LA LOCOMOTIVA AMERICANA TORNA A TRAINARE IL RESTO DEL MONDO

Chi aveva previsto negli Stati Uniti d’America un ciclo economico positivo alle sue ultime battute come minimo ha sbagliato i tempi ! Il secondo trimestre del 2018 segna per l’amministrazione Trump un clamoroso successo in termini di crescita economica (+4,1%) disoccupazione (ai minimi da 17 anni), investimenti (cresciuti al tasso annuo del 7,3% dopo essere aumentati dell’11,5% nei primi tre mesi del 2018) ed esportazioni (+9,3%). Per non parlare poi dei consumi, saliti quasi altrettanto (3,9%), con un’inflazione che invece non si infiamma (ritornata al 2% dal 2,2% precedente) nonostante l’incremento dei salari e dei risparmi.

 

La crescita economica del primo semestre era un dato cruciale per il governo americano dal momento che i critici del drastico taglio delle tasse sancito a fine 2017 scommettevano che non avrebbe fatto altro che favorire le classi più agiate, incidendo poco o nulla sull’economia reale. Il clamoroso successo riportato a proposito dello sviluppo economico controbilancia invece le numerose critiche giunte da tutto il mondo a proposito della modalità aggressiva con la quale il governo americano sta cercando di sostituire i precedenti accordi commerciali con il resto del mondo, giudicati sfavorevoli e rischiosi di portare il commercio mondiale alla paralisi a causa delle guerre tariffarie.

ANCORA AMPIO IL DIVARIO TRA RICCHI E POVERI

In realtà il divario tra classi agiate e classi povere resta molto ampio in America: il taglio fiscale non ha certo favorito direttamente la la ricchezza di queste ultime, ma la forte ripresa dell’occupazione conseguente alla ripresa degli investimenti produttivi ha ravvivato la loro speranza di una forte crescita economica che alla fine arrivi a migliorare il tenore di vita dell’uomo della strada. La scommessa di Trump è perciò quella vederla continuare per di creare le basi per un incremento del gettito fiscale complessivo più di quanto il taglio delle tasse lo riduca.

Ora che i numeri appaiono confortanti gli occhi sono però puntati alle prospettive dell’intero anno 2018 perché l’obiettivo di Trump va raggiunto in fretta: se la tendenza al rialzo del Prodotto Interno Lordo (P.I.L.) si confermerà e le aspettative di molti operatori economici di entrare presto in recessione saranno rimandate a data da destinarsi, allora è più probabile che le elezioni di medio termine che si terranno in autunno in America non risultino nella disfatta che i più ancora temono per il partito del Presidente.

IL RILANCIO DEGLI INVESTIMENTI INFRASTRUTTURALI

Il termometro politico americano interessa anche tutto il resto del mondo perché il prossimo passo dell’amministrazione Trump è (come da programma) quello di favorire il rilancio degli investimenti infrastrutturali, cosa difficile da realizzare mentre si espande il deficit di bilancio, a meno di non mantenere una forte maggioranza al Congresso. Ed è evidente che se ciò fosse, la riuscita della manovra risulterebbe più probabile, ponendo le basi per ulteriori stimoli all’economia reale.

Per quale motivo ciò interessa tutto il resto del mondo? Perché la crescita dei consumi americani (dall’alto di un P.I.L. che ha superato i ventimila miliardi di dollari) è ancora oggi il primo traino delle esportazioni di beni di consumo prodotti in Asia, la cui dinamica è a sua volta essenziale per le esportazioni europee di impianti, macchinari e beni di lusso. E se l’America dovesse riuscire a rilanciare i grandi progetti infrastrutturali promessi da Trump in campagna elettorale, allora anche le esportazioni europee ne beneficerebbero.

 

In realtà gli investimenti infrastrutturali in America sono principalmente finanziati cn capitali privati e stanno già decollando approfittando dei tassi bassi e della forte liquidità in circolazione: +13,3% nell’ultimo trimestre e +13,9% in quello precedente! Dunque l’effetto-traino della locomotiva americana c’è già, e non è indifferente!

Rimane invece debole l’andamento delle costruzioni residenziali (-1,1%), sintomo del fatto che il maggior benessere non ha ancora raggiunto le classi più povere della popolazione.

Quest’ultimo dato (quello della capacità di spesa della popolazione) è infatti al tempo stesso il più sensibile dal punto di vista del consenso politico del Presidente ma anche il meno scintillante della serie, dal momento che il reddito medio famigliare, dopo l’inflazione, è cresciuto nell’ultimo trimestre “soltanto” del 3,9%, contro il 3,6% di quello precedente, mentre il tasso di risparmio è cresciuto del 6,8%, in lieve calo rispetto al 7,2% precedente.

Neanche a dirlo, con tali numeri noi Italiani ci leccheremmo i baffi..!

Stefano di Tommaso




CAPITALI E TECNOLOGIA RIVOLUZIONANO L’INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA

Tutti si chiedono cosa succederà all’industria dei veicoli da trasporto (e dei loro componenti), innanzitutto perché essa ha vissuto sino ad oggi un certo numero di anni di grande bonanza e adesso mostra qualche segnale di stanchezza nelle vendite e nei prezzi praticati (è da tempo esclusivamente un mercato di sostituzione), ma anche e soprattutto perché ci aspetta che in esso prendano contemporaneamente piede tre diverse rivoluzioni tecnologiche e di mercato che lo influenzeranno moltissimo:

 

TRE DIVERSE RIVOLUZIONI TECNOLOGICHE SONO IN ARRIVO

– la motorizzazione dei veicoli : (sempre più ibrida-elettrica o mossa da nuove tipologie di combustibile (esempio: idrogeno) e sempre meno diesel, anche in funzione delle esigenze ecologiche e di miglior comfort prestazionale (vibrazioni, rumore, accelerazione, frenata, sospensioni, tenuta di strada…)

– la tecnologia di guida dei veicoli: anche grazie alla digitalizzazione e allo sviluppo delle tecnologie ad essa collegate, ci si aspetta che i veicoli in circolazione saranno animati da grandi intelligenze artificiali, sempre più capaci di farli muovere in sicurezza e autonomamente, sfidando la crescente complessità di ogni contesto (dai centri città ai tunnel alla pioggia o neve),

– La condivisione della proprietà dei veicoli: dal momento che è stimato che ogni veicolo venduto venga utilizzato in media pochi minuti al giorno e che la congestione urbana del traffico spinge inevitabilmente a ridurne il numero in circolazione. Un’esigenza che rimodellerà anche il design dei veicoli, le loro caratteristiche di parcheggiabilità, durabilità e autonomia, data la necessità che ne consegue di poter restare in esercizio per il maggior numero di ore al giorno.

È chiaro che si tratta di tre potentissime ventate di novità che ci si aspetta potranno a breve termine cambiare radicalmente i connotati dell’intera filiera produttiva, ma è ancora più evidente che nessun operatore potrà in futuro fare a meno di importanti collaborazioni con quelli attivi in settori industriali completamente diversi dall’industria tradizionale vdell’auto:

I SETTORI INTERESSATI AL CAMBIAMENTO DELL’INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA

– dalla fabbricazione di motori elettrici e dei sistemi di “power train” (gestione della trazione) sempre più efficienti,

– all’industria dei sensori di ogni genere,

– al settore informatico e dell’intelligenza artificiale

– a quello della conservazione dell’energia (batterie e sistemi alternativi, quali le fuel cells),

– fino all’industria dei nuovi materiali, dalla siderurgia al carbonio, al grafene, al vetro e ai nuovi materiali compositi plastici,

– o a quella del design e dell’arredo interno (ivi compresa la pelletteria e gli accessori)

– per finire con l’ergonomia e gli apparati elettro-medicali utili per la prevenzione degli infortuni.

NULLA SARÀ PIÙ COME PRIMA

Se però tutto questo è vero, è altresì realistico pensare che ben poco del panorama industriale nel settore “automotive” prossimo venturo resterà simile a quello attuale!

Con ogni probabilità dunque il “venture capital” e le “fusioni e acquisizioni” (anche e soprattutto trasversali a diversi settori economici) rimodelleranno e ridefiniranno completamente i confini dell’industria dell’auto, i moltiplicatori di valore di ciascun segmento, fino a decretare il successo o la disfatta di vecchi e nuovi gruppi industriali che riusciranno meglio di altri a cavalcare le ondate di rinnovamento sopra descritte.

Il probabile calo delle vendite degli “altri” veicoli e l’avvento di nuove normative che tenderanno a risultare più restrittive nei confronti dei veicoli inquinanti termineranno il lavoro della ridefinizione dell’industria automobilistica. Ovviamente in un tale contesto chi si ferma è perduto!

IL TRIONFO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Ma se c’è un comparto che più probabilmente la farà da padrone è quello dell’intelligenza artificiale, sia nell’attirare i maggiori capitali e i migliori cervelli scientifici dati i moltiplicatori di valore che il mercato finanziario gli riserva, che nella pervasività delle innovazioni che esso determina, anche al di fuori dell’industria della mobilità.


Negli ultimi anni la robotica in generale e l’intelligenza artificiale in particolare hanno attratto le maggiori risorse dei capitali di ventura e la Silicon Valley è oggi tutta un fiorire di start-up tecnologiche focalizzate sulla guida autonoma dei veicoli e su tutto l’indotto che tale industria ha generato. Se va avanti di questo passo il cuore dell’industria dell’auto non potrà che spostarsi in California! Il Giornale della Finanza l’anno passato ha già pubblicato 3 articoli sui cambiamenti in arrivo nell’industria automobilistica : a proposito dell’ auto intelligente , a proposito della sua supply chain, e riguardo al fenomeno del car sharing .

Oggi sono però cresciute, con i capitali dei grandi investitori, grandi compagnie completamente dedite alla tecnologia della guida autonoma come ad esempio ZOOX, che ha recentemente raccolto 500 milioni di dollari per continuare a sviluppare un sistema completo di auto elettrica a guida autonoma (di fatto totalmente alternativa a case come Tesla), valutata implicitamente quasi 3 miliardi di dollari nell’operazione di aumento di capitale. Zoox ha assunto 500 risorse super-specializzate per sviluppare un proprio “robo-taxi” in grado di fare tutto da solo e afferma di esserci sostanzialmente già riuscita!

CAPITALIZZAZIONI DA SOGNO

Le più grandi società della Silicon Valley in concorrenza con Zoox sono peraltro dei colossi come Waymo, la società lanciata da Google nel settore della guida autonoma basata sull’intelligenza artificiale con la collaborazione di Fiat Chrysler e molte altre (BMW, HONDA, INTEL e DELPHI. In una recente intervista al capo analista di UBS Eric Sheridan Business Insider riporta che la sua valutazione come società una volta scorporata da Alphabet (la holding di Google) potrebbe toccare I 135 miliardi di dollari! Per fare un paragone la Ford Motor Co. capitalizza in borsa “soltanto” una quarantina di miliardi di dollari!

La General Motors ha invece acquistato CRUISE alla fine del 2017, valutandola 1 miliardo di dollari. Recentemente (fine maggio 2018) Softbank ha investito nella società 2,25 miliardi di dollari con un aumento di capitale che dovrebbe portarla a controllarne il 20% circa, valutandola implicitamente 11,25 miliardi di dollari.

Ci sono in realtà in questo momento oltre 50 società e filiali di altre aziende che hanno dei veicoli a guida autonoma in circolazione per le strade della California, tutte suscettibili di riuscire a vincere, nelle varie sfaccettature, la corsa all’auto intelligente! Ma soprattutto molte di queste hanno in corso il sorpasso della valutazione della loro casa-madre, quando non sono nate in modo del tutto spontaneo.

LA RIGENERAZIONE DEL SETTORE

Dal momento che le prime a investire in queste start-up sono state proprio le case automobilistiche tradizionali, non è difficile ipotizzare una salutare “rigenerazione” di quell’industria, anche perché sino a ieri a causa dell’oligopolio di fatto che ne preservava margini e quote di mercato, il settore dell’auto era rimasto a fabbricare -affinandole- sostanzialmente le stesse autovetture degli anni ‘90. Forse gli azionisti di controllo dei protagonisti della nuova generazione di costruttori di autoveicoli rimarranno quasi gli stessi, ma le risorse umane, le modalità di lavoro e gli stabilimenti produttivi non potranno che cambiare radicalmente nei prossimi mesi e anni, perché la rivoluzione del settore è in pieno corso!

Stefano di Tommaso




DELL RITORNA A WALL STREET PER CAVALCARE LA TRASFORMAZIONE DIGITALE DELLE AZIENDE

Dopo cinque anni di assenza da Wall Street il nome di Michael Saul Dell è destinato a farsi sentire di nuovo alle grida, dopo che in Ottobre sarà stata perfezionata l’operazione che decreta il ritorno alla quotazione sul listino americano della società che porta il suo nome: Dell Technologies, una società che sarà “strategicamente orientata a trarre vantaggio dalle applicazioni commerciali delle nuove tecnologie tra le quali “Internet delle Cose”, la realtà virtuale, l’intelligenza artificiale, i sistemi di apprendimento automatico dei computers, le telecomunicazioni di 5^ generazione, e la “Nuvola” per l’archiviazione dei dati in mobilità (cloud computing)”.

“La crescita senza precedenti di questi anni e il posizionamento del nostro portafoglio di tecnologie e servizi su un’offerta che copre gli ambiti della trasformazione digitale delle aziende cosa che ci posiziona in modo unico in un momento molto importante per la società” ha precisato agli analisti Michael Dell, in occasione della presentazione dell’operazione di ritorno in Borsa della sua società. Due mesi prima Michael Dell, nel corso della convention aziendale a Las Vegas, aveva spiegato che la sua società si concentrerà sul futuro tecnologico, che porta inevitabilmente allo sviluppo della partnership tra Uomo e Macchina: il connubio tra intelligenza umana e tecnologie potenti che impatterà sul progresso umano dei prossimi 10-15 anni. Un futuro che ovviamente richiederà alla sua società forti investimenti.

LA STORIA

Figlio di una agente di cambio ebrea e di un ortodontista la cui famiglia era immigrata in America in fuga dalla Germania nazista, Dell -che oggi ha solo 53 anni- avviò nel 1984 la sua società per fabbricare personal computer destinati ad essere venduti per corrispondenza a basso prezzo in tutto il mondo. All’epoca egli aveva 19 anni e soli otto anni dopo quella sua società era già entrata nella classifica di Fortune come una delle 500 più grandi aziende al mondo ed era quotata a Wall Street. Ancora oggi non c’è al mondo un ufficio, studio professionale o azienda che non utilizzi qualche macchina o monitor con scritto sopra il nome DELL a caratteri cubitali.

IL “DELISTING”

Nonostante il grande successo raggiunto la Dell Corporation fino a sei anni fa restava sostanzialmente una fabbrica di personal computers e anche per questo motivo aveva sperimentato un vistoso calo della capitalizzazione di borsa. Allora Michael Dell propose al mercato di ricomprarsi le azioni quotate che costituivano il “flottante” riconoscendo alla società di cui era a capo una valutazione di 25 miliardi di dollari. Nel 2013, dopo quasi un anno dall’annuncio e molte polemiche che videro il noto raider Carl Icahn accusarlo di pagare troppo poco agli azionisti di minoranza i titoli che egli ritirava dal listino, l’iniziativa di Dell ebbe successo e la società venne “delistata” dalla borsa newyorkese .

Dal canto suo Michael Dell si difese dalle accuse accusando a sua volta gli analisti di borsa di guardare troppo al breve termine, e affermando che l’unico modo per riuscire a rispondere alle sfide imposte dalle mutate condizioni di mercato con una strategia priva di condizionamenti esterni -basata sulle nuove tecnologie e non più sulla produzione di macchine- era quello di far tornare l’azienda in ambito “privato” (cioè non quotata) per poi stravolgerne liberamente i connotati.

L’ACQUISIZIONE DI EMC E LA QUOTAZIONE DELLE TRACKING STOCKS SU VM WARE

Tre anni dopo la riuscita di quell’operazione (2016) la sua Dell Inc. poteva annunciare di aver finalizzato per 67 miliardi di dollari l’acquisizione della EMC, il colosso mondiale dei data centers” (centri per l’archiviazione dei dati sui quali si basa il Cloud Computing) con l’ausilio del fondo Silver Lake, di Microsoft e di un gruppo di banche, dopo aver montato una delle più complesse operazioni finanziarie della storia per riuscirvi.

Parte del denaro per questa operazione era pervenuto dall’offerta al mercato borsistico di “tracking stocks” (azioni virtuali senza diritto di voto) della VM WARE (dove VM sta per “virtual motion”: software per la realtà virtuale), garantite dalla partecipazione di controllo posseduta da EMC nella medesima azienda al momento dell’acquisto di EMC da parte di Dell.

IL RITORNO DI DELL A WALL STREET

L’operazione che vede oggi Dell tornare a Wall Street è anche tecnicamente interessante perché non consiste in una classica “Initial Public Offering” (IPO) cioè nel collocamento di titoli azionari che si fa in occasione della quotazione in borsa di una società, bensì in una proposta -rivolta ai detentori di quelle “tracking stocks” di VM WARE quotate- di acquisto (per 9 miliardi di dollari) e scambio (per la restante parte fino al valore complessivamente proposto di 21.7 miliardi di dollari) delle medesime, trasformandole in azioni ordinarie della Dell Technologies stessa in ragione di una tracking stock ogni 1,3 azioni di Dell Technologies. Se quegli azionisti voteranno a favore della proposta, ad essi dopo l’operazione a apparterrà una quota variabile dal 21% al 31% di quest’ultima.

L’offerta appare generosa perché la valutazione implicita riconosciuta ai detentori di quelle “tracking stocks” (21,7 miliardi di dollari) è superiore nel complesso di quasi il 30% alla loro capitalizzazione di borsa al momento della proposta (circa 17 miliardi di dollari), sebbene essa consista solo in parte in un’offerta di denaro e per la maggior parte in azioni della Dell Technologies che da cinque anni non è più quotata ma che nel frattempo ha acquisito la EMC Corporation e, con essa, anche il controllo della VM WARE che resta indipendente nella sua gestione e quotata separatamente a Wall Street (fattura meno di 8 miliardi di dollari ma capitalizza più di 60 miliardi di dollari).

LE VALUTAZIONI IMPLICITE, L’INDEBITAMENTO E CHI CI HA GUADAGNATO

In realtà il vero affare lo fanno Michael Dell, la Microsoft e il fondo Silver Lake, che per finanziare parzialmente la quota cash riconosciuta agli azionisti delle “tracking stocks” chiedono alla VM Ware di distribuire dividendi per 9 miliardi di dollari (che per la maggiora7saranno pagati alla sua controllante Dell Technologies), e poi ottengono un implicito riconoscimento dal mercato di un elevatissimo valore per la loro partecipazione nella Dell Technologies (partecipazione che nel complesso scenderà ex post dal 100% al 72%, con la quota in mano a Michael Dell dal 47% al 54% ), senza metterne in discussione l’indebitamento (circa 53 miliardi a livello consolidato) in buona parte contratto all’epoca dell’acquisto di EMC. Una leva finanziaria che ha consentito loro di beneficiare della rivalutazione della società in questi anni (la valutazione implicita della Dell Technologies supera i 70 miliardi di dollari) senza condividerla con altri investitori. Michael Dell infatti cinque anni fa, al momento del delisting della sua Dell Corporation ne possedeva soltanto il 14%.

GLI ULTERIORI INVESTIMENTI A SUPPORTO DELL’EVOLUZIONE TECNOLOGICA

Ma bisogna anche notare che il ritorno in Borsa, già approvato dai Consigli di Amministrazione di Dell e VM Ware, risulta soprattutto funzionale agli investimenti che saranno necessari per mettere in pratica la strategia che Michael Dell ha annunciato a Maggio a Las Vegas alla Convention Annuale della sua azienda, che raduna oltre 14.000 clienti e fornitori: un percorso che traguarda il 2030, basato sulle quattro esigenze che accompagnano la trasformazione delle aziende: il passaggio dal mondo analogico a quello digitale, l’evoluzione degli strumenti di calcolo, la necessità di sicurezza informatica e quella dell’evoluzione delle competenze informatiche della forza lavoro. Che trovano risposte estremamente avanzate nel portafoglio di società del mondo Dell (Dell EMC, Pivotal, RSA, Secureworks, Virtustream e VM Ware) che copre dall’edge computing, al core computing, fino al cloud computing.

Una strategia basata sulla possibilità di coprire in modo integrato tutte le esigenze di Information Technology delle aziende, che parte dall’offerta storica di computers, di sistemi di archiviazione e di infrastrutture di rete, fino a arrivare a coprire anche quella di sistemi per lo sfruttamento della mole di dati che proviene da Internet delle Cose, di proposte per Intelligenza Artificiale nelle aziende, di Realtà Virtuale e Realtà Aumentata per le vendite online. E che necessiterà evidentemente di continui investimenti.

Stefano di Tommaso




MERCATI SEMPRE MENO PREVEDIBILI

Di motivi per preoccuparsi ce ne sono molti: dalle cosiddette guerre commerciali di Donald Trump ai tassi di interesse che la FED banca centrale americana) vuol far risalire vendendo i titoli acquistati in passato, dalle supervalutazioni dei principali titoli tecnologici all’eccesso di programmi di buy-back (riacquisto azioni proprie) che stanno sostenendo i listini, dai timori per la continua espansione dei debiti di Paesi come il nostro all’eccesso di rialzo delle quotazioni di Dollaro e Petrolio…

L’elenco delle preoccupazioni che dovrebbero aggredire i gestori di portafogli potrebbe continuare a lungo, tenendo presente che tutto ciò sta letteralmente mettendo in ginocchio le economie dei Paesi Emergenti e i loro mercati finanziari. Ma, ciò nonostante, tutto sommato le principali borse dei Paesi OCSE fino ad oggi hanno retto bene, pur mostrando segni sempre più evidenti di convulsioni (volatilità in ascesa) e di incertezza.

ALLA LARGA DAI FINTI “GURU”

I sacri libri di testo affermano che è normale tutto ciò camminando per il viale del tramonto di uno dei più lunghi periodi di rialzo delle borse, e che di conseguenza è tempo di fare i preparativi per l’inverno dei mercati, facendo ruotare i portafogli verso titoli di aziende che producono più cassa, le cui quotazioni sono meno speculative e i cui valori intrinseci sono maggiori. Ma se volessimo dare retta queste indicazioni è probabile che ancora una volta rischieremmo di sbagliare, poiché sono almeno due anni che le borse sono alle stelle e i finti “guru” vanno ripetendo invano che crolleranno.

ANCORA UNA VOLTA CORRERANNO I TITOLI TECNOLOGICI?

La speculazione, che sembra essere il principale attore dei mercati in tutto il 2018, continua a privilegiare i cosiddetti titoli “growth” (alla lettera: “crescita”) che quindi sono costantemente sulle montagne russe ma non sono certo precipitati in basso. Ma anche perché viviamo in un momento di forte crescita economica che supera costantemente le previsioni dei vari Istituti di ricerca (a partire da quello del Fondo Monetario Internazionale) e conseguentemente i profitti aziendali non sono mai stati così grassi e perché l’inflazione stenta a decollare nonostante la decrescita costante della disoccupazione e, soprattutto, nonostante il forte incremento della bolletta energetica (che ne compone una buona parte).

ATTENTI AI TASSI

Chi non si sente pronto a forti emozioni e di esporsi al rischio di forti perdite in conto capitale dovrebbe -continuano i sacri testi- rivolgersi al mercato obbligazionario, puntando su ritorni molto più limitati ma più sicuri. Peccato che, con i tassi in salita, con la curva dei rendimenti che esprime i medesimi ritorni tanto per il brevissimo quanto per il lunghissimo termine e con i rendimenti reali apparentemente negativi che i mercati esprimono, nemmeno i titoli del reddito fisso sembrano promettere bene.

Dunque non è per niente facile orientarsi eppure, con un equilibrio sempre più precario, chi investe qualche scelta la deve fare, perché ancora una volta non è così sicuro che tenere denaro liquido sui conti correnti bancari sia una buona idea.

IL POSSIBILE “RALLY” ESTIVO

Anzi: secondo numerosi autorevoli commentatori e “strategist” delle principali case di investimento (coloro che indicano la linea da seguire agli operatori di portafoglio), c’è ancora spazio per i i principali mercati finanziari per riprendere a correre durante l’estate, sebbene tale corsa si sviluppi sempre più sul filo del rasoio.

Questo perché di denaro in circolazione ce n’è ancora parecchio e alcune banche centrali come quelle Europea, della Cina e del Giappone, stanno ancora immettendone altro, i buy-back continuano imperterriti (mossi dalle casse piene delle aziende) e il boom di petrolio e gas torna a far brillare l’intero settore delle energie da fonti rinnovabili e, soprattutto, perché la digitalizzazione dell’economia globale continua inesorabilmente a generare efficienza sui costi e, in definitiva, tanto valore, il quale mano mano si trasforma (anche) in valore azionario.


UN EQUILIBRIO ALTAMENTE INSTABILE

Il mondo va avanti, insomma, le tigri asiatiche ruggiscono e l’Occidente continua a trarne ampio beneficio, sebbene sia chiaro che l’equilibrio dei mercati finanziari sia sempre più a rischio, che la loro volatilità possa continuare a salire e che un loro significativo ridimensionamento sia sempre più prossimo.

Dal momento che sui mercati non si può continuare a far finta di niente si può cercare di trarre vantaggio dalla situazione cavalcando con gli strumenti derivati la possibilità di guadagnare dalla volatilità crescente, dalla sempre maggiore fragilità dei mercati e dall’ondata ribassista che prima o poi si svilupperà.

COSA FARE ALLORA?

Nel frattempo l’economia reale continua la sua corsa e dunque saranno soprattutto i titoli azionari di aziende pro-cicliche quelli che potranno beneficiarne di più, soprattutto se le loro quotazioni hanno di recente subíto un ridimensionamento. Così come sono ancora una volta i titoli delle imprese che sviluppano nuove tecnologie (come l’intelligenza artificiale, la robotica e i servizi di internet) quelli che potrebbero portare a casa nel breve termine i migliori risultati, sebbene si debba tenere presente che nel lungo termine solo alcune di quelle imprese resteranno vive.

Ci sono fondi di investimento che selezionano solo comparti industriali come questi: inutile dire che le loro quotazioni sono già cresciute moltissimo. Ma con l’ondata di ulteriori fusioni e acquisizioni (siamo giunti ai massimi storici) che si apprestano a “ridefinire” i singoli comparti industriali, il “fai da te” resta ampiamente sconsigliato.

Sui mercati obbligazionari invece è tutta da vedere se i tassi d’interesse continueranno a salire, in assenza (o quasi) di inflazione endemica (cioè non originata da fattori esterni come guerre o shock petroliferi). È persino possibile il contrario, almeno per i tassi a lungo termine, sebbene questo valga molto più per i titoli americani che per quelli europei, la cui divisa di conto potrebbe scivolare ulteriormente a seguito delle tensioni interne.

E’ facile perciò prevedere il contrario per il Dollaro, ma anche per il Franco Svizzero e la Sterlina Inglese, considerati paradisi più sicuri in caso di intemperie, anche se -ricordiamocelo- purtroppo di certezze sui mercati ce ne sono sempre meno!

Stefano di Tommaso