LA RECESSIONE È GIÀ ALLE PORTE?

Il dato statistico ha fatto sobbalzare tutti: media, esperti, commentatori, imprenditori e investitori. La produzione industriale italiana si è ridotta a Novembre (sul Novembre precedente) del 2,6%, un’enormità se pensiamo a una crescita attesa del prodotto interno lordo (tanto quella passata quanto quella attesa per il 2019) dell’uno virgola qualcosa, che tra l’altro a questo punto è facile che nell’anno in corso non ci sia più.

 

Ma dove stanno le cause? I più se la prendono con il governo, che però è in carica da sin troppo poco tempo per esserne il vero responsabile. E poi c’è quel “di cui” grosso come una casa che si chiama “produzione industriale automobilistica” (un settore industriale che in Italia ha tantissime imprese, buona parte delle quali grandi esportatrici di componentistica) che ha fatto quasi -20% a Novembre (su Novembre 2017). Per fare una sintesi potremmo affermare che la frenata dell’industria automobilistica sia stata quasi l’unica vera causa di quella (otto volte più piccola) registrata dalla produzione industriale nazionale!

SORPRESA! LA GERMANIA ARRANCA

Ma se andiamo a scavare tra le statistiche europee allora sì che salta fuori la vera sorpresa (che costituisce anche buona parte delle ragioni di quella nostrana): la Germania nello stesso periodo (Novembre 2017 -Novembre 2018) ha fatto quasi il doppio della frenata industriale italiana : -4,7%. È questa sì che è una vera enormità, dal momento che, pur in assenza del dato del 4.° trimestre, già nel terzo trimestre la Germania è andata indietro con il prodotto interno lordo e le previsioni indicano che chiuderà l’anno con una crescita del P.I.L. tra il +1,2% e il +1,5% circa (cioè poco più che da noi). Si veda il grafico qui sotto:

Come dire che l’arretramento che noi abbiamo sperimentato a fine anno è stato ancor più vistoso per i tedeschi! Se teniamo conto del fatto che l’export industriale è sceso del 3,2% nello stesso periodo, capiamo che la
Germania (il gigante industriale d’Europa) è stata duramente colpita dalla congiuntura negativa e che questo fatto getta un’ombra sinistra sulle prospettive del vecchio continente, che fino all’estate godeva di un forte avanzo commerciale con il resto del mondo.

Il problema non è marginale per le esportazioni dell’industria italiana, spesso e volentieri fornitrice/terzista di quella teutonica. Il traino (stavolta negativo) è praticamente scontato. Ecco invece sino a Novembre (qui a sinistra) il dato italiano del P.I.L.

L’Europa oggi inoltre si confronta con Francia e Gran Bretagna -sempre più instabili dal punto di vista politico- e con l’avvio della campagna elettorale per le elezioni europee (tra soli 4 mesi) che rischia di portare un forte ribaltone per l’attuguale maggioranza politica della Germania. Difficile dunque che i governanti europei riusciranno a coalizzarsi in questi 4 mesi e a prendere iniziative clamorose per contrastare il declino che sembra delinearsi per l’economia europea.

LA CINA RALLENTA E IL CAMBIO VA A PICCO

La congiuntura non sembra molto migliore in Cina dove, nonostante le statistiche sulla crescita siano discutibili (da più parti si ritiene che molti dati siano stati “truccati”) essa è certamente superiore a quella di buona parte del resto del mondo.

In Cina quasi la metà di quella crescita del P.I.L. (40%) è dipesa fino a ieri dall’incredibile livello di investimenti compiuti da aziende spesso sussidiate dal governo con denaro pubblico preso a prestito.

La contropartita di ciò è un cambio con il Dollaro fortemente perdente e l’accentuarsi dell’inflazione attesa, derivante anche dal maggior costo delle importazioni. Qui sotto il grafico del cambio Yuan/Dollaro nelle ultime settimane:

A sinistra invece il grafico dell’inflazione attesa, in evidente crescita:

Oggi quindi la Cina si confronta però con un indebitamento al limite della sostenibilità e, ciò nonostante, con forti rischi di vedere stabilmente ridotte le sue esportazioni in Occidente incrementandone le importazioni (e dunque importando anche inflazione). Il timore generale è che quella macchina industriale che con la sua dinamica ha portato benefici indotti anche a tutto il resto del mondo possa incepparsi, sotto la pressione che l’America sta esercitando su di essa.

MA ANCHE L’AMERICA RALLENTERÀ (INEVITABILMENTE)

A questo punto anche la prospettiva di crescita economica americana del 2019 inizia a venire messa in discussione, perché non potrà basarsi esclusivamente su un ulteriore accelerazione dei consumi interni (anche perché è difficile ipotizzare ulteriori miglioramenti dell’occupazione dopo che l’economia interna ha già raggiunto di fatto il pieno impiego dei fattori). A evidenziare il rallentamento dei consumi c’è l’inflazione U.S.A., già scesa all’1,9% nei 12 mesi terminati a Dicembre del 2018 (per la prima volta sotto al 2% dall’Agosto 2017) .

D’altra parte, se l’America nonostante la piena occupazione mostrerà una crescita economica rilevante, probabilmente ciò dipenderà da una favorevole dinamica salariale, ma se ciò avverrà allora anche l’inflazione si risveglierà.

PIÙ UNA STAGNAZIONE CHE UNA VERA RECESSIONE

Tutto ciò spinge a supporre che la crescita economica globale prevista in precedenza dovrà ridursi e che ciò andrà inevitabilmente a scapito delle economie più deboli e di quelle più dipendenti dalle esportazioni, come l’Italia. È chiaro che in questo scenario l’iniziativa (attuale e soprattutto potenziale) del governo per uno stimolo “fiscale” forte potrà risultare particolarmente efficace nel contrastare la deriva negativa, ma difficilmente gli permetterà di vantarsene, dal momento che sarà già un ottimo risultato non arretrare economicamente.

Una relativa stagnazione globale dunque non soltanto è probabile che arrivi in anticipo, ma forse è davvero già alle porte. Cioè sarà ufficiale già nel corso del 2019, dopo un intero decennio di ripresa in America e pochi anni di (relativo) sviluppo a casa nostra. E forse proprio per questo l’arretramento a casa nostra non colpirà così duramente.

IL VERO RISCHIO È LO SHOCK FINANZIARIO

Il punto è che quando la stagnazione globale sarà incorporata nelle statistiche, allora i governi di buona parte del mondo si presenteranno all’appuntamento dell’inversione del ciclo economico-per la prima volta nella storia recente- con troppi debiti e assai poca capacità di contrastarla.

E sarà allora che il sistema finanziario globale sarà messo a durissima prova, perché alla recessione in arrivo potrebbe sommarsi una ripresa dell’inflazione, e perché ciò nonostante nessun paese al mondo potrà permettersi di incrementare i tassi di interesse, portando dunque i rendimenti reali sotto lo zero.

Ma questo è davvero un altro film… chi vivrà vedrà!

Stefano di Tommaso




CONSOLIDAMENTO

Nel corso della settimana che si concluderà oggi il principale indice della borsa americana, lo SP500, è cresciuto di quasi il 4%. Una performance di tutto rispetto che non si vedeva dallo scorso Settembre, principalmente basato sulle buone notizie provenienti dai due fronti caldi per gli investitori anglosassoni: la politica dei tassi di interesse e l’andamento delle negoziazioni commerciali con il grande rivale d’America: la Cina. La settimana è peraltro stata positiva in generale per borse e cambi valute di tutto il mondo per lo stesso motivo.

 

A destra sono riportati i principali indici della borsa americana, mentre la borsa italiana ha anch’essa visto un primo scorcio di settimana al rialzo, ma soltanto dell’1%, come si può leggere dall’andamento dell’indice sotto riportato:

 

 

 

IL 2018, ANNO DEL “PARADOSSO”

Un’importante banca svizzera (Pictet) ha scritto che il 2018 può venire definito dalla parola “paradosso”: dal momento che a un‘ incredibile ascesa dei profitti industriali in tutto il mondo e alla riduzione della tassazione degli stessi che si è materializzata nel corso dell’anno si sono accompagnati frequenti rovesci sui mercati finanziari, i cui indici hanno chiuso l’anno quasi tutti in territorio negativo.

Le azioni americane hanno chiuso l’anno 2018 a -4,4%, quelle europee a meno 10,3%, quelle giapponesi a -10,4% e quelle cinesi addirittura a -22,7%.

Le ragioni di quei rovesci vanno innanzitutto cercate nell’accresciuta volatilità dei mercati, ma anche quest’ultima più che una causa può costituire un sintomo: i rialzi dei tassi di interesse, le tensioni geopolitiche internazionali e la prosecuzione apparentemente irrinunciabile della crescita del debito globale hanno fatto la loro parte nello spaventare gli investitori e i risparmiatori, provocando loro un’accentuata disaffezione per i mercati finanziari e, soprattutto, un‘ appiattimento delle aspettative per il 2019.

SCENARIO PIATTO

Nel corso dell’anno 2019 è infatti opinione comune che la crescita dei profitti aziendali non proseguirà con la medesima intensità, l’economia globale rallenterà la sua crescita e i consumi delle famiglie stagneranno, mentre la zampa delle banche centrali si ritiene che vorrà monitorare molto da vicino l’andamento dei mercati, non tanto per evitare che tornino a crescere in modo vigoroso quanto per il pericolo che a tali rimbalzo possano seguire momenti rovinosi.

Questa specie di “tunnel” imposto dalle banche centrali ai mercati finanziari tanto verso l’alto quanto verso il basso, ovviamente non eccita gli entusiasmi di nessuno, ma d’altra parte ha contribuito a rasserenare gli animi.

LA ROTAZIONE DEI PORTAFOGLI (DA PRO-CICLICI A ANTI-CICLICI)

Dopo una fine d’anno che potremmo definire quasi “rovinosa”, esso ha stimolato una seria riflessione: forse dopo i capitomboli delle scorse settimane i mercati sono finalmente approdati a rive più tranquille, ed è forse tornato il tempo di fare delle scelte, tanto in funzione di un’importante rotazione dei portafogli(in buona parte già avvenuta nello scorso Dicembre: si veda nel grafico qui sotto quali settori ne hanno beneficiato) e in parte per correggere qualche eccesso di ribasso che non si giustifica se non con l‘irrazionalità…

In altre parole sembrerebbe essere tornati in uno scenario da “bambola dai riccioli d’oro” (Goldilocks): non troppo buono e nemmeno troppo pericoloso, che non può che favorire una generale ripresa di fiato degli operatori finanziari.

 

 

QUANTO DURERÀ LA TREGUA ?

Una domanda allora si impone su tutte: quanto durerà la “tregua” ? Ovviamente non lo sa nessuno, ma i mercati si muovono sulla base delle notizie e degli eventi e, in previsione, sono relativamente pochi i sommovimenti che è ragionevole prevedere per l’anno in corso: la geopolitica non fa più paura (lo abbiamo già visto nel mio precedente articolo : “Sussurri e Grida”), anzi potrebbe essere foriera di buone notizie.

I prezzi del petrolio e delle altre materie prime è ragionevole supporre che resteranno infatti relativamente calmi, il ciclo economico positivo sarà pure in esaurimento, ma quantomeno molto lentamente, gli investitori si sono già tutti riposizionati su assetti molto più prudenziali e, apparentemente, il ciclo del credito è già fortemente in regressione, ragione per cui nessuno prevede alcuna esplosione incontrollata dei debiti e, di conseguenza, alcuna crisi di fiducia dei mercati, l’occupazione è ancora in lieve crescita e così non è probabile un crollo dei consumi.

Uno scenario da puro consolidamento insomma, nel quale i gelidi venti freddi della disillusione riducono la volatilità dei mercati e potrebbero aiutare a vederli ricomporre i pezzi, in attesa delle prossime vicende.

 

Stefano di Tommaso




SUSSURRI E GRIDA

LA GEOPOLITICA NON FA PIÙ PAURA

 

Il 2018 è stato un anno difficile, denso di timori e tensioni internazionali, nessuno dei quali si è tuttavia trasformato in tragedia. Primo fra tutti lo scontro frontale tra i due colossi economici globali: America e Cina. Forse l’accordo si farà, più probabilmente si farà ma solo su determinate questioni scottanti, quelle che fanno del male a entrambe, ma la competizione tra i due sistemi ideologici e industriali più contrapposti della storia è più difficile che si attenui, continuando a seminare tensione tra i rispettivi partners industriali e commerciali.

 

IL CASO ITALIANO

Non troppo diversa è la storia del nostro Paese, da decenni sulla china di un possibile fallimento dello Stato. Dopo molti mesi (estivi) di timori e fughe in avanti, generate e conseguenza al tempo stesso delle impennate dello spread tra i tassi di rendimento nostrano e quelli della Germania, è oramai chiaro che non conviene a nessuno lasciar fallire l’Italia, ma al tempo stesso il debito pubblico nazionale continua (e continuerà a lungo) a generare tensioni e maggiori costi, innanzitutto a noi Italiani. Nè si può sperare che i problemi con i ”partners” europei possano venire d’un tratto cancellati.

LA BREXIT

Storia simile era stata quella della Brexit: il popolo del Regno Unito ha votato “contro” le forze prevalenti che lo volevano assoggettato ad un’Europa germanocentrica e questo è sembrato aprire le porte dell’inferno per l’economia britannica… che invece ha retto benissimo l’impatto e, nonostante le tensioni continuino ancora oggi, dopo più di due anni, alla fine il dialogo con l’Unione Europea va faticosamente avanti, nel segno della moderazione così come di una malcelata diffidenza reciproca. Le tensioni insomma restano, ma è oramai chiaro che nessuna vera frattura arriverà.


LA FRANCIA

Se i tre esempi riportati possono aiutare a costruire un paradigma, allora facile profezia resta quella sulla possibile sorte della rivolta dei “Gilets Jaunes”, i quali in questi giorni stanno facendo pensare a un nuovo 1789 ma che, con ogni probabilità, stempereranno invece gradualmente le loro proteste di piazza, in parte perché alcune delle loro richieste sono in accoglimento ma anche perché sanno anche loro che non potranno andare avanti in eterno.

Macron dal canto suo è improbabile che cadrà domani mattina dallo scranno della Presidenza, ma è altrettanto vero che dal confronto con la piazza egli esce con le ossa rotte e poca voglia di proseguire sulla strada globalista a oltranza precedentemente percorsa. Anche in Francia dunque le tensioni sociali proseguiranno probabilmente nei prossimi mesi pur senza sfociare nella rivolta, così come i conti pubblici continueranno a deteriorarsi e tutto questo avrà effetti economici negativi anche nel resto d’Europa.

LA PREDOMINANZA DELL’AMERICA

In fondo nel corso del 2018 è andata così come descritto per Italia, Gran Bretagna e Francia, anche in Siria, in Turchia e in Argentina: nessuna delle forti tensioni scoppiate in questi paesi ha provocato una vera e propria escalation, tale da bloccare la crescita economica globale, sebbene il combinato disposto di ciascuna di esse abbia contribuito non poco a ridurre i risultati potenziali della grande stagione di progresso che avrebbe potuto esserci quest’anno e che non c’è stata.

Ciò nonostante il mondo mostra tutte le intenzioni di voler andare avanti imperterrito, stemperando le tensioni in un’economia globale che nonostante tutto mantiene il segno positivo, in un mercato finanziario globale che nonostante tutto affoga ancora nella liquidità e in un sistema di potere geopolitico globale che vede ancora una volta gli U.S.A. sempre più decisamente al suo vertice.

“SUSSURRI E GRIDA”

La situazione descritta è perciò paragonabile a quella algida e plastica litania di situazioni glaciali mirabilmente descritte dal regista Ingmar Bergman nel suo famosissimo film “Sussurri e Grida” del 1972.

Il motivo dominante della cupa atmosfera che si respira in quelle scene è il peso che un elegante e colpevole passato impone alla vita di ognuno dei suoi protagonisti, che torna a premere sul presente non solo come substrato psichico ma anche con una immanente tensione generatrice di buone e cattive notizie al tempo stesso.

Non succede nulla di plateale eppure tutto si trasforma al fuoco delle tensioni che si agitano nel sottofondo, sino alla scomparsa della protagonista, che rende protagonista il personaggio più umile della narrazione: la domestica. Eppure tra un dramma e l’altro, il regista riesce a inserire un’inestimabile morale di vita: accetta il dolore e sorridi alla felicità. Un messaggio che viene accolto prima e più decisamente da chi appartiene alle classi sociali più basse.

Così forse un fenomeno simile sta avvenendo nel mondo contemporaneo: il ricambio tra vecchie glorie e nuovi slanci avviene nel sottofondo delle conseguenze di atti precedenti, macerandosi e mimetizzandosi tra una tensione e l’altra, e facendo sì tuttavia che il panorama complessivo risulti alla fine decisamente mutato.

NESSUN ENTUSIASMO SUI MERCATI

Essa costituisce di sicuro una buona notizia per l’uomo della strada, colui che farebbe le maggiori spese di situazioni opposte a quella presente (nessuna guerra scoppia davvero, nessuna recessione getta tutti sul lastrico), ma è una situazione che non genera alcun entusiasmo per i mercati finanziari, ebbri delle sbornie da rendimento sin qui godute e privi di alcuna prospettiva di poterle propagare nell’immediato futuro, anzi! Spesso le guerre sono state un buon affare per molti settori industriali e altrettanto spesso i momenti di tensione hanno generato stop importanti al progresso economico. Nessuno oggi si aspetta perciò grandi guadagni in borsa e ritorna di prepotenza l’attenzione ai titoli a reddito fisso, gli unici in grado di far dormire sonni tranquilli a chi deve cercare di fare tesoro delle performances precedenti.

Questo non significa che i mercati finanziari si addormenteranno in un sapido torpore, ma anzi che periodicamente le tensioni sperimentate nel corso del 2018 potranno esacerbarsi nel corso del 2019, seppure con ogni probabilità ciò avverrà senza mai giungere all’apoteosi della crisi economica vera e propria, casomai di una impalpabilmente moderata recessione, assai attesa dopo un intero decennio di crescita. La prospettiva non allude a buone notizie per le borse e nemmeno a grandi fiammate di inflazione che potrebbero rilanciare i rendimenti obbligazionari, ma non possiamo attenderci neppure tonfi clamorosi dei listini, l’unica vera grande iattura che i risparmiatori di tutto il pianeta si augurano di scansare.

L’INEVITABILE ROTAZIONE DEI PORTAFOGLI E UN “DILEMMA”

 

È così altrettanto probabile che i multipli stratosferici dei titoli tecnologici si ridimensioneranno, ma anche che sia arrivato il momento di far ruotare i portafogli verso titoli anticiclici e che serbano le migliori prospettive di sviluppo. La grande incognita è però se essi coincideranno con gli stessi settori industriali che in passato potevamo definire “anticiclici” oppure se, con l’affermazione della digitalizzazione, del commercio elettronico e dell’intelligenza artificiale, il panorama del business cambierà così radicalmente da spedire per sempre nel libro dei ricordi le strategie di investimento che erano valide in questi momenti nel recente passato e costringere i sempre più cauti investitori verso terreni inesplorati (cosa assai probabile).

Anche per questo motivo il periodo di grande spolvero del reddito fisso sembra destinato a durare più dello spazio di un mattino…

Stefano di Tommaso




INDIETRO TUTTA ?

Se ai mercati finanziari la scorsa settimana non è bastata nemmeno la doppietta di buone notizie di una possibile tregua nelle guerre commerciali in corso e del mutato atteggiamento delle banche centrali che avevano recentemente dichiarato di essere pronte a rivedere la loro volontà di procedere con i rialzi dei tassi d’interesse, il ragionamento che ne consegue è che la loro situazione è forse più grave di quello che sembrava.

 

La settimana appena conclusa ha lasciato infatti i mercati con la bocca amara, nonostante le ottime aspettative che avevano fatto seguito alll’ultimo meeting dei maggiori governanti del mondo: il G20 di Buenos Aires. Ufficialmente si è parlato del riacuirsi dei timori di uno scontro sempre più frontale tra Stati Uniti d’America e Cina, dopo l’arresto (chiesto dagli americani) della figlia di uno dei maggiori imprenditori dell’estremo oriente, apparentemente sulla base di capi d’accusa molto relativi (la violazione del bando americano sulle forniture all’Iran).

La verità sembra però essere ben più grigia: ai mercati finanziari della figlia del signor “Huawei” non sarebbe probabilmente interessato affatto se, per le relazioni tra i due paesi, questo non fosse stato un episodio paragonabile all’attentato di Sarajevo (che costò la vita poco più di un secolo fa al principe ereditario d’Austria e divenne il “casus belli” che dette inizio al deflagrare della prima guerra mondiale), scoprendo d’un tratto una verità ben diversa da quella raccontata dagli organi di stampa: gli U.S.A. hanno molto da recriminare circa i comportamenti commerciali poco ortodossi delle industrie cinesi, e non intendono chiudervi un occhio in nome di una ritrovata armonia!

UNA TERRIBILE COINCIDENZA DI CIRCOSTANZE NEGATIVE

Il vero punto della questione però è che nemmeno la gravità della guerra commerciale in corso sarebbe poi così importante per l’umore dei mercati finanziari, se non fosse che va a coincidere temporalmente con:
•una riduzione progressiva della liquidità disponibile e il rialzo dei tassi di interesse (entrambi programmati dalle banche centrali)

•la volontà degli investitori professionali di realizzare le laute plusvalenze accumulate in quasi un decennio di borse crescenti,

•l’inizio di una discesa della fiducia dei consumatori,

•l’allarme recessione lanciato dagli economisti che da tempo indicano una elevata correlazione statistica della fine di un ciclo economico positivo con l’inversione della pendenza della curva dei tassi di interesse (per cui se il differenziale dei rendimenti a breve con quelli a lungo termine si azzera, allora si crea una situazione “innaturale”)

•il ripetuto allarme circa la dimensione nuovamente raggiunta dagli strumenti finanziari derivati (paragonabile soltanto a quella toccata prima della grande crisi del 2008) e dunque del rischio che il castello di carte della speculazione possa abbattersi con sfracello sull’economia reale, ma soprattutto che esso possa travolgere le più importanti banche del mondo, mettendo di nuovo a rischio i capisaldi del sistema internazionale.

 

I RISCHI DI TENUTA DEL SISTEMA BANCARIO

Degli argomenti di preoccupazione testè citati è forse l’ultimo quello peggiore di tutti, soprattutto per il continente europeo, perché è da noi che le imprese piccole e medie più dipendono dai finanziamenti del sistema bancario (anche a causa di un mercato dei capitali relativamente sottosviluppato) e dunque è da noi che un’eventuale nuova crisi del sistema bancario può fare i danni peggiori.

A ingrigire il quadro ci si mette dunque la prospettiva di un prossimo anno molto difficile per i Paesi appartenenti all’Unione Europea, già gravati da un eccesso di tassazione (a sua volta derivante dalla necessità di finanziare un eccessivo indebitamento pubblico)

I RISCHI POLITICI E DI TENUTA DEI CONTI PUBBLICI

E adesso anche travolti anche da un deciso ricambio in corso delle leadership politiche (con tutto quello che ne consegue in termini di rischi di dissoluzione della moneta unica)

e al tempo stesso con il rischio che le esportazioni (su cui molto si è basata la loro relativa salute economica fino ad oggi) possano in definitiva venire seriamente danneggiate dalle guerre commerciali e dalla possibilità che molti Paesi Emergenti entrino in default finanziario a causa del caro-Dollaro.
A corroborare poi l’attesa complessiva di una vera e propria frenata della crescita economica globale ci si sono messe infine la discesa del prezzo del petrolio (stranamente proprio all’arrivo della stagione fredda) è un drastico calo delle vendite dei beni di consumo durevole, primi fra tutti gli autoveicoli!

Mettendo insieme tutti i tasselli del mosaico quello che ne consegue è che i tempi di vacche grasse per i profitti aziendali e per gli investimenti tecnologici potrebbero essere già un ricordo all’inizio del 2019, cioè un anno almeno in anticipo sulle previsioni che circolavano ancora poche settimane fa.

 

IL GIOCO PERVERSO DELLE ASPETTATIVE CHE SI AUTOREALIZZANO

Al di là dunque di un possibile rimbalzo delle borse valori nei prossimi giorni, i forti ribassi della settimana appena trascorsa hanno acceso una luce sinistra sulla probabilità che le reali prospettive dei mercati finanziari globali siano peggiori di quanto la maggioranza degli operatori economici era disposta a credere fino a ieri.

•E se dovesse prevalere lo scoramento collettivo sarebbe sufficiente quest’ultimo per mandare il mondo anticipatamente in recessione, a causa del perverso gioco delle aspettative che si autorealizzano e degli investimenti (tanto quelli industriali come quelli strutturali) che rischiano di bloccarsi a causa della riduzione delle disponibilità finanziarie per sostenerli.

Stefano di Tommaso