al resto del mondo, l’eventuale fumata bianca nelle relazioni USA-Cina potrebbe addirittura catalizzare un inatteso rialzo estivo. Se così fosse anche le Borse di Londra e di Tokio ne risentirebbero positivamente e probabilmente si arresterebbe l’emorragia valutaria cinese.

Quanto a noi Europei probabilmente dovremo rassegnarci a convivere con una sempre maggiore polarizzazione dell’industria e della finanza europee sul loro naturale polo di attrazione che è la Germania, lasciando alle borse periferiche dell’Unione un ruolo sempre più marginale, e forse anche meno positivo.

D’altra parte solo in autunno si inizierà a capire se l’Euro-zona subirà finalmente un‘accelerazione nel processo di convergenza fiscale e bancaria dei singoli Stati nazionali (nel qual caso è possibile che anche le borse finiscano per convergere in una sola) o viceversa incrementerà le spinte centrifughe alimentando i nazionalismi e le autonomie.

COSA SUCCEDERÀ

La pausa ferragostana può dunque portare qualche spavento (e il rischio di nuovi “sell-off”) sui mercati borsistici soprattutto in funzione delle aspettative riguardanti eventuali segnali di stanchezza dell’economia reale (la fine del ciclo economico o una crisi importante del commercio globale) ma poiché gli strumenti “meteorologici” degli analisti finanziari non riescono a fare previsioni oltre l’orizsi te di qualche giorno, è almeno altrettanto probabile che invece possa scorrere tranquilla.

I movimenti tellurici profondi che possono portare futuri sconvolgimenti magari oggi in profondità procedono ugualmente, ma possono altresì arrivare a manifestare in superficie i loro effetti anche solo dopo un bel po’ di tempo, con l’inversione della curva dei tassi d’interesse (notoriamente premonitrice di una recessione), o l‘escalation imprevista dell’inflazione o ancora con un eccesso di rialzo del costo delle materie prime.

E’ solo questione di tempo, ma non sappiamo di quanto.
Le incertezze però inevitabilmente incombono su una pausa estiva che il mondo occidentale vive in modo difforme: da una parte l’America che per il momento vede (fin troppo) tutto rosa, dall’altra parte il resto del mondo, (sin troppo) preoccupato delle conseguenze delle minacce americane.

Stefano di Tommaso




FOOD & BEVERAGE: “L’ERA DEL BIO”

NELL’ERA DEL BIO LE SOCIETÀ DEL SETTORE PERDONO LA FIDUCIA DEGLI INVESTITORI MA NON QUELLA DEI CONSUMATORI 

Nell’ultimo anno i titoli delle grandi società quotate nel settore biologico, nonostante la notevole espansione del mercato, non sembrano beneficiare del trend positivo, ma al contrario registrano performance negative sui mercati azionari. Dall’analisi di settore dei prodotti alimentari emerge invece un boom del segmento “Bio”, descritto già da tempo come quello più dinamico nell’ambito del settore industriale (quello del “food”) forse più trainante dell’economia italiana. Proviamo dunque ad esplorarne le ragioni.

COSA SONO I PRODOTTI “BIOLOGICI”

L’agricoltura “biologica” è un tipo di agricoltura che sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, vuole promuovere la biodiversità delle specie domestiche (sia vegetali, che animali), esclude l’utilizzo di prodotti di sintesi e degli organismi geneticamente modificati (OGM). I prodotti alimentari realizzati con materie prime di tale provenienza sono detti pertanto anch’essi “biologici” (in inglese “organic food”).

Se osserviamo l’andamento delle vendite di prodotti Bio negli ultimi due anni non si può fare a meno di notare che la dinamica migliore proviene indubbiamente dal canale della Grande Distribuzione Organizzata (GDO), mentre per molte ragioni sembra perdere terreno il negozio specializzato.

Il 2017 è stato l’anno del boom della diffusione dei prodotti alimentari cosiddetti “biologici” nella Grande Distribuzione (+16,6% con un giro d’affari di circa 1 miliardo e 451 milioni). Si pensi che tra il 2001 e il 2016 le catene di supermercati con referenze “Bio” nel loro assortimento sono cresciute del 144%, con un ampliamento dell’offerta di prodotti in assortimento del 330% (grafico 1); inoltre la marca del distributore (MDD) vale il 41% del mercato complessivo del biologico nei supermercati e ipermercati :

IL DESIDERIO DI SALUTE E SICUREZZA ALLA BASE DEI CONSUMI DI PRODOTTI BIOLOGICI

In Italia il consumatore è sempre più portato ad acquisire prodotti “biologici” per due principali ragioni: salute e sicurezza. Secondo la Survey Nomisma, il 76% dei consumatori acquista prodotti “Bio” perché considerati più sicuri (di cui il 34% per la qualità e il 29% per il rispetto dell’ambiente). Nel carrello della spesa medio si registra nel 2017 un’incidenza del Bio del 3,4% (4 volte il peso che aveva nel 2000 pari a 0,7%). A livello mondiale i prodotti biologici hanno all’interno del carrello della spesa medio una quota di mercato ancora superiore: circa il 5,3% nel 2016, secondo dati elaborati dall’Organic Trade Association:

LA CRESCITA PERO’ RALLENTA

Ciò nonostante, se il valore di mercato dei cibi biologici sembra poter continuare a crescere anche in futuro, in Europa quella crescita sta rallentando già dal 2015, passando dal 13,73% a circa l’8%. Il trend di riduzione del tasso di crescita marginale pare peraltro proseguire, almeno fino al 2020 secondo le stime dei prossimi 3 anni:

In Italia il tasso di crescita dei prodotti alimentari biologici ha corrispondentemente subito un rallentamento nell’ultimo anno, seppur attestandosi su livelli alti, come è possibile notare nel grafico qui riportato: (circa il 16% di incremento delle vendite di prodotti “bio” nel 2017, contro un tasso di crescita generale del settore alimentare pari circa a 2,4%) :

Il mercato dei cibi biologici, anche se con tassi di crescita minori rispetto al passato, sta dunque vivendo la sua era di boom, trainato dalla crescente offerta del numero di prodotti e da altrettanta richiesta da parte dei consumatori. Ma non tutte le società impegnate nella produzione e distribuzione dei cibi biologici stanno passando un buon momento.

L’INDICE DI MERCATO ELABORATO DA LCF

Per supportare questa evidenza è stato da noi costruito un indice di mercato “ad hoc” del settore biologico che abbiamo denominato Organic Food Index (LCF-OFI). Esso comprende 10 fra le società più significative al mondo nel nel mercato del settore del Bio, ne rappresenta l’andamento in 5 anni (da Agosto 2013 a Giugno 2018) ed è un indice “Price Weighted”, ovvero ogni società all’interno del campione ha un peso ponderato per la sua capitalizzazione di borsa. Inoltre, al fine di fornire una visione più ampia del mercato, le società selezionate sono sia americane che europee così da ottenere un campione più eterogeneo :

L’indice di mercato LCF-OFI da noi appositamente creato mostra un andamento particolarmente altalenante ma comunque in crescita fino al 2015, per poi mantenersi relativamente stabile dal 2016 dopo una decrescita :

La situazione è molto meno rosea se si confronta l’indice globale MSCI che riporta l’andamento medio delle borse di tutto il mondo con l’indice di mercato LCF-OFI appositamente creato (grafico qui sotto riportato). Partendo infatti da una base pari a 10.000 per entrambi gli indici, attraverso le variazioni percentuali gli andamenti si discostano in modo evidente fino a riportare trend opposti a partire dal 2016 :

Quindi anche se il mercato del cibo biologico è in crescita (seppur con tassi marginali che rallentano) la capitalizzazione di borsa delle grandi società quotate attive nel comparto dei cibi biologici dal 2016 sembra aver perso la fiducia non tanto dei consumatori quanto degli investitori, che non premiano le società considerate per i loro valori fondamentali. Si è registrata nel medesimo periodo in particolare una complessiva crescita dei ricavi (+5%) e dell’EBITDA (+3,7%). Cerchiamo allora di comprenderne le ragioni.

PERCHÉ LE BORSE VALORI NON PREMIANO L’ “ORGANIC FOOD”

L’iniziale boom delle società specializzate nella produzione o distribuzione di alimenti biologici è dovuto principalmente al fatto che successivamente alla crisi del 2007 i player di più grandi dimensioni (con più linee di prodotto e quindi non focalizzati esclusivamente sul bio) hanno abbandonato il mercato, in quanto nel periodo in questione i consumatori hanno ridotto la spesa per prodotti a maggior valore aggiunto, come quelli biologici. Alla ripresa della crisi, il mercato si ritrova così dominato dai pochi player rimasti attivi e specializzati nel biologico, i quali hanno visto impennarsi le proprie vendite.

Dunque, cosa ha portato le grandi società quotate specializzate nel bio a perdere la fiducia degli investitori? A seguito del grande successo del bio nel quinquennio che va dal 2010 al 2015, un numero crescente di player è entrato nel mercato, compresi grandi colossi come Danone, General Mills, Campbell Soup Company, Conagra Brands e Amazon, attraverso l’acquisizione di brand specializzati nel settore. Di conseguenza, l’andamento delle minori società quotate con focus sul bio ha cominciato a peggiorare drasticamente in funzione della maggior concorrenza.

Secondo una ricerca condotta da Mike Alkin (The Stock Catalyst Report), i consumatori di prodotti biologici tendono a preferire i piccoli punti vendita locali, e a diffidare dai maggiori brand. I grandi produttori sarebbero però avvantaggiati dal crescente interesse della grande distribuzione verso il biologico (vedi Walmart, Kroger e Costco) a discapito dei supermercati specializzati.

Secondo una ricerca condotta da Bio Bank infatti, oggi oltre il 90% dei prodotti certificati Fairtrade oggi passa dagli scaffali dei supermercati. Questo va a vantaggio dei piccoli produttori e agricoltori, che hanno trovato più possibilità di guadagnarsi spazio per i propri prodotti sugli affollati banchi della grande distribuzione.

NEL “BIO” PICCOLO E’ BELLO !

Per un breve periodo quindi le più grandi società quotate attive nel biologico hanno visto un boom in termini di consumo e di quotazioni di borsa, ma poi il trend è recentemente cambiato, confermando invece vincitori i piccoli operatori non quotati produttori di cibi biologici.

Si pensi infatti che nel 2016 più del 10% dei 200 ETFs lanciati nell’anno sono stati investiti in tecnologie o in “organic farming” come Janus Capital che ha lanciato The Organics ETF.

In definitiva i “Winner” sono “piccoli”, “locali”, “produttori” e Amazon che, acquistando nel 2017 l’americana Whole Foods Market, si è assicurata oltre a 460 punti vendita fisici di prodotti biologici anche la piattaforma strategica di acquisto di cui Whole Foods gode, ha scelto di porsi all’inizio della filiera in rapporto diretto addirittura anche con i produttori di frutta e verdura.

 

Jessica Foglietti

Pia Pedota

Stefano di Tommaso




LA LOCOMOTIVA AMERICANA TORNA A TRAINARE IL RESTO DEL MONDO

Chi aveva previsto negli Stati Uniti d’America un ciclo economico positivo alle sue ultime battute come minimo ha sbagliato i tempi ! Il secondo trimestre del 2018 segna per l’amministrazione Trump un clamoroso successo in termini di crescita economica (+4,1%) disoccupazione (ai minimi da 17 anni), investimenti (cresciuti al tasso annuo del 7,3% dopo essere aumentati dell’11,5% nei primi tre mesi del 2018) ed esportazioni (+9,3%). Per non parlare poi dei consumi, saliti quasi altrettanto (3,9%), con un’inflazione che invece non si infiamma (ritornata al 2% dal 2,2% precedente) nonostante l’incremento dei salari e dei risparmi.

 

La crescita economica del primo semestre era un dato cruciale per il governo americano dal momento che i critici del drastico taglio delle tasse sancito a fine 2017 scommettevano che non avrebbe fatto altro che favorire le classi più agiate, incidendo poco o nulla sull’economia reale. Il clamoroso successo riportato a proposito dello sviluppo economico controbilancia invece le numerose critiche giunte da tutto il mondo a proposito della modalità aggressiva con la quale il governo americano sta cercando di sostituire i precedenti accordi commerciali con il resto del mondo, giudicati sfavorevoli e rischiosi di portare il commercio mondiale alla paralisi a causa delle guerre tariffarie.

ANCORA AMPIO IL DIVARIO TRA RICCHI E POVERI

In realtà il divario tra classi agiate e classi povere resta molto ampio in America: il taglio fiscale non ha certo favorito direttamente la la ricchezza di queste ultime, ma la forte ripresa dell’occupazione conseguente alla ripresa degli investimenti produttivi ha ravvivato la loro speranza di una forte crescita economica che alla fine arrivi a migliorare il tenore di vita dell’uomo della strada. La scommessa di Trump è perciò quella vederla continuare per di creare le basi per un incremento del gettito fiscale complessivo più di quanto il taglio delle tasse lo riduca.

Ora che i numeri appaiono confortanti gli occhi sono però puntati alle prospettive dell’intero anno 2018 perché l’obiettivo di Trump va raggiunto in fretta: se la tendenza al rialzo del Prodotto Interno Lordo (P.I.L.) si confermerà e le aspettative di molti operatori economici di entrare presto in recessione saranno rimandate a data da destinarsi, allora è più probabile che le elezioni di medio termine che si terranno in autunno in America non risultino nella disfatta che i più ancora temono per il partito del Presidente.

IL RILANCIO DEGLI INVESTIMENTI INFRASTRUTTURALI

Il termometro politico americano interessa anche tutto il resto del mondo perché il prossimo passo dell’amministrazione Trump è (come da programma) quello di favorire il rilancio degli investimenti infrastrutturali, cosa difficile da realizzare mentre si espande il deficit di bilancio, a meno di non mantenere una forte maggioranza al Congresso. Ed è evidente che se ciò fosse, la riuscita della manovra risulterebbe più probabile, ponendo le basi per ulteriori stimoli all’economia reale.

Per quale motivo ciò interessa tutto il resto del mondo? Perché la crescita dei consumi americani (dall’alto di un P.I.L. che ha superato i ventimila miliardi di dollari) è ancora oggi il primo traino delle esportazioni di beni di consumo prodotti in Asia, la cui dinamica è a sua volta essenziale per le esportazioni europee di impianti, macchinari e beni di lusso. E se l’America dovesse riuscire a rilanciare i grandi progetti infrastrutturali promessi da Trump in campagna elettorale, allora anche le esportazioni europee ne beneficerebbero.

 

In realtà gli investimenti infrastrutturali in America sono principalmente finanziati cn capitali privati e stanno già decollando approfittando dei tassi bassi e della forte liquidità in circolazione: +13,3% nell’ultimo trimestre e +13,9% in quello precedente! Dunque l’effetto-traino della locomotiva americana c’è già, e non è indifferente!

Rimane invece debole l’andamento delle costruzioni residenziali (-1,1%), sintomo del fatto che il maggior benessere non ha ancora raggiunto le classi più povere della popolazione.

Quest’ultimo dato (quello della capacità di spesa della popolazione) è infatti al tempo stesso il più sensibile dal punto di vista del consenso politico del Presidente ma anche il meno scintillante della serie, dal momento che il reddito medio famigliare, dopo l’inflazione, è cresciuto nell’ultimo trimestre “soltanto” del 3,9%, contro il 3,6% di quello precedente, mentre il tasso di risparmio è cresciuto del 6,8%, in lieve calo rispetto al 7,2% precedente.

Neanche a dirlo, con tali numeri noi Italiani ci leccheremmo i baffi..!

Stefano di Tommaso




FACEBOOK È SOTTO SCHIAFFO

Mi sono risvegliato da un brutto sogno: accendo la TV e vedo che FB ha perduto in poche ore il 24% della sua capitalizzazione di borsa, cioè circa 140 miliardi di dollari! Allora mi sono chiesto: “cosa succede”? E la risposta l’ho trovata, ma è molto triste.

Innanzitutto FB è sempre stato un titolo performante in borsa: negli anni ha abituato tutti gli analisti finanziari che coprono il titolo a battere sistematicamente le loro stime. A partire dai ricavi, cresciuti significativamente anche al 30 giugno scorso:


Per non parlare del numero di utenti attivi (tanto mensili quanto giornalieri):


Era anche questo il motivo per cui le azioni di FB erano cresciute del 35% dallo scorso 25 Aprile (oltre al fatto che il mercato continua a scommettere sull’intero comparto dei FAANG: Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google). Ma questa volta l’EBITDA non è stato così soddisfacente :

Per non parlare del Flusso di Cassa :


COSA È SUCCESSO DUNQUE?

Come mai un’azienda che cresce nonostante abbia raggiunto lo strabiliante numero di 1,5 mld di persone iscritte in tutto il mondo “peggiora” improvvisamente i suoi risultati? (in realtà soltanto un po’ meno brillanti di quanto previsto). Beh, innanzitutto bisogna tener conto della saturazione del mercato: un’azienda che è riuscita ad avere tra i suoi iscritti praticamente ogni utente adulto utilizzatore abituale in America ed Europa, ci mette più tempo per sviluppare la propria penetrazione in altri mercati, dove esistono peraltro fieri concorrenti (come la Cina di Tencent, il Giappone di Line o la Federazione Russa di Odnaklassiki oggi VKontact)!

La risposta sta però soprattutto nel volume di spese per investimenti che, a seguito dei diktat delle Autorità Pubbliche (e dei “media” invidiosi) relativi a vigilare sul pericolo delle “fake news” (“false” notizie, cioè non supportate dal “consenso” degli altri media) e dell’uso improprio dei dati personali, Facebook è stata costretta ad effettuare a un ritmo sempre crescente, per poter dimostrare la sua buona fede nei sistemi che sono in grado dì individuare “contributi” non ortodossi da parte dei propri utenti:


Lo stesso vale per le spese del personale dipendente, cresciuto del 47% in un anno quasi solo per lo stesso motivo: verificare e monitorare i “post” dubbi della propria clientela! Un esercito di nuovi sceriffi assunti perché costretta a dimostrare di essere in grado di controllare quello che gli utenti dicono! Come direbbe qualche noto politico italiano: praticamente il costo del bavaglio a Internet!

Infine ci sono stati i recenti scandali, dove è apparso che Facebook vendeva i dettagli dei profili dei propri utenti agli utenti della propria pubblicità (vende solo quella) che sicuramente hanno allontanato molti inserzionisti, in particolare in America, che è per FB il mercato più maturo.

MAI MANCARE DI RISPETTO AL “POTERE”

Il che dimostra che -chiunque tu sia- quando sottrai risorse pubblicitarie al quinto potere: il “mainstream” di tv e giornali (vero peraltro solo in parte, visto che il 91% dei ricavi provengono da inserzioni pubblicitarie rivolte agli utenti dei dispositivi “mobili” cioè i telefonini) e soprattutto lasci che la gente scriva ciò che vuole invece di quello che il mainstream vorrebbe che dicesse, poi non ti stupire se i “media” che lo compongono arrivano ad infangarti a dovere! Faccia-libro è chiaramente un “media” alternativo e per questo motivo è sotto schiaffo. E la grande finanza non ne è la vittima, bensì il carnefice.

Stefano di Tommaso