IL SEGRETO DEL SICURO SUCCESSO DELL’IPHONE X

Non c’è bisogno di consultare i testi sacri della microeconomia e del marketing per rendersi conto del concetto di “consumo cospicuo” (ovvero quel genere di spesa che si fa più per mettersi in mostra che per una reale utilità) eppure noi uomini razionali continuiamo a stupirci nell’osservare il fenomeno in natura: più il prezzo sale piu l’appetibilità cresce!

 

Apple ha giocato anche questa volta una partita decisamente rischiosa innalzando ancora il prezzo del suo prodotto di punta: il telefonino del decimo anniversario (da cui prende il nome: X in numeri degli antichi romani è un 10, concetto ovvio per l’americano medio, meno per noi che ne saremmo I discendenti) perchè la concorrenza asiatica è decisamente agguerrita quanto a prezzi e prestazioni, eppure sembra averla vinta ancora una volta, a giudicare da numeri e fatti delle ultime ore! Non per niente il titolo azionario ha raggiunto in borsa una nuova vetta nella capitalizzazione, battendo tutti I records e tutti I concorrenti!

Nell’interpretare correttamente l’arena competitiva in cui si trova, Apple ha scelto di giocare la carta della sua superiorità tecnologica per poggiarla su una piattaforma di “lusso percepito” che non ha eguali: è evidente che chi può permettersi un telefonino così avanzato esprime indirettamente uno status symbol. E gli status symbols, si sa, non hanno prezzo.

LA NASCITA DEL MITO

Una serie di fattori incidono sulla “creazione del mito”: l’attesa spasmodica (è arrivato mesi dopo la sua presentazione), il prezzo elevato, le nuove funzionalità (seppur relativamente poco essenziali), l’inconfondibilità e persino un pizzico di eccentricità. Se aggiungiamo che a farlo è una delle aziende che più ha giocato la carta dell’affezione al brand da parte dei suoi clienti, ecco che la ricetta è completa: un nuovo mito è nato! E poi, anche questo si sa, se il suo prezzo è elevato la gente tende ad attribuire all’oggetto maggior valore, generando un processo opposto a quello teorizzato dalla microeconomia che ipotizza (sbagliandosi) l’esistenza dell’ “homo oeconomicus” (che si presume razionale) : più il suo prezzo sale più sale il suo desiderio.

Io personalmente non credo che lo acquisterò mai, perché sono più interessato ad altri aspetti di strumenti come il telefonino quali ad esempio l’ampiezza dello schermo (ne esistono anche da 6 pollici e mezzo) o la durata della batteria, ma devo ammettere che la ricetta del nuovo cavallo di battaglia è oggettivamente vincente ed è inoltre profondamente coerente con la filosofia Apple da un decennio a questa parte: la perfezione dell’oggetto, la sua esclusività, un prezzo decisamente superiore alla media, l’innovazione.

L’IMPORTANZA DELLO SMARTPHONE

Viviamo inoltre in un mondo estremamente interconnesso nel quale il telefonino è divenuto un oggetto essenziale della nostra vita quotidiana, molto più di quanto potesse già esserlo pochi anni fa. Oggi le funzionalità di messaggistica, di collegamento ai numerosi social network, di partecipazione alle chat e soprattutto alle “communities” come quella di Waze per gli automobilisti, sono divenute una componente essenziale della nostra vita, per non parlare delle mail: se dopo qualche minuto che ce ne hanno inviata una non rispondiamo prontamente siamo arrivati all’assurdo di avere buone probabilità di lasciare offeso qualche nostro amico o collega!


È probabilmente un’esagerazione ma è anche la dura verità: noi di quel piccolo computer palmare che, tra le altre cose, effettua anche telefonate, non possiamo più fare letteralmente a meno, nemmeno quando ci rechiamo alla toilette! E dunque esso è parte della nostra vita, della nostra immagine, dell’idea che proiettiamo di noi. Penso anzi che per un motivo molto simile tanta gente abbia scelto di indossare uno smartwatch: per sottolineare l’aspetto più moderno della propria persona. E se lo smartphone è diventato parte della nostra vita, allora cosa vuoi che siano 1000 (o più) Euro ? E’ una spesa che ammortizziamo molte molte volte al giorno per 365 giorni del nostro anno.

APPLE FA BENE A FARLO PAGARE CARO

Morale: Apple fa bene a farci pagare caro quel nostro voler apparire aggiornati, tecnologici e interconnessi! E se il telefono incorpora qualche importante innovazione come il “riconoscimento facciale” ecco allora che ne vale anche la pena o quantomeno troviamo una giustificazione para-razionale alla spesa. Ma la verità è che anche per questo Iphone (come per i suoi predecessori) la maggior parte della gente non saprà nemmeno come utilizzarne le funzioni avanzate. Si limiterà a metterlo in mostra. In fondo è un oggetto unico e ancora piuttosto raro. Giusto, no?

Stefano di Tommaso




IL BOOM DEGLI IPO IN BORSA È DESTINATO A PROSEGUIRE CON LO SGRAVIO DEI COSTI DI QUOTAZIONE

Il 2017 rischia di passare alla storia del nostro paese come l’anno del rilancio economico italiano. Non solo le aspettative di crescita del prodotto interno lordo sono ancora una volta al rialzo (adesso si parla di un +1,5%) ma soprattutto non sembra un fuoco di paglia come è stato più volte in passato dopo la grande crisi. La conferma della svolta proviene soprattutto da altri indici, più significativi per il mondo delle imprese, come quello della produzione industriale che spicca in ottobre a un +4% su base annua. Il 2017 verrà ricordato come l’anno delle quotazioni in borsa: già 30 Initial Public Offerings (IPO) sino ad oggi (di cui 17 all’AIM) e si stima ben 40 entro fine anno tra le quali la più grande IPO d’Europa nel 2017: il ritorno in Borsa della Pirelli, che da sola ha collocato titoli per €2,3 miliardi!

La borsa italiana non si è fatta sfuggire l’opportunità di cogliere la ripresa economica e, un po’ per il traino degli altri mercati finanziari internazionali, un po’ per effetto del positivo andamento dell’industria, i suoi livelli sono cresciuti ben più che proporzionalmente: del 20% da inizio 2017 e di ben il 40% da un anno fa ad oggi.

INDICE FTSE MIB BORSA ITALIANA NELL’ULTIMO ANNO

Ancor meglio è andata per l’indice di borsa relativo al comparto delle piccole e medie imprese: +23% da inizio 2017 (anche se la variazione da un anno ad oggi è stata meno significativa di quella dell’intero mercato:+30% da un anno fa ad oggi). L’Alternative Investment Market (AIM) è il segmento di Borsa Italiana dedicato alla quotazione delle piccole e medie imprese. Esse valgono (capitalizzano, si dice in Borsa) in media 52 milioni e con l’operazione di quotazione hanno raccolto mezzi freschi in media per 5,3 milioni.

INDICE FTSE AIM BORSA ITALIANA NELL’ULTIMO ANNO

Sicuramente però -complice il più che positivo andamento degli indici- il dato più significativo della svolta che il nostro paese ha marcato nel 2017 è quello del gran numero di imprese piccole e grandi che hanno deciso di varcare la soglia della Borsa. Non solo le 40 imprese che entro fine anno l’avranno già fatto, ma soprattutto il numero di quelle che hanno deciso di farlo prima o poi: quasi 400 imprese si sono già iscritte infatti al circuito Èlite della Borsa Italiana, un percorso di conferenze e confronti che tende a preparare le “matricole” al grande passo. Una vera e propria rivoluzione se si quotassero tutte, che porterebbe al raddoppio le attuali dimensioni del listino milanese!

Una parte del merito va tuttavia ascritta alla normativa dello scorso anno sui Piani Individuali di Risparmio che hanno già portato alle imprese italiane la bellezza di €10 miliardi di denaro fresco! Sei volte quanto previsto al momento del varo della legge (€1,5 miliardi per quest’anno). Una manna che ha favorito non poco la liquidità dei listini, in particolare dell’AIM.

La quotazione in Borsa porta indubbiamente una serie di vantaggi, a partire dal denaro fresco che affluisce stabilmente in azienda (non bisogna infatti restituirlo né pagarne gli interessi ma casomai remunerarlo -nel tempo e solo qualora non vi siano opportunità migliori- con una politica di dividendi).

In alcuni casi tuttavia il passaggio può risultare traumatico quando l’azienda non è pronta o la governance non è chiara o, peggio, la contabilità non è trasparente e veritiera. Il percorso di adeguamento alle esigenze degli investitori che sottoscriveranno i loro titoli quotati in borsa passa innanzitutto dalla capacità di esprimere un buon piano industriale, un’ottima strategia di accrescimento del valore d’impresa e un controllo significativo dei rischi del business.

La vera novità però deve ancora arrivare (e ci si augura che si trasformi in altrettanto interesse per la quotazione in borsa), perché sono state inserite nella legge finanziaria del 2018 (in approvazione entro fine anno) nuove misure per favore la quotazione in Borsa delle PMI: un credito d’imposta pari al 50% dei costi di consulenza legati alla quotazione (con un tetto di €500mila) e un ampliamento della normativa sui P.I.R.

Dal momento che il costo medio delle operazioni legate alla quotazione storicamente si attesta sugli €800mila (€500mila per advisory, revisione, diligences e oneri vari oltre a €360mila per il collocamento dei titoli per l’importo medio di €7,3milioni), ecco che lo stanziamento previsto, €30 milioni, sembra sufficiente a coprire l’operazione per almeno 60 nuove imprese che rientrano nella definizione di PMI: non più di 250 dipendenti, 50 milioni di fatturato e 41 milioni di attivo di bilancio. Sarebbero il doppio di tutte le IPO del 2017 sino ad oggi e quasi il quadruplo delle di quelle che sino ad oggi si sono quotate all’AIM. !

Insomma tra la normativa sui mini bond, quella sui P.I.R. e quella sulle quotazioni in borsa, bisogna dare atto a questo governo di stare facendo molto più di quelli che lo hanno preceduto per ridurre la dipendenza delle imprese dalle disponibilità di credito del sistema bancario. Chissà che il famoso “dito” di Maurizio Cattelan (il cui nome è L.O.V.E. , acronimo di libertà, odio, vendetta ed eternità) che svetta in Piazza Affari e che tante polemiche aveva suscitato al momento dell’installazione (qualcuno lo aveva definito un invito al risparmiatore italiano a metterselo dove meglio credeva) non abbia invece profetizzato l’attuale rialzo delle quotazioni per le sorti del mercato nostrano dei capitali?

Stefano di Tommaso




QUASI MEZZO MILIARDO DI DOLLARI PAGATO PER LA STARTUP DI DUE ITALOAMERICANI, DOCENTI AL M.I.T.

Emilio Frazzoli, professore di ingegneria aeronautica e astronautica al famosissimo Massachusetts Institute of Technology e un altro professore dello stesso Istituto, Carlo Iagnemma, a capo del gruppo di ricerca sulla robotica dell’automazione per il settore automotive, quattro anni fa avevano fondato Nu-Tonomy, la classica iniziativa di spin-off universitario quale startup tecnologica per raccogliere capitali e dedicarsi ai sistemi di software avanzato per la guida autonoma dei veicoli stradali in ambienti affollati e complessi.


All’inizio dello scorso anno l’iniziativa ebbe una certa notorietà per il lancio di un servizio sperimentale di taxi-robot a Singapore basati sulla Mitsubishi elettrica Miev, poi sulla Renault Zoe. L’esperienza -di grande successo- ha permesso loro di sottoscrivere accordi di collaborazione con Uber, Grab (la rivale di quest’ultima nel sud-est asiatico) e con la stessa Renault. Successivi accordi sono stati sottoscritti con Lyft per un servizio di Robo-Taxi a Boston, Massachusetts, dove ha sede la loro società.


Qualche giorno fa la svolta: Delphi Automotive, una multinazionale americana nata come spin-off della General Motors dei primi anni ‘90 e dedicato alla fabbricazione e ingegneria della componentistica dell’automobile, li ha comprati per quasi mezzo miliardo di dollari per rinnovare il lato tecnologico della propria offerta di prodotti.

Delphi ha dichiarato che l’iniziativa è volta ad accelerare l’introduzione sul mercato di sistemi per trasformare le auto in circolazione in sistemi completamente autonomi, con l’introduzione di nuovi talenti dell’ingegneria gia presenti in azienda (2 anni fa Delphi aveva già comprato un’azienda simile: Ottamatika, spin-off di un’altra Università, la,Carnegie Mellon) fondata da due professori di origine indiana, che prometteva di immettere sul mercato I propri sistemi già dal 2019.

L’intero settore è stato sconvolto, negli ultimi tempi da investimenti miliardari delle case automobilistiche finalizzati a permettere loro di raggiungere per prime il medesimo obiettivo di sfornare veicoli completamente autonomi: Ford aveva comprato Argo Artificial Intelligence, una startup molto simile ma in stadi meno maturi di sviluppo, mentre General Motors aveva pagato un miliardo per la Cruise Automation e Toyota, forse la più avanti nel processo di sviluppo, ha già registrato qualcosa come 1400 brevetti nel campo della guida autonoma avendo assunto, qualche tempo fa, un intera squadra di professori del medesimo Massachusetts Institute of Technology. Ma nessuna di queste operazioni può oscurare il vertice raggiunto qualche mese fa da Intel, che ha pagato oltre 15 miliardi di dollari Mobileye, una società israeliana (leggi il mio articolo di Marzo in proposito : http://giornaledellafinanza.it/2017/03/14/nuovo-rilancio-nella-corsa-alla-self-driving-car/)

Stefano di Tommaso




LE BORSE DIVENTERANNO PIÙ SELETTIVE SULLA BASE DEI PROFITTI INDUSTRIALI

Il dibattito sulle iper valutazioni delle imprese, che emana dallo struggimento degli operatori delle borse valori alle prese con il più enigmatico di tutti i lunghi cicli borsistici di rialzo degli ultimi decenni, si concentra oggi sulla possibilità che, nonostante i corsi azionari abbiano superato di slancio tutti i massimi storici precedenti, in realtà i profitti delle imprese possano in futuro risultare in grado di correre ancora più in alto, giustificando dunque nel tempo ciò che oggi sembra eccessivo.

Da tempo chi scrive sostiene un’ardua tesi:gli investitori sono da troppo tempo alla ricerca di valide alternative alle scelte di asset allocation praticate sino ad oggi perché i corsi azionari attuali arrivino a sgonfiarsi in un baleno. Sebbene sinora i fatti sembrano aver dato ragione a questo assunto, se vogliamo evitare di cadere nel ridicolo con affermazioni fideistiche non possiamo che cercare delle risposte a una domanda di fondo: quali e quante imprese stanno effettivamente moltiplicando la loro redditività? Non tutte evidentemente!

Ovviamente non si può prescindere dai presupposti fondamentali che stanno pilotando da oramai otto anni la corsa al rialzo dei valori mobiliari:

  • i tassi straordinariamente bassi ma contemporaneamente la bassissima inflazione rilevata,
  • la grande liquidità disponibile sui mercati che è seguìta alle politiche monetarie espansive,
  • la “congestione dei risparmi” di un’intera generazione di “baby boomers” che si approssima alla pensione e che riversa sui mercati una domanda eccessiva di carta finanziaria,
  • l’ampiezza delle oscillazioni negative precedenti,
  • la grande ripresa economica globale in corso,
  • l’aspettativa che i profitti delle imprese continuino a moltiplicarsi.

Sebbene l’argomento dei profitti aziendali non sia l’unico a tenere alte le quotazioni borsistiche, forse esso dal punto di vista microeconomico merita qualche ulteriore approfondimento perché il dibattito in questione ha effettivamente preso corpo a seguito di un’impennata degli utili delle grandi corporation quotate a Wall Street e tutti si chiedono se, conseguentemente, c’è da attendersi la stessa impennata anche per le altre imprese nel mondo, fino alle più piccole e alle meno globalizzate (ad esempio le PMI dei paesi emergenti) e, a maggior ragione, fino a quelle meno tecnologiche.

LE SUPER VALUTAZIONI DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE

La corsa della tecnologia sembra infatti avere molto a che vedere con le iper valutazioni espresse da Wall Street: sono soprattutto i grandi colossi tecnologici e i dominatori di internet quelli che hanno pesantemente alzato la media delle valutazioni. Le quotazioni borsistiche di questi ultimi viaggiano a multipli di prezzo che superano le duecento volte gli utili. La famosa media del pollo di Trilussa è sempre in agguato dunque è ciò che può giustificarsi nel caso di quei colossi globali potrebbe non essere valido per le imprese periferiche e meno tecnologiche.

I mercati finanziari infatti, se nei prossimi giorni non esprimeranno addirittura una più o meno pesante correzione, quantomeno è probabile che proveranno a ragionare sull’ennesima “rotazione” dei portafogli azionari, allo scopo di selezionare meglio le proprie scelte e, auspicabilmente, di provare a diversificare il più possibile i rischi sistemici del possedere assset finanziari che sembrano a tutti troppo “cari”.

Ma ricordiamoci che sono molti molti mesi che i grandi investitori (e sinanco i banchieri centrali) ci ripetono la stessa solfa: l’eccesso di ottimismo che si registra nelle borse porterà presto ad una loro discesa e, dal momento che quel “presto” non arriva mai, da queste colonne nei mesi scorsi abbiamo più volte ironizzato sul tema con analogie letterarie come “Aspettando Godot” o “Il Deserto dei Tartari”! Il punto è che nessun ciclo borsistico può durare in eterno e nessun gestore di portafogli di investimento può permettersi di non chiedersi cosa succederà dopo che quello attuale si sarà esaurito.

Al riguardo c’è chi afferma con certezza che chi investe a questi livelli otterrà scarsi risultati in futuro, chi esprime una fede indiscriminata verso la crescita economica globale che supporta le valutazioni estreme dei mercati, e chi continua a scavare sul fronte della giustificazione razionale delle valutazioni elevate, per trovare non solo risposte al quesito fondamentale sopra descritto (cosa succederà “dopo”) ma anche per riuscire individuare nuove strategie di investimento o nuove ragioni per “ruotare” ancora una volta i portafogli titoli.

I SETTORI PIÙ INTERESSANTI E QUELLI MENO

Scendiamo perciò nel dettaglio dei principali settori economici:

1. Le maggiori imprese supertecnologiche (come Tesla, ad esempio) scontano nelle loro valutazioni la capacità di raggiungere risultati clamorosi in grado di ridefinire il mercato della mobilità personale e quello degli accumulatori di energia di nuova generazione. Quanto tale fiducia sia ben riposta è difficile dirlo, ma resta l’ineluttabilità del fatto che qelle imprese sembrano destinati a cambiare più radicalmente e più velocemente del previsto i loro mercati di sbocco. Casomai i dubbi degli investitori riguardano la presunzione di relativa inerzia dei produttori tradizionali di autoveicoli e sistemi di energia (tutte da dimostrare) e la presunzione di forte capacità organizzativa e industriale da parte di imprese come quella del tetragono Elon Musk di riuscire a realizzare le quantità richieste dal mercato nei tempi annunciati. Qualora le risposte a tali dubbi siano positive, quanto spazio di mercato resterebbe allora alle altre imprese che si sono buttate all’inseguimento dei leader globali? La mia personale convinzione è che non tutti gli operatori super tecnologici riusciranno infatti a tramutare le loro mirabolanti innovazioni in forti profitti e, in un mondo sempre più globalizzato, i leader mondiali di mercato sono dunque quelli più probabilmente in grado di riuscire a raccogliere i maggiori frutti della loro “brand awareness”. Perciò quanto sopra può valere tranquillamente anche per Amazon, per Google, Apple e Tencent e può dunque fornire un deciso supporto razionale alle astronomiche valutazioni di borsa che essi esprimono;

2. Le imprese invece che fondano sì i loro punti di forza sulla rete internet, ma scommettono soprattutto sulla loro capacità di moltiplicare la clientela e i profitti grazie alla mera digitalizzazione e al business che ne consegue di sostituzione delle attività tradizionali (ad esempio gli operatori dell’entertainment come Netflix quali valide alternative a quelli come Sky di Rupert Murdoch), secondo la mia umile opinione rischiano grosso: non è così scontato che i loro predecessori non saranno in grado di rinnovarsi velocemente!

3. Lo stesso può valere per i nuovi colossi del commercio elettronico come Alibaba e Zalando, che rischiano di incontrare decisi ostacoli nel loro processo di cambiamento delle abitudini della gente al riguardo della distribuzione commerciale perché l’umanità è molto conservativa se il possibile rinnovamento delle abitudini della gente non porta anche dei radicali miglioramenti nella vita quotidiana. In molti casi perciò è ragionevole porre qualche dubbio su talune mirabolanti valutazioni di titoli come Netflix laddove esse non siano congiunte a vantaggi radicali nella vita di tutti i giorni.

4. Un ragionamento invece a favore delle supervalutazioni che oggi il mercato esprime può riguardare i leaders globali nei mercati del lusso e del lifestyle, come ad esempio Ferrari o LVMH, che storicamente si sono sempre mostrati in grado di saper raccogliere la sfida del rinnovamento ma che poggiano le loro pretese di mercato su una loro potentissima “brand awareness”. Per essi l’avanzata delle economie emergenti e lo sviluppo demografico e sociale dell’umanità sono fonte probabile di ulteriori soddisfazioni rispetto ai rispettivi “follower” di mercato e per quanto pazzi possano risultare i prezzi da essi praticati, è possibile che i loro ampi margini restino sostenibili.

5. Al contrario per molte delle grandi imprese che oggi risultano leader nei settori B2B (business to business) ci sono seri dubbi circa la sostenibilità di elevate valutazioni di mercato perché ogni minima novità di mercato potrebbe propagarsi, negli ambiti professionali, alla velocità della luce.

6. Ciò può valere per le compagnie aeree, per colossi informatici come la IBM, per i giganti dell’industria di base come Thyssen o General Electric, o sinanco per i grandi (e innovativi) produttori di sistemi informatici come SAP o Oracle e persino come i grandi produttori di beni di largo consumo come Hewlett-Packard o Samsung la cui offerta commerciale non risulti tuttavia “iconica”, a prescindere da quanto capaci siano di cavalcare le innovazioni. In molti di quei settori la concorrenza dei nuovi astri nascenti provenienti dal sud est asiatico o la possibilità che nuove proposte a valore aggiunto provengano da soggetti completamente nuovi rischia di porre dei limiti alla corsa nel tempo dei loro profitti.

I CRITERI DI SELEZIONE DEI SETTORI INDUSTRIALI

La vera discriminante nell’analisi delle effettive capacità di moltiplicazione dei profitti prospettici non sembra perciò l’eccesso di valutazioni ai prezzi attuali delle maggiori imprese quotate, quanto la loro capacità di mantenere la testa della competizione nel loro settore industriale con i margini economici che ne conseguono (vedi Apple), la loro capacità di esprimere un’effettiva brand awareness globale, e soprattutto la possibilità che la loro capacità di fare business in maniera del tutto nuova possa riuscire ad estendersi a sempre nuove categorie di prodotto (vedi Amazon) mentre al contempo su quelle meglio presidiate vengono lentamente alzate barriere all’entrata dei nuovi competitors.

Al contrario in buona parte dei settori industriali rivolti al B2B e in quelli meno protetti da nicchie di mercato e situazioni fortemente localizzate nemmeno le imprese maggiori potranno mantenere il passo con le attuali valutazioni e la possibile avanzata della de-regolamentazione globale potrebbe mettere in discussione molte aziende leader industriali dei nostri giorni. Le stesse argomentazioni non lasciano purtroppo molto spazio alle supervalutazioni che le borse praticano di molte imprese troppo localizzate o troppo piccole, che dovranno affrontare difficoltà ulteriori nel reperire le risorse per la crescita dei propri profitti. Temo anzi che i fattori di sconto nei prezzi di tali imprese dovranno accrescersi.

I veri rischi degli investitori perciò non risiedono nell’ampiezza dei moltiplicatori di prezzo pagati oggi in borsa, bensì nella rispondenza di tali valutazioni alla loro capacità propulsiva a livello globale e nel cavalcare le grandi ondate di modificazione delle abitudini della gente.

Se queste considerazioni significano che in media i valori azionari sino ad oggi espressi dalle borse potranno proseguire la loro corsa o dovranno necessariamente ridursi in futuro, è materia che qui lasciamo alle personali valutazioni di ciascun lettore. È mia personale convinzione che in assenza di forti scossoni geopolitici o relativi a grandi catastrofi invece i mercati finanziari possano proseguire la loro navigazione relativamente indisturbati, ma che saranno necessariamente costretti a proseguire nel processo di selezione dei migliori asset, così come potranno beneficiare ancora a lungo della relativa calma che regna sui titoli a reddito fisso.

I fattori fondamentali all’opera oggi per tenere bassi i tassi di interesse è possibile che non verranno rimossi nel prossimo futuro. Per prevedere quello più remoto invece ci stiamo ancora attrezzando…

Stefano di Tommaso