I tassi d’interesse aumentano, l’economia rallenta, l’inflazione cala (ma non troppo), l’indebitamento continua a crescere e la guerra Ucraina rischia di allargarsi. Eppure le borse vanno alla grande e i mercati finanziari brindano: che succede? Dipende soltanto dal fatto che l’inflazione ha iniziato a calare? No,non solo. E quest’ultima non è detto sia ancora vinta..!
GLI EFFETTI DELL’ECCESSO DI CONCENTRAZIONE DELLA RICCHEZZA
Fior di studi sula concentrazione della ricchezza in poche potentissime mani hanno dimostrato che è una minaccia per la democrazia e il sistema di mercato che l’ha prodotta. Il rischio è quello di una progressiva inefficacia della politica a favore di chi esercita un potere finanziario o oligopolistico, arrivando a controllare le sorti di migliaia di posti di lavoro, il sistema sanitario, le risorse energetiche, le scelte delle amministrazioni locali e sinanco quelle dei parlamenti nazionali.
Ciò che però in queste ultime settimane stiamo sperimentando appare come una fase “nuova” dell’era “post-capitalistica”, in cui i mercati e i loro grandi protagonisti stanno mostrando la capacità di farsi un baffo non soltanto delle politiche economiche e fiscali delle nazioni, ma persino delle politiche monetarie, rendendole di fatto poco efficaci. Questa “novità” potrebbe aiutare a spiegare i rialzi azionari e il morbidissimo impatto dell’inflazione e delle misure messe in campo per contrastarla sui profitti delle grandi multinazionali.
SP500 Corporate Earnings 12/2022
LA DISCUTIBILE “MANFRINA” DELLE BANCHE CENTRALI
Le banche centrali alzano i tassi d’interesse ben sapendo che poco saranno efficaci per combattere l’inflazione perché l’origine di quest’ultima non è il surriscaldamento dei consumi o l’eccesso di investimenti, bensì la scarsità di offerta di materie prime ed energia. Provocano non poco patimento alle piccole imprese, ai privati, e ai lavoratori autonomi che devono sobbarcarsi una spesa aggiuntiva fingendo che il rialzo dei tassi ridurrà l’inflazione.
Quegli aumenti colpiscono poi anche il costo del debito pubblico. I governi devono perciò stanziare maggiori risorse per il servizio del debito, distraendole dalla previdenza sociale, dall’assistenza sanitaria e dal rinnovo delle infrastrutture.
Ma il calo della domanda di beni e servizi dei privati e delle piccole imprese appare -per la prima volta nella storia economica- poco percettibile nelle statistiche, fino a mettere in discussione il concetto stesso di “recessione”. Le grandi imprese, la grande finanza, i grandi oligopoli dell’energia, della farmaceutica, delle tecnologie e del commercio elettronico, ne risentono tutto sommato piuttosto poco, a causa delle enormi risorse a loro disposizione per contrastare i venti avversi.
E LE BORSE BRINDANO…
I listini azionari delle borse valori dipendono molto più dall’andamento dei titoli principali per ammontare di capitalizzazione che non da quello generalizzato dell’economia reale che condiziona quasi esclusivamente i profitti e le prospettive delle imprese minori. Ed è probabilmente questo il motivo principale per cui le borse occidentali stanno correndo a gonfie vele proprio da Ottobre, in strana coincidenza tanto con il picco dell’inflazione quanto con l’acuirsi del conflitto ucraino. Oggi la borsa americana delle tecnologie (il NASDAQ) è cresciuto del 20% dall’inizio dell’anno!
E’ quasi come se coesistessero due diverse economie nell’ambito delle stesse nazioni: quella dei grandi oligopoli e dei grandissimi investitori finanziari (che trae persino giovamento dai rialzi dei prezzi delle risorse naturali e dal rialzo dei tassi) e quella di tutti gli altri (che ne soffre).
LA “DIVERGENZA” TRA GRANDI E PICCOLI OPERATORI ECONOMICI
Si è creata insomma una situazione che viene alimentata dalle stesse istituzioni pubbliche (a partire dalle banche centrali) per cui se i tassi salgono e i debiti pubblici peggiorano aumenta anche la divergenza tra le due categorie di operatori: quelli della prima categoria ci guadagnano e quelli della seconda ci rimettono.
Difficile affermare che il panorama economico occidentale, rarefatto e fortemente polarizzato sui pochi grandissimi operatori economici del terzo millennio, sia ancora il medesimo del capitalismo storico, i cui valori erano: la concorrenza perfetta, la libera circolazione delle idee e del sapere scientifico, l’intervento dei comitati antitrust, l’innovazione e il pionierismo. Sembra di parlare di concetti relativi ad un’altra era geologica e invece si riferiscono soltanto all’altro ieri!
IL RIARMO FAVORISCE L’INFLAZIONE
Oggi poi l’Occidente propone attraverso i suoi mezzi di informazione di massa una “crociata” contro Russia e Cina (oltre che tutti gli altri stati accusati di “amicizia” con Russia e Cina), ree di non aver piegato la loro politica a questa nuova forma di “oligo-capitalismo” che rischia di sfociare in una sorta di dittatura occulta e globale. In nome di questa grande mobilitazione l’Occidente corre al riarmo, “sanziona” chi esprime “divergenza” e talvolta chiude sinanco alla libera circolazione delle idee, delle persone e delle merci.
Finanziare il riarmo tuttavia comporta scelte importanti: la spesa pubblica cresce a scapito del “welfare” e accresce il debito pubblico. Al tempo stesso contrasta gli effetti restrittivi della politica monetaria delle banche centrali. Cioè favorisce l’inflazione.
IL RISCHIO DI UNA “SECONDA ONDATA”
E le statistiche dicono che l’inflazione non è ancora vinta. Tutt’altro! Anzi il rischio è quello di vederne una “seconda ondata”! Ci sono per ora pochi segnali ma preoccupano non poco: se la discesa dell’inflazione in Occidente fosse già terminata non solo le borse non potrebbero che scendere bruscamente, ma le banche centrali sarebbero costrette a reagire bruscamente provocando, stavolta sì, una vera e propria recessione! Uno di questi segnali è il prezzo del rame, salito di circa il 30% dai minimi di Ottobre. Il rame è considerato un “anticipatore” dell’andamento degli altri prezzi delle altre materie prime, di solito di tre mesi.
Altri segnali da non sottovalutare riguardano l’inflazione “core”, cioè quella che non tiene conto dei prezzi energetici ed alimentari, in lieve salita in quasi tutti i paesi europei, e soprattutto gli aumenti salariali. Particolarmente accentuati negli Stati Uniti d’America, anche in Europa stanno arrivando un po’ dappertutto, con il rischio che possano innestare una spirale dei prezzi (soprattutto dei servizi) che si autoalimenta. D’altra parte è da considerarsi quasi fisiologico che, dopo una prima ondata di rialzo dei prezzi, ce ne siano di successive, così come accade per le pandemie. Una serie di “fattori di trascinamento” dell’inflazione appaiono inevitabili.
FANNO BENE LE BANCHE CENTRALI?
Fanno bene allora le banche centrali ad annunciare altri rialzi? Probabilmente no, dal momento che i tassi più elevati assai poco incidono sulle vere cause, fatto salvo il caso in cui esse riusciranno a “scatenare” una seria recessione economica e un rialzo della disoccupazione, due che però avrebbero anche molti effetti collaterali, tutt’altro che desiderabili. Ad esempio abbasserebbero il gettito fiscale, provocando nuove tasse o di mettere a rischio la sostenibilità dei debiti pubblici). Non solo: eventuali disagi sociali porterebbero quasi automaticamente i governi ad aumentare la spesa per il “welfare” (cn un effetto opposto sull’inflazione), proprio quando meno potrebbero permettersela!
LA “DIVERGENZA” TRA POLITICHE MONETARIE E FISCALI
C’è una seconda divergenza al riguardo: se le politiche fiscali restano espansive (a causa dell’incremento della spesa pubblica che deve finanziare il riarmo e che cerca di contrastare i problemi sociali generati dall’inflazione) a poco serve stringere sulle politiche monetarie!
Senza pretendere di possedere la verità, in quest’ottica apparirebbe più corretta una manovra delle banche centrali coordinata con i governi per restringere la liquidità in circolazione senza alzare i tassi, onde riuscire a correggere i prezzi di materie prime ed energia, con la finalità di toccare le vere cause dell’inflazione degli altri prezzi ed evitare che il rialzo dei tassi provochi conseguenze spiacevoli.
Ma il rialzo dei tassi d’interesse (soprattutto se dovesse sortire un rialzo di quelli reali, cioè quelli al netto dell’inflazione) appare un toccasana per i bilanci di banche, finanziarie e holding di partecipazione. Con tassi reali più elevati le rendite finanziarie crescono, a scapito dell’industria e del commercio. Si può comprendere dunque che ci sono forti interessi in ballo!
COSA SUCCEDERÀ
Prima di lanciarsi nelle previsioni occorre ricordare l’andamento ciclico di quasi tutte le variabili economiche e finanziarie: è probabile che le borse non proseguano troppo a lungo nella risalita di cui hanno goduto negli ultimi mesi dal momento che l’economia globale rallenta, lievemente ma inesorabilmente. È inoltre possibile che l’inflazione arrivi a “rimbalzare”, seppur di poco, spingendo le banche centrali a ulteriori rialzi dei tassi, peraltro già ampiamente annunciati!
Tuttavia se il conflitto ucraino non si allargherà e se non si creerà un secondo fronte di scontro a Taiwan o in generale con la Cina, allora è possibile che il prezzo del petrolio e del gas continuerà a scendere, con un benefico effetto sull’economia mondiale e sull’inflazione dei prezzi. Ciò potrebbe permettere alle banche centrali di interrompere i rialzi dei tassi anche in presenza di piccoli rialzi dell’inflazione “core”. Il che darebbe manforte alle borse per toccare nuovi massimi.
LO SCENARIO PIÙ PROBABILE
Quello appena descritto non è tuttavia lo scenario più probabile. Il consenso di mercato attribuisce la probabilità più elevata ad una “lieve” recessione, forse confinata alle sole economie occidentali, che deprimerà la dinamica dei prezzi ma che scatenerà anche molta incertezza sui mercati finanziari, soprattutto se accompagnata da nuovi attacchi da entrambi i fronti in Ucraina. Provocando una discesa moderata delle borse.
E in tal caso gli scenari possibili sono almeno due: se i prossimi scontri in Ucraina saranno brevi ma intensi e lasceranno spazio a nuove trattative per la pace, l’effetto negativo sarà contenuto.
Auspicando infine che l’ultimo scenario abbia la minima probabilità di verificarsi, c’è invece la teorica possibilità che gli scontri prossimi venturi siano pesanti e non consentano di “aprire” ad alcuna soluzione diplomatica. Anzi, se anche nei confronti della Cina dovessero aumentare le tensioni, allora l’inflazione potrebbe riprendere la sua corsa anche a causa dell’accresciuta necessità di materie prime ed energia, che porterebbe a rialzi dei prezzi in breve tempo generalizzati. In tutto il mondo forse. Con buona pace per il buonsenso!
Stefano di Tommaso
METAMORFOSI
Avevamo descritto il recente rally delle borse come un rimbalzo destinato a scomparire in fretta. Lo stesso si era detto per la resilienza delle economie occidentali: destinata a scomparire non appena le tensioni geopolitiche dovessero crescere ancora. Tutti oggi prevedono una recessione nei prossimi mesi che però si fa quantomeno attendere. Nel frattempo tuttavia l’economia globale rallenta, il commercio internazionale crolla e l’inflazione sembra recedere ma è assai improbabile che torni in fretta al livello sperato (2%) dalle banche centrali.
Le mosse di queste ultime sono le più temute al momento, ma la verità sembra essere che al contrario oggi le banche centrali hanno ben poche munizioni da sparare all’arrivo di una possibile nuova crisi. Dunque il mondo si avvia verso il baratro? Probabilmente no, ma è altresì assai difficile interpretare l’attuale congiuntura, se non analizzando i profondi cambiamenti che la generano.
(da Wikipedia) “Metamorfosi” è un sostantivo femminile che significa:
Trasformazione di un essere o di un oggetto in un altro di natura diversa, come elemento tipico di racconti mitologici o di fantasia, spesso consacrati in opere letterarie, spec. del mondo classico
In zoologia, la modificazione funzionale o strutturale di un animale durante lo sviluppo, nel passaggio dalla fase larvale a quella adulta (per es. in Insetti e Anfibi).
GRANDI MUTAMENTI IN CORSO
Cosa succede all’economia globale alle soglie del nuovo anno? Provo a cercare previsioni autorevoli ma non ne trovo. Trovo invece molti catastrofisti e molti “navigatori di lungo corso” che tendono ad affermare un po’ di tutto, appellandosi ai benchmark, ai capricci delle banche centrali e a quelli del presidente ucraino, per potere aver una scusa per ogni stagione. Perché?
La verità sembra essere che -in un mondo che oggi cambia più bruscamente e più imprevedibilmente che mai- non esistono certezze circa l’evoluzione possibile non soltanto dello sviluppo economico, ma anche dei mercati finanziari, dei livelli dei prezzi e dei fattori che scarseggeranno, tanto da lasciare spazio a grandi timori. In realtà tuttavia è possibile cercare di analizzare le grandi trasformazioni in corso, perché è molto probabile che da esse dipenderà la maggior parte degli sviluppi che prenderanno forma nel corso dei prossimi anni, a partire dal 2023.
Inutile dunque tentare di emettere semplici e sensazionali previsioni per i mesi a venire, proprio in virtù della complessità dei cambiamenti in corso. Se anche ci provassimo, i rischi di sbagliare sarebbero molto più elevati che in passato. Molto meglio provare ad esaminare i singoli fattori della metamorfosi economica in corso, per dedurne degli andamenti e, in ultima analisi, per farci una nostra idea di ciò che succederà nel prossimo futuro.
LA RECESSIONE CHE VERRÀ
Sicuramente le variabili in gioco sono innumerevoli, e questo giustifica il comportamento “attendista” dei più moderati. Giustifica anche i numerosissimi “market pundits”(“soloni” dei mercati) come Jamie Dimon o Nouriel Roubini, i quali sono quasi tutti concordi nel pronosticare grandi disastri per i mercati finanziari nell’anno a venire.
Secondo il primo tanto l’inflazione quanto possibili nuove tensioni geopolitiche scateneranno tensioni sul fronte dell’approvvigionamento energetico e una recessione. Conseguentemente le borse torneranno a scendere del 30% circa. Per quanto autorevole Dimon si aggiunge peraltro ad una lunga lista di persone che la pensano allo stesso modo, tant’è vero che qualcuno ha definito la recessione in arrivo come la più “preannunciata” della storia recente.
Ma se andiamo indietro nel tempo quasi tutte le altre recessioni sono alla fine arrivate contro ogni previsione, mentre quelle annunciate alla fine si sono dissolte nel nulla. Proprio per questo viene il dubbio che, quando tutti sembrano concordare per un crollo delle borse, non sia altrettanto scontato che ciò succeda davvero.
LE DIECI “D”
Secondo Roubini invece la questione è più complessa: il mondo che cambia porta con sé dieci fattori-chiave che impediranno quello che potremmo chiamare il “ritorno alla normalità”: Debito, Demografia, Deflazione, Devaluation (svalutazione delle monete ufficiali), Digitalizzazione, De-globalizzazione, Democracy Backlash (arretramento della democrazia nel mondo), Duopolio(tra Stati Uniti e Cina), Digital Warfare (guerra delle tecnologie), Disastri (pandemici, ambientali, finanziari).
In effetti i grandi cambiamenti in atto è probabile che ci consegneranno quasi per certo un futuro denso di novità che potremmo appunto definire come una “metamorfosi economica”. Sarà forse un futuro che potrà alla fine risultare anche migliore, ma che oggi porta con sé grandi timori e grandi interrogativi circa il benessere dell’umanità, oltre che circa l’identità dei possibili vincitori e delle possibili vittime di questi profondi cambiamenti. Da un certo punto di vista sono dunque comprensibili le “allerte” che vengono lanciate, anche se non sono certamente da prendere alla lettera.
Proviamo perciò innanzitutto ad approfondire in ordine più o meno sparso i principali fattori del cambiamento che oggi è possibile toccare con mano:
L’Inflazione:
Sino a poco più di un anno fa sembrava che il mondo stesse per avvitarsi in un processo profondamente deflattivo di riduzione dei costi di quasi tutte le materie prime e, di conseguenza, dei prezzi di prodotti e servizi. Poi quasi di colpo sono iniziate a scarseggiare tanto alcune materie prime quanto le cosiddette “risorse energetiche”, sferzando bruscamente l’economia e togliendo il terreno sotto i piedi ai consumatori di tutto il mondo. Per una moltitudine di nazioni si tratta all’incirca di una perdita del potere d’acquisto di circa il 10% medio che si traduce, guarda caso, in una riduzione generalizzata dei consumiche si pensa indurrà una recessione economica. È indubbio che il calo degli acquisti riduce la capacità delle imprese di trasferire “a valle” i maggiori costi sostenuti per produrre e dunque le prospettive di mantenere elevati margini di profitto.
E se le imprese venderanno meno e non faranno profitti allora proveranno a tagliare i costi e ridurranno assunzioni e investimenti, contribuendo ad una frenata generale dell’economia. Ma l’inflazione costringe anche i risparmiatori a vedere decurtato il valore del proprio denaro, o a prendere grandi rischi per evitarlo, dal momento che non è più pensabile mettere semplicemente a reddito i risparmi senza temere di ottenere dei rendimenti reali di fatto nulli o negativi. Da questo punto di vista i mercati azionari possono costituire una miglior difesa dall’inflazione ma sono al tempo stesso più volatili e dunque intrinsecamente più rischiosi.
La Crescita dei Debiti:
A livello globale, i debiti del settore privato e pubblico in rapporto al Pil sono saliti dal 200% del 1999 al 350% del 2021. Il rapporto è ora del 420% tra le economie avanzate e del 330% in Cina. E ciò è avvenuto mentre le banche centrali stanno facendo retromarcia sull’enorme creazione di liquidità che ha sostenuto sino ad oggi questi debiti. Roubini argomenta poi che, se quel debito fosse stato impiegato negli investimenti produttivi la faccenda non sarebbe stata così grave. Gran parte di quel debito però è stata impiegata nella previdenza e assistenza sociale, cioè nel welfare, che notoriamente non è produttore di altro reddito, oltre che su poche infrastrutture spesso quasi inutili.
L’azzeramento dei tassi d’interesse aveva lasciato sperare che quel debito crescente non fosse un vero problema, ma adesso che i tassi sono risaliti e debbono continuare a farlo, adesso che l’economia non cresce più, si rischia l’ insolvenza generalizzata, sebbene l’inflazione riduca al tempo stesso il valore reale del debito. Secondo Roubini questa incongruenza verrà amplificata dalle banche centrali e comporterà degli shock sui mercati dei capitali che si ripercuoteranno sulle borse e faranno sparire la speranza di un “atterraggio morbido” dopo anni di crescita economica.
Le Tensioni Geopolitiche:
Ovviamente oggi tutti parlano della guerra tra Ucraina (e la NATO che la sostiene) e la Russia. Ma la situazione geopolitica globale è peggiorata da tempo. Il mondo sta attraversando una serie di profondi e numerosi cambiamenti strutturali a causa dell’emergenza climatica e nelle relazioni tra popoli, nazioni, schieramenti e sinanco gruppi sociali, tali da renderlo in pochi anni letteralmente irriconoscibile. Uno degli effetti più deleteri delle nuove tensioni geopolitiche è sicuramente l’attuale caduta verticale del commercio globale. Ma anche il rincaro delle materie prime, la competizione tra le nazioni e dunque duplicazione della spesa per le ricerche scientifiche e tecnologiche
Ci sono molte ragioni profonde alla base delle numerose fratture che stanno emergendo tra i diversi blocchi di nazioni. Ignorarle sarebbe come voler chiudere entrambi gli occhi. Ma una cosa è certa: l’intera geografia industriale del mondo cambierà in pochi anni a causa di tali tensioni, con il rischio che la maggior parte delle risorse rivolte alla scienza e alla ricerca tecnologica possano essere deviate verso scopi militari, rallentando lo sviluppo tecnologico dell’umanità nel suo complesso.
I Disastri Ambientali
Negli ultimi anni soprattutto l’Occidente ha provato a imprimere una decisa svolta a tutte le attività umane che possono generare emissioni nocive o danni ambientali. Ma ciò ha contribuito a far lievitare il costo dell’energia e, in ultima analisi, a far crescere l’inflazione, che riduce la propensione agli investimenti infrastrutturali di cui il mondo ha bisogno affinché l’ambiente naturale possa risultare maggiormente protetto. Dunque la transizione ecologica non sarà semplice e non può avvenire troppo in fretta.
Al tempo stesso l’assommarsi delle emissioni nocive sta già provocando la “tropicalizzazione” del clima temperato la quale a sua volta genera (direttamente o indirettamente) una serie di disastri ambientali la cui portata è difficile stimare, ma che rischiano di lasciare un serio impatto (negativo) sulla crescita economica. Talvolta poi il riscaldamento globale comporta ondate di gelo senza precedenti, proprio perché saltano gli equilibri preesistenti.
Senza contare il fatto che i rischi di diffusione di virus letali non sono fermati con la vaccinazione contro il COVID19. L’umanità si è scoperta piuttosto indifesa al riguardo e i costi di una maggiore prevenzione e cura dalle malattie sono al momento quasi insostenibili.
La Demografia e l’invecchiamento della popolazione:
La popolazione mondiale continua a crescere non solo di numero, ma anche nei consumi e, di conseguenza, nelle emissioni nocive che questi ultimi generano. E già questo fatto pone molti interrogativi circa la sostenibilità ambientale della crescita demografica smisurata. C’è inoltre da chiedersi quali saranno le nuove tendenze e le nuove necessità. Ma c’è anche e soprattutto da interrogarsi circa un altro fattore alla base dei profondi cambiamenti che l’Occidente sta già registrando nel mercato del lavoro e che prima o poi si estenderanno anche al resto del mondo: l’invecchiamento progressivo della popolazione.
Una popolazione che invecchia muta abbastanza radicalmente il proprio paradigma dei consumi, è mediamente più benestante, desidera lavorare meno e in maniera meno faticosa, si sposta di meno e si adatta di meno ai cambiamenti, non accetta più determinate mansioni e richiede come si più elevati. Tutte cose che, a partire dagli Stati Uniti d’America, si stanno manifestando platealmente riducendo la domanda di posti di lavoro e dunque drogando il tasso di occupazione della popolazione, nonché alzando generalmente il costo del lavoro (cosa che può rappresentare uno stimolo alla propagazione dell’inflazione).
LE PROSPETTIVE DI RECESSIONE
Da più parti si sente perciò parlare di una forte probabilità di recessione per l’anno a venire. In parte, come già detto, ciò potrà dipendere dalla riduzione del potere d’acquisto che dovrebbe conseguire all’inflazione. Ma non basta: in realtà ciò che si è potuto vedere sino ad oggi è più che altro un rallentamento generalizzato della crescita economica, Insieme ad una riduzione in quantità (ma non in valore) dei consumi. Non ancora un crollo.
Molti pronosticano -almeno per l’America- un “soft landing” che potrebbe dipendere anche da quanto sapientemente le banche centrali potranno accompagnare la progressiva riduzione del tasso di inflazione. Per l’Europa tuttavia la situazione potrebbe essere facilmente peggiore a causa della maggior dipendenza dalle forniture straniere. Contemporaneamente si sente però parlare di “accorciamento della durata dei cicli economici” e conseguente di una loro certa sovrapposizione. Il che non lascia chiarezza sull’interpretazione dei dati statistici.
La verità ovviamente non la conosce nessuno, ma quello che sembra già sufficientemente certo è che si stanno registrando tanti e tali cambiamenti (finanziari, tecnologici, produttivi, nella distribuzione e nei consumi) a causa dei quali alcuni settori industriali fioriscono ed altri subiscono forti sconquassi, tanto che è difficile generalizzare delle tendenze dell’economia nel suo complesso. È dunque ragionevole ritenere che sia poco prevedibile l’andamento complessivo del prodotto interno lordo globale(e anche poco utile conoscerlo), a causa del moltiplicarsi dei fattori che ne determinano la crescita o la decrescita.
A LIVELLO MACROECONOMICO
Qualche tendenza di fondo è comunque possibile percepirla: il credito ad esempio sarà con ogni probabilità più caro un po’ per tutto il mondo, e a prescindere dall’andamento dei tassi di rifinanziamento praticati dalle banche centrali, quantomeno in funzione dei maggiori rischi percepiti dagli investitori. La gamma dei tassi d’interesse dunque si amplierà, facendo divenire poco vantaggiosi i finanziamenti di piccola entità e quelli a soggetti economici di piccola dimensione.
Un altro elemento che sembra emergere con chiarezza sarà il progressivo maggior costo degli investimenti infrastrutturali, a partire da quelli per le abitazioni, a causa delle più complesse normative da rispettare, ad esempio in termini di inquinamento, sicurezza statica, salubrità degli edifici. Facile dunque prevedere che crescerà corrispondentemente (o anche più che proporzionalmente) il costo dei fitti abitativi. Parallelamente anche il costo della vita in generale è possibile che subisca ulteriori impennate, perché il medesimo ragionamento si applicherà a interi quartieri o città, ove quelle che esprimeranno il maggior livello di investimenti saranno corrispondentemente anche le più care.
Se ciò sarà vero è altresì probabile che il costo del lavoro subirà una progressiva impennata, anche a prescindere dal “costo della vita”, proprio perché i lavoratori più specializzati (e meglio pagati) dovranno far fronte ad una maggior spesa “strutturale”. È al tempo stesso probabile che anche l’offerta di lavoro sarà sempre più frastagliata, in funzione della domanda e dell’offerta.
Non necessariamente tutto ciò potrà comportare uno scenario di elevata inflazione che si tramuterà in tassi d’interesse elevati. Anzi, se posso azzardare una previsione temeraria, è possibile che i rendimenti reali del reddito fisso (cioè al netto dell’inflazione) possano risultare molto limitati o addirittura negativi anche nei prossimi anni. Ma sicuramente l’inflazione non sparirà in una stagione.
A LIVELLO MICROECONOMICO
A livello dei singoli settori industriali ci sono indubbiamente tendenze che non muteranno troppo di direzione nei prossimi mesi, quali una certa tensione nei costi energetici, una certa scarsità di talune materie prime e semilavorati, la scarsità di risorse umane qualificate, la necessità di incrementare fortemente gli investimenti per poter risultare competitivi, seppure soltanto a livello “regionale”, eccetera, eccetera. Ma se questo potrà o meno comportare una riduzione dei profitti attesi è assai arduo da prevedere, tant’è che sino a oggi tutte le previsioni per un crollo dei profitti delle principali società quotate sono state smentite dai fatti.
Bisogna poi tenere conto del progressivo intervento delle nuove tecnologie, strutturalmente “deflattive”, grazie alle quali cioè sarà possibile contenere i costi di produzione. La capacità però di investire pesantemente per adottarle diverrà altresì un grosso fattore di discriminazione competitiva. Poche grandi industrie riusciranno a godere di quei benefici, portando progressivamente fuori mercato le altre. È facile perciò immaginare che il processo di concentrazione competitiva dei singoli settori industriali si incrementerà terribilmente, almeno per i prossimi anni.
A LIVELLO BORSISTICO
La metamorfosi in corso dello scenario economico generale produrrà forti conseguenze sui mercati borsistici? È probabile che saranno sempre meno regolamentati, per incentivare imprese e investitori a parteciparvi. In secondo luogo è altrettanto probabile che gli scambi si concentreranno sempre più in pochi centri finanziari globali, di fatto quasi completamente smaterializzati, dunque raggiungibili online da ogni parte del mondo. Queste tendenze comporteranno necessariamente maggiori rischi per gli investitori, che di conseguenza saranno sempre più intermediati da grandi gestori del risparmio.
Se ciò fosse vero sarebbe altresì probabile una progressiva riduzione del trading online da parte dei singoli risparmiatori, ma le statistiche per il momento sembrano indicare il contrario. Così come dovrebbe essere vero che il rialzo dei tassi d’interesse e dei rischi generali degli investimenti (guerre e disastri ambientali compresi) dovrebbero tendere a deprimere gli indici azionari, almeno nel breve periodo. Anche in questo caso tuttavia bisogna tenere conto del fatto che dall’Autunno sta succedendo l’esatto opposto, schiacciando i rendimenti attesi degli investitori e facendo lievitare i moltiplicatori di valore espressi dalle borse di tutto il mondo (in particolare quelle orientali).
L’ANDAMENTO DELL’INDICE GLOBALE AZIONARIO MSCI
E’ altresì possibile che, come è successo per l’inflazione, anche per le borse alla fine arrivi il momento di “resa dei conti”. I mercati azionari tuttavia hanno mostrato negli ultimi anni non soltanto una tendenza generale al rialzo, ma anche una notevole resilienza alle crisi di fiducia, forse anche in funzione della grande liquidità in circolazione. Tutti dicono infatti che le cose potrebbero cambiare parecchio man mano che questa si ridurrà.
LA RIDOTTA CAPACITÀ DELLE BANCHE CENTRALI
Sono tuttavia un po’ scettico sulla capacità delle banche centrali di continuare a fare il bello e cattivo tempo sui mercati. Tanto per il fatto che risultano sempre in ritardo sui grandi cambiamenti in corso, quanto perché le armi a loro disposizione tendono strutturalmente a ridursi.
I bilanci delle banche centrali sono al momento ingolfati dall’aver acquistato così tanti titoli in passato che non si possono eliminare con un semplice tratto di penna. Questo impedirà loro di contrastare efficacemente la prossima recessione, soprattutto se questa sarà severa. Ma c’è un altro aspetto che va tenuto in considerazione: la progressiva riduzione della capacità di influire sull’economia attraverso le politiche monetarie. La progressiva perdita di valore delle cosiddette “fiat currencies” si traduce infatti in una minor efficacia delle manovre possibili.
Tende anche ridursi l’autonomia delle banche centrali dai rispettivi governi politici, anche in funzione delle progressive spaccature geopolitiche globali che impediscono loro una effettiva ”concertazione” degli interventi.
…E QUELLA DEI GOVERNI NAZIONALI
È relativamente probabile tuttavia che anche la politica arrivi a risultare meno capace di modificare il corso degli eventi rispetto a quanto è successo in passato, in funzione dei pesanti vincoli di bilancio che interferiscono con le volontà dei governi in carica e che impediscono loro di agire profondamente tramite politiche fiscali.
Non solo oggi nessun governo locale sembra oggi in grado di contrapporsi alle tendenze geopolitiche planetarie. Che vengono tracciate da poche élites globali. Ai governi nazionali restano però in carico i debiti, le spese per l’assistenza sociale e la raccolta di tasse e imposte. Dunque i vincoli esterni alle decisioni politiche sono parecchi e poche sono le leve che possono essere mosse. Ovviamente questo vale molto più per l’Occidente che per l’Oriente, dove le autorità pubbliche sembrano conservare molta più capacità di decisione.
CONCLUSIONI
È l’intero “sistema industriale globale” oggi a vedersi rivoluzionato, tanto per fattori ineluttabili quali la demografia e le nuove tecnologie, quanto per la scelta dei governi occidentali di far prevalere le leggi di mercato a quelle della politica. Ciò comporta sicuramente grandi dubbi sulla “tenuta” delle istituzioni occidentali (più che su quella delle istituzioni “orientali”) ma soprattutto comporta dubbi crescenti sulla sostenibilità economica del modello industriale oggi presente, che non può fare a meno di sostenere una finanza globale sempre meno sotto controllo e ancora non pronta a un’effettiva transizione dei sistemi di produzione e di consumo verso la sostenibilità ambientale e verso il pieno utilizzo di energie da fonti rinnovabili.
Ma questi dubbi non significano per certo sciagure e grandi crisi. Significano quasi sempre soltanto profondi cambiamenti, i quali sconvolgono l’ordine pre-esistente e possono generare sciagure, ma è relativamente improbabile che queste accadano. Ciò che è più probabile è inoltre che i cambiamenti generino altri cambiamenti, che bisognerà riuscire a prevedere e a cavalcare. E che molti effettivamente riusciranno a goderne, sebbene resti inevitabile che altri ne soffriranno.
Per tutti questi motivi è dunque relativamente probabile che il mondo occidentale in tutto questo possa vedere ridotta la propria ricchezza e che dunque debba affrontare una recessione sistemica. Che però non significherà necessariamente fame o malattie. Bensì un probabile freno agli eccessi attuali con benefici dal punto di vista ambientale e con maggiori stimoli verso una sostanziale rappacificazione dei rapporti tra le nazioni. Così come l’inflazione viene stemperata dal rallentamento dell’economia, così probabilmente anche un ridimensionamento dei listini azionari potrà comportare un loro riequilibrio rispetto a taluni eccessi visti di recente e un maggior spazio per i nuovi entranti (le “matricole” cioè le aziende che si quotano in borsa per la prima volta). E ciò non è affatto detto che possa essere un male per l’economia globale.
Stefano di Tommaso
UN MONDO SEMPRE PIÙ DIVISO
Le agenzie di rating stanno sottolineando oggi ciò che su queste colonne scriviamo da mesi: il mondo occidentale sembra avviarsi verso una recessione feroce, provocata da inflazione e guerra e acuita dall’approccio da falco delle banche centrali che hanno provocato a loro volta anche un terremoto valutario. Le speranze di una ripresa dei mercati si assottigliano di conseguenza e una serie di fratture si evidenziano non soltanto fra Oriente e Occidente, ma anche tra le singole economie.
Lo scenario al momento si fa decisamente grigio, tanto per l’industria quanto per la finanza, oltre che profondamente diviso: da una parte dell’Occidente ci sono gli Stati Uniti d’America, non soltanto protagonisti tanto dell’oltranzismo in guerra quanto delle sanzioni alla Russia ma anche speculatori sui mercati energetici e degli armamenti, e dall’altra parte ci sono in ordine sparso gli stati europei, oramai frammentati sino quasi a dimenticare che dovrebbe esistere una Commissione Europea a coordinarli.
Oltre “cortina” ci sono Russia, Cina e India, le quali -forti di tendenze demografiche positive- stanno approfittando della stasi europea per guadagnare posizioni e spazi economici nel rapporto con numerosi paesi emergenti i quali non possono che fare le spese di un dollaro troppo forte e tassi d’interesse che rendono insostenibili i debiti contratti per le infrastrutture. L’India prevede di chiudere il 2022 con una crescita del 6,8% del P.I.L. mentre per il 2023 prevede una crescita del 6,1%. La Cina passerà dal 3,2% del 2022 al 4,4% l’anno prossimo. Il confronto con l’Occidente è feroce: gli USA passeranno dall’1,6% del 2022 all’1% nel 2023, l’Unione Europea dal 3,1% del 2022 allo 0,5% del 2023. (qui sotto il grafico dell’indice composito MSCI dell’andamento borse appartenenti alle economie emergenti, sceso vistosamente nell’ultimo anno e mezzo)
Ma nemmeno i Paesi Emergenti fanno blocco unico, anzi! Al vertice di Samarcanda della SCO (Shangai Cooperation Organization) c’erano rappresentanti di Cina, Russia, India, Iran, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan e molti altri. Vorrebbe entrare a farne parte anche la Turchia, ma sarebbe il primo paese NATO a farlo. Oltre 3 miliardi di persone sono rappresentate in quella sede, ma le economie emergenti oggi restano ancora sostanzialmente ognuna per sé, con il rischio che non arrivino a fare fronte comune per creare valide alternative alle istituzioni occidentali e per supportare lo sviluppo economico. Ognuna sembra avere ottime ragioni andare soltanto per la sua strada, senza alcuna strategia di lungo termine. E quando succede questo lo sviluppo economico non avanza.
Il risultato di questo bel coagulo di veleni è una previsione decisamente negativa per l’anno a venire, innanzitutto per l’economia europea, gravata dal doppio problema dell’assenza improvvisa delle forniture energetiche della Federazione Russa e dell’incremento formidabile nei costi delle materie prime, dovuto tanto all’inflazione quanto al cambio sfavorevole con il Dollaro.
Se ci aggiungiamo che, con uno scenario siffatto non sarebbe da stupirsi più di tanto se a questo punto arrivassero ulteriori problemi anche dai mercati finanziari, in lenta ma costante disfatta, e ci aggiungiamo anche che l’Europa è in prima linea negli aiuti all’Ucraina (e dunque nel confronto militare quasi diretto oramai con la Russia) ecco che le condizioni appaiono tutte sul tavolo per avviarsi a scatenare un bel putiferio.
Non si può poi considerare a quali danni va incontro anche il resto del mondo con il perdurare dell’inflazione dei prezzi e della scarsità di numerosi fattori di produzione: l’industria è costretta a ridurre le proprie produzioni e a rialzare i prezzi di vendita pur senza riuscire a mantenere i margini di guadagno ai livelli precedenti, mentre i consumatori frenano in tutte le direzioni perché impoveriti improvvisamente e preoccupati dalla forte riduzione delle risorse a favore della previdenza sociale. L’eccesso di debiti pubblici infatti sconsiglia di proseguire sulla strada dei sussidi ai consumi e riducono la capacità di fornire adeguato welfare alle classi più deboli della popolazione. Il risultato è pertanto anche quello di una prospettiva di profonde spaccature sociali.
Anche questo fatto sta provocando uno spostamento verso destra nelle preferenze degli elettori europei (e non solo) e, soprattutto, sta facendo più danni al processo di convergenza europeo di quanti ne abbia fatti il successo dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Cosa che fa prevedere ulteriori problemi tanto nel governo della medesima quanto nelle manovre della Banca Centrale Europea, paralizzata dalle divergenze.
Senza contare il fatto che anche l’atlantismo sfegatato di politici e governanti cui abbiamo assistito sino ad oggi in tutta Europa non potrà non subire una pausa di riflessione dal momento che è sotto gli occhi di tutti chi guadagna e chi perde da questa situazione. Guadagnano gli americani a scapito degli europei, ma guadagnano anche le banche (prima di contare le ulteriori perdite sugli attivi in portafoglio, però) a scapito di chi deve pagare più cari i propri debiti. Guadagnano le grandi industrie a scapito di quelle piccole e medie.
Ci guadagnano i grandi esportatori di petrolio, gas e altre risorse naturali a scapito di quelli che devono importarli, guadagnano i paesi più attivi con l‘energia prodotta dalle centrali elettriche nucleari e da quelle a carbone, guadagnano i produttori di armi e quelli di prodotti chimici e farmaceutici. Guadagnano gli speculatori al ribasso sulle borse, sui preziosi e sulle valute e guadagnano le imprese più innovative, capaci di cavalcare l’accelerazione nel cambiamento del paradigma industriale pregresso, mentre perdono margini di profitto l’industria tradizionale, quella alimentare e quasi tutte le “public utilities”.
Resta ovviamente sullo sfondo la possibilità che ai margini del prossimo G-20 si delineino le condizioni per anche soltanto una tregua nel conflitto in Ucraina. Cosa che potrebbe far flettere tanto le aspettative di persistenza dell’inflazione quanto il prezzo dell’energia. Anche il cambio del Dollaro potrebbe invertire la rotta se ciò avvenisse e le borse potrebbero riprendere vigore, prima che si materializzino altri importanti smottamenti nella fiducia degli investitori. Anzi, paradossalmente, le chances di uno scenario del genere sono oggi più elevate anche a causa dell’evidenza della drammaticità dell’alternativa.
Una profonda frattura però si è prodotta tra Oriente e Occidente, tra paesi più sviluppati ed economie emergenti, tra i paesi membri dell’Unione Europea, tra la stessa America e il Regno Unito e, nell’ambito di quest’ultimo, tra la Gran Bretagna e il resto dei paesi del Commonwealth, sempre più desiderosi di svincolarsi. Persino nell’ambito del medio oriente ritornano prepotentemente le divisioni tra i paesi arabi nonché tra i musulmani sunniti e quelli sciiti.
Ma non finisce qui: altrettante fratture è possibile osservare tra le classi sociali e tra le fazioni politiche del mondo occidentale. Così come sempre meno fiducia tendono a nutrire gli investitori nei confronti dell’industria e delle innovazioni tecnologiche, riducendo l’importo degli investimenti proiettati al lontano futuro e riducendo lo spazio di crescita delle vere innovazioni. Cosa che non lascia molto spazio all’ottimismo persino nello scenario più positivo dell’avvio di solide trattative per una pace duratura in Est Europa.
Un bel passo indietro nel progresso dell’umanità si potrebbe dire sintetizzando al massimo. Se anche le prospettive di pace con un graduale ritorno alla cooperazione e agli scambi internazionali riusciranno a sventare il pericolo di una nuova profonda recessione globale (sulle certezze dell’avvento della quale nessuno è in grado di affermare previsioni affidabili), il mondo resterà profondamente ferito dalla tragicità degli eventi che stanno accadendo in queste settimane. E le conseguenze di ciò non potranno che farsi sentire a lungo nel prossimo futuro. Le borse difficilmente torneranno presto a toccare nuovi massimi, i tassi d’interesse difficilmente scenderanno in fretta, i prestiti bancari difficilmente saranno di nuovo elargiti a mani basse per chissà quanto tempo ancora.
Stefano di Tommaso
E SE SCOPPIASSE LA PACE ?
La congiuntura mondiale appare così grigia da lasciar pensare che qualcosa di eclatante potrebbe accadere nei prossimi giorni, capace di ribaltare in positivo le terribili prospettive economiche e finanziarie che si stanno concretizzando. D’altra parte l’imminenza delle elezioni in America può spingere verso la riapertura delle trattative per la pace anche perché il mondo occidentale non sarebbe davvero pronto ad uno scontro bellico globale. Ma se così fosse anche l’economia potrebbe beneficiarne, e l’inflazione potrebbe venirne stroncata.
Le elezioni di medio termine negli USA sono alle porte (manca un mese) e la situazione generale dell’economia occidentale è sempre più nera. La banca centrale americana (le cui mosse non potranno che essere seguite a ruota da tutte le altre con la situazione che si è creata sui cambi valute) ha reso chiaro a tutti che, nel suo sforzo di combattere l’inflazione, andrà avanti ad innalzare i tassi d’interesse fino a che la crescita economica non calerà fino al punto in cui i consumi inizieranno a raffreddarsi, e con essi i prezzi di beni e servizi. L’ascesa verticale dei tassi di interesse può però fare molto male tanto all’industria quanto al mercato dei capitali, che -in assenza di cambiamenti- prima o poi dovrà prendere atto del fatto che le prospettive di profitto delle imprese quotate sono inevitabilmente destinate al ribasso e che di conseguenza le quotazioni borsistiche diverrebbero sopravvalutate.
La Banca centrale americana (come si può vedere dal grafico) non ha mai alzato così velocemente i tassi d’interesse, promettendo al tempo stesso di continuare a farlo ancora a lungo. Ora il rischio (se non quasi la certezza) è che l’operazione non sia priva di conseguenze sull’economia reale. Ciò che ne può conseguire in parte rischia di diventare anche un problema americano sinanco in caso di forte rivalutazione del Dollaro, e ovviamente sarebbe ancor più serio e drammatico per il resto del mondo: una recessione profonda e un “grande reset” globale di cui in particolare rischia di fare le spese più di altri l’Europa, alleato storico e strategico degli USA, il cui peso morale e culturale sul resto del mondo per di più supera ampiamente i numeri bruti della sua economia.
D’altra parte se davvero si pensa di togliere di colpo e per intero all’Occidente le forniture di risorse naturali che ha sempre comperato a buon mercato dalla Federazione Russa, le conseguenze appaiono sempre più ovvie. Oltre a fare un bel grosso regalo alle economie di Cina e India, in questo momento non particolarmente vicine alle posizioni di Washington e molto felici di acquistare quelle risorse naturali a forte sconto.
Nemmeno all’interno degli Stati Uniti d’America ci sarebbe molto da brindare di fronte ad uno scenario del genere, dal momento che, con il costo delle materie prime che rischia di continuare indefinitamente a salire (si veda il taglio alla produzione stabilito dai paesi aderenti all’OPEC nell’ultimo consiglio), l’inflazione resterebbe insopportabilmente alta per un bel po’ di tempo, persino con l’arrivo di una recessine globale. L’escalation della guerra poi potrebbe fare il resto, rilanciando sino a livelli insostenibili tanto il caro-Dollaro quanto i prezzi dell’energia e facendo crollare gli investimenti privati. Bisogna inoltre ricordare che l’inflazione attuale nasce soprattutto dalle strozzature dell’offerta, più che dagli eccessi della domanda di beni e servizi. Dunque i rialzi dei tassi d’interesse della FED appaiono un’arma decisamente spuntata.
Da questo punto di vista il fattore che ha davvero scatenato l’apocalisse dei rincari è stata indubbiamente la guerra. Con essa e con le sanzioni alla Russia anche l’intera retorica sulla sostenibilità del pianeta sbandierata dai partiti democratici è andata letteralmente a farsi benedire. E dietro alle politiche per una urgente “transizione ecologica” c’erano inoltre molti interessi economici che oggi appaiono calpestati a causa dell’esigenza di reperire altre fonti energetiche, ragione per cui le centrali nucleari sono state rivalutate e quelle a carbone sono state riaperte. Uno smacco per Biden & C. da non poco conto.
Viene perciò da chiedersi se a Washington sono tutti masochisti o se c’è qualcosa che nel frattempo potrebbe succedere. Qualche colpo di scena potrebbe infatti essere nell’aria perché la recessione potrebbe amplificare il malcontento interno all’America e, di questo passo, la disfatta del partito democratico che esprime il governo a stelle e strisce apparirebbe scontata, con la conseguenza che l’elite politica che ci sta dietro rischierebbe di venire letteralmente asfaltata. Ciò è oggettivamente poco probabile: troppi interessi di lobby di ogni genere (e non soltanto quelle dell’energia e degli armamenti) si celano (e neanche troppo) dietro i DEM americani al potere.
La storia recente poi ci insegna che, quando le tendenze dell’economia e della finanza appaiono troppo scontate, qualcosa succede sempre per ribaltarne il corso. E se così non fosse l’intera Europa potrebbe svoltare decisamente a destra iniziando a porre seri dubbi sulla sua inveterata adesione all’alleanza atlantica. Dunque qualche colpo di scena potrebbe essere finalmente nell’aria. E questo colpo di scena non potrebbe che riguardare che l’abbandono (o più probabilmente la momentanea sospensione) del clima di tensione che la situazione dell’Ucraina sta creando a livello globale. I due attentati alle infrastrutture strategiche della Russia nelle ultime due settimane da questo punto di vista appaiono come le gocce che rischiano di far traboccare il vaso della pazienza.
Convengo con i più scettici circa il fatto che esprimo idee parecchio fuori dal coro di tutti i commentatori che oggi compiono estrapolazioni della congiuntura globale, ma io vedo in quelle nere previsioni di una nuova crisi globale un forte iato: se anche una parte dei “poteri forti” desiderasse davvero l’avvento della prossima guerra mondiale, con la speranza di destabilizzare il governo della Russia e di tornare in tal modo a governare un mondo che inizia ad andare fuori controllo a causa del fattore demografico, non avrebbe comunque senso farlo così presto da riuscire -nelle prossime elezioni- a perdere il controllo della politica interna americana.
La Russia dal canto suo avrebbe tutto l’interesse nel trovare presto un punto di compromesso nello scacchiere ucraino, perché altrimenti sarebbe sospinta inesorabilmente verso la necessità di imporre il suo controllo anche su Kiev, e nel farlo ovviamente dovrebbe impiegare molte risorse e sacrificare molte vite umane. La partita perciò apparerebbe più vantaggioso giocarsela sui tavoli negoziali con l’Occidente che sul campo di battaglia. Anche perché né la Cina né tantomeno l’India potrebbero risultare così solidali quando la situazione dovesse incancrenirsi.
Non stupirebbe poi che ciò potesse passare sopra la testa di un pazzo guerrafondaio come Zelenski, che fino a ieri ha costruito una carriera politica sull’alleanza con i battaglioni nazisti e che oggi non trova niente di meglio che lanciare bombe all’interno dei confini russi. L’èlite USA ha quasi sempre “tradito” i propri fantocci usati per agitare temporaneamente le acque. Lo ha fatto ad esempio con Bin Laden. Lo ha fatto spesso in Sudamerica e in Africa. E lo ha fatto più recentemente con Letta, Macron, Markel, Boris Johnson e Shinzo Abe. Figuriamoci se avrebbe problemi a ribaltare Zelenski pur di rilanciare (almeno temporaneamente) lo slogan della pace nel mondo! Una linea di compromesso potrebbe riguardare l’autonomia linguistica e amministrativa delle repubbliche orientali dell’Ucraina, magari con un governo meno estremista a Kiev.
Persino Putin, oggi messo a dura prova dalle fronde interne che hanno mal digerito la chiamata alle armi di alcune centinaia di migliaia di “riservisti” (cioè di civili), potrebbe sbilanciarsi a favore della pace se sul piatto della bilancia comparisse la testa del presidente ucraino.
Le conseguenze in termini economici e finanziari di una apertura in grande stile di nuovi negoziati di pace non potrebbero essere più favorevoli: la fiducia degli operatori economici riprenderebbe decisamente quota e con essa gli investimenti produttivi, essenziali per ridurre le strozzature all’offerta di beni e servizi che hanno sospinto l’inflazione. Sinanco il prezzo del petrolio -di fronte ad uno scenario di pace- non potrebbe che scendere, costringendo gli economisti a migliorare le loro nere previsioni circa la crescita del prossimo anno.
Forse si tratta soltanto di una speranza, ma l’alternativa alla riapertura dei tavoli negoziali appare davvero truce. Mettere la Russia in un angolo con ulteriori provocazioni equivale infatti a spingerla ad iniziare ad usare il deterrente bellico verso l’America e il Regno Unito più che verso Kiev. Per sopprimere governo e parlamento ucraini basterebbe invece qualche razzo ben assestato di quelli ipersonici che si sono visti volare all’inizio del conflitto. L’Intera Europa rischierebbe di essere risucchiata in un tale conflitto per via delle numerose basi missilistiche nucleari NATO dislocate su tutto il suo territorio (soltanto in Italia pare se ne contino 29). Sarebbe l’inizio delle ostilità in grande stile, nonché il disastro delle prospettive economiche globali per il prossimo anno: non il migliore dei biglietti da visita per l’amministrazione Biden alle prossime elezioni!