CINQUE GRAFICI RIASSUMONO IL 2017

Ecco a Voi cinque grafici, pubblicati dal Guardian, che riassumono efficacemente l’andamento delle principali variabili economiche dell’anno. E qualche considerazione che se ne deduce.

LE BORSE DI TUTTO IL MONDO SONO QUASI SOLO ANDATE SU:

NONOSTANTE LA LORO CORSA SFRENATA HANNO REGISTRATO LA PIÙ BASSA VOLATILITÀ DEI CORSI DELLA STORIA RECENTE, CONFERMANDO LA NATURA ASSAI POCO SPECULATIVA DEGLI ACQUISTI E FORNENDO STABILITÀ ALLA CRESCITA:

IL COMMERCIO GLOBALE HA FINALMENTE RIPRESO LA SUA CORSA NEL 2017 (nonostante la globalizzazione abbia fatto aumentare il numero degli stabilimenti produttivi nel mondo) E LO SI VEDE DALL’ANDAMENTO DEI PREZZI DEI NOLI MARITTIMI :

MENTRE IL PETROLIO HA INIZIATO A METÀ ANNO A RISALIRE E DA QUEL MOMENTO LO HA FATTO STABILMENTE, EVIDENTEMENTE LA FORTE RIPRESA MONDIALE ALIMENTA LA DOMANDA DI ENERGIA CHE, CONTRO OGNI PREVISIONE, SUPERA DI MISURA LA GRANDE OFFERTA DI MATERIA PRIMA :

E INFINE IL TORMENTONE DELL’ANNO: IL BITCOIN, PARTITO DA 1000 DOLLARI A GENNAIO E ARRIVATO QUASI A 20.000 DOLLARI PER POI RITRACCIARE, MA SOLO DI POCO:

 

COSA SE NE PUÒ DEDURRE?

•che le borse non crolleranno così presto, anzi!
•che la volatilità dei corsi potrebbe però tornare a crescere;
•che l’impennata del commercio globale fa bene alla crescita economica ;
•che la risalita del prezzo del petrolio è indice di forte salute dell’economia globale e, a sua volta, favorisce le esportazioni di molti paesi emergenti;
•che la crescente liquidità mondiale cerca strade alternative a quelle imposte dalle banche centrali, probabilmente proprio dove le restrizioni sono più forti, riversandosi sulle criptovalute le quali vengono viste come riserva di ricchezza al riparo da dittature e tassazioni anche a causa dell’impossibilità di incrementarne artificialmente l’offerta;
•che la tecnologia sottostante, il blockchain, è considerata inattaccabile e sarà perciò presto adottata in una miriade di altre applicazioni collegate alla “nuvola”.

 

Stefano di Tommaso




BORSE: PREVISIONI&CONSIDERAZIONI PER IL 2018

(dopo il crollo del Bitcoin sarà la volta dei derivati?)

Più di un commentatore mi ha fatto notare quanto l’attuale fase dorata dei picchi borsistici che negli ultimi 12-15 mesi ci siamo abituati a vedere sia strettamente dipendente dalla forte liquidità ancora oggi immessa copiosamente in circolazione da parte delle Banche Centrali di tutto il mondo, a partire dalla Banca Centrale Europea.

Negli ultimi tempi ci siamo riposati sull’idea che l’attuale fase di euforia borsistica, per quanto quasi inspiegabile, possa durare per sempre. E che oramai l’andamento dei mercati dipenda da quello (positivo) dell’economia globale e dei profitti aziendali, più che da fattori distorsivi come il Q.E. (Quantitative Easing). Cosa peraltro parzialmente veritiera, dal momento che la crescita economica globale al di sopra del tasso tendenziale del 4%, così sincronizzata tra le principali economie del mondo, ha sicuramente dato fiducia agli investitori i quali, ovviamente, hanno ricambiato la cortesia ai mercati incrementando tanto l’acquisto di asset fisici quanti la loro quota di liquidità investita in strumenti borsistici.

I MERCATI TUTTAVIA HANNO PERFORMATO PRINCIPALMENTE A CAUSA DELLA FORTE LIQUIDITÀ IMMESSA DALLE BANCHE CENTRALI

Ciò che invece dovremmo forse osservare con più attenzione è quanti anni di espansione monetaria ci sono voluti perché gli effetti del Q.E. si trasmettesse all’economia reale: troppi forse, visto che ancora oggi l’inflazione sembra non fare alcun occhiolino nelle statistiche.

Ma questo vuol dire solo una cosa: che adesso che finalmente una crescita economica sincronizzata nel mondo è finalmente arrivata e che non si è ancora manifestata l’inflazione corrispondente all’incredibile volume di nuova liquidità immessa dalle banche centrali in 9 anni di storia (mi pare di aver compreso che siamo arrivati a un totale di 15mila miliardi di dollari), ci troviamo in un momento particolarmente fortunato che, per definizione, non potrà durare in eterno.

Prima o poi vedremo perciò più inflazione, e comunque vedremo gli effetti del surriscaldamento del mercato del lavoro -già in corso in America- con l’innalzamento della paga media e con la riduzione delle aliquote fiscali. Ed è tutta da vedere se a tale innalzamento corrisponderà quello della produttività del lavoro, peraltro finalmente in lieve crescita anch’esso.

IL POSSIBILE CATCH-UP DELLA PRODUTTIVITÀ

Laddove non i due parametri (costo e produttività del lavoro) non pareggiassero, vedremmo quantomeno un po’ di inflazione indotta dalla positiva dinamica salariale, che andrebbe a sommarsi alla manovra in corso di rialzo dei tassi da parte delle banche centrali. Cosa che potrebbe sfociare nella riduzione del valore atteso dei rendimenti finanziari e dunque in una discesa delle quotazioni tanto del mercato azionario quanto di quello del reddito fisso, con ovvi effetti depressivi sulla crescita economica.

Il meccanismo appena descritto non è tuttavia così automatico come si potrebbe ritenere. La crescita dei consumi che si è evidenziata in America nel mese di Dicembre sembra avviata a sfiorare il 5% su base annua, con la componente degli acquisti su internet volata al +18%. Numeri da anni ‘50 e ‘60 del secolo precedente, che ovviamente premeranno verso l’alto l’indicatore della crescita complessiva. E se ciò avviene in America è decisamente probabile che anche negli altri Paesi OCSE sia in corso qualcosa di simile.

L’ATTEGGIAMENTO DEGLI INVESTITORI (PICCOLI E GRANDI)

Eppure una rivalutazione dei corsi dei titoli così fortemente influenzata sino ad oggi dalla crescita della liquidità disponibile qualche dubbio lo pone sulla tenuta dei mercati finanziari nell’anno che si apre. Quantomeno in termini di volatilità, scesa ai minimi storici di sempre negli ultimi mesi e con buone ragioni per farsi rivedere.

È da tempo infatti che gli investitori, sazi degli ampi guadagni portati a casa nell’anno che si chiude, continuano a far ruotare i loro portafogli, così come continuano a selezionare i titoli detenuti sulla base della cassa generata (o della crescita tangibile del loro valore), o infine continuano a cercare opportunità di investimento alternative in ogni possibile direzione.

Chi ha controbilanciato sino ad oggi le loro vendite? Sembra siano stati soprattutto i piccoli risparmiatori con i loro programmi di investimento legati all‘emulazione dell’indice di borsa o a strumenti dei titoli a reddito fisso. Ma questa asimmetria tra grandi e piccoli investitori ha alimentato fortemente lo sviluppo dei volumi dei contratti “derivati” (vale a dire contratti “futures”, opzioni, pronti-contro-termine, eccetera) con tutti i rischi che un’altra bolla speculativa possa esplodere in quel comparto.

Dire che lo scoppio della bolla avrà effetti di disturbo sui mercati é un vero e proprio eufemismo! Al contrario potrebbe non materializzarsi alcun effetto qualora le banche centrali riuscissero a gestire con grande maestria il trapasso da una politica espansiva a una riduttiva, mentre le tigri asiatiche riuscissero a consolidare la loro crescita economica in un contesto di relativa stabilità.

PRUDENZA!

 

Difficile però arrivare ad affermare che quest’ultima, positiva combinazione di eventi, produrrà a sua volta ulteriori cospicui guadagni in borsa o, addirittura sui titoli a reddito fisso. È più probabile che -se tutto andrà bene- essa produrrà stabilità. Ecco dunque che a guardare oltre le nebbie del nuovo anno si pone l’aspettativa di uno scenario più prudente, che continuerà a spingere gli investitori a cercare nuove frontiere per la loro liquidità (peraltro probabilmente calante). È (quasi) altrettanto probabile che, laddove lo scenario non sia così positivo, non si manifesti alcuno scoppio di bolle speculative ma che sicuramente almeno la volatilità inizi a riaffacciarsi (nel grafico l’andamento -sino ad oggi decrescente sino a toccare lo scorso mese il record minimo- dell’indice VIX di volatilità dei mercati).

Discende da queste considerazioni una certa prudenza nel consigliare l’investimento azionario nell’attesa dei prossimi sviluppi, soprattutto a causa del fatto che le prese di beneficio in borsa fino ad oggi le hanno praticate quasi solo i grandi investitori istituzionali. Il risveglio dell’inflazione o la sensazione di qualche scricchiolio potrebbe generare nei secondi un atteggiamento molto meno compassato, pur in presenza di situazioni non catastrofiche.

Stefano di Tommaso




2018: I TASSI DI INTERESSE SALIRANNO?

Cominciamo col dire che si, con ogni probabilità la Banca Centrale Europea alla fine qualche aggiustamento al rialzo lo farà anche lei, dopo aver esaurito il suo programma di Quantitative Easing e per adeguarsi alla politica monetaria di tutte le altre banche centrali. Ma vediamo perché e cosa succede nel resto del mondo, a partire dagli Stati Uniti d’America e dalla Gran Bretagna (due economie fortemente collegate fra loro e dotate di banche centrali capaci di grande autonomia monetaria).

Lo scorso 13 Dicembre Janet Yellen, con l’ultimo atto pubblico del suo mandato in scadenza di Governatrice della Federal Reserve Bank of America, ha alzato per la terza volta nel 2017 il tasso base di rifinanziamento di un quarto di punto, portandolo all’1,5%, ripetendo insieme ai suoi colleghi del Board e al suo successore Powell la volontà di continuare anche nel 2018 con altri tre rialzi. Lo ha fatto nonostante l’assenza di crescita dell’inflazione tenendo dritta la barra del timone sulla rotta che da tempo aveva indicato, sicura che alla fine i fatti le daranno ragione.

LA “FORWARD GUIDANCE”

La Yellen ha praticato forse più di ogni altro governatore la cosiddetta “forward guidance”, indicando cioè ai mercati finanziari, con comunicazioni ufficiali fatte in largo anticipo (molti mesi), le proprie intenzioni sui tassi di interesse e la politica monetaria in generale. Lo scopo di tale prassi è innanzitutto quello di risultare credibile e prevedibile, confermando nel tempo con i fatti la validità delle proprie proiezioni economiche e delle azioni che intende porre in atto. La forward guidance ha peraltro un ruolo fondamentale nel ridurre la speculazione e la volatilità dei mercati e al tempo stesso nel mantenere costante il flusso di finanziamenti che il sistema bancario erogherà all’economia reale.

I fatti che sono accaduti dimostrano che Yellen ha avuto ragione ad avvalersene e, non a caso, nonostante ben tre rialzi, la borsa di Wall Street ha continuato a correre e il prodotto interno lordo americano (ma non solo) è cresciuto più di quanto non accadeva prima del 2008 (negli ultimi mesi siamo al 3,3% su base annua). Lo ha fatto mentre i mercati globali festeggiavano la riforma fiscale USA e le borse asiatiche imitavano i record di Wall Street. Il mercato azionario nel 2017 è corso infatti più di ogni previsione e non stanno materializzandosi le (usuali in questi casi) prese di profitto per archiviare un anno positivo. Ben pochi operatori oggi ritengono di trovarsi nel ben mezzo di una bolla speculativa che sta per scoppiare come invece si riteneva tanto all’inizio dell’anno quanto durante la pausa estiva.

L’ECONOMIA DEI PAESI EMERGENTI CRESCE

Ma la Yellen è riuscita in un altro capolavoro: quello di effettuare manovre sui tassi credibili, composte e prevedibili senza far impennare il cambio del Dollaro o provocare un risucchio di capitali dai Paesi Emergenti, non contrastando dunque la loro ripresa economica che tanta parte ha avuto nella crescita dei profitti delle principali aziende multinazionali americane quotate a Wall Street. La Banca Mondiale ha infatti rivisto al rialzo le previsioni per la crescita economica della Cina nel 2017, al 6,8% dal 6,7% di ottobre. Nel 2018, la Cina probabilmente supererà addirittura le previsioni. Anche quelle per la sua valuta, il renminbi, sono migliorate, contrastando dunque le attese di ulteriori fuoriuscite di capitali e tensioni conseguenti sul cambio. Il rialzo di cinque punti base della banca centrale cinese sulle operazioni di reverse repo e quello sui tassi a 1 anno per i prestiti ha costituito un segnale restrittivo per le politiche monetarie future e si è coordinato con i segnali lanciati dalla FED.

Sono state diffuse al momento ben poche previsioni relative alla crescita mondiale nel 2017 ma la mia aspettativa è che si collocherà vicino ad un tasso del 4%, il più alto anch’esso da molto tempo a questa parte.

SINCRONISMI E CONCOMITANZE MONETARIE E FISCALI NON POTRANNO CHE STIMOLARE ANCHE L’INFLAZIONE

Difficile affermare che sia merito di qualcuno in particolare, ma sicuramente gli economisti concordano nel sostenere che buona parte del merito sia dovuta alla “sincronicitá” delle politiche monetarie e, di conseguenza, della reazione delle maggiori economie globali. Un secondo importantissimo motivo della crescita e dell’euforia dei mercati riguarda poi la quasi assenza di inflazione e tensioni salariali, imputandole alla forte innovazione tecnologica e al succede commercio elettronico, che ha fatto crescere la produttività del lavoro e incrementato le importazioni dirette dai paesi emergenti (Cina innanzitutto).

Anche la Banca d’Inghilterra (la Banca Centrale Britannica) ha finalmente innalzato di un quarto di punto il tasso base, in Novembre, ma questa lo ha fatto dopo aver rilevato che le statistiche indicano una crescita dell’inflazione oltre il 3%, superiore alle aspettative e a valle di un successo (o almeno percepito tale) sul negoziato con l’Unione Europea relativo alla fuoriuscita del Regno Unito. La Sterlina peraltro ha tenuto relativamente bene, nonostante le cornacchie del disastro che sarebbe dovuto accadere con la Brexit e anzi, adesso che il negoziato è terminato ci aspetta anche in Gran Bretagna uno stimolo fiscale che tenderà a sopperire all’assenza di quello monetario.

Anche da un punto di vista fiscale la recente manovra di riduzione delle aliquote che è in corso di definizione al Congresso Americano e quella che -a breve- verrà avviata dalla Gran Bretagna, dovrebbero dare ulteriore impulso agli investimenti, ai mercati finanziari e, in definitiva, anche all’economia reale. Tutto ciò però non potrà lasciare a lungo il tasso di inflazione dei prezzi così basso come lo vediamo oggi, non potrà non avere effetti sulla dinamica salariale e non potrà non riflettere l’attesa di rendimenti migliori sugli investimenti effettuati (immobili compresi), cosa che alla fine andrà ad impattare anche sui saggi di rendimento dei titoli obbligazionari.

EFFETTI MODERATI MA NON ASSENTI

Quanto è prevedibile che ciò possa trasmettere volatilità e incertezza sui mercati finanziari? Molto poco, verrebbe da dire, a meno che non si sommino ai tipici effetti del surriscaldamento delle economie anche altri fattori, come taluni strappi sui prezzi delle materie prime, piuttosto che eventuali nuove tensioni geopolitiche. Certo il 2018 si preannuncia carico di buoni eventi ma anche di possibili imprevisti.

Tuttavia è difficile pensare che il percorso di aggiustamento dei tassi di interesse verso l’alto verrà interrotto, tanto per effetto della politica monetaria quanto per il progressivo aggiustamento verso l’alto dei tassi a più lungo termine che, dalle economie anglosassoni, si trasferiranno anche a quella dell’euro-zona e a quelle asiatiche, forse le più esposte ad ulteriori tensioni inflattive.

Alla fine dell’anno magari, ma anche a casa nostra non potremo non sperimentare un progressivo aggiustamento verso l’alto dei tassi di interesse, oggi tenuti a bada anche dalla forza della Divisa Comune e dalla conseguente pressione al ribasso sui rendimenti.

Stefano di Tommaso

 




IL SUCCESSO DELLA “PET ECONOMY”

Abbiamo assistito negli ultimi anni ad un poderoso sviluppo dei cosiddetti “Pet Shop”, vale a dire dei negozi specializzati nel cibo e negli accessori per gli animali domestici. Non soltanto sono comparse un po’ ovunque pubblicità e nuove insegne, tanto quelle di catene di negozi specializzati (tra i più famosi: Arcaplanet, Maxi Zoo, Fortesan e L’Isola dei Tesori, i quali da soli totalizzano quasi 500 punti vendita in Italia), quanto di singoli negozi specializzati (sono quasi 5000 in Italia), ma anche nella Grande Distribuzione è impossibile fare a meno di notare l’espansione degli scaffali che espongono gli stessi articoli.

UN FENOMENO SOCIOLOGICO

Il fenomeno sociale della diffusione degli animali domestici nelle famiglie corrisponde ad una forte crescita del mercato di cibi e articoli per cani, gatti, uccellini, roditori, tartarughe e molte altre diverse tipologie di piccoli compagni domestici, proprio nel medesimo periodo in cui i consumi complessivi nazionali sono sostanzialmente rimasti piatti.

Cosa succede ? Noi italiani ci siamo riscoperti animalisti convinti? Oppure stiamo soltanto allineandoci ad una tendenza globale che riguarda i Paesi economicamente più sviluppati? Poiché nella sola Europa è stimato che vivano nei 75 milioni di famiglie oltre 200 milioni di animali domestici (rapporto ASSALCO-ZOOMARK 2017), è vera senza dubbio la seconda ipotesi, per quanto non si possa esprimere alcun nesso prevalente tra livello del reddito e numero di animali adottati nelle abitazioni: per esempio nella sola Russia pare convivano nelle abitazioni quasi 22 milioni di gatti e 16 milioni di cani!

Per continuare con i numeri europei, i gatti sono senza dubbio la specie maggiormente diffusa, con più di 70 milioni di esemplari, circa il 35% del totale, mentre i cani sono più di 62 milioni, cioè il 31%. La Francia è il paese con il maggior numero di felini: 12,6 milioni, record assoluto rispetto agli altri Paesi comunitari più popolati dai gatti, ovvero Germania (11,8 milioni). Per quanto riguarda i cani, il Regno Unito è la nazione che ne ospita di più, con 8,5 milioni di esemplari, seguito a breve distanza da Francia, Italia e Germania (rispettivamente 7,3 milioni, 7 e 6,8 milioni di cani).

Nei 25,8 milioni di famiglie degli Italiani pare peraltro vivano oltre 60 milioni di animali (vale a dire 2,3 per ogni famiglia, con il 58% delle quali ha un solo animale domestico, il 20% ne ha un paio, mentre il 14% ne possiede 4 o più), con una forte prevalenza dei pesciolini (quasi il 50% del totale) cui fanno seguito quasi 13 milioni di uccellini (oltre il 21% del totale), 7milioni e mezzo di gatti e quasi 7 milioni di cani. I Pet sono visti meglio dalle famiglie con più di 3 componenti (oltre il 54% ne ha almeno uno) e dalle persone più mature: dai 45 ai 64 anni d’età quasi metà degli italiani ne ha almeno uno, mentre il 24% degli Italiani anziani (dai 65 nei d’età) convive con almeno un animale.

I NUMERI DELLA PET ECONOMY IN ITALIA

La presenza degli animali domestici genera dunque non soltanto un cospicuo fenomeno sociale che andrebbe analizzato forse meglio di quanto si è visto e letto sino ad oggi, ma soprattutto determina una serie di consumi che sono arrivati a pesare non poco nel bilancio domestico.

Solo per ciò che riguarda il cibo, il mercato italiano risulta dominato dalle vendite di alimenti per cani e gatti con un giro d’affari di quasi 2 miliardi di euro, per un totale di 559.200 tonnellate commercializzate.

Se lo suddividiamo per Area Geografica (2016), l’Italia Settentrionale con il 52,8% copre oltre la metà del mercato nazionale complessivo, mentre al Centro Italia e in Sardegna gli alimenti per animali sono venduti per il 28,4% del totale. Infine il Sud Italia, con il 18,7%, si caratterizza per la più bassa penetrazione di cibo confezionato per gli animali, oltre che per la ridotta copertura del territorio da parte delle principali catene nazionali di Pet Shop.

Supermercati e Ipermercati risultano il canale di vendita più diffuso per il cibo “Pet” (46,3%), seguiti dagli altri supermercati (10% circa), dai negozi tradizionali specializzati (31% circa) e dalle catene di Pet Shop (7% circa), le quali però sono in forte crescita

Quasi trascurabile appare l’incidenza della spesa per accessori per animali (poco più di 72 milioni in valore nel 2016 rispetto ai quasi 2 miliardi di euro per il cibo), sebbene in crescita decisa. Nonostante le cifre sopra esposte, il mercato del cibo per animali domestici (Pet Food) è atteso in crescita anche per i prossimi anni, soprattutto per gli “snack” per cani e gatti ma ci si aspetta una contrazione del mercato degli «alimenti per altri animali da compagnia».

Da notare però che, nonostante gli «altri» pet rappresentino in Italia circa l’80% della popolazione di animali domestici, il relativo mercato a valore corrisponde a meno dell’1% del totale ed è quindi poco significativo. Sia la Grande Distribuzione che le catene di Petshop presentano trend positivi, soprattutto per quanto riguarda i volumi di vendita di Food. Al contrario, i Petshop tradizionali tendono ad accordarsi e a perdere quote di mercato.

Per il prossimo futuro la direttrice principale del trend positivo è da identificare nella maggiore attenzione dei proprietari nei confronti della cura (è in crescita verticale, sebbene ad oggi di proporzioni trascurabili, il fatturato dei servizi di toelettatura) e della salute dei propri animali, e quindi nella spesa per i veterinari e nella scelta dei prodotti dedicati, dal momento che è stato dimostrato che gli animali nutriti con cibo specializzato prodotto in forma industriale vivono mediamente quasi il doppio di quelli alimentati con gli avanzi della tavola.

Poiché la pet economy è cresciuta nonostante la recente crisi dei consumi ed è attesa in ulteriore crescita, è evidente che il fenomeno attrarrà anche nuove risorse finanziarie, forti sviluppi nelle catene distributive, con la progressiva aggregazione dei negozi singoli in catene specializzate e la crescita del commercio online dei prodotti per la cura degli animali, che ancora oggi rappresentano una frazione infinitesimale dei volumi totali.

Stefano di Tommaso