ITALIA: L’ECONOMIA NON CRESCE QUANTO LA SPESA E IL DEBITO PUBBLICO

In occasione delle elezioni amministrative, è curioso e triste al tempo stesso notare che le prospettive economiche dell’Italia -e di conseguenza quelle di buona parte di noi- restano fortemente compresse a causa delle politiche economiche alla rovescia fatte dai Governi degli ultimi 50 anni, quello attuale compreso. Ma il segnale che giunge dalle urne alimenta la speranza di riuscire a cambiarle!

 

La crescita economica del ns Paese resta fortemente limitata, se non addirittura bloccata, a causa dell’invadenza della spesa pubblica, del debito che ne consegue, dall’assurda tassazione che esso provoca e dalla burocrazia infernale che si è stratificata. Purtroppo il nuovo salasso dei conti pubblici dovuto al salvataggio delle banche popolari venete è l’ennesimo segnale che il Governo non se ne cura.

L’ovvia affermazione ce la sentiamo ripetere da anni da ogni intellettuale che minimamente voglia far lo sforzo di comprendere l’Italia. Eppure gli Imprenditori, i Professionisti, i Lavoratori Autonomi e gli Investitori nazionali sembrano dimenticarla spesso e volentieri, assuefatti come sono nella loro sudditanza pressoché imbelle alla casta dei politici che governano e continuano a sconquassare l’ex “Bel Paese”: un termine che risale a Dante: «Del bel paese là dove ’l sì sona» (Inf. XXXIII, 80) e al Petrarca: «il bel paese Ch’Appennin parte, e ’l mar circonda e l’Alpe» (Canzoniere, CXLVI) ma che oramai dobbiamo iniziare a cancellare dal ns vocabolario.

UN DESTINO SEGNATO DALLA SPESA PUBBLICA

Non che le cose non stiano andando per l’Italia meglio di prima, e nemmeno che il Paese non abbia fatto progressi. Infinitesimi però. Mentre il destino economico dell’Italia -e, con esso, quello di buona parte di noi Italiani- potrebbe essere completamente diverso, se i politici al governo comprendessero che la spesa e il debito pubblico non possono estendersi all’infinito.

Ricordiamo alcuni numeri e fatti:

– La spesa pubblica assorbe, nel 2016, al netto degli interessi sul debito, il 42.2% del P.I.L. Dunque il costo della macchina statale, compresi gli interessi, assorbe ben più della metà di ogni centesimo del reddito lordo prodotto dai suoi cittadini andando la mattina a lavorare;

– Non stupisce constatare che negli ultimi quindici anni (cioè più o meno da quando siamo nell’Eurozona) oltre mezzo milione di Italiani abbia deciso di portare all’estero la propria residenza, oltre al fatto che un numero probabilmente ben maggiore di giovani leve lo abbia fatto senza ufficialità per apparenti motivi di studio o di temporanea esperienza oltre confine (con il dichiarato desiderio tuttavia di non fare più ritorno). Inutile ricordare che molti di essi sono i migliori, quelli che potrebbero aiutare a cambiare le cose, generare nuove imprese, innovazioni e reddito futuro;

– La crescita economica italiana degli ultimi quindici anni d’altra parte è sempre rimasta molto al di sotto di quella degli altri Paesi OCSE, mentre la spesa pubblica corrente non solo è costantemente aumentata, sia in assoluto che in rapporto al P.I.L., ma è  anzi cresciuta al netto degli interessi sul debito pubblico, quindi senza che la responsabilità dello scandalo possa essere scaricata sul passato;

– Anzi, sono proprio gli interessi sul debito ciò su cui si è più risparmiato, grazie, però, non alle scelte del governo italiano, ma a quelle della Banca Centrale Europea. Mentre i tagli pubblici effettuati ammontano a 16 miliardi nel 2015; 10 nel 2016 e 3 nel 2017 essi non hanno ridotto la spesa corrente -dal momento che il debito continua a crescere- quanto tagliato da una parte è stato più che speso dall’altra. Abbiamo di fatto tagliato solo gli investimenti!

HANNO RAGIONE GLI ALTRI PAESI DELL’U.E.

Numeri alla mano perciò, da un lato hanno ragione gli altri membri dell’Unione quando continuano a pretendere da noi un po’ di rigore, ma dall’altro il rigore noi lo abbiamo tristemente e inutilmente applicato soltanto agli investitori e ai migliori produttori di reddito, elevando continuamente la tassazione (mentre, per effetto della nota Curva di Laffer, in realtà il gettito fiscale scende). Non stupisce che siano i primi a fuggire!
Inutile ricordare che invece in tutto il resto del mondo le tasse vengono tagliate per favorire lo sviluppo e gli investimenti (e, in ultima analisi, persino il gettito fiscale!).

Come si fa perciò a non affermare che ancora una volta noi Italiani ci facciamo governare alla rovescia? È una realtà contabile dimostrata dai fatti e priva di segnali di inversione.
Una realtà che condanna le prospettive economiche delle aziende, che disincentiva le nuove iniziative, che impedisce le nuove infrastrutture, che spinge i nostri migliori cervelli a trasferirsi nel resto del mondo, che sottrae progressivamente quel che rimane dei servizi pubblici, della previdenza sociale, e persino dell’assistenza sanitaria.

SOMMERSO, ESPORTAZIONE DI CAPITALI E ILLEGALITÀ

E mentre oltre la metà del reddito prodotto nel Paese viene sequestrato dalla macchina pubblica, quelli che lo producono hanno sempre più incentivi ad alimentare l’economia sommersa, l’esportazione dei capitali e l’illegalità.
Cioè tutte quelle cose che sembravano migliorare con il nostro ingresso in Europa…  Ma è difficile dare la colpa agli altri per quel che sprechiamo!

Dovremmo “solo” cambiare radicalmente la gestione della Pubblica Amministrazione e, con essa, ogni uomo al suo governo (locale o nazionale che sia) e forse gli Italiani lo hanno capito, poiché il risultato delle elezioni amministrative va in questa direzione, a prescindere dal colore politico.
Se non ci riusciremo tuttavia nel giro di pochi anni essa non esisterà nemmeno più.

 
Stefano di Tommaso




I SIGNORI DEL CIBO E DELL’AMBIENTE

Se c’è un settore economico che tutti gli studiosi additano come il più strategico per le sorti dell’umanità nei prossimi decenni, è sicuramente quello dell’alimentazione. Le grandi aggregazioni in corso potrebbero addirittura risultare dannose all’ambiente e al progresso scientifico…

 

Quando si parla di agricoltura e cibo vengono subito in mente i 570 milioni di operatori economici che si stima siano presenti nel settore in tutto il mondo, con oltre 7 miliardi di consumatori (l’intera popolazione del pianeta). Già solo questo enorme numero esprime le possibili conseguenze di un progressivo processo di integrazione in poche forti mani. Milioni di operatori agricoli in meno nel mondo (già solo a causa della progressiva meccanizzazione delle operazioni) possono significare milioni di disoccupati.

GLI OPERATORI PIÙ IMPORTANTI

Per esplorare la portata delle affermazioni radicali che riporta questo articolo occorre tenere presente che la filiera delle produzioni chimiche, agricole, alimentari e di accessori per le loro produzioni è vastissima ed è fortemente condizionata da tre grandi gruppi economici globali:

– La prima potenza industriale nel comparto agricolo risulta sicuramente la Monsanto (il primo produttore al mondo di sementi) con un fatturato 2016 di 74 miliardi di dollari, operatore che però è in corso di fusione con la Bayer, primo produttore al mondo di pesticidi e fitofarmaci (oltre che di farmaci e prodotti chimici), che da sola è giunta alla soglia dei 55 miliardi di dollari;

– al secondo posto nell’agricoltura c’è il gruppo chimico Dow-DuPont che nel totale fattura oltre 130 miliardi di dollari;

– Alla terza posizione nel comparto agricolo il gruppo cinese ChemChina che ha appena acquisito Syngenta per 47 miliardi di dollari. Insieme questi tre operatori (tutti con fortissime radici nella chimica) controllano oltre il 60% delle produzioni globali di sementi per l’agricoltura e la sola “BaySanto” dopo l’integrazione di fatto risulterà proprietaria dei diritti intellettuali riguardanti quasi ogni coltura agricola geneticamente modificata nel mondo.


Per non parlare del settore agrotecnico, nel quale la sola Deere&Co. (quella dei trattori John Deere), esprime un fatturato di quasi 30 miliardi di dollari.

La dimensione conta in questo ambito perché l’intero mondo agricolo sta per entrare in una fase di profonda digitalizzazione, che comporta la necessità di grandi investimenti, quando saranno i droni a diffondere medicine, controllare le coltivazioni e riconoscere eventuali anomalie delle piante, grazie all’intelligenza artificiale, saranno sistemi completamente automatizzati a gestire gli allevamenti, la loro macellazione, lo stoccaggio e le lavorazioni successive.


Ovviamente man mano che l’automazione industriale coinvolgerà anche l’alimentazione, tutti i piccoli operatori spariranno per far posto a pochi grandi ed efficientissimi produzioni, assai integrate verticalmente, dalla chimica di base alla distribuzione degli alimenti pronti.

UNO SCENARIO COMPLESSO

Quello dell’alimentazione è tuttavia il settore economico che più di ogni altro può incidere nella sanità della specie umana e sulla salvaguardia dell’ambiente naturale. È contemporaneamente il più esposto alla raffica di scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche nonché quello che peggio sta vivendo un forte processo di concentrazione a scapito dei piccoli operatori e a vantaggio del grande capitale che piano piano sta esercitando il suo potere di mercato per costituire dei monopoli quasi in ogni ambito.

La cosa di per sé potrebbe risultare quasi “normale” se voliamo consideriamo quel settore “maturo” e dunque caratterizzato da un eccesso di capacità produttiva, da scarsa innovazione di prodotto e da una forte prevalenza delle problematiche distributive, tali da incidere grandemente sulla marginalità economica dei suoi operatori, costringendoli ad aggregazioni.

UN SETTORE TUTT’ALTRO CHE MATURO

In effetti ciò che accade è tuttavia quasi l’opposto:

– la scienza ha fatto al riguardo dell’agricoltura e delle produzioni alimentari in generale dei grandissimi passi in avanti, non tutti i quali sono sempre stati correttamente comunicati e diffusi dai mezzi di informazione di massa;

– le cosiddette “esternalità” produttive (cioè i costi a carico della comunità che I produttori di alimenti generano) sono elevatissime per la filiera alimentare, figuriamoci per quella della chimica! La filiera economica globale dell’alimentazione è infatti inscindibilmente legata a quella della chimica (diserbanti, concimi, fitofarmaci, ecc…) ed è perciò anche inevitabilmente connessa alle sorti dell’ambiente, dal momento che l’uso di tali prodotti può incidere in modo molto pesante sulle sorti della vivibilità del pianeta;

– le conseguenze del forzoso processo di aggregazione degli operatori economici con lo spiazzamento di quelli piccoli, non solo genera disoccupazione e flussi migratori verso i centri urbani di quella forza lavoro che prima era presente nell’agricoltura (per essere progressivamente rimpiazzata dalle macchine e dall’automazione),

– ma soprattutto questa tendenza alla smisurata crescita dimensionale degli operatori industriali agricoli e alimentari rischia di contrapporsi all’applicazione delle più recenti scoperte scientifiche che tendono a rivalutare l’efficienza economica delle colture non intensive accoppiando la crescita di specie diverse di vegetali che si rafforzano a vicenda (com’è sempre avvenuto in natura) e a denunciare gli effetti disastrosi per l’ambiente del disboscamento, dell’uso intensivo della chimica, dell’eccesso di acqua utilizzata a fini industriali alimentari e dell’eccesso di anidridi carboniche immesse nell’aria per molte produzioni.

LA CONCENTRAZIONE DEL SETTORE ALIMENTARE GENERA DISECONOMIE AMBIENTALI


Per questi e molti altri motivi le grandi fusioni e incorporazioni di aziende del settore agricolo e alimentare che stanno avvenendo a ritmo accelerato potrebbero meritare di essere invece disincentivate.

La concentrazione in pochi grandissimi operatori economici di un macrosettore industriale quale quello dell’alimentazione (che spazia dalla chimica di base, all’agricoltura, alla produzione di trattori e strumenti di trattamento forestale, alla zootecnia, alla macellazione, fino al trattamento e alla conservazione dei cibi pronti e alla loro distribuzione al dettaglio) a uno sguardo più attento protrebbe risultare cosa assai contraria agli interessi dell’umanità!

Quello dell’alimentazione non soltanto appare dunque un settore strategico per le sorti della specie umana, ma è anche un ambito che, con la riscoperta delle filiere biologiche, con gli ultimi progressi in campo biochimico e con le nuove catene distributive che derivano dalla digitalizzazione globale, potrebbe invece vivere una stagione di grande rinnovamento e sanificazione, nel quale troverebbero posto moltissimi nuovi piccoli operatori super-specializzati in qualche nicchia. Ma di fatto tale possibilità è avversata dai detentori di giganteschi interessi al riguardo.

Quella concentrazione in poche mani della filiera alimentare può dunque generare non solo disoccupazione e di conseguenza dannosi flussi migratori e sconvolgere gli equilibri ambientali, ma anche impedire (o esprimere interessi a non far diffondere) il progresso scientifico. Essa promuove invece (per motivi di convenienza) le mono-agricolture intensive ed automatizzate, generando in tale modo immense “esternalità” a carico del resto dell’umanità.

IL RUOLO DEI “REGOLATORI”

Da sempre infine la politica è intervenuta pesantemente a tutela delle sorti dei coltivatori agricoli, degli allevatori, dei produttori di generi di prima necessità. Oggi invece -probabilmente anche a causa delle forti contribuzioni ricevute dalle lobby che esprimono il maggior potere economico- la politica al riguardo tace in maniera “assordante”!

Le campagne a favore dell’ambiente, della salvaguardia dell’aria che respiriamo e della gestione delle risorse idriche risultano invece sostanziarsi in soli slogan privi di contenuto pratico, la manipolazione delle risorse forestali non viene nemmeno denunciata e, soprattutto, il settore dalle gestione ambientale e del riciclo dei rifiuti risulta essere (a causa di un’impostazione assai errata) uno dei più profittevoli al mondo.


Molti equilibri rischiano di rompersi quando si vuole applicare l’industria 4.0 al trattamento delle risorse naturali e alimentari, se nessuno interviene affrontando il fenomeno da altri punti di vista, come quello di tutti coloro che risultano affetti da malattie che originano da cattive abitudini alimentari o come quello degli 800 milioni di esseri umani nel mondo che risultano ancora a rischio di morire di fame…

Stefano di Tommaso




PERCHE’ PENSO CHE AMAZON CAMBIERA’ LA NOSTRA VITA E L’INTERO MONDO DEL CONSUMER BUSINESS

Dopo aver fatto un passaggio basilare nell’aggiungere alla propria catena distributiva i supermercati bio “Whole Food” (cibo integrale) oggi Amazon si appresta a lanciare un’altro di quei servizi che solo lei può offrire: “Prime Wardrobe”, quello di prova a casa di abiti e degli accessori scelti online senza obbligo di acquisto

 

https://youtu.be/EIQh0O3wOdM

 

La pubblicità è accattivante: uno scatolone viene lasciato davanti alla porta di casa dell’utente che ha selezionato alcuni capi da visionare, questi li prova quando vuole, ne trattiene qualcuno se crede, e poi lascia il resto visionato nello scatolone che richiude con uno speciale adesivo con il codice che aveva trovato al suo interno, limitandosi a poggiare di nuovo lo scatolone fuori della sua porta. Un incaricato lo ritirerà a sue spese.

Perché solo Amazon può offrire un tale servizio?

•quasi solo Amazon può contare su una completa completa conoscenza delle abitudini e dei gusti del consumatore, dal momento che gli vende di tutto
•solo Amazon ne ha precedentemente valutato la solvenza e le preferenze con la diffusione capillare dell’abbonamento al servizio “Prime” (consegna in una o due ore nelle principali città del pianeta) e con il controllo dei propri sistemi di pagamento,
•solo Amazon può stoccare in ogni Paese del mondo una montagna di centinaia di migliaia di articoli nei propri magazzini per poterli avere pronti all’uso in un istante,
•solo Amazon può conseguentemente vantare un controllo globale della catena logistica e distributiva fino al furgoncino che effettua il giro della clientela Prime “a prescindere” da cosa deve consegnare o ritirare,
•ma soprattutto solo Amazon può integrare tutto ciò in un’unica imbattibile offerta!

Siamo veramente arrivati a un passo dal Grandee Fratello descritto settanta anni fa da George Orwell! E ci siamo arrivati con il sorriso sulle labbra per il solletico che ci fa nell’incarcerarci dietro le sbarre dorate della nostra nuova gabbia (l’abitazione), con lo scintillio delle sue campanelline e la felicità di sentirsi più pronti ad effettuare acquisti e noleggi.

Mettere insieme informazioni fondamentali circa le nostre misure delle scarpe, delle camicie, insieme a quelle che Amazon ha acquisito già dal momento in cui andavamo su internet a cercare gli articoli che preferiamo, dalle mutande , dallo spazzolino da denti, dal cibo che preferiamo fino tipo di cuffie Bluetooth che ci piacciono o di televisori che preferiamo, di giochi online che selezioniamo, di libri che leggiamo o di film che noleggiamo, farà di Amazon il cugino stretto del Grande Fratello. Con sistemi inferenziali di quelle informazioni che sono già correntemente state sviluppate da molti operatori informatici Amazon potrà disporre di una catalogazione del fenotipo di ciascuno di noi da far invidia ai servizi segreti! E tutto ciò per miliardi di utenti…

 Un’immagine suggestiva del film “1984”di Michael Redford tratto dall’omonimo romanzo di Orwell

Di lì a controllare anche i media e le agenzie di pubblicità online il passo sarà davvero breve. E a quel punto anche la manipolazione delle menti risulterebbe un obiettivo facilmente raggiungibile !

Ma Amazon può a questo punto andare molto oltre anche sotto il profilo del “business”: obbligare praticamente chiunque altro voglia raggiungere i “suoi” consumatori a passare dalla propria piattaforma (e a pagare pedaggio). Obbligare chiunque voglia produrre degli articoli e sperare di riuscire a distribuirli globalmente a farli come dice e al prezzo che dice lei, dal momento che quasi solo lei ne conoscerà davvero il corretto posizionamento competitivo. Obbligare chiunque voglia fare logistica e distribuzione a lavorare per lei. Costringere l’intero sistema bancario globale a passare dalle proprie griglie di conoscenza della capacità di credito degli individui e a confrontarsi un acerrimo concorrente che, grazie ai propri sistemi informatici e alle proprie piattaforme di pagamento, risulterebbe quasi imbattibile.

Amazon ha -in teoria- la forza finanziaria, la diffusione capillare e l’intelligenza gestionale di fare tutto ciò sotto il naso di un bel po’ di bellimbusti che oggi credono di essere i padroni del mondo, di un bel po’ di politici che fanno finta di difendere i loro elettori, di un bel po’ di intellettuali che pensano di immaginare un mondo diverso… Bisogna vedere se glielo lasceranno fare, ma prima aspettiamoci che il suo titolo, quotato a Wall Street, possa fare ancora l’ennesima bella galoppata al rialzo, magari al di sopra di Google e Apple!

Chi aveva in animo di lanciare l’ennesima start-up online, magari con l’ambizione di farla diventare la prossima SnapChat o la prossima Foodora, adesso ha un problema in più: come potrebbe fare a meno dell’organizzazione capillare che Amazon può vantare? dei magazzini sempre pronti? del corriere che passa già dall’indirizzo della clientela selezionata? della conoscenza della capacità finanziaria del consumatore e, soprattutto, della profilazione sempre più puntuale dei gusti, delle abitudini, degli orari e delle competenze del consumatore ideale?

 

Stefano di Tommaso




Red Shift

Potrebbe essere arrivato il momento di osservare i mercati finanziari attraverso un diverso metodo, dal momento che quello tradizionale con il quale interpretiamo i risultati dell’analisi “fondamentale” basandola sull’andamento delle principali variabili macroeconomiche, ci fornisce invece un quadro assai contraddittorio, che sinora è stato capace di ingannare la maggior parte degli analisti finanziari.

 

IL CANTO DELLE CORNACCHIE

Sono infatti almeno sei mesi (dopo la fine del 2016 quando la borsa è salita in funzione del cosiddetto “Trump trade”) che ci sentiamo ripetere che i listini azionari sono sopravvalutati, che -compiuti i fatidici sette anni- il ciclo economico positivo non può che volgere al suo naturale termine (almeno in America), che il “tapering” delle banche centrali occidentali restringerà la liquidità in circolazione e tornerà ad alzare i tassi (sebbene per quelle orientali il discorso sia, almeno per il momento, assai diverso) e che dunque sia destinata a sgonfiarsi la gigantesca bolla speculativa che ha favorito i listini e pompato anche i valori dei titoli a reddito fisso.

Sembra sopita per il momento persino la speranza di essere entrati in una nuova epoca che -a partire dal mondo anglosassone- inauguri un deciso taglio alle tasse e un forte incremento degli investimenti per infrastrutture, due fattori che avrebbero il potere di  rilanciare decisamente la crescita economica globale.

Eppure i mercati finanziari non sembrano affatto averla presa male. Restano a galleggiare tranquillamente sui massimi di sempre, assorbendo sinanco l’impatto (oramai dato per scontato) del secondo turno di rialzo dei tassi USA a metà Giugno e, anzi, il corso del Dollaro sembra incamminato verso una china discendente nonostante la Federal Reserve abbia chiaramente indicato che i rendimenti del biglietto verde saliranno tre volte ancora, dopo quello imminente.

LA CRESCITA DEGLI UTILI NON PLACA I TIMORI

Aggiungiamo che i profitti delle società quotate che compongono i principali indici di borsa nell’anno in corso sembrano ulteriormente destinati a crescere: del 24% nell’Eurozona e dell’11% in USA. L’America sembra inoltre veder crescere il suo Prodotto Interno Lordo del 2,3-2,5% quest’anno, contro un 1,6% medio dell’Europa (una crescita media che, senza alcune palle al piede di Paesi resilienti come l’Italia, sarebbe superiore al 2%).

Buone notizie, da piena ripresa economica, o da nuovo slancio del ciclo esistente. Ma secondo gli analisti queste cifre non bastano da sole a giustificare i nuovi massimi dei mercati azionari, non bastano per spiegarne il mancato ridimensionamento. Al contrario! Tutti si aspettano a breve qualche pericolo: un crollo delle borse o, quantomeno, una riduzione dei valori d’azienda espressi dai multipli dei profitti.

Sebbene sia quasi impossibile per chiunque formulare delle ipotesi accurate, lo è tanto più difficile quanto più si voglia navigare controcorrente in contrapposizione al coro generale degli analisti e strateghi di borsa che continuano a guardare la quiete dei mercati quale precursore di tempeste che -nella mia umile opinione- non si materializzano forse mai.

Il mio punto di osservazione mi porta invece a vedere un ordinato dispiegamento di fattori di crescita e di consolidamento dell’economia globale, soprattutto nel continente asiatico, nell’ambito di un mondo che -nel complesso- vede espandere la sua popolazione e la sua produzione di servizi digitali (spesso gratuiti ma che generano comunque importanti valori aziendali) a ritmi ben superiori alle risibili percentuali di crescita economica dell’Occidente.

IL “RED SHIFT” DELL’ECONOMIA MONDIALE

Nell’osservazione dell’Universo, il “red shift” (ovvero lo “spostamento verso il rosso” delle onde elettromagnetiche ricevute) è la constatazione dell’effetto “Doppler” relativo all’allontanamento delle galassie da cui esse provengono, effetto tanto più marcato quanto più sono distanti. Il “red shift” è perciò divenuto nel tempo il sinonimo dell’espansione dell’Universo, misurato in frazioni infinitesimali se proviamo a usare il nostro tempo (anni) e il nostro metro (multipli di chilometri), ma di portata inimmaginabile se lo computiamo su base cosmica, cioè osservando gli oggetti più lontani.

Ed è proprio a partire dall’osservazione degli oggetti più lontani che vorrei argomentare la mia personale spiegazione degli eventi economici globali: la crescita economica che si materializza soprattutto in Asia, con i suoi 5 miliardi di abitanti (quasi dieci volte quelli di USA e Eurozona insieme), i quali in massima parte stanno uscendo adesso dalla condizione di indigenza, è un bradisismo espansivo che trova limitato riscontro nelle statistiche ufficiali, innanzitutto per due motivi:

1) La crescita economica è espressa in valori monetari denominati in divise relativamente deboli rispetto a Dollaro e Euro (si dice che il P.I.L. della Cina avrebbe superato quello americano già nel 2012 se lo Yuan non si fosse svalutato ben di più);
2) una parte consistente della crescita economica è invece basata sulla generazione di contenuti e valori digitali, a partire da quello del Bitcoin, che non trovano posto nelle statistiche ufficiali ma che esprimono valori di accelerazione ben superiori a quelli ufficialmente rilevati.

Si legga ad esempio il saggio di Brookings “l’espansione senza precedenti della classe media nel mondo” nel link qui di seguito: https://www.brookings.edu/wp-content/uploads/2017/02/global_20170228_global-middle-class.pdf.

I BENEFICI PER L’OCCIDENTE

Di una parte di questa crescita si avvantaggiano ovviamente le economie occidentali (ecco che le esportazioni europee crescono ben più delle importazioni, e così si rivaluta l’Euro), un’altra parte di quella crescita va a compensare le esigenze della base demografica che si allarga, una parte di essa infine alimenta l’economia sommersa.
Dunque una parte non trascurabile della “crescita che non si vede” va a ingrassare i profitti delle grandi corporations euro-americane i cui certificati azionari compongono gli indici di borsa. Ed è questo il motivo per il quale i loro profitti crescono oggi ad un ritmo che è dieci volte quello delle economie di loro appartenenza.

Con la crescita dell’economia digitale inoltre i valori inespressi generati dal world-wide web sono probabilmente più elevati di quanto evidenzino le relativamente poche aziende tecnologiche ancora quotate nelle borse valori, la cui maggioranza dei titoli non riguarda l’economia digitale.
Prova ne è la maggior crescita -rispetto agli indici di borsa generali- del listini “tecnologici” come quello del NASDAQ, o meglio ancora gli indici dei valori riferiti alle aziende ipertecnologiche, come il “Robo-Index” (si legga al riguardo un mio recente articolo:  http://giornaledellafinanza.it/2017/05/01/arriva-il-robo-index/ ).

IL RISCHIO DI INCEPPO E LO SPAURACCHIO GEO-POLITICO

È chiaro che la crescita dei valori in gioco e dei profitti (attuali e futuri) che li sostengono può teoricamente portare a incendiare la dinamica salariale, può creare una crisi di liquidità se in parallelo non si diffonderanno ulteriormente strumenti di pagamento alternativi come -appunto- quello del BitCoin, arrivando a generare in definitiva un possibile panico per gli investitori ma, come si dice nell’ambiente aeronautico, “un aereo dentro l’hangar è sempre più sicuro di uno in volo, ma non è nato per restarci”!

Così possiamo prendere in considerazione nelle nostre analisi la probabilità di scossoni stagionali nell’estate, di quelli congiunturali derivanti dal rialzo dei tassi, di quelli prospettici dovuti al ritardo con il quale verranno varate le riforme fiscali e i nuovi grandi investimenti infrastrutturali.
Ma se la crescita economica globale mantiene il suo ritmo attuale, allora le prospettive finanziarie resteranno nonostante tutto fortemente positive!
Questo è anche il motivo per cui tutti si preoccupano per le Borse ma nessuno liquida i propri titoli. E se lo avesse già fatto negli ultimi mesi avrebbe senz’altro sbagliato.

Cosa resta da temere allora? A mio modesto avviso un vero spauracchio, in questa ottica, resta eccome, anzi si dilata, perché può uccidere il vero motore della crescita globale e, indirettamente, silurare i livelli attuali dei listini azionari: è quello della variabile geo-politica!
Il partito della guerra ha sempre tanti sostenitori, troppi, forse, ora che in ballo c’è un’espansione economica come in passato non se ne erano mai viste! Un’espansione corroborata dalla scienza, da un crescente rispetto dell’ambiente, da una relativa pacificazione globale.

Dopo l’astronomia allora è doveroso citare anche la fisica delle particelle: insieme al “red-shift” ci vuole insomma un vero e proprio “quantum leap” (salto quantico) nella qualità della politica internazionale, al fine di riuscire a mantenere le sfere in movimento verso un mondo più complesso sicuramente, ma nel complesso anche migliore.

 

Stefano di Tommaso