COSA SUCCEDE AI MERCATI FINANZIARI?

È sotto gli occhi di tutti lo scivolone di Natale delle borse! La scivolata a Wall Street fino a ieri (lunedì 24 Dicembre) ammonta a oltre il 25% dai massimi di Settembre. Ma addirittura stamane (25 Dicembre) la borsa di Tokio è scesa di un ulteriore del 5% (mentre le borse occidentali sono chiuse).

 

 

Poi c’è chi fa notare che il prezzo del petrolio in fondo è precipitato di quasi l’80% e dunque probabilmente la misura del ritracciamento che dobbiamo attenderci per l’indice della borsa americana è ancora più ampia di quel 25%.

La borsa italiana in confronto appare un’isola felice, con un calo di “solo” il 18% ma in realtà è scesa di oltre il 33% dai massimi dell’anno, lo scorso 7 maggio.

Ma quali sono le cause di quest’ondata di vendite sui mercati finanziari?

La prima e più banale risposta è quella che mostra le vendite indiscriminate come diretta conseguenza della rotazione dei portafogli degli investitori (da titoli azionari pro-crescita a titoli difensivi e in buona parte titoli a reddito fisso), ma c’è da tenere conto dell’andata di richieste di riscatto da fondi e gestioni che gli investitori professionali hanno dovuto fronteggiare andando a liquidare alla bell’in meglio i loro giardinetti.

Dunque c’è un aspetto congiunturale, dettato dalla politica di rialzo dei tassi della banca centrale americana (e dall’aspettativa di utili in decrescita), ma c’è anche e forse soprattutto un aspetto psicologico, dettato dalla sfiducia di investitori e risparmiatori nei confronti dei mercati finanziari, che li ha portati a disinvestire dalle borse per comperare titoli a reddito fisso, ma anche per lasciare della liquidità, che rischia di divenire più preziosa in futuro dato il programma di progressivo riassorbimento della stessa da parte delle banche centrali.

 


Ovviamente questo fa decisamente salire le quotazioni dei titoli a reddito fisso e fa ridiscendere i loro rendimenti, in totale controtendenza rispetto alla salita dei tassi a breve. Il fenomeno è notevole persino in Italia, dove due mesi fa il Buono del Tesoro decennale aveva toccato il tasso del 3,80% e che oggi offre un misero 2,74%, cioè un’intero punto percentuale in meno ovvero ancora con una riduzione di un terzo del rendimento totale. Esattamente quanto rende oggi il Treasury bond americano a 10 anni.

Il fenomeno della discesa dei tassi a lungo termine e contemporanea risalita di quelli a breve è stato molto vistoso in America e ha contribuito a gettare disagio sui mercati perché da decenni è sintomo di un’inversione di tendenza dell’economia.

Ma se fosse soltanto un tema di rialzi “sbagliati” dei tassi a breve da parte della Federal Reserve (sui quali è difficile obiettare agli strali del presidente Trump) e di conseguente scoramento dei risparmiatori, potremmo pensare che il fenomeno sia quasi del tutto passeggero. E invece no: nessuno lo ritiene tale e comunque tutto ciò non spiegherebbe il perché del crollo di petrolio e materie prime.

La ragione principale sta probabilmente nella frenata della crescita economica globale, particolarmente accentuata sui mercati asiatici, dove l’indice Nikkei della borsa di Tokio ha perso il 28% ad oggi rispetto ai massimi di fine settembre, e dove la borsa di Shanghai è arrivata addirittura a perdere il 46% da inizio anno.

Dunque alle porte del 2019 nessuno si aspetta grandi guadagni dai listini di borsa e questo è il motivo per il quale ci sono quasi solo venditori sui mercati. Qualcuno afferma che l’inflazione alla fine salirà, azzerando perciò i rendimenti reali delle obbligazioni, ma la verità è che il mercato finanziario non sconta nelle loro quotazioni alcuna nuova fiammata inflazionistica, anzi: inizia a serpeggiare il sospetto che la recessione (almeno negli U.S.A.) arriverà prima del 2020, aiutata dall’andamento negativo delle borse che riduce la ricchezza dei risparmiatori e penalizza i consumi, responsabili nel 2018 di circa il 70% della crescita economica americana.

L’Asia sta forse peggio, dell’America e le sue borse lo testimoniano, ma in tutti i Paesi Emergenti la crescita economica prosegue quantomeno a causa della demografia. I capitali però fuggono verso porti più sicuri e dunque lo stop alla crescita è possibile che arrivi anche da loro per motivi finanziari. Cosa può interrompere dunque il “loop” negativo? Probabilmente proprio il fatto che nella discesa generale dei listini inizia a intravvedersi molto valore a basso prezzo e dunque non troppo tardi mani esperte torneranno a comperare, seguite poi dal “parco buoi”. Questo non vale soltanto per gli Emergenti ma è dove le divise nazionali hanno perso maggior terreno contro Dollaro che potranno trovarsi le migliori occasioni d’investimento.

La vera domanda è: quando? Difficile rispondere senza correre il rischio di tirare a indovinare. Meglio lavorare sulla ricerca del valore nella selezione di aziende interessanti, con buone prospettive e basso indebitamento, invece che a livello aggregato, il cui l’andamento dipende anche da numerosi altri fattori…

Stefano di Tommaso




SUSSURRI E GRIDA

LA GEOPOLITICA NON FA PIÙ PAURA

 

Il 2018 è stato un anno difficile, denso di timori e tensioni internazionali, nessuno dei quali si è tuttavia trasformato in tragedia. Primo fra tutti lo scontro frontale tra i due colossi economici globali: America e Cina. Forse l’accordo si farà, più probabilmente si farà ma solo su determinate questioni scottanti, quelle che fanno del male a entrambe, ma la competizione tra i due sistemi ideologici e industriali più contrapposti della storia è più difficile che si attenui, continuando a seminare tensione tra i rispettivi partners industriali e commerciali.

 

IL CASO ITALIANO

Non troppo diversa è la storia del nostro Paese, da decenni sulla china di un possibile fallimento dello Stato. Dopo molti mesi (estivi) di timori e fughe in avanti, generate e conseguenza al tempo stesso delle impennate dello spread tra i tassi di rendimento nostrano e quelli della Germania, è oramai chiaro che non conviene a nessuno lasciar fallire l’Italia, ma al tempo stesso il debito pubblico nazionale continua (e continuerà a lungo) a generare tensioni e maggiori costi, innanzitutto a noi Italiani. Nè si può sperare che i problemi con i ”partners” europei possano venire d’un tratto cancellati.

LA BREXIT

Storia simile era stata quella della Brexit: il popolo del Regno Unito ha votato “contro” le forze prevalenti che lo volevano assoggettato ad un’Europa germanocentrica e questo è sembrato aprire le porte dell’inferno per l’economia britannica… che invece ha retto benissimo l’impatto e, nonostante le tensioni continuino ancora oggi, dopo più di due anni, alla fine il dialogo con l’Unione Europea va faticosamente avanti, nel segno della moderazione così come di una malcelata diffidenza reciproca. Le tensioni insomma restano, ma è oramai chiaro che nessuna vera frattura arriverà.


LA FRANCIA

Se i tre esempi riportati possono aiutare a costruire un paradigma, allora facile profezia resta quella sulla possibile sorte della rivolta dei “Gilets Jaunes”, i quali in questi giorni stanno facendo pensare a un nuovo 1789 ma che, con ogni probabilità, stempereranno invece gradualmente le loro proteste di piazza, in parte perché alcune delle loro richieste sono in accoglimento ma anche perché sanno anche loro che non potranno andare avanti in eterno.

Macron dal canto suo è improbabile che cadrà domani mattina dallo scranno della Presidenza, ma è altrettanto vero che dal confronto con la piazza egli esce con le ossa rotte e poca voglia di proseguire sulla strada globalista a oltranza precedentemente percorsa. Anche in Francia dunque le tensioni sociali proseguiranno probabilmente nei prossimi mesi pur senza sfociare nella rivolta, così come i conti pubblici continueranno a deteriorarsi e tutto questo avrà effetti economici negativi anche nel resto d’Europa.

LA PREDOMINANZA DELL’AMERICA

In fondo nel corso del 2018 è andata così come descritto per Italia, Gran Bretagna e Francia, anche in Siria, in Turchia e in Argentina: nessuna delle forti tensioni scoppiate in questi paesi ha provocato una vera e propria escalation, tale da bloccare la crescita economica globale, sebbene il combinato disposto di ciascuna di esse abbia contribuito non poco a ridurre i risultati potenziali della grande stagione di progresso che avrebbe potuto esserci quest’anno e che non c’è stata.

Ciò nonostante il mondo mostra tutte le intenzioni di voler andare avanti imperterrito, stemperando le tensioni in un’economia globale che nonostante tutto mantiene il segno positivo, in un mercato finanziario globale che nonostante tutto affoga ancora nella liquidità e in un sistema di potere geopolitico globale che vede ancora una volta gli U.S.A. sempre più decisamente al suo vertice.

“SUSSURRI E GRIDA”

La situazione descritta è perciò paragonabile a quella algida e plastica litania di situazioni glaciali mirabilmente descritte dal regista Ingmar Bergman nel suo famosissimo film “Sussurri e Grida” del 1972.

Il motivo dominante della cupa atmosfera che si respira in quelle scene è il peso che un elegante e colpevole passato impone alla vita di ognuno dei suoi protagonisti, che torna a premere sul presente non solo come substrato psichico ma anche con una immanente tensione generatrice di buone e cattive notizie al tempo stesso.

Non succede nulla di plateale eppure tutto si trasforma al fuoco delle tensioni che si agitano nel sottofondo, sino alla scomparsa della protagonista, che rende protagonista il personaggio più umile della narrazione: la domestica. Eppure tra un dramma e l’altro, il regista riesce a inserire un’inestimabile morale di vita: accetta il dolore e sorridi alla felicità. Un messaggio che viene accolto prima e più decisamente da chi appartiene alle classi sociali più basse.

Così forse un fenomeno simile sta avvenendo nel mondo contemporaneo: il ricambio tra vecchie glorie e nuovi slanci avviene nel sottofondo delle conseguenze di atti precedenti, macerandosi e mimetizzandosi tra una tensione e l’altra, e facendo sì tuttavia che il panorama complessivo risulti alla fine decisamente mutato.

NESSUN ENTUSIASMO SUI MERCATI

Essa costituisce di sicuro una buona notizia per l’uomo della strada, colui che farebbe le maggiori spese di situazioni opposte a quella presente (nessuna guerra scoppia davvero, nessuna recessione getta tutti sul lastrico), ma è una situazione che non genera alcun entusiasmo per i mercati finanziari, ebbri delle sbornie da rendimento sin qui godute e privi di alcuna prospettiva di poterle propagare nell’immediato futuro, anzi! Spesso le guerre sono state un buon affare per molti settori industriali e altrettanto spesso i momenti di tensione hanno generato stop importanti al progresso economico. Nessuno oggi si aspetta perciò grandi guadagni in borsa e ritorna di prepotenza l’attenzione ai titoli a reddito fisso, gli unici in grado di far dormire sonni tranquilli a chi deve cercare di fare tesoro delle performances precedenti.

Questo non significa che i mercati finanziari si addormenteranno in un sapido torpore, ma anzi che periodicamente le tensioni sperimentate nel corso del 2018 potranno esacerbarsi nel corso del 2019, seppure con ogni probabilità ciò avverrà senza mai giungere all’apoteosi della crisi economica vera e propria, casomai di una impalpabilmente moderata recessione, assai attesa dopo un intero decennio di crescita. La prospettiva non allude a buone notizie per le borse e nemmeno a grandi fiammate di inflazione che potrebbero rilanciare i rendimenti obbligazionari, ma non possiamo attenderci neppure tonfi clamorosi dei listini, l’unica vera grande iattura che i risparmiatori di tutto il pianeta si augurano di scansare.

L’INEVITABILE ROTAZIONE DEI PORTAFOGLI E UN “DILEMMA”

 

È così altrettanto probabile che i multipli stratosferici dei titoli tecnologici si ridimensioneranno, ma anche che sia arrivato il momento di far ruotare i portafogli verso titoli anticiclici e che serbano le migliori prospettive di sviluppo. La grande incognita è però se essi coincideranno con gli stessi settori industriali che in passato potevamo definire “anticiclici” oppure se, con l’affermazione della digitalizzazione, del commercio elettronico e dell’intelligenza artificiale, il panorama del business cambierà così radicalmente da spedire per sempre nel libro dei ricordi le strategie di investimento che erano valide in questi momenti nel recente passato e costringere i sempre più cauti investitori verso terreni inesplorati (cosa assai probabile).

Anche per questo motivo il periodo di grande spolvero del reddito fisso sembra destinato a durare più dello spazio di un mattino…

Stefano di Tommaso




L’EUROPA RALLENTA,MA NON È“MAL COMUNE,MEZZO GAUDIO”

È un proverbio nato con Cicerone, che promuove l’idea del mimetizzarsi con il malessere diffuso per tamponare psicologicamente la pena derivante dai propri problemi. In questi giorni i dati macroeconomici di Germania e Francia sono divenuti decisamente negativi: l’indice Pmi manifatturiero emesso a dicembre è in netto calo: in Germania è sceso a 51,5 punti rispetto ai 51,8 di un mese fa mentre quello relativo ai servizi è invece risultato pari a 52,5 punti, in calo rispetto ai 53,3 di un mese fa. Ancora più pesanti i dati francesi: l’indice Pmi manifatturiero della Francia è risultato pari a 49,7 rispetto ai 50,8 del precedente, mentre quello dei servizi si è attestato a 49,6 punti, in discesa rispetto ai 55 punti di metà novembre.

 


(Qui sopra: il disavanzo commerciale francese)

 

I dati del terzo trimestre 2018 hanno rivelato un forte rallentamento della crescita economica per l’intera area Euro che, una volta destagionalizzata, è ridotta allo 0,2% sul trimestre precedente: il peggior risultato dall’inizio del 2013 ! La riduzione delle esportazioni, il regresso del settore “automotive” e una certa fuga di capitali verso l’area Dollaro che ha rinviato qualche investimento hanno congiurato per tale risultato.

(nel grafico qualche numero chiave fornito dal Fondo Monetario):


La Francia si è poi affermata quest’anno il paese con la più elevata tassazione al mondo, raggiungendo il 46,2% del prodotto interno lordo, buona seconda la Danimarca, con il 46% netto. Terza la Svezia, al 44% e soltanto quarta l’Italia, al 42,4% del P.I.L. Anche per questo la Francia non può permettersi di concedere al popolo in rivolta tagli di tasse o altre pubbliche prebende, se non portando il suo disavanzo dei conti pubblici al 3,4% (cosa sulla quale non si è notata la benché minima reazione dell’U.E.) mentre l’Italia può invece permettersi addirittura di tentare una manovra leggermente “espansiva” pur contenendo il deficit al 2% e questo non le risparmia ugualmente la minaccia di una procedura comunitaria d‘infrazione (per eccesso di deficit).


Come si spiega tutto ciò? Probabilmente con la politica e con la psicologia, ma soprattutto con lo scarsa influenza che il nostro paese può vantare nei confronti dei governanti comunitari.

In psicologia il bisogno di appartenenza, di sentirsi “come” gli altri influenza non poco le intere comunità, anche quelle professionali. L’Unione Europea ha indubbiamente fatto leva su sentimenti comuni come questo nel catturare il consenso popolare nei paesi membri come l’Italia. Ma ora stiamo sperimentando cosa significa, in un ambiente in cui gli altri si sentono accomunati da leadership politiche simili, il provare ad essere, anche di poco, diversi. È stato come gettare il guanto in segno di sfida e la reprimenda del governo europeo non si è fatta attendere!

Eppure l’Italia ha il saldo delle partite correnti (Bilancia commerciale + trasferimenti) così come l’avanzo primario dei conti dello stato (cioè prima di contare gli interessi) stabili e positivi da numerosi anni, a differenza di altri paesi europei, come la Francia, che ha un disavanzo primario da lungo tempo, ma oggi l’Italia agli occhi degli altri paesi membri dell’U.E. ha difetti non sanabili da nessuna politica economica:

in primo luogo, in questo momento di sconvolgimento politico dell’Europa ha l’unico governo che gode di oltre del 50% del supporto popolare e che quindi può dirsi democratico e ciò in Europa non è tollerabile,
inoltre non ha Italiani nella Commissione Europea mentre al contrario Moscovici, francese, non casualmente ha posizioni filomacroniane,
infine in questo momento il debito pubblico italiano risulta detenuto per il 72% da soggetti residenti nel nostro paese (ivi compreso il sistema bancario nazionale, che anche per questo motivo è sotto schiaffo) ed è dunque poco influenzabile dalle vendite allo scoperto provenienti dall’esterno che non riesco a giocare troppo spudoratamente al ribasso.

Ora ci manca solo che le tensioni politiche e commerciali dell’Unione con gli Stati Uniti d’America (il nostro alleato di sempre) si acuiscano dopo le ferie perché per l’economia europea si sia costretti definitivamente cantare il “de profundis” facendola sprofondare in recessione prima dell’America. L’effetto spiacevole è che in tal caso vedremo presto inevitabilmente nella recessione anche il nostro paese, con buona pace degli oppositori politici del governo italiano, che ne dedurranno soltanto che la manovra di questo governo (che ha soltanto sei mesi di vita) “era sbagliata”.

Sic transit gloria mundi (si pronuncia ogni volta alla nomina di un nuovo pontefice, anche per ricordare che -morto un papa- se ne fà un altro). Ma purtroppo i burosauri che sono al vertice della Commissione Europea è più probabile che preferiscano affondare con la loro nave (la Commissione) alle prossime elezioni (tra soli tre mesi) piuttosto che scelgano di avviarsi in fretta ad una decisa sterzata circa le loro politiche macroeconomiche, politiche e ideologie che ora si dimostrano sbagliate persino per gli Stati membri che avrebbero dovuto trarne profitto. Politiche e ideologie che tra l’altro fanno ancora trasparire quell’atavica voglia di “austeritàa prescindere” per paesi considerati spendaccioni come il nostro, da sempre malcelata.

Stefano di Tommaso

 




INDIETRO TUTTA ?

Se ai mercati finanziari la scorsa settimana non è bastata nemmeno la doppietta di buone notizie di una possibile tregua nelle guerre commerciali in corso e del mutato atteggiamento delle banche centrali che avevano recentemente dichiarato di essere pronte a rivedere la loro volontà di procedere con i rialzi dei tassi d’interesse, il ragionamento che ne consegue è che la loro situazione è forse più grave di quello che sembrava.

 

La settimana appena conclusa ha lasciato infatti i mercati con la bocca amara, nonostante le ottime aspettative che avevano fatto seguito alll’ultimo meeting dei maggiori governanti del mondo: il G20 di Buenos Aires. Ufficialmente si è parlato del riacuirsi dei timori di uno scontro sempre più frontale tra Stati Uniti d’America e Cina, dopo l’arresto (chiesto dagli americani) della figlia di uno dei maggiori imprenditori dell’estremo oriente, apparentemente sulla base di capi d’accusa molto relativi (la violazione del bando americano sulle forniture all’Iran).

La verità sembra però essere ben più grigia: ai mercati finanziari della figlia del signor “Huawei” non sarebbe probabilmente interessato affatto se, per le relazioni tra i due paesi, questo non fosse stato un episodio paragonabile all’attentato di Sarajevo (che costò la vita poco più di un secolo fa al principe ereditario d’Austria e divenne il “casus belli” che dette inizio al deflagrare della prima guerra mondiale), scoprendo d’un tratto una verità ben diversa da quella raccontata dagli organi di stampa: gli U.S.A. hanno molto da recriminare circa i comportamenti commerciali poco ortodossi delle industrie cinesi, e non intendono chiudervi un occhio in nome di una ritrovata armonia!

UNA TERRIBILE COINCIDENZA DI CIRCOSTANZE NEGATIVE

Il vero punto della questione però è che nemmeno la gravità della guerra commerciale in corso sarebbe poi così importante per l’umore dei mercati finanziari, se non fosse che va a coincidere temporalmente con:
•una riduzione progressiva della liquidità disponibile e il rialzo dei tassi di interesse (entrambi programmati dalle banche centrali)

•la volontà degli investitori professionali di realizzare le laute plusvalenze accumulate in quasi un decennio di borse crescenti,

•l’inizio di una discesa della fiducia dei consumatori,

•l’allarme recessione lanciato dagli economisti che da tempo indicano una elevata correlazione statistica della fine di un ciclo economico positivo con l’inversione della pendenza della curva dei tassi di interesse (per cui se il differenziale dei rendimenti a breve con quelli a lungo termine si azzera, allora si crea una situazione “innaturale”)

•il ripetuto allarme circa la dimensione nuovamente raggiunta dagli strumenti finanziari derivati (paragonabile soltanto a quella toccata prima della grande crisi del 2008) e dunque del rischio che il castello di carte della speculazione possa abbattersi con sfracello sull’economia reale, ma soprattutto che esso possa travolgere le più importanti banche del mondo, mettendo di nuovo a rischio i capisaldi del sistema internazionale.

 

I RISCHI DI TENUTA DEL SISTEMA BANCARIO

Degli argomenti di preoccupazione testè citati è forse l’ultimo quello peggiore di tutti, soprattutto per il continente europeo, perché è da noi che le imprese piccole e medie più dipendono dai finanziamenti del sistema bancario (anche a causa di un mercato dei capitali relativamente sottosviluppato) e dunque è da noi che un’eventuale nuova crisi del sistema bancario può fare i danni peggiori.

A ingrigire il quadro ci si mette dunque la prospettiva di un prossimo anno molto difficile per i Paesi appartenenti all’Unione Europea, già gravati da un eccesso di tassazione (a sua volta derivante dalla necessità di finanziare un eccessivo indebitamento pubblico)

I RISCHI POLITICI E DI TENUTA DEI CONTI PUBBLICI

E adesso anche travolti anche da un deciso ricambio in corso delle leadership politiche (con tutto quello che ne consegue in termini di rischi di dissoluzione della moneta unica)

e al tempo stesso con il rischio che le esportazioni (su cui molto si è basata la loro relativa salute economica fino ad oggi) possano in definitiva venire seriamente danneggiate dalle guerre commerciali e dalla possibilità che molti Paesi Emergenti entrino in default finanziario a causa del caro-Dollaro.
A corroborare poi l’attesa complessiva di una vera e propria frenata della crescita economica globale ci si sono messe infine la discesa del prezzo del petrolio (stranamente proprio all’arrivo della stagione fredda) è un drastico calo delle vendite dei beni di consumo durevole, primi fra tutti gli autoveicoli!

Mettendo insieme tutti i tasselli del mosaico quello che ne consegue è che i tempi di vacche grasse per i profitti aziendali e per gli investimenti tecnologici potrebbero essere già un ricordo all’inizio del 2019, cioè un anno almeno in anticipo sulle previsioni che circolavano ancora poche settimane fa.

 

IL GIOCO PERVERSO DELLE ASPETTATIVE CHE SI AUTOREALIZZANO

Al di là dunque di un possibile rimbalzo delle borse valori nei prossimi giorni, i forti ribassi della settimana appena trascorsa hanno acceso una luce sinistra sulla probabilità che le reali prospettive dei mercati finanziari globali siano peggiori di quanto la maggioranza degli operatori economici era disposta a credere fino a ieri.

•E se dovesse prevalere lo scoramento collettivo sarebbe sufficiente quest’ultimo per mandare il mondo anticipatamente in recessione, a causa del perverso gioco delle aspettative che si autorealizzano e degli investimenti (tanto quelli industriali come quelli strutturali) che rischiano di bloccarsi a causa della riduzione delle disponibilità finanziarie per sostenerli.

Stefano di Tommaso