CRESCITA ECONOMICA : TUTTO DIPENDERÀ DAGLI INVESTIMENTI

Il 2019 ha quasi compiuto un mese di vita e si è presentato fino ad oggi ai mercati finanziari come un anno le cui prospettive di crescita economica globale sono difficili da interpretare ma sicuramente è stato foriero di cospicui rialzi di borsa nonché di una decisa stabilizzazione dei rendimenti (che si sono addirittura ridotti).
Persino la volatilità si è data una regolata, dopo un Dicembre da brivido. Ciò è accaduto piuttosto inaspettatamente a partire dal periodo di Natale, dopo mesi preoccupanti di borse in ribasso e di grandi tensioni geo-politiche, e nonostante che molti risparmiatori hanno liquidato le loro posizioni nei fondi di investimento.
A influenzare positivamente i mercati è intervenuto anche il cambio di atteggiamento delle banche centrali, che fino all’anno passato sembravano avviate in direzione “ostinata e contraria” a continuare con il raffreddamento monetario e la risalita dei tassi.

 

UN AUTUNNO DIFFICILE

Quello appena trascorso è stato un autunno-inverno denso di tensioni e guerre psicologiche, commerciali e politiche: è difficile definire diversamente non soltanto quella (ancora) in atto tra l’America e la Cina, ma anche quella che abbiamo vissuto nello stesso periodo tra il nuovo Governo Italiano e la vecchia classe dirigente dell’Unione Europea. Magicamente invece, nell’anno appena iniziato non solo l’inflazione ha mostrato di essere un fantasma e il petrolio è risultato in ribasso, ma persino le prospettive dell’economia reale sembrano decisamente meno peggiori di quel che si poteva ritenere.

IL MIGLIOR GENNAIO DAL 1987

Dunque ciò che è accaduto nella prima parte del 2019 è che per le borse è stato il miglior mese di Gennaio dal 1987). Nel grafico a destra l’indice MSCI WORLD (che rappresenta l’andamento medio delle borse di tutto il mondo nell’ultimo mese):

Quel che stupisce di più è che è possibile che il trend al rialzo delle borse addirittura prosegua anche nei prossimi mesi, nonostante il pessimismo che si è respirato a Davos, diffuso tra i grandi leader del mondo radunati per il World Economic Forum, nonostante i forti venti della mini-recessione europea d’autunno abbiano fatto temere i più per il peggio (i soliti Tedeschi avevano già aperto l’ombrello prima della pioggia con l’indice IFO ai minimi storici) e nonostante che quei timori abbiano immediatamente amplificato altri timori: quelli riguardanti la conseguente possibile fragilità dei debiti pubblici di molti Paesi sovraindebitati, come il nostro.

I CONSUMI RISTAGNANO

Ammettiamolo. Sicuramente alla fine del 2018 (e altrettanto sicuramente all’inizio del 2019) l’economia mondiale ha subìto una forte frenata, complici molte concause sbandierate dal “mainstream” (cioè i giornali, le televisioni e gli opinionisti prevalenti): dai populismi alla Hard Brexit, dal Blocco della spesa degli uffici del Governo Americano alla protesta dei Gilet Gialli, eccetera eccetera… Ma probabilmente la causa principale della frenata dello sviluppo economico globale poco ha a vedere con tutto ciò: dopo l’avvento di un ciclo economico positivo (che è risultato estremamente longevo nei Paesi Anglosassoni, sin troppo roboante in quelli Asiatici e molto più recente ma al tempo stesso estremamente fragile in quelli Latini), i consumi di beni e servizi in tutto il mondo hanno mostrato un’intrinseca tendenza alla flessione, com’è d’altronde normale dopo un lungo periodo di bonanza.

GLI INVESTITORI SONO DUBBIOSI

Al tempo stesso anche gli investimenti hanno segnato il passo: “Si investe per produrre, si produce per vendere. Se non sono in grado di sapere che ci sarà qualcuno pronto a comprare, io smetto di investire” ha detto al World Economic Forum Angel Gurrìa, Segretario Generale dell’OCSE. Ma questo non significa necessariamente che il mondo sia inevitabilmente avviato verso la recessione, almeno non sùbito.

Le abitudini della gente stanno cambiando radicalmente e così anche i panieri di spesa, quelli su cui si basano le attese statistiche di inflazione. Crescono ugualmente infatti quella sanitaria, quella per gli adeguamenti tecnologici, quelle per la formazione e l’istruzione. Cresce persino la spesa per alimenti più sani e di migliore qualità. Decresce la spesa per accessori e gadgets, per l’arredo e l’abbigliamento, e scendono gli acquisti per autoveicoli, elettrodomestici e altri beni di uso durevole. Cioè gli oggetti che erano più “glamour” in passato ma che interessano meno ai “millennials” (le nuove generazioni divenute adulte). Di conseguenza anche gli investitori si orientano diversamente nel selezionare i settori industriali più interessanti.

LE STATISTICHE INGANNANO

Ma il punto è che molti servizi oggi non sono più oggetto di spesa monetaria a causa dell’avvento della “digital sharing economy” ma essi creano ugualmente benessere per chi li ottiene e ricchezza per chi li produce. Arrivano inoltre sul mercato i primi prodotti e servizi basati sull‘intelligenza artificiale (si pensi ad “Amazon Alexa”, o ai sistemi esperti di assistenza alla guida dei veicoli, al fintech e all’insurtech, eccetera…) e c’è chi è pronto a scommettere che l’invasione di questi ultimi determinerà una vera e propria rivoluzione, tanto economica quanto sociologica, immettendo presto nuova benzina nel motore della crescita economica globale.

C’E TROPPO PESSIMISMO

Proprio a Davos, dove è noto che le previsioni ivi formulate al termine di ciascun Forum dell’ultimo decennio sono quasi sempre risultate sbagliate, al Segretario dell’OCSE ha fatto eco il Presidente Cinese Xi: “c’è troppo pessimismo”! Dello stesso avviso il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “il prodotto interno lordo italiano crescerà come previsto” ovviamente se gli investimenti avranno luogo, ha aggiunto.

E probabilmente la chiave è tutta qui: nel trovare il modo di mantenere alta la fiducia e nel continuare in ciò che quest’anno sarà probabilmente più facile fare che non l’anno prossimo (quando magari un possibile d’inflazione potrebbe anche arrivare a manifestarsi, rialzando i tassi di interesse): incentivare gli investimenti tecnologici e supportare quelli infrastrutturali. La Cina sta tenendo fede a quanto pianificato in precedenza, ovvero sta mantenendo in corsa gli investimenti pubblici e sta cercando di stimolare quelli privati, immettendo altra liquidità nel sistema, esattamente quello che l’Europa sembra oggi non voler fare.

L’IMPORTANZA DELLE ELEZIONI EUROPEE

Ed è forse anche per questo motivo che le elezioni europee che si terranno a primavera potrebbero risultare determinanti affinché il vecchio continente non cada in una crisi di sfiducia (con tutto quello che ne consegue a livello economico): per riuscire a mantenere la rotta sul fronte della crescita economica, la quale tra l’altro resta l’unico vero antidoto al rischio di default del debito pubblico italiano bisogna cambiare le teste che lo guidano. È infatti oramai chiaro a tutti che quella dell’austerità, promossa sin dai tempi della grande crisi dalla vecchia classe dirigente europea, è la ricetta sbagliata (nel migliore dei casi) o addirittura uno strumento di sottomissione (nel peggiore).

I MERCATI FINANZIARI NON SI AGITANO

Nel frattempo i mercati finanziari non scontano oggi alcuna recessione nè l’ombra di alcuna fiammata inflazionistica, anzi restano piuttosto tranquilli, esattamente come era successo durante il fuoco di paglia delle tensioni internazionali nate a valle degli screzi “balistici” tra Giappone e Corea del Nord, esattamente come quando il Medio Oriente sembrava una polveriera pronta ad esplodere ed esattamente come è successo subito dopo il voto sulla Brexit. Chi la sa lunga cerca sicuramente di mettere ancora un po’ di fieno in cascina per tempi peggiori che potrebbero sempre arrivare, ma sa anche che magari non arriveranno sùbito, non così rovinosamente, e non senza che si prepari nel sottofondo una nuova stagione della crescita dei profitti legata all’avanzata delle nuove tecnologie.

Molto ovviamente dipenderà dal comportamento degli investitori ma ancor più da parte dei governi e delle banche centrali, le quali come dice il nome risultano (e risulteranno anche in futuro, almeno per un po’) sempre più “centrali” nelle decisioni di investimento e nel determinarne il loro costo. Una responsabilità importante ma che esse hanno mostrato sino a questo momento di voler prendere molto sul serio!

Dunque se una recessione globale prima o poi arriverà, questa volta forse non dipenderà dal sistema bancario e finanziario. E se ciò risultasse una previsione corretta anche la portata del suo impatto sarà minore. Potrebbe essere questo il motivo per cui le borse non sembrano al momento avviate ad alcun inesorabile declino…

 

Stefano di Tommaso




LA RECESSIONE È GIÀ ALLE PORTE?

Il dato statistico ha fatto sobbalzare tutti: media, esperti, commentatori, imprenditori e investitori. La produzione industriale italiana si è ridotta a Novembre (sul Novembre precedente) del 2,6%, un’enormità se pensiamo a una crescita attesa del prodotto interno lordo (tanto quella passata quanto quella attesa per il 2019) dell’uno virgola qualcosa, che tra l’altro a questo punto è facile che nell’anno in corso non ci sia più.

 

Ma dove stanno le cause? I più se la prendono con il governo, che però è in carica da sin troppo poco tempo per esserne il vero responsabile. E poi c’è quel “di cui” grosso come una casa che si chiama “produzione industriale automobilistica” (un settore industriale che in Italia ha tantissime imprese, buona parte delle quali grandi esportatrici di componentistica) che ha fatto quasi -20% a Novembre (su Novembre 2017). Per fare una sintesi potremmo affermare che la frenata dell’industria automobilistica sia stata quasi l’unica vera causa di quella (otto volte più piccola) registrata dalla produzione industriale nazionale!

SORPRESA! LA GERMANIA ARRANCA

Ma se andiamo a scavare tra le statistiche europee allora sì che salta fuori la vera sorpresa (che costituisce anche buona parte delle ragioni di quella nostrana): la Germania nello stesso periodo (Novembre 2017 -Novembre 2018) ha fatto quasi il doppio della frenata industriale italiana : -4,7%. È questa sì che è una vera enormità, dal momento che, pur in assenza del dato del 4.° trimestre, già nel terzo trimestre la Germania è andata indietro con il prodotto interno lordo e le previsioni indicano che chiuderà l’anno con una crescita del P.I.L. tra il +1,2% e il +1,5% circa (cioè poco più che da noi). Si veda il grafico qui sotto:

Come dire che l’arretramento che noi abbiamo sperimentato a fine anno è stato ancor più vistoso per i tedeschi! Se teniamo conto del fatto che l’export industriale è sceso del 3,2% nello stesso periodo, capiamo che la
Germania (il gigante industriale d’Europa) è stata duramente colpita dalla congiuntura negativa e che questo fatto getta un’ombra sinistra sulle prospettive del vecchio continente, che fino all’estate godeva di un forte avanzo commerciale con il resto del mondo.

Il problema non è marginale per le esportazioni dell’industria italiana, spesso e volentieri fornitrice/terzista di quella teutonica. Il traino (stavolta negativo) è praticamente scontato. Ecco invece sino a Novembre (qui a sinistra) il dato italiano del P.I.L.

L’Europa oggi inoltre si confronta con Francia e Gran Bretagna -sempre più instabili dal punto di vista politico- e con l’avvio della campagna elettorale per le elezioni europee (tra soli 4 mesi) che rischia di portare un forte ribaltone per l’attuguale maggioranza politica della Germania. Difficile dunque che i governanti europei riusciranno a coalizzarsi in questi 4 mesi e a prendere iniziative clamorose per contrastare il declino che sembra delinearsi per l’economia europea.

LA CINA RALLENTA E IL CAMBIO VA A PICCO

La congiuntura non sembra molto migliore in Cina dove, nonostante le statistiche sulla crescita siano discutibili (da più parti si ritiene che molti dati siano stati “truccati”) essa è certamente superiore a quella di buona parte del resto del mondo.

In Cina quasi la metà di quella crescita del P.I.L. (40%) è dipesa fino a ieri dall’incredibile livello di investimenti compiuti da aziende spesso sussidiate dal governo con denaro pubblico preso a prestito.

La contropartita di ciò è un cambio con il Dollaro fortemente perdente e l’accentuarsi dell’inflazione attesa, derivante anche dal maggior costo delle importazioni. Qui sotto il grafico del cambio Yuan/Dollaro nelle ultime settimane:

A sinistra invece il grafico dell’inflazione attesa, in evidente crescita:

Oggi quindi la Cina si confronta però con un indebitamento al limite della sostenibilità e, ciò nonostante, con forti rischi di vedere stabilmente ridotte le sue esportazioni in Occidente incrementandone le importazioni (e dunque importando anche inflazione). Il timore generale è che quella macchina industriale che con la sua dinamica ha portato benefici indotti anche a tutto il resto del mondo possa incepparsi, sotto la pressione che l’America sta esercitando su di essa.

MA ANCHE L’AMERICA RALLENTERÀ (INEVITABILMENTE)

A questo punto anche la prospettiva di crescita economica americana del 2019 inizia a venire messa in discussione, perché non potrà basarsi esclusivamente su un ulteriore accelerazione dei consumi interni (anche perché è difficile ipotizzare ulteriori miglioramenti dell’occupazione dopo che l’economia interna ha già raggiunto di fatto il pieno impiego dei fattori). A evidenziare il rallentamento dei consumi c’è l’inflazione U.S.A., già scesa all’1,9% nei 12 mesi terminati a Dicembre del 2018 (per la prima volta sotto al 2% dall’Agosto 2017) .

D’altra parte, se l’America nonostante la piena occupazione mostrerà una crescita economica rilevante, probabilmente ciò dipenderà da una favorevole dinamica salariale, ma se ciò avverrà allora anche l’inflazione si risveglierà.

PIÙ UNA STAGNAZIONE CHE UNA VERA RECESSIONE

Tutto ciò spinge a supporre che la crescita economica globale prevista in precedenza dovrà ridursi e che ciò andrà inevitabilmente a scapito delle economie più deboli e di quelle più dipendenti dalle esportazioni, come l’Italia. È chiaro che in questo scenario l’iniziativa (attuale e soprattutto potenziale) del governo per uno stimolo “fiscale” forte potrà risultare particolarmente efficace nel contrastare la deriva negativa, ma difficilmente gli permetterà di vantarsene, dal momento che sarà già un ottimo risultato non arretrare economicamente.

Una relativa stagnazione globale dunque non soltanto è probabile che arrivi in anticipo, ma forse è davvero già alle porte. Cioè sarà ufficiale già nel corso del 2019, dopo un intero decennio di ripresa in America e pochi anni di (relativo) sviluppo a casa nostra. E forse proprio per questo l’arretramento a casa nostra non colpirà così duramente.

IL VERO RISCHIO È LO SHOCK FINANZIARIO

Il punto è che quando la stagnazione globale sarà incorporata nelle statistiche, allora i governi di buona parte del mondo si presenteranno all’appuntamento dell’inversione del ciclo economico-per la prima volta nella storia recente- con troppi debiti e assai poca capacità di contrastarla.

E sarà allora che il sistema finanziario globale sarà messo a durissima prova, perché alla recessione in arrivo potrebbe sommarsi una ripresa dell’inflazione, e perché ciò nonostante nessun paese al mondo potrà permettersi di incrementare i tassi di interesse, portando dunque i rendimenti reali sotto lo zero.

Ma questo è davvero un altro film… chi vivrà vedrà!

Stefano di Tommaso




L’EUROPA RALLENTA,MA NON È“MAL COMUNE,MEZZO GAUDIO”

È un proverbio nato con Cicerone, che promuove l’idea del mimetizzarsi con il malessere diffuso per tamponare psicologicamente la pena derivante dai propri problemi. In questi giorni i dati macroeconomici di Germania e Francia sono divenuti decisamente negativi: l’indice Pmi manifatturiero emesso a dicembre è in netto calo: in Germania è sceso a 51,5 punti rispetto ai 51,8 di un mese fa mentre quello relativo ai servizi è invece risultato pari a 52,5 punti, in calo rispetto ai 53,3 di un mese fa. Ancora più pesanti i dati francesi: l’indice Pmi manifatturiero della Francia è risultato pari a 49,7 rispetto ai 50,8 del precedente, mentre quello dei servizi si è attestato a 49,6 punti, in discesa rispetto ai 55 punti di metà novembre.

 


(Qui sopra: il disavanzo commerciale francese)

 

I dati del terzo trimestre 2018 hanno rivelato un forte rallentamento della crescita economica per l’intera area Euro che, una volta destagionalizzata, è ridotta allo 0,2% sul trimestre precedente: il peggior risultato dall’inizio del 2013 ! La riduzione delle esportazioni, il regresso del settore “automotive” e una certa fuga di capitali verso l’area Dollaro che ha rinviato qualche investimento hanno congiurato per tale risultato.

(nel grafico qualche numero chiave fornito dal Fondo Monetario):


La Francia si è poi affermata quest’anno il paese con la più elevata tassazione al mondo, raggiungendo il 46,2% del prodotto interno lordo, buona seconda la Danimarca, con il 46% netto. Terza la Svezia, al 44% e soltanto quarta l’Italia, al 42,4% del P.I.L. Anche per questo la Francia non può permettersi di concedere al popolo in rivolta tagli di tasse o altre pubbliche prebende, se non portando il suo disavanzo dei conti pubblici al 3,4% (cosa sulla quale non si è notata la benché minima reazione dell’U.E.) mentre l’Italia può invece permettersi addirittura di tentare una manovra leggermente “espansiva” pur contenendo il deficit al 2% e questo non le risparmia ugualmente la minaccia di una procedura comunitaria d‘infrazione (per eccesso di deficit).


Come si spiega tutto ciò? Probabilmente con la politica e con la psicologia, ma soprattutto con lo scarsa influenza che il nostro paese può vantare nei confronti dei governanti comunitari.

In psicologia il bisogno di appartenenza, di sentirsi “come” gli altri influenza non poco le intere comunità, anche quelle professionali. L’Unione Europea ha indubbiamente fatto leva su sentimenti comuni come questo nel catturare il consenso popolare nei paesi membri come l’Italia. Ma ora stiamo sperimentando cosa significa, in un ambiente in cui gli altri si sentono accomunati da leadership politiche simili, il provare ad essere, anche di poco, diversi. È stato come gettare il guanto in segno di sfida e la reprimenda del governo europeo non si è fatta attendere!

Eppure l’Italia ha il saldo delle partite correnti (Bilancia commerciale + trasferimenti) così come l’avanzo primario dei conti dello stato (cioè prima di contare gli interessi) stabili e positivi da numerosi anni, a differenza di altri paesi europei, come la Francia, che ha un disavanzo primario da lungo tempo, ma oggi l’Italia agli occhi degli altri paesi membri dell’U.E. ha difetti non sanabili da nessuna politica economica:

in primo luogo, in questo momento di sconvolgimento politico dell’Europa ha l’unico governo che gode di oltre del 50% del supporto popolare e che quindi può dirsi democratico e ciò in Europa non è tollerabile,
inoltre non ha Italiani nella Commissione Europea mentre al contrario Moscovici, francese, non casualmente ha posizioni filomacroniane,
infine in questo momento il debito pubblico italiano risulta detenuto per il 72% da soggetti residenti nel nostro paese (ivi compreso il sistema bancario nazionale, che anche per questo motivo è sotto schiaffo) ed è dunque poco influenzabile dalle vendite allo scoperto provenienti dall’esterno che non riesco a giocare troppo spudoratamente al ribasso.

Ora ci manca solo che le tensioni politiche e commerciali dell’Unione con gli Stati Uniti d’America (il nostro alleato di sempre) si acuiscano dopo le ferie perché per l’economia europea si sia costretti definitivamente cantare il “de profundis” facendola sprofondare in recessione prima dell’America. L’effetto spiacevole è che in tal caso vedremo presto inevitabilmente nella recessione anche il nostro paese, con buona pace degli oppositori politici del governo italiano, che ne dedurranno soltanto che la manovra di questo governo (che ha soltanto sei mesi di vita) “era sbagliata”.

Sic transit gloria mundi (si pronuncia ogni volta alla nomina di un nuovo pontefice, anche per ricordare che -morto un papa- se ne fà un altro). Ma purtroppo i burosauri che sono al vertice della Commissione Europea è più probabile che preferiscano affondare con la loro nave (la Commissione) alle prossime elezioni (tra soli tre mesi) piuttosto che scelgano di avviarsi in fretta ad una decisa sterzata circa le loro politiche macroeconomiche, politiche e ideologie che ora si dimostrano sbagliate persino per gli Stati membri che avrebbero dovuto trarne profitto. Politiche e ideologie che tra l’altro fanno ancora trasparire quell’atavica voglia di “austeritàa prescindere” per paesi considerati spendaccioni come il nostro, da sempre malcelata.

Stefano di Tommaso

 




INDIETRO TUTTA ?

Se ai mercati finanziari la scorsa settimana non è bastata nemmeno la doppietta di buone notizie di una possibile tregua nelle guerre commerciali in corso e del mutato atteggiamento delle banche centrali che avevano recentemente dichiarato di essere pronte a rivedere la loro volontà di procedere con i rialzi dei tassi d’interesse, il ragionamento che ne consegue è che la loro situazione è forse più grave di quello che sembrava.

 

La settimana appena conclusa ha lasciato infatti i mercati con la bocca amara, nonostante le ottime aspettative che avevano fatto seguito alll’ultimo meeting dei maggiori governanti del mondo: il G20 di Buenos Aires. Ufficialmente si è parlato del riacuirsi dei timori di uno scontro sempre più frontale tra Stati Uniti d’America e Cina, dopo l’arresto (chiesto dagli americani) della figlia di uno dei maggiori imprenditori dell’estremo oriente, apparentemente sulla base di capi d’accusa molto relativi (la violazione del bando americano sulle forniture all’Iran).

La verità sembra però essere ben più grigia: ai mercati finanziari della figlia del signor “Huawei” non sarebbe probabilmente interessato affatto se, per le relazioni tra i due paesi, questo non fosse stato un episodio paragonabile all’attentato di Sarajevo (che costò la vita poco più di un secolo fa al principe ereditario d’Austria e divenne il “casus belli” che dette inizio al deflagrare della prima guerra mondiale), scoprendo d’un tratto una verità ben diversa da quella raccontata dagli organi di stampa: gli U.S.A. hanno molto da recriminare circa i comportamenti commerciali poco ortodossi delle industrie cinesi, e non intendono chiudervi un occhio in nome di una ritrovata armonia!

UNA TERRIBILE COINCIDENZA DI CIRCOSTANZE NEGATIVE

Il vero punto della questione però è che nemmeno la gravità della guerra commerciale in corso sarebbe poi così importante per l’umore dei mercati finanziari, se non fosse che va a coincidere temporalmente con:
•una riduzione progressiva della liquidità disponibile e il rialzo dei tassi di interesse (entrambi programmati dalle banche centrali)

•la volontà degli investitori professionali di realizzare le laute plusvalenze accumulate in quasi un decennio di borse crescenti,

•l’inizio di una discesa della fiducia dei consumatori,

•l’allarme recessione lanciato dagli economisti che da tempo indicano una elevata correlazione statistica della fine di un ciclo economico positivo con l’inversione della pendenza della curva dei tassi di interesse (per cui se il differenziale dei rendimenti a breve con quelli a lungo termine si azzera, allora si crea una situazione “innaturale”)

•il ripetuto allarme circa la dimensione nuovamente raggiunta dagli strumenti finanziari derivati (paragonabile soltanto a quella toccata prima della grande crisi del 2008) e dunque del rischio che il castello di carte della speculazione possa abbattersi con sfracello sull’economia reale, ma soprattutto che esso possa travolgere le più importanti banche del mondo, mettendo di nuovo a rischio i capisaldi del sistema internazionale.

 

I RISCHI DI TENUTA DEL SISTEMA BANCARIO

Degli argomenti di preoccupazione testè citati è forse l’ultimo quello peggiore di tutti, soprattutto per il continente europeo, perché è da noi che le imprese piccole e medie più dipendono dai finanziamenti del sistema bancario (anche a causa di un mercato dei capitali relativamente sottosviluppato) e dunque è da noi che un’eventuale nuova crisi del sistema bancario può fare i danni peggiori.

A ingrigire il quadro ci si mette dunque la prospettiva di un prossimo anno molto difficile per i Paesi appartenenti all’Unione Europea, già gravati da un eccesso di tassazione (a sua volta derivante dalla necessità di finanziare un eccessivo indebitamento pubblico)

I RISCHI POLITICI E DI TENUTA DEI CONTI PUBBLICI

E adesso anche travolti anche da un deciso ricambio in corso delle leadership politiche (con tutto quello che ne consegue in termini di rischi di dissoluzione della moneta unica)

e al tempo stesso con il rischio che le esportazioni (su cui molto si è basata la loro relativa salute economica fino ad oggi) possano in definitiva venire seriamente danneggiate dalle guerre commerciali e dalla possibilità che molti Paesi Emergenti entrino in default finanziario a causa del caro-Dollaro.
A corroborare poi l’attesa complessiva di una vera e propria frenata della crescita economica globale ci si sono messe infine la discesa del prezzo del petrolio (stranamente proprio all’arrivo della stagione fredda) è un drastico calo delle vendite dei beni di consumo durevole, primi fra tutti gli autoveicoli!

Mettendo insieme tutti i tasselli del mosaico quello che ne consegue è che i tempi di vacche grasse per i profitti aziendali e per gli investimenti tecnologici potrebbero essere già un ricordo all’inizio del 2019, cioè un anno almeno in anticipo sulle previsioni che circolavano ancora poche settimane fa.

 

IL GIOCO PERVERSO DELLE ASPETTATIVE CHE SI AUTOREALIZZANO

Al di là dunque di un possibile rimbalzo delle borse valori nei prossimi giorni, i forti ribassi della settimana appena trascorsa hanno acceso una luce sinistra sulla probabilità che le reali prospettive dei mercati finanziari globali siano peggiori di quanto la maggioranza degli operatori economici era disposta a credere fino a ieri.

•E se dovesse prevalere lo scoramento collettivo sarebbe sufficiente quest’ultimo per mandare il mondo anticipatamente in recessione, a causa del perverso gioco delle aspettative che si autorealizzano e degli investimenti (tanto quelli industriali come quelli strutturali) che rischiano di bloccarsi a causa della riduzione delle disponibilità finanziarie per sostenerli.

Stefano di Tommaso