IL RIPENSAMENTO DI DRAGHI

“L’inflazione di base dell’Eurozona continua a oscillare intorno all’1% e deve ancora mostrare una tendenza al rialzo convincente… Il Consiglio (della Banca Centrale Europea) ha anche notato che le incertezze sono aumentate e dunque a dicembre, con le nuove previsioni disponibili, saremo più in grado di fare una piena valutazione”. Queste le parole del Governatore della BCE nell’ultima sua audizione (la settimana scorsa). Se di norma i banchieri centrali sono di poche parole ed amano essere interpretati come gli oracoli di un paio di millenni fa, questa volta invece Mario Draghi non ha lasciato spazio alle esegesi di quello che voleva dire ed è andato dritto al punto: l’inflazione non sembra continuare la sua corsa, ed è per questo che nell’euro-zona i tassi resteranno ancorati ai livelli attuali ancora per forse un anno (autunno 2019) e magari proseguiranno persino gli stimoli monetari (magari sotto altra forma).

 

Forse è anche per fugare dubbi di imparzialità che il banchiere centrale di origine italiana si è sentito di strigliare il governo del nostro Paese : non è per fare un piacere agli Stati (come l’Italia) che si ritrovano elevati spread perché deludono le aspettative dei mercati, che la BCE sta valutando se confermare le precedenti indicazioni relative alla propria politica monetaria (nel grafico qui sotto: l’andamento trimestrale del prodotto interno lordo italiano):


Bensì a causa di un primo dato di fatto: che l’inflazione che non cresce (abbastanza), e poi per un altro importantissimo elemento che Draghi non ha volutamente citato ma che tutti sanno avere pesato come un macigno nelle sue considerazioni: la mancata crescita del Prodotto Interno Lordo della Germania nel terzo trimestre 2018.

LA GERMANIA SI ACCODA A ITALIA E GIAPPONE NELLA MANCATA CRESCITA

Dopo che si era fermata in Giappone (sotto zero già da qualche mese: nel terzo trimestre il Prodotto interno lordo è sceso dello 0,3% sul trimestre precedente, pari a un -1,2% annualizzato) e si è azzerata in Italia essa è adesso a rischio anche nel resto dell’ Europa. Se un indizio non fa una prova (la mancata crescita dell’Italia nel medesimo periodo), due indizi invece si, dal momento che alla brusca frenata della crescita si è accodata anche la più importante economia della divisa unica europea (di seguito l’andamento trimestrale del prodotto interno lordo tedesco):


L’INFLAZIONE STA SMETTENDO DI CRESCERE

L’inflazione sta sicuramente smettendo di crescere (anche in America) e anzi, sino a ieri in Europa si era nutrita quasi esclusivamente delle conseguenze dei due grandi bradisismi in atto da tempo: il rialzo di petrolio e gas e la forza del Dollaro. Questi due fattori avevano infatti congiurato per un rialzo del costo delle materie prime e indotto la mini-fiammata inflazionistica che si era vista in estate.

Oggi almeno per il petrolio è giunto il momento dei ripensamenti mentre in molti prevedono che nemmeno il Dollaro proseguirà troppo a lunga la sua corsa perché a un certo punto il rialzo dei tassi americani diverrà non più sostenibile senza una crescita economica miracolosa (che invece sembra esserci solo in America e non per sempre). E così il prezzo delle materie prime al momento è in ribasso.

MA I TASSI DI INTERESSE CRESCERANNO UGUALMENTE

Se la guerra in atto tra America e Cina non produrrà altri danni forse la crescita economica tornerà a fare capolino anche nelle altre economie avanzate. Ciò nonostante per molti motivi i rialzi dei tassi di interesse nel migliore dei casi possiamo considerarli soltanto rinviati: non solo in America infatti le banche centrali ambiscono a recuperare anche su questo fronte capacità di manovra, dopo che per molti anni l’eccesso di debiti pubblici (mai rientrato) le ha costrette a renderli negativi o vicini allo zero. Senza contare le infinite pressioni per una loro risalita esercitate dal sistema bancario di cui esse sono garanti.

FIATO CORTO PER I LISTINI AZIONARI

Così se la crescita economica continuerà in America e farà da traino anche al resto del mondo, potremmo trovarci di nuovo in una situazione incantata di continuazione del super-ciclo economico globale, caratterizzata da ripresa dell’occupazione, bassa crescita e bassissima inflazione. Ma questo difficilmente si tradurrà in nuovi miracolosi rialzi azionari, dal momento che come minimo i mercati sconteranno ulteriori rialzi di tassi e il ritorno alla normalizzazione monetaria.

Quindi, al di là di sporadici possibili riprese dei corsi delle borse (un mini-rally di Natale lo auspicano i più), difficilmente questa possibilità significherebbe nuove corse indefinite delle borse valori (anzi: le valutazioni aziendali che ne sono alla base non potranno continuare a sperare in una crescita indefinita dei profitti) e data anche la maggior appetibilità per i risparmiatori che stanno riprendendo i titoli a reddito fisso.

IL RISCHIO AMERICA

È poi sempre possibile che la locomotiva economica americana rallenti la sua corsa (per esempio per l’instabilità politica che potrebbe derivare da un Presidente sempre più assediato) senza che quella asiatica riesca in tempo a sostituirne il traino. Questa possibilità ostacolerebbe le esportazioni europee (tutt’ora in grande smalto) e potrebbe lasciare in stallo le prospettive del vecchio continente senza che la crescita economica globale si fermi del tutto.

In tal caso la continuazione delle politiche espansive della BCE non basterebbero a far tornare il sole della crescita a splendere in Europa, ma soltanto ad impedire nuove crisi di panico relativamente ai debiti pubblici degli Stati membri.

Stefano di Tommaso




IL COMMERCIO INTERNAZIONALE E’ A RISCHIO? LE STATISTICHE NON FORNISCONO CERTEZZE

E’ notizia odierna il fatto che la Cina ha accumulato un avanzo commerciale record nei confronti degli Stati Uniti d’America che ha raggiunto in Agosto i 31 miliardi di dollari, dopo i 28 miliardi di Luglio e i 29 miliardi di Giugno, dunque in ulteriore crescita rispetto al totale già elevatissimo del 2017. Dunque le tariffe volute da Trump alle importazioni cinesi al momento sembrerebbero risultare del tutto inefficaci a contrastare il divario accumulato.

 

Probabilmente la svalutazione del Renminbi nei confronti del Dollaro ha consentito alle esportazioni cinesi di compensare l’aggravio di costo risultante dalle tariffe doganali finendo per essere ugualmente competitive:

Per citare un altro dato numerico (e dunque non controvertibile, l’export cinese verso le 28 nazioni dell’Unione Europea (il maggior partner commerciale cinese) sono cresciute in Agosto dell’11% toccando il record di 37 miliardi di Dollari, contro importazioni cresciute del 15% a un totale di 25 miliardi di Dollari, segnando dunque un importante avanzo commerciale e un ulteriore avanzamento del commercio globale.

Questo nonostante che una serie di statistiche recentemente pubblicate indicherebbero che il commercio mondiale sta subendo una qualche riduzione a causa delle tariffe che l’America ha innalzato nei confronti dei partner commerciali con i quali si era sviluppato un disequilibrio. Per esempio i volumi di commercio mondiale sono per la prima volta in contrazione dopo qualche anno e storicamente lo sono stati in pendenza di un possibile rallentamento dell’economia globale (come si può vedere dal grafico qui riportato):

Anche l’andamento discendente della domanda di noli dei containers (qui sotto riportato al 31 Agosto scorso) indica un andamento discendente, sebbene anche in questo le cause della discesa possono essere varie e non sembrano originare dalle tariffe doganali:

Nonostante dunque non esistano certezze circa il rallentamento del commercio internazionale, tuttavia l’eventuale conferma della tendenza alla riduzione del medesimo può avere delle conseguenze importanti in termini di crescita economica globale e, soprattutto, può danneggiare l’export italiano che, secondo le ultime statistiche, viaggia invece a gonfie vele:


Le statistiche disponibili non mostrano ancora perciò che il nostro Paese risulti in qualche modo danneggiato dalla guerra tariffaria. Le stime di crescita economica in Europa restano ancora al di sopra del 2% per fine 2018, nonostante i maggiori centri di ricerca economica abbiano ridotto le previsioni che erano in precedenza più alte di mezzo punto.

Anche per il nostro Paese le stime di crescita per l’anno in corso sono state ridotte a poco più dell’1%, ma i presunti danni al commercio internazionale che deriverebbero dalle più alte tariffe doganali americane sono sostanzialmente ancora tutti da dimostrare, anzi! Se si guarda alle statistiche la quota di mercato globale colta dal nostro paese è in crescita, seppure di una frazione di punto percentuale:

Chi ha ragione dunque: il “mainstream” dei vari media che tipicamente avversa la presidenza Trump, pronto a dichiarare che le tariffe doganali americane hanno creato danni incredibili alla crescita economica globale, oppure i numeri e le statistiche, che al momento mostrano l’opposto?

Difficile al momento individuare la verità, ma un dubbio resta: se il “coro di cornacchie” continua a dichiarare una verità (al momento) contestabile, non sarà per caso tutta una montatura, ordita per scopi propagandistici? Ai posteri (o più semplicemente alle prossime statistiche) l’ardua sentenza…

Stefano di Tommaso




METÀ ANNO & METÀ DEL GUADO

Giunti alla svolta dell’Estate, all’inizio del nuovo semestre solare e alla vigilia del nuovo G20, proviamo a fare il punto sulla situazione dei mercati e dell’economia globale e, soprattutto, sulla possibilità di una correzione estiva delle borse.

 

Con i prezzi al consumo stabili in Italia a giugno l’inflazione, grande protagonista di timori e aspettative nella prima metà dell’anno, è in calo dello 0,1% all’1,3% mentre nei prossimi mesi dovrebbe restare poco sopra questi livelli (media annua attesa del CPI a 1,5%). Alla stessa percentuale dovrebbe attestarsi in Eurozona la crescita dei finanziamenti ai privati.

L’OTTIMISMO DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA

Draghi perciò gongola: la situazione è in quella perfetta via di mezzo per la prosecuzione degli stimoli quantitativi (tra inflazione/deflazione, crescita moderata e borse non troppo esuberanti) che può permettergli al tempo stesso di continuare quasi indefinitamente a sostenere la liquidità in circolazione e i rinnovi dei titoli di stato italiani (di un eventuale stop se ne riparlerà oramai nel 2018) mentre l’Euro continua ad apprezzarsi sul Dollaro e su quasi tutte le altre valute (cosa molto gradita ai Tedeschi, che stanno partendo per le vacanze sentendosi un po’ più ricchi).

Nemmeno l’Italia trema: le esportazioni italiane vanno ugualmente un po’ meglio di prima (la fiducia delle imprese nel manifatturiero è passata a Giugno a 107,3 dal 106,9 precedente mentre nelle costruzioni sale a 129,8 dal 128,1 di maggio: ai massimi da quasi un decennio) e, se durante il momento di punta del turismo in Italia arriva un po’ più di valuta forte, la cosa non dispiace a nessuno.

L’Euro in salita invece alle borse europee un pochino disturba: chi fa i conti in Dollari continua a cavarsela con le performances ma concorrono alla debolezza delle borse continentali l’instabilità politica e bancaria italiana, gli effetti negativi (assai limitati invero) dell’uscita della Gran Bretagna e i dubbi sulla capacità di Macron di realizzare ciò che ha promesso. La situazione europea tuttavia non riuscirà a influenzare il corso delle borse, anzi fosse per quelle nostrane ci sarebbero anche segnali di cauto ottimismo.

I PERICOLI PER LE BORSE ARRIVANO DA OLTREOCEANO

Il mercato azionario è però sempre più globalizzato e, casomai, il vero pericolo che una correzione significativa su manifesti nel corso del mese arriva dal resto del mondo, dove un certo numero di tensioni stanno acuendosi: dalle difficoltà crescenti della presidenza Trump a quelle geopolitiche mediorientali, dal timore del crollo del sistema finanziario cinese, fino a quello dello scoppio della bolla speculativa derivante dagli eccessi di leva finanziaria di nuovo presenti sul mercato dei derivati (che nel 2008 è stato il vero detonatore).

Bisogna ricordare infine che buona parte degli shock sul mercato finanziario sono stati storicamente generati dalle mosse delle banche centrali e anche stavolta la Yellen potrebbe trovare il modo di portare avanti la tradizione tanto con il suo recente richiamo circa le valutazioni troppo elevate espresse dal mercato quanto per il fatto che un contesto americano di piena occupazione e crescita moderata potrebbe tentare la FED di continuare con il rialzo dei tassi, cosa che però potrebbe-nello scenario attuale- costituire un ulteriore ostacolo alla partenza degli investimenti nelle grandi opere infrastrutturali promesse da Trump.

A ciò va aggiunto che gli operatori si interrogano sulle implicazioni di una crescita economica americana fin troppo moderata che potrebbe far propendere il Congresso americano verso la definitiva archiviazione della riforma fiscale. Già solo questi ultimi due fatti, una volta incorporati nei modelli statistici degli analisti, possono far temere uno scivolone estivo delle borsa americana e, con essa, di buona parte di quelle asiatiche.

Questo non significherà necessariamente l’avvio di una nuova tempesta perfetta dei mercati, per via della crescita economica globale consistente e generata da variabili cosiddette “fondamentali” (demografia, capacità produttiva, tecnologie e globalizzazione). Ma solo che, all’alba del secondo semestre 2017, l’economia globale -giunta a malapena a metà del guado nel suo processo di rinnovamento- qualche ostacolo lungo il suo cammino verso un mondo migliore è praticamente scontato che lo si incontri

 

Stefano di Tommaso