RICONOSCERE UN SELL-OFF

Dove vanno i mercati finanziari? Continuerà il caos che stiamo sperimentando nelle ultime settimane oppure si fermerà? Tutti gli operatori se lo chiedono e tutti gli investitori si chiedono cosa fare per limitarne i rischi, ma la risposta giusta è quella che a nessuno piace ascoltare: nel breve termine giù a picco! I motivi sono numerosi e le probabilità contrarie sono poche. Nel medio termine invece tutto può succedere.

 

Mi sono chiesto molte volte se la situazione di deterioramento dei valori finanziari italiani non potesse deviare uno sguardo oggettivo sui mercati e colorare di nero ogni mia possibile valutazione e, per questo motivo, preferirei partire dall’analisi della situazione nazionale, tanto per non avere dubbi.

UNA TEMPESTA PERFETTA ?

L’Italia ha molto probabilmente davanti a sè la “tempesta perfetta“ dei mercati finanziari, dal momento che lo scontro del nostro governo è frontale con la Commissione Europea (e, tra pochissimo, anche con l’intera “troika” che ha asfaltato la Grecia: cioè anche la Banca Centrale Europea -BCE- e il Fondo Monetario Internazionale -FMI-) e stanno per arrivare quasi certamente i downgrade delle agenzie di rating, che daranno la mazzata finale sulla testa del debito pubblico italiano. La congiuntura si fa perciò assai nera tanto per il sistema bancario italiano quanto, di conseguenza, per la Borsa di Milano.

Inutile dire che di fronte a un tale spiegamento di forze qualsiasi altro governo avrebbe vacillato e il Paese avrebbe probabilmente preso in seria considerazione un cambio di rotta della volontà di generare incremento del prodotto interno lordo attraverso una manovra che inizialmente prevede un deficit di bilancio “non ammissibile” per l’Unione Europea. Perché non ammissibile? Chiaramente e inequivocabilmente per motivi politici: questa coalizione politica al governo promette battaglia anche alle prossime elezioni europee e l’attuale classe dirigente europea sta facendo l’impossibile per combatterla !

IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA

Ma questo governo no, per i medesimi motivi politici (è nato sull’onda della prolungata crisi economica e del disprezzo dell’italiano medio nei confronti della politica deviata fatta a livello comunitario sulla sua pelle) non solo non vuole ma non è neppure in grado di fare qualcosa di diverso dal proseguire “in direzione ostinata e contraria”, arrivando a portare alle estreme conseguenze lo scontro in atto, con tutto quello che può significare a livello finanziario una tale scelta. Per non girarci intorno quello che può significare è l’intervento d’urgenza del FMI a imporre un prestito forzoso in nome del solito fantomatico piano di salvataggio per il debito pubblico italiano che, come si è visto in Grecia, consentirà esclusivamente agli stranieri di vederselo rimborsato.

Ovviamente la cosa non avrà un‘ impatto limitato sui mercati perché tra l’altro, se la coalizione al governo del Paese riuscirà ad essere coerente con i suoi intenti, a quel punto dovrebbe chiedere l’immediata congelamento del debito pubblico e l’uscita dall’Unione Monetaria (cosa che potrebbe arrivare a fare e che potrebbe anche avere un profondo senso storico, ma che comporta un fegato d’acciaio da parte di chi promuoverà un tal passo). Possiamo però immaginare cosa può significare una manovra così forte nel breve periodo! L’intero sistema dei valori finanziari italiani (immobili compresi) subirebbe uno shock planetario e nel frattempo assisteremmo al medesimo copione greco a meno che non venisse deciso in un baleno il ritorno alla Lira. Ciò peraltro comporterebbe un incremento stellare dei prezzi di qualsiasi bene ci si voglia acquistare perché al cambio risulterebbe fortemente svalutata rispetto all’Euro e a tutte le altre valute.


L’ASIMMETRIA DEGLI OPPOSTI

Alla base del braccio di ferro che sta giungendo alle estreme conseguenze c’è una forte asimmetria tra due ragionamenti, entrambi assai fondati, tra la coalizione governativa italiana e la maggioranza politica che ispira le scelte della Commissione Europea (il governo dell’Unione): i politici a capo della prima hanno sempre pensato che all’Europa non conviene affatto un braccio di ferro risoluto e continuato con l’Italia perché può determinare l’affossamento definitivo della moneta unica e comunque danneggerebbe gravemente gli interessi degli altri stati membri, quelli a capo della seconda sanno invece che per i politici italiani è cosa assai complessa tenere testa a un simile scontro frontale e che tutti i loro predecessori (Berlusconi compreso) molto presto hanno capitolato. Dunque i secondi puntano sullo sfiancamento dell’attuale maggioranza nazionale anche grazie a tutti gli innumerevoli addentellati del potere finanziario internazionale, a partire dai “media” che getterebbero veleno a volontà e che farebbero di tutto per disorientare gli elettori che hanno votato la maggioranza gialloverde, fino alla “troika” passando anche dalle agenzie di rating e magari dalle accuse di qualche tribunale internazionale. In una parola l’ “assedio” ci sarebbe di sicuro!

Dicevamo che nel medio termine entrambi i contendenti potrebbero avere ragione e che però nel frattempo nessuno aveva previsto che sarebbero entrambi stati pronti a portare lo scontro fino alle estreme conseguenze. Conseguenze che non potranno non generare disordine e sconforto innanzitutto sulle quotazioni dell’Euro, poi sulle borse (non solo quella italiana) e infine anche sui titoli di stato di tutta Europa. Lo scontro di cui scrivevo qui sopra pertanto degli effetti devastanti a catena li produrrà molto presto, a meno che non rientri alla velocità della luce.

LE CONDIZIONI DISASTROSE DEI MERCATI FINANZIARI INTERNAZIONALI

Ma c’è un’ulteriore circostanza che forse hanno tutti sottovalutato: le condizioni del mercato finanziario internazionale, già oggi fortemente deteriorate ben al di là delle attese di prossima recessione economica che tendono ad attestarsi intorno al 2020. Innanzitutto a causa delle pessime condizioni dei mercati asiatici, che pesano sempre più sulla bilancia internazionale. E poi perché se alla crisi asiatica e a quella dei mercati emergenti anche di tutto il resto del mondo (principalmente vittime del caro-Dollaro) si sommerà quella dei mercati europei, la frittata sarà servita, provocando serissime reazioni su Wall Street e su Londra, i cui listini sono oggi forse troppo dipendenti dalle supervalutazioni dei titoli “tecnologici”. La probabilità di deflagrazione di una nuova crisi finanziaria globale inizia dunque a crescere e può risultare fatale nel determinare la prosecuzione vino alle estreme conseguenze dello scontro tra l’Italia e il resto dell’Unione Europea.

Indipendentemente però da quello che potrebbe succedere in futuro lo scenario di breve termine è già di per sè decisamente preoccupante: la svalutazione dell’Euro è già in atto, il rialzo dei tassi di interesse rischia di proseguire a causa della reazione a catena che la crisi italiana può provocare in tutto il mondo, mentre le borse, che già stavano scendendo in tutto il mondo, rischiano soltanto di accelerare nella medesima direzione. La questione italiana insomma può risultare come la classica ultima goccia che fa traboccare l’intero vaso.

I POSSIBILI “MANDANTI”

Quali possibilità ci sono che ciò non accada? Non molte in realtà, complice la Federal Reserve Bank of America che non sta facendo nulla per correggere il suo attuale orientamento ad ulteriore rialzo dei tassi (il differenziale con quelli tedeschi è giunto a superare il 3%) schiacciando di conseguenza tanto i cambi contro il Dollaro quanto le prospettive di esportazioni americane nel resto del mondo. Qualcuno ci vede anche lì lo zampino della politica: l’attuale presidente americano “deve” subire una pesante sconfitta elettorale a Novembre e l’economia americana va troppo bene perché le probabilità che ciò accada restino alte. Un bel crollo di Wall Street aiuterebbe pertanto e l’abitazione che ne conseguirebbe magari farebbe gli interessi dei grandissimi gruppi internazionali che controllano il mercato dell’energia (il cui prezzo schizzerebbe alle stelle).

Sul fronte opposto non possiamo non menzionare la decisa opportunità di un accordo rappacificatore tra la Commissione Europea e il Governo Italiano, che indubbiamente risolleverebbe le sorti della Borsa e aiuterebbe a contenere lo spread, aggiungendo un motivo in più alle Agenzie di Rating per non abbassare quello italiano. Ci guadagnerebbe più l’Europa che l’Italia viste le prossime elezioni e visto il rischio di “contagio” di una disfatta della finanza del Bel Paese. Ma la razionalità della “ragione di stato” a volte si scontra con “lo particolare” interesse di questo o quel politico, che al proprio livello può preferire uno scontro a un confronto per mille e una motivazione personale (absit injuria verbis)…

Stefano di Tommaso




STOP ALLE VENDITE AUTO: UN SEGNALE IMPORTANTE CHE NON VA IGNORATO

Che a Settembre avremmo avuto le prime avvisaglie del rallentamento economico del Paese era chiaro quasi a tutti, ma che tale rallentamento potesse configurarsi in un crollo di consumi dei beni durevoli (quelli a metà strada tra spese voluttuarie e investimenti) forse non lo immaginava nessuno. Eppure a un giorno dalla fine del mese di Settembre le statistiche fanno piovere gelide notizie quantomeno per il settore dei beni durevoli che risulta ancora forse il più importante per l’industria nazionale: quello dell’auto.

 

IL TONFO DI FCA

Inutile dilungarci in dati e dettagli dal momento che tutti i media ne parlano in queste ore: le vendite complessive di autoveicoli sono discese di un quarto rispetto a Settembre di un anno fa . Ma ciò che fa più paura è il tonfo di Fiat Chrysler: il 40% in meno, evidentemente collegato alla forte quota di offerta con motorizzazioni Diesel e inoltre riferibile a un ulteriore importante fenomeno : le vendite ai privati si sono ristrette di più di quelle a imprese e società di noleggio.

STOP ALLE AUTO TRADIZIONALI

Il fenomeno dunque sembra essere di costume prima ancora che congiunturale: il Paese ha visto ridursi drasticamente i consumi privati e le vendite di auto “nazionali” (che sono probabilmente anche quelle con il minor contenuto di innovazione tecnologica). Guarda caso crescono le vendite di auto ibride, elettriche e “SUV” (cioè “sport utility vehicle”) come la nuova Alfa Romeo Stelvio.

 

L’INDOTTO AUTOMOBILISTICO

Inutile ricordare che l’industria automobilistica occupa in Italia circa 160mila persone (ivi compreso l’indotto della medesima che conta per più della metà del totale) e genera esportazioni per circa 20 miliardi di euro. Il collasso del mercato interno non aiuta il settore a investire sul proprio futuro e ad incrementare l’occupazione.

DECRETO EMISSIONI O TIMORI CONGIUNTURALI ?

Molti hanno attribuito la colpa di ciò all’incertezza ormativa che riguarda le emissioni dannose dei veicoli, che sicuramente ha contribuito a comprimere le vendite di auto Diesel. Ma quanto dipende dalla situazione di incertezza politica e dal “battage” dei “media” (gli organi di informazione) contro l’attuale maggioranza di governo e le sue politiche ?

I “guru” si sperticano ad affermare che non c’entra nulla ma io giurerei il contrario (e probabilmente insieme a me la maggioranza silenziosa del Paese) : il Paese è profondamente spaccato in due tronconi e tutti i santi giorni gli euroburocrati, i mercati finanziari e gli organi di informazione buttano benzina sul rogo che si è acceso. E la gente nel dubbio cosa fa? Risparmia! Ovviamente, mette fieno in cascina per possibili momenti peggiori.

I CONSUMI DUREVOLI SONO I PRIMI AD ESSERE RINVIATI

Aspettiamoci perciò se questo è vero di vedere ridotti consumi anche di molti altri beni durevoli, dall’arredo agli elettrodomestici. La spesa per consumi (complessiva) era cresciuta nel 2017 del +1,6% (più della crescita del Prodotto Interno Lordo, pari a +1,5%). Quest’anno vedremo, ma quasi sicuramente la transizione verso un’Italia diversa sarà difficile, tanto dal punto di vista dei rapporti con l’Unione Europea (forse anche a ragione) quanto nella correzione di tutti i numerosissimi squilibri interni dovuti alla cultura clientelare e assistenziale che si è stratificata nell’ultimo decennio.

L’INCERTEZZA ARRIVA DALL’ESTERO

Questo non significa che possiamo avere fiducia: se il quadro politico sembra avere un solido consenso popolare e sarà orientato a proseguire nelle politiche di stimolo alla crescita economica è ragionevole pensare che la speculazione contro i nostri titoli di stato non durerà all’infinito. Ma per il momento il segnale fornitoci dalla frenata dei consumi per i beni durevoli (i primi ad essere rinviati quando ci sono timori) è forte e chiaro: l’Italia non è l’America di Trump e la sua fragile economia rischia una brusca frenata se non si interviene in tempo e se la guerriglia degli organi di informazione prosegue imperterrita!

 

 

Stefano di Tommaso




DIECI E NON PIÙ DIECI

Esattamente dieci anni fa esplodeva la crisi della Lehman Brothers, una delle più grandi banche d’affari americane e del pianeta e dava l’avvio alla peggiore crisi finanziaria degli ultimi ottant’anni. Ma dopo poco più di un anno di passione le borse da allora hanno ripreso a correre e sono ascese a toccare i massimi di sempre. Oggi, allo scadere di quel decennio nuove importanti avvisaglie di pericolo si stanno radunando nuovamente sui mercati finanziari di tutto il mondo e in particolare su Wall Street, che sino ad oggi si è laureata come la regina delle borse valori e che ha tenuto molto meglio delle altre le sue quotazioni. Ma, a ben vedere la scadenza dei 10 anni potrebbe rivelarsi caustica proprio per i titoli più performanti…

 

Quanto durerà la “bonanza” degl’investimenti azionari? Tutti sanno che l’eternità è riservata ad altri argomenti e che tutto ciò che va in alto prima o poi deve tornare in basso, ma sino ad oggi le borse hanno riservato agli investitori solo sorprese positive, anche quando sono cresciute parecchio. In questi giorni tuttavia in cui si ricorda uno dei momenti più drammatici dei mercati finanziari a memoria d’uomo sempre più investitori professionali iniziano a prendere precauzioni e a prepararsi al peggio, sebbene la prossima recessione non sia nemmeno in vista. In questo articolo cerchiamo di fare luce sulle prospettive dei mercati azionari all’arrivo di un autunno che potrebbe rivelarsi più “caldo” del previsto.

LA DIVERGENZA CRESCENTE TRA LE BORSE NEL MONDO

Cominciamo con un grafico particolarmente esplicativo della divergenza profonda che si è creata -a partire dalla primavera del 2018- tra le quotazioni di Wall Street e quelle di tutte le altre borse valori:

 

Il grafico è coerente con il fenomeno di rimpatrio dei capitali americani investiti in giro per il mondo e con il riaffermarsi del Dollaro quale moneta leader. Ma forse, per fare luce sulla situazione paradossale che stiamo vivendo, bisogna fare ancora un ragionamento, mettendo in relazione le strabilianti performance di Wall Street (rispetto al resto del mondo) viste nel grafico qui sopra, con quelle di un ristrettissimo numero di titoli super-tecnologici e super importanti per il listino, senza i quali la stessa Wall Street non sarebbe affatto stata la medesima:

Nel grafico qui riportato vietiamo infatti che buona parte della performance l’hanno fatta 5 aziende superstar: i cosiddetti titoli FAANGs (Facebook Amazon Apple Netflix e Google) e in particolare la stessa Apple, che ha praticamente sorretto il listino con le sue forze, arrivando per prima oltre la soglia fatidica di mille miliardi di dollari di capitalizzazione.

Bisogna peraltro ammettere che in questa follia euforica c’è forse anche del genio, dal momento che senza i FAANG probabilmente avremmo assistito ad una forte penalizzazione del listino americano che avrebbe a sua volta potuto scatenare un “sell-off” (fuga dalle borse) di proporzioni bibliche e che pertanto il medesimo è stato evitato.

Dunque buona parte delle altre borse valori e la stessa Wall Street -se si escludono quei cinque titoli “d’oro”- sta già oggi navigando a vista e comunque sotto ai livelli di inizio anno.

L’INVERSIONE DELLA CURVA DEI RENDIMENTI

Ma proprio allo scadere dei dieci anni dall’ultima crisi finanziaria un altro importante campanello d’allarme ha iniziato a suonare: l’inversione della curva di rendimenti. Si veda nel grafico che segue l’evoluzione del differenziale tra i rendimenti dei titoli di stato americani con scadenza a 10 e a 5 anni: quando il primo frutta meno interessi del secondo ecco che qualcosa di innaturale sta succedendo.

Per chi è familiare con il concetto basterà solo dire che tutti concordano sul fatto che, quando accade, nel giro di un anno al massimo arriva la recessione, spesso indotta dalle manovre della stessa banca centrale americana. Per gli altri possiamo aggiungere che, dal momento che anche questa volta le attese sul rialzo dei tassi di interesse sono divenute più importanti nel breve che nel lungo termine (per il quale evidentemente gli operatori non si aspettano grandi variazioni), ecco che -a livello di rendimenti- il mercato preferisce comperare titoli di stato a 10 anni invece di quelli a 5 anni poiché nel breve termine la costanza degli incrementi nei tassi di interesse operata dalla Federal Reserve Bank of America ha solidificato la convinzione che questa continuerà a incrementarli ancora a lungo.

MA LA RECESSIONE E’ ALLE PORTE?

Quando dovrebbe manifestarsi allora la recessione? Difficile per chiunque rispondere ma indubbiamente il super-ciclo economico positivo (che dall’America si è esteso a praticamente tutto il resto del mondo) sembra giunto a durate record nella storia economica e da adesso in poi ogni momento potrebbe essere quello buono per la sua inversione.

E’ stata forse la presidenza Trump che ha gettato scompiglio nelle attese degli economisti, con un forte rilancio tanto delle aspettative quanto dei profitti netti aziendali, dopo l’importante sconto fiscale operato meno di un anno fa ma annunciato quasi due anni fa (con la sua elezione) e la promessa di dare supporto a forti investimenti infrastrutturali. Dopo l’arrivo di Trump indubbiamente l’economia americana ha conosciuto un bel balzo in avanti, registrando livelli occupazionali record che non si vedono nemmeno in Cina (dove le paghe sono dieci volte più basse) e incrementi tanto nei redditi quanto nei consumi pro-capite. Le aspettative di recessione si sono dunque fortemente ridimensionate e anche i mercati finanziari ne hanno risentito positivamente. Ma l’economia americana è oggettivamente “drogata” dagli stimoli fiscali, arrivati per di più dopo anni di stimoli monetari. Quanto a lungo potrebbe continuare a correre se non ne arriveranno ancora di nuovi? Di seguito un grafico che mostra le attese degli effetti delle manovre in corso sull’economia:


LA FUGA IN SORDINA DEGLI INVESTITORI PROFESSIONALI

Volendo poi proseguire con i campanelli d’allarme, anche il comportamento dei grandi hedge-funds speculativi, per quanto solo parzialmente indicativi di una vera e propria tendenza, sono cambiati negli ultimi mesi: il grafico che segue infatti indica una forte attesa di incremento per il prossimo Novembre dell’indice della volatilità, in coincidenza con le “elezioni di medio termine” americane, le medesime che potrebbero segnare la riconquista del Congresso americano da parte dei democratici e, in quel caso, anche la fine della carriera politica del presidente Trump:

Ebbene i due grafici che seguono mostrano il fatto che i grandi investitori hanno iniziato a scommettere su un ribasso del listino già da alcuni mesi, incrementando nel contempo l’investimento sui titoli a reddito fisso (cosa che spiegherebbe il differenziale negativo sulle scadenze più lunghe visto poco sopra):

I RIBASSISTI SI CONCENTRANO SULLE STAR DEL LISTINO

Anche per quanto riguarda la selezione dei titoli su cui investire, l’incremento delle scommesse al ribasso sui FAANGs (e dintorni, come Microsoft, Alibaba e Tesla) mostra chiaramente che gli investitori professionali (i più attivi sul fronte delle scommesse al ribasso) sono pericolosamente pessimisti sugli unici colossi che hanno puntellato la tenuta del listino di Wall Street:

Potrebbe allora confermarsi l’oscura metafora con famosi “mille e non più mille” anni indicati da Gesù Cristo, con i dieci anni e non più altri dieci dei mercati finanziari? Non è detto, così come hanno avuto poca soddisfazione i fautori della fine del mondo, in qualsiasi epoca abbiano profetizzato.

Certo però il numero di argomenti a favore di un deciso ridimensionamento delle valutazioni azionarie continua a crescere e chi ritiene, come mostrato nel grafico qui sotto riportato, che il mondo ha digerito un salto in alto permanente nella valutazione delle aziende, dovrebbe ricordarsi delle più basilari leggi della fisica, a partire da quella più cara a Isaac Newton: la legge di gravità!


Stefano di Tommaso




IL COMMERCIO INTERNAZIONALE E’ A RISCHIO? LE STATISTICHE NON FORNISCONO CERTEZZE

E’ notizia odierna il fatto che la Cina ha accumulato un avanzo commerciale record nei confronti degli Stati Uniti d’America che ha raggiunto in Agosto i 31 miliardi di dollari, dopo i 28 miliardi di Luglio e i 29 miliardi di Giugno, dunque in ulteriore crescita rispetto al totale già elevatissimo del 2017. Dunque le tariffe volute da Trump alle importazioni cinesi al momento sembrerebbero risultare del tutto inefficaci a contrastare il divario accumulato.

 

Probabilmente la svalutazione del Renminbi nei confronti del Dollaro ha consentito alle esportazioni cinesi di compensare l’aggravio di costo risultante dalle tariffe doganali finendo per essere ugualmente competitive:

Per citare un altro dato numerico (e dunque non controvertibile, l’export cinese verso le 28 nazioni dell’Unione Europea (il maggior partner commerciale cinese) sono cresciute in Agosto dell’11% toccando il record di 37 miliardi di Dollari, contro importazioni cresciute del 15% a un totale di 25 miliardi di Dollari, segnando dunque un importante avanzo commerciale e un ulteriore avanzamento del commercio globale.

Questo nonostante che una serie di statistiche recentemente pubblicate indicherebbero che il commercio mondiale sta subendo una qualche riduzione a causa delle tariffe che l’America ha innalzato nei confronti dei partner commerciali con i quali si era sviluppato un disequilibrio. Per esempio i volumi di commercio mondiale sono per la prima volta in contrazione dopo qualche anno e storicamente lo sono stati in pendenza di un possibile rallentamento dell’economia globale (come si può vedere dal grafico qui riportato):

Anche l’andamento discendente della domanda di noli dei containers (qui sotto riportato al 31 Agosto scorso) indica un andamento discendente, sebbene anche in questo le cause della discesa possono essere varie e non sembrano originare dalle tariffe doganali:

Nonostante dunque non esistano certezze circa il rallentamento del commercio internazionale, tuttavia l’eventuale conferma della tendenza alla riduzione del medesimo può avere delle conseguenze importanti in termini di crescita economica globale e, soprattutto, può danneggiare l’export italiano che, secondo le ultime statistiche, viaggia invece a gonfie vele:


Le statistiche disponibili non mostrano ancora perciò che il nostro Paese risulti in qualche modo danneggiato dalla guerra tariffaria. Le stime di crescita economica in Europa restano ancora al di sopra del 2% per fine 2018, nonostante i maggiori centri di ricerca economica abbiano ridotto le previsioni che erano in precedenza più alte di mezzo punto.

Anche per il nostro Paese le stime di crescita per l’anno in corso sono state ridotte a poco più dell’1%, ma i presunti danni al commercio internazionale che deriverebbero dalle più alte tariffe doganali americane sono sostanzialmente ancora tutti da dimostrare, anzi! Se si guarda alle statistiche la quota di mercato globale colta dal nostro paese è in crescita, seppure di una frazione di punto percentuale:

Chi ha ragione dunque: il “mainstream” dei vari media che tipicamente avversa la presidenza Trump, pronto a dichiarare che le tariffe doganali americane hanno creato danni incredibili alla crescita economica globale, oppure i numeri e le statistiche, che al momento mostrano l’opposto?

Difficile al momento individuare la verità, ma un dubbio resta: se il “coro di cornacchie” continua a dichiarare una verità (al momento) contestabile, non sarà per caso tutta una montatura, ordita per scopi propagandistici? Ai posteri (o più semplicemente alle prossime statistiche) l’ardua sentenza…

Stefano di Tommaso