ESUBERANZA RAZIONALE?

IL NOBEL A RICHARD THALER PUÒ SPIEGARSI CON IL TENTATIVO DI DARE RISPOSTE AL TEMA DELL’ESUBERANZA IRRAZIONALE DEI MERCATI FINANZIARI? E SE FOSSE IL CONTRARIO?

L’altro giorno leggevo tra i commenti all’ultima premiazione della fondazione Nobel per gli studi economici quelli che fanno riferimento ad un semplicissimo sito web gestito da un altro premio Nobel per l’economia: Robert Schiller. Il nome del sito internet “http://irrationalexuberance.com/main.html?src=%2F#4,0” parla già da solo. Esso si limita ad esporre, accanto alla copertina del famosissimo libro omonimo (vedi immagine copertina), soltanto due grafici: quello dell’andamento dell’indice azionario Standard &Poor di Wall Street (Insieme a quello dell’andamento degli utili aziendali) e quello del rapporto prezzo/Utile insieme all’andamento dei tassi di interesse.


Anche il premio Nobel elargito in precedenza a Robert Shiller riguardava la “Finanza Comportamentale”. Dunque questo tema è percepito dal mondo accademico nonché dai giurati del premio Nobel come uno di quelli davvero importanti in un momento come questo.

I GIUDIZI ED I COMPORTAMENTI UMANI NON SONO DEL TUTTO RAZIONALI. NEMMENO QUANDO CREDONO DI ESSERLO

Il ragionamento di fondo di Schiller e Thaler osserva che il comportamento umano non può essere rappresentato con la sola logica delle aspettative razionali e I modelli economici di conseguenza non possono non tenerne conto. Solo che quel “tenerne conto” può non andare soltanto nella direzione di predire lo scoppio delle bolle speculative. Può invece anche essere interpretato all’opposto per riuscire a comprendere come mai le borse continuano a salire.

Andiamo infatti a leggere cosa ci raccontava Shiller nel suo libro, pubblicato nel 2000 (quando I mercati finanziari avevano toccato un altro picco massimo): che se si vuole interpretare correttamente l’andamento delle Borse Valori bisogna necessariamente tenere conto anche delle psicologie (e non solo delle argomentazioni razionali) le quali aiutano non poco a fabbricare ogni genere di bolle speculative sui mercati. Il libro spiega anche che alla fine le bolle esplodono sempre, anche se a volte in tempi più lunghi del solito.

 

Questi grafici così sintetici e quasi silenziosi ci raccontano però anche dell’altro: se andiamo a guardare il rapporto prezzo utili cui si riferiscono le attuali quotazioni borsistiche, non c’è dubbio che siamo oggi ben lontani dai massimi del 2001, poco prima che finisse l’era della prima “New Economy” e il mondo cambiasse per sempre. Più esattamente su quel rapporto, rispetto ai massimi siamo a metà strada, mentre i tassi di interesse a lungo termine (la linea rossa) sono invece arrivati in picchiata ai minimi di sempre più o meno un anno fa, nonostante le intenzioni più volte espresse dai banchieri centrali di tutto il mondo, concordi con la necessità di continuare a tirarli un po’ su, dal momento che neanche negli anni trenta si erano visti così in basso.

E SE LE ATTUALI QUOTAZIONI DI BORSA RISPECCHIASSERO LA “NUOVA NORMALITÀ”?

Dunque da un lato le azioni quotate a Wall Street non risultano poi così care se comparate con I profitti che esse esprimono, dall’altro lato i tassi sono oggettivamente bassi e dunque essi giustificano (almeno in parte) delle quotazioni più elevate a parità di tutto il resto. Come dire che la bolla speculativa alla fine scoppierà ugualmente, ma di strada da fare per gonfiarsi ancora potrebbe averne ancora tanta. Allora in questo caso ciò che sembra davvero irrazionale è il timore di un crollo, non il suo opposto.

A proposito dei tassi di interesse bisogna poi ricordare che quelli che contano davvero sono I tassi reali prospettici, cioè quelli futuri e al netto dell’inflazione. Per soppesare il livello dei tassi di interesse reali e tenerne conto nel chiedersi come attualizzare i profitti futuri sono perciò importanti le aspettative di inflazione, che fino a qualche giorno fa sembravano puntare verso l’alto mentre poi è arrivata l’ennesima doccia fredda che gli economisti non riescono a spiegare se non con il salto quantico della digitalizzazione.

TASSI, CRESCITA E INFLAZIONE

La crescita economica infatti si accompagna di norma a un surriscaldamento dell’economia che porta qualche tensione sui prezzi al consumo perché aumenta la propensione alla spesa da parte dei consumatori che si ritrovano con un reddito maggiore. Questo sarebbe particolarmente evidente negli Stati Uniti d’America dove l’economia cresce oramai da più di sette anni ( altrove solo negli ultimi tempi l’economia è tornata a crescere ) e la disoccupazione è giunta ai minimi storici, eppure l’inflazione non risale. Senza di essa I tassi di interesse reale attuali, pur bassi, non sono nulli e pertanto hanno più probabilità di restare a livelli simili a quelli attuali.

Dunque I profitti futuri vanno attualizzati a tassi bassi e -in generale- giustificano maggiormente le quotazioni stratosferiche di molte società quotate.

Poi ovviamente per giudicare se le valutazioni espresse dalle borse appaiono o meno eccessive, dipende anche da ciascun settore di appartenenza. Tipico è il paragone che si fa tra I moltiplicatori degli utili di due titoli che sono chiaramente molto grandi ed esprimono business all’avanguardia e globalizzati, sono percepiti entrambi come titoli “tecnologici” ma appaiono tuttavia agli investitori molto diversi tra loro: Apple e Alphabet (Google). Il Financìal Times di stamane faceva notare che la prima, dal momento che buona parte dei suoi utili arrivano dagli apparati cellulari, viene considerata “cara” dal mercato al prezzo di 15 volte gli utili mentre la seconda, I cui profitti derivano per oltre l’80% dalla pubblicità online, quota tranquillamente (e da tempo) ben 27 volte gli utili. Le aspettative di crescita della prima sono infatti diverse da quelle della seconda.

MORALE

Per giudicare eccessive le valutazioni del mercato bisogna prima stabilire quale tasso di crescita dell’economia riduce il fattore di sconto dei profitti futuri. E se quel fattore prima di tener conto della crescita già partiva da un livello basso in assoluto, è sufficiente attendersi una lieve crescita prospettica del. Intesto economico per valutare molto più caro un titolo quotato. E nessuno può negare che, con una previsione di crescita economica globale vicina al 4% nell’anno in corso, le aspettative di crescita ulteriore dei profitti sono più che giustificate. Casomai perché il sistema prezzi/tassi/aspettative sia sostenibile bisogna che restino vere tanto le prospettive di un‘ inflazione limitata quanto quelle di un forte interscambio internazionale, fattore essenziale anche per tenere viva la prospettiva di importanti profitti aziendali. Diverso sarebbe infatti se quelle premesse mutassero.

Tornando alle aspettative-non-esattamente-razionali, appare possibile che se pensiamo di poter giudicare gli eventi sulla base di ciò che è successo in passato stiamo tralasciando quasi certamente una parte della verità. I lavori di Richard Thaler riguardano proprio la verifica del fatto che gli esseri umani si basano moltissimo sul comportamento passato per fondare le loro decisioni, anche quando chiaramente il futuro non rassomiglia più al passato.

Nonostante Thaler abbia espresso chiaramente il suo disappunto per il livello da lui giudicato eccessivo delle borse odierne, resta il fatto che le sue teorie possono funzionare anche all’opposto. Cioè nell’indicare “a prescindere “ come eccessivi I livelli borsistici attuali solo perché in passato non si era vissuto un salto quantico nello sviluppo economico (delle economie emergenti) come quello attuale. Nessuno può vantare delle certezze al riguardo ma il beneficio del dubbio deve continuare ad animare la ricerca dell verità!

Stefano di Tommaso




IL PREZZO DEL PETROLIO NON PREOCCUPA PIÙ ?

Chi l’ha detto che il petrolio salirà? Gli investitori, ovviamente, i quali cercano ogni giorno di imboccare per primi nuovi trend di mercato e giustificare, attraverso nuove strategie, il loro operato rispetto alle migliori performances che da mesi inanellano i fondi di investimento indicizzati. Peccato però che anche questa volta rischiano di sbagliarsi alla grande, così come non si è visto un vero “reflation trade” (un ritorno di fiamma dell’inflazione che avrebbe potuto giustificare nuove rotazioni dei portafogli titoli). E alla mancata crescita dell’inflazione la questione del prezzo futuro del petrolio è molto connessa.

 

LO SCENARIO GLOBALE È MOLTO COMPOSTO

L’economia globale cresce alla grande ma non dá alcun cenno di surriscaldamento, facendo saltare i nervi agli operatori e agli speculatori che ci avevano scommesso sopra. Non surriscaldandosi non crescono nemmeno i prezzi delle materie prime e nemmeno oscilla il dollaro, che ne esprime l’unità di misura. Rimane tutto piuttosto stabile insieme ad una volatilità dei mercati finanziari che continua storicamente a decrescere e ad una liquidità globale che aumenta tanto da fare invidia agli oceani alle prese con il disgelo delle calotte polari.

Nel lungo percorso che ha portato in tutti i dodici mesi precedenti i mercati verso nuovi massimi storici e a tornare a crescere significativamente i prodotti lordi della maggioranza delle nazioni, soprattutto quelle emergenti, molte volte i grandi investitori hanno gridato al lupo al lupo, molte volte le banche centrali hanno minacciato impennate dei tassi di interesse (anche per limitare sul nascere i possibili scoppi di bolle speculative).


Ma la verità è che un po’ dappertutto nel mondo i consumi sono tornati a crescere, la disoccupazione è in discesa e i profitti delle imprese sono in forte crescita, mentre tutto il resto fornisce confortanti segnali di rilassamento e permette ai mercati di dimenticare i livelli stratosferici raggiunti dai debiti pubblici anche a causa dei bassissimi tassi di interesse che essi devono pagare, lasciando sperare i più in un lento discioglimento di quei debiti nell’acido della progressiva monetizzazione.

IL PETROLIO IN UN TUNNEL TRA 50 E 60 DOLLARI AL BARILE

In uno scenario così composto, sincronizzato e positivo, procedono le politiche di incremento dell’uso delle energie da fonti rinnovabili e anche per questo motivo il petrolio rischia di restare a lungo confinato magicamente nel tunnel che va dai 50 ai 60 dollari al barile (vedi grafico), ove al ribasso agiscono immediatamente le iniziative di incremento delle riserve strategiche e al rialzo invece giocano tutti i produttori che hanno congiurato sino ad oggi per una ripresa del prezzo i quali servono maggiori quantità non appena gli risulta possibile.


Eppure la domanda globale di petrolio sta tornando a crescere eccome, non solo per effetto della ripresa economica (che ha effetti sulla domanda del petrolio quasi solo in America), ma soprattutto per la crescita strutturale delle due grandi economie asiatiche (Cina e India). Ma contemporaneamente sale l’offerta del petrolio, soprattutto di quello americano (che in parte è “shale oil”cioè estratto con tecniche di pressurizzazione degli anfratti in cui giace che non sono pozzi petroliferi veri e propri ma sono molto più diffusi) la cui produzione è fortemente legata al prezzo di vendita:sotto determinati livelli non conviene estrarlo.


Il risultato di questo bilanciamento tra domanda e offerta, sebbene difficile perché, appunto, con la ripresa economica che prosegue salgono entrambe, va ben al di là del tenue impatto che può sortire la politica dell’OPEC, (il cartello dei produttori petroliferi) che autoimpone dei tagli alla produzione e in tal modo favorisce i paesi che non vi aderiscono (si veda il grafico qui sotto riportato).

LA VERA DIFFERENZA L’HA FATTA IL “FRACKING”

La situazione complessiva ha tra l’altro favorito le economie dei paesi emergenti, i quali hanno trovato lo spazio per esportare più petrolio e, in una situazione di stabilità globale del relativo prezzo, la possibilità di programmare nuovi investimenti infrastrutturali (principalmente nella raffinazione) che possono aiutare non poco a dare slancio allo sviluppo economico locale.

La vera differenza però l’ha fatta l’America con il suo “fracking“ (la suddetta tecnica con la quale si ottengono gas e petrolio da scisto), inducendo sul mercato un pesante fattore di stabilità. Tutto bene dunque? Si, ma solo fino a quando non dovessero acuirsi le tensioni geopolitiche globali oggi tutto sommato sotto controllo. La discontinuità in uno scenario globale così sincrono e bilanciato può provenire solo queste ultime.

La corsa al riarmo di ogni Paese del mondo sta infatti favorendo tanto l’industria degli armamenti (tradizionalmente grande divoratrice di materie prime energetiche) quanto lo stoccaggio di maggiori riserve strategiche di petrolio. Il controllo delle emissioni dannose per l’atmosfera ha inoltre giocato la sua parte sino ad oggi nel limitare il prezzo dell’energia, ma risulterebbe poco più che superfluo qualora dovessimo assistere ad una escalation militare in grande stile. La geopolitica insomma può fare la sua parte nel rovinare la festa all’economia reale, anzi: rischia di essere l’unico fattore che può fare la differenza.

Stefano di Tommaso




IL GIOCO DELL’OCA* DEI MERCATI

Nonostante gli annunci e gli inviti alla prudenza, nonostante i rialzi dei tassi annunciati e, in parte varati in America, le banche centrali di tutto il mondo continuano a darsi il cambio nell’immettere nuova liquidità netta sui mercati finanziari e quella liquidità sospinge in alto qualsiasi titolo quotato.
Il fenomeno genera macroscopiche distorsioni della realtà percepita, avvolgendo in una nuvola dorata ogni asset che sui mercati possa vantare una certa liquidabilità e innalzandone senza ragioni apparenti la valutazione.

 

L’ECCESSO DI LIQUIDITÀ AL CENTRO DEL DIBATTITO

Con i mercati che continuano a inanellare quotazioni stellari gli investitori restano prudenti e disorientati, perché non posseggono strumenti analitici che permettano loro di giustificare gli eccessi dei mercati. Scrivo dei “mercati” e non solo delle borse perché la pandemia da eccesso di liquidità ha travolto anche gli altri mercati, a partire dal reddito fisso dove gli investitori acquistano qualsiasi titolo anche senza alcuna ragione apparente, per non parlare di taluni immobili a reddito, delle criptovalute e dei metalli preziosi, per arrivare ultimamente addirittura alle riserve petrolifere, le cui valutazioni erano rimaste notoriamente in stallo per eccesso di offerta.

IL PARADOSSO DEI BOND “KROGER FOODS”

A proposito di eccessi un fenomeno apparentemente inspiegabile se non con la lente della disperazione derivante dalla sovrabbondanza di liquidità è quello che ho osservato qualche giorno fa con il piazzamento di bond in tre tranches (a 5,10 e 30 anni) per un miliardo di dollari da parte di Kroger, una media catena americana di supermercati alimentari, praticamente subito dopo che le sue azioni sono andate a picco (insieme a quelle di quasi tutte le catene di supermercati) per effetto dell’acquisto di Whole Foods da parte di Amazon.
Posso comprendere la prudenza di chi preferisce una cedola ad un mercato azionario percepito dai più oramai come estremamente speculativo, ma qualcuno si è chiesto se, fra trent’anni, la catena esisterà ancora? Probabilmente no, visto che tra l’altro, il rendimento che offrono quei bond resta al di sotto del 5%. Come nessuno quindi si è chiesto se quel 5% (scarso) può compensare i rischi cui va incontro il detentore di quel finanziamento non garantito concesso ad un distributore tradizionale di alimentari operante in un mercato che -chiarissimamente- va incontro a forti cambiamenti.

A CORTO DI TEORIE ECONOMICHE ADEGUATE

Il fenomeno appena citato è significativo tanto dell’apparente cecità degli investitori relativamente agli elementi fondamentali dell’analisi economica, quanto del fatto che, indubbiamente, tutti coloro che da quasi un anno a questa parte hanno gridato allo scandalo dell’eccesso di valutazioni dei mercati finanziari è poi rimasto scottato dalla realtà dei fatti, che è andata nella direzione opposta, smentendoli clamorosamente!

La verità perciò è che ben pochi tra gli investitori riescono a capire qual è il gioco, e a farsene una ragione, soprattutto perché mancano di adeguati strumenti analitici: le vecchie infrastrutture dell’analisi economica evidentemente non risultano adeguate a spiegare la situazione eccezionale in cui si trovano i mercati finanziari globali!
Ma soprattutto, anche qualora saltasse fuori qualche teoria economica in grado di meglio giustificare la situazione corrente alla luce di una razionalità che ai più invece sfugge, questa non costituirebbe necessariamente una garanzia del fatto che la situazione di “bonanza” perdurerà a lungo in futuro e che dunque i mercati a un certo punto non crolleranno precipitosamente.

BASSA VOLATILITÀ, CONTRO OGNI RAGIONEVOLE PREVISIONE

L’eccedenza di liquidità ha tra l’altro ridotto la volatilità dei mercati a meno della metà dai picchi toccati un anno fa. Ecco ad esempio l’andamento a un anno dell’indice VIX (che misura la volatilità dell’indice SP500 relativo ad un ampio paniere di titoli di Wall Street):


IL TIMORE DELL’INFLAZIONE E LO SPETTRO DELLA DEFLAZIONE

Sebbene dunque non sia un mistero per nessuno che risieda nella grande liquidità disponibile la causa primaria della beata calma piatta e dei meravigliosi ritorni sul capitale per chi ha investito sino ad oggi, la sensazione tra gli operatori è che il trascorrere del tempo senza che l’inflazione faccia significativi passi in avanti non migliori la situazione di incertezza circa il futuro delle borse e del risparmio gestito.

Il timore generalizzato è infatti che la crescita economica, degli investimenti, dell’occupazione e dei salari possa mostrare a un certo punto più o meno di colpo i suoi effetti inflattivi, spiazzando tutti e generando panico.
Nemmeno le banche centrali in quel caso avrebbero a disposizione molti strumenti, perché l’eccesso di rigonfiamento dei propri bilanci, l’eccesso di debito pubblico e il livello davvero basso dei tassi di interesse attuali impedirebbe loro molte delle manovre previste nelle principali teorie economiche accreditate, oppure le costringerebbero ad azioni estreme, tornando a dover muoversi come nel 2009, in territori inesplorati.

L’ECCESSO DI DIPENDENZA DALLE BANCHE CENTRALI E I BUONI FONDAMENTALI

Il punto è che la situazione eccezionale di picco che oggi osserviamo -per quanto per sua natura instabile- potrebbe ugualmente perdurare per un tempo indefinito, perché quel che sembra è che le banche centrali sono diventate prigioniere del loro stesso gioco, impossibilitate a tornare indietro nella loro millimetrica regolazione del rubinetto e anche senza alcuna volontà di farlo, se non il più gradualmente possibile.
Gli operatori d’altronde dipendono più che mai dalle loro indicazioni, e nessuno si mette davvero a scommettere contro gli attori di gran lunga più importanti dei mercati, assecondandoli pedissequamente.

Il contesto generale è peraltro fortemente positivo: l’economia europea è il nuovo campione mondiale di performance, quella asiatica continua la sua corsa (sempre che la bolla finanziaria cinese non imploda), quella americana c’è il sospetto che vada meglio di ciò che le statistiche ci raccontano perché sarebbe politicamente incoerente mostrare agli elettori i successi economici dell’era politica irriverente inaugurata da un Presidente eletto contro tutti i sacri crismi della tradizione americana e oggi sotto pesante assedio da parte del Congresso. E la tendenza globale alla riduzione della tassazione sui redditi e al miglioramento dell’efficienza delle imprese suggerisce di non fare follie tirando la corda di un aumento dei tassi sin tanto ché l’inflazione non si manifesti impetuosa. Ma è difficile dire se ciò succederà mai.

COME NEL “DESERTO DEI TARTARI”

Non credo di essere il solo a rievocare nella situazione attuale il meraviglioso e surreale romanzo “Il Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, dove le banche centrali di oggidì sono forse l’equivalente del Tenente Drogo, che viene inviato giovanissimo alla Fortezza Bastiani nell’attesa che un giorno da oltre il deserto spuntino i nemici del Regno (dei non meglio definiti “Tartari”, cioè l’inflazione, fuor di metafora).
Appena arrivato si rende conto di essere forse caduto in una trappola, e vorrebbe fuggire. Ma quella situazione surreale e magica in cui si trova in fondo gli piace. E così il comando del suo manipolo a difesa della fortezza diviene nel tempo il suo pretesto per dare un significato al suo ruolo e agli anni vissuti lì dentro nel prepararsi al combattimento. Prima o poi dovrà arrivare l’occasione tanto attesa, quell’evento glorioso che gli regalerà finalmente prestigio ed onore, ma invece il tempo passa ed egli finisce in quella prigione dorata i suoi giorni, nella nebbia delle abitudini e delle ritualità, a guardia un baluardo immaginario a difesa del nulla. Un simbolo delle convenzioni e degli schemi con cui puntelliamo le nostre esistenze cercandovi missioni inesistenti e sicurezze impossibili.

Stefano di Tommaso

*L’Oca che dà il nome al gioco è un animale tenuto in grande considerazione da molti popoli antichi, a partire dagli Egizi per giungere ai Greci. I Romani avevano affidato alle oche il compito di vegliare sul tempio di Giunone, nel Campidoglio. Per i Celti, il palmipede era simbolo dell’aldilà e guida dei pellegrini, ma anche simbolo della Grande Madre dell’Universo. Le regole del gioco si conformano a questa valenza sacra dell’animale, sottolineando il suo ruolo di “guida provvidenziale”: capitare su una casella contrassegnata da un’oca permette infatti di abbreviare il percorso, raddoppiando il punteggio ottenuto.
Il numero delle caselle, 63, è particolarmente significativo: come prodotto di 9 x 7 permette di intendere il percorso come successione di 7 cicli di 9. Questi numeri si collegano direttamente alla teoria degli “anni climaterici”, tenuti in grande considerazione dall’astrologia classica: i cicli settenari e novenari segnano infatti gli anni fondamentali della vita umana che, in questo caso, si concluderebbe col sessantatreesimo anno, chiamato “il grande climaterio”. In questo senso il gioco può essere inteso come una rappresentazione simbolica del percorso stesso della vita. Ma c’è di più: la casella 63 è quella che permette di accedere al centro della spirale, al “castello o giardino dell’oca” che non è numerato. Considerando anche il centro, avremmo in tutto 64 caselle e questo numero, oltre ad essere simbolo dell’Unità, verso la quale il cammino ci deve ricondurre (6+4=10; 1+0=1), è il prodotto di 8 x 8 e suggerisce immediatamente una possibile analogia del nostro gioco con quello degli scacchi, che, a sua volta, ha la sua matrice simbolica nei 64 esagrammi dell’I Ching o “Libro dei Mutamenti”, i cui simboli descrivono appunto tutti gli stadi possibili dell’esistenza umana.

 




METÀ ANNO & METÀ DEL GUADO

Giunti alla svolta dell’Estate, all’inizio del nuovo semestre solare e alla vigilia del nuovo G20, proviamo a fare il punto sulla situazione dei mercati e dell’economia globale e, soprattutto, sulla possibilità di una correzione estiva delle borse.

 

Con i prezzi al consumo stabili in Italia a giugno l’inflazione, grande protagonista di timori e aspettative nella prima metà dell’anno, è in calo dello 0,1% all’1,3% mentre nei prossimi mesi dovrebbe restare poco sopra questi livelli (media annua attesa del CPI a 1,5%). Alla stessa percentuale dovrebbe attestarsi in Eurozona la crescita dei finanziamenti ai privati.

L’OTTIMISMO DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA

Draghi perciò gongola: la situazione è in quella perfetta via di mezzo per la prosecuzione degli stimoli quantitativi (tra inflazione/deflazione, crescita moderata e borse non troppo esuberanti) che può permettergli al tempo stesso di continuare quasi indefinitamente a sostenere la liquidità in circolazione e i rinnovi dei titoli di stato italiani (di un eventuale stop se ne riparlerà oramai nel 2018) mentre l’Euro continua ad apprezzarsi sul Dollaro e su quasi tutte le altre valute (cosa molto gradita ai Tedeschi, che stanno partendo per le vacanze sentendosi un po’ più ricchi).

Nemmeno l’Italia trema: le esportazioni italiane vanno ugualmente un po’ meglio di prima (la fiducia delle imprese nel manifatturiero è passata a Giugno a 107,3 dal 106,9 precedente mentre nelle costruzioni sale a 129,8 dal 128,1 di maggio: ai massimi da quasi un decennio) e, se durante il momento di punta del turismo in Italia arriva un po’ più di valuta forte, la cosa non dispiace a nessuno.

L’Euro in salita invece alle borse europee un pochino disturba: chi fa i conti in Dollari continua a cavarsela con le performances ma concorrono alla debolezza delle borse continentali l’instabilità politica e bancaria italiana, gli effetti negativi (assai limitati invero) dell’uscita della Gran Bretagna e i dubbi sulla capacità di Macron di realizzare ciò che ha promesso. La situazione europea tuttavia non riuscirà a influenzare il corso delle borse, anzi fosse per quelle nostrane ci sarebbero anche segnali di cauto ottimismo.

I PERICOLI PER LE BORSE ARRIVANO DA OLTREOCEANO

Il mercato azionario è però sempre più globalizzato e, casomai, il vero pericolo che una correzione significativa su manifesti nel corso del mese arriva dal resto del mondo, dove un certo numero di tensioni stanno acuendosi: dalle difficoltà crescenti della presidenza Trump a quelle geopolitiche mediorientali, dal timore del crollo del sistema finanziario cinese, fino a quello dello scoppio della bolla speculativa derivante dagli eccessi di leva finanziaria di nuovo presenti sul mercato dei derivati (che nel 2008 è stato il vero detonatore).

Bisogna ricordare infine che buona parte degli shock sul mercato finanziario sono stati storicamente generati dalle mosse delle banche centrali e anche stavolta la Yellen potrebbe trovare il modo di portare avanti la tradizione tanto con il suo recente richiamo circa le valutazioni troppo elevate espresse dal mercato quanto per il fatto che un contesto americano di piena occupazione e crescita moderata potrebbe tentare la FED di continuare con il rialzo dei tassi, cosa che però potrebbe-nello scenario attuale- costituire un ulteriore ostacolo alla partenza degli investimenti nelle grandi opere infrastrutturali promesse da Trump.

A ciò va aggiunto che gli operatori si interrogano sulle implicazioni di una crescita economica americana fin troppo moderata che potrebbe far propendere il Congresso americano verso la definitiva archiviazione della riforma fiscale. Già solo questi ultimi due fatti, una volta incorporati nei modelli statistici degli analisti, possono far temere uno scivolone estivo delle borsa americana e, con essa, di buona parte di quelle asiatiche.

Questo non significherà necessariamente l’avvio di una nuova tempesta perfetta dei mercati, per via della crescita economica globale consistente e generata da variabili cosiddette “fondamentali” (demografia, capacità produttiva, tecnologie e globalizzazione). Ma solo che, all’alba del secondo semestre 2017, l’economia globale -giunta a malapena a metà del guado nel suo processo di rinnovamento- qualche ostacolo lungo il suo cammino verso un mondo migliore è praticamente scontato che lo si incontri

 

Stefano di Tommaso