UN ANNO PIENO DI MATRICOLE IN BORSA

È presto per dirlo, ma le precondizioni ci sono tutte affinché anche quest’anno molte altre imprese possano trovare interessante richiedere l’accesso al listino di borsa. In Italia si parla di circa 50 matricole che approderanno ai cancelli della borsa (rispetto alle 39 del 2017) ma anche nel resto del mondo ci sono moltissime aziende che stanno scaldando i motori per un simile passo. Per questo motivo il 2018 potrebbe configurarsi come il nuovo anno record per le quotazioni.

 

Tra i nomi che circolano Valentino e Furla per la moda, IGuzzini nel design e i treni NTV che corrono col marchio Italo, di Montezemolo, Della Valle, Bombassei, Seragnoli e Intesa e Generali. Nell’industria si parla della Ansaldo Energia (controllata dalla cordata italo-cinese dov’è socia la Cassa Depositi e Prestiti), per il settore elettronico la Magneti Marelli (FCA) e la Octo Telematics (elettronica applicata alle assicurazioni) che oggi è controllata dai russi della Renova, nella “fintech” (informatica applicata al settore finanziario) la Nexi (sistemi di pagamento ex ICBP) e la SIA (carte di credito), nell’alimentare si parla da tempo della De Cecco, di Eataly di Farinetti, Guerra e Tamburi, e infine di Illy Caffè. Nel settore dei giochi la Rainbow (fatine Winx e cartoni Maggie&Bianca). Si parla anche di una possibile quotazione del Monte dei Paschi, oggi controllata dallo Stato che l’ha salvata dal fallimento.

Tra le motivazioni perché queste e tante altre storie d’impresa possano approdare quest’anno a Piazza Affari ve ne sono tra le più svariate, ma due di esse contano chiaramente più di tutte le altre : gli elevatissimi livelli di valutazione delle aziende che le borse stanno esprimendo (ora che si trovano quasi tutte ai massimi storici) e la grande liquidità che circola sui mercati finanziari, cosa che lascia presupporre una limitata difficoltà a reperire sottoscrittori per le Offerte Pubbliche Iniziali (Initial Public Offerings o IPOs) che precedono ciascuna quotazione. In Italia ad esempio la normativa sui Piani Individuali di Risparmio (i P.I.R. in gergo tecnico) ha fatto piovere molta liquidità sulle imprese minori quali quelle quotate all’Alternative Investment Market (A.I.M. per gli addetti ai lavori), il segmento della Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese.

È UN AFFARE PER CHI SOTTOSCRIVE?

Se per le imprese che decidono di fare il grande passo la prospettiva di valutazioni molto generose aiuta non poco nel prendere una decisione oggettivamente difficile, la,vera domanda è se sarà un affare per chi si troverà a sottoscrivere le emissioni di questi nuovi titoli.

Come sempre non ci sono certezze, ma se l’alternativa alle nuove proposte è quella di investire in altri titoli azionari della stessa dimensione aziendale già quotati in Borsa allora la risposta potrebbe più probabilmente essere un sì. L’allargamento del listino azionario può infatti sicuramente giovare alla diversificazione dei rischi dell’investimento in borsa e poi molte matricole riguardano nuovi settori dell’economia, incorporando perciò maggiori aspettative di crescita rispetto a quelle dei settori industriali più tradizionali.

QUOTAZIONI IN BORSA “EPOCALI” COME SAUDI ARAMCO, DELL E XIAOMI STANNO PER PARTIRE SUI MERCATI INTERNAZIONALI

Anche a livello internazionale ci sono per il 2018 grandi aspettative per le cosiddette IPOs: da quella più grande di tutti i tempi che ci si aspetta per l’approdo ai listini azionari della Saudi Aramco (l’azienda petrolifera più grande del mondo, appartenente alla corona Saudita) per la quale si parla di collocare in borsa una piccola minoranza del capitale sociale per l’importo di almeno 200 miliardi di dollari, fino al ritorno atteso di alcuni grandi nomi che in passato erano già quotati, come la Dell Computers, azienda uscita da Wall Street nel 2014 per fare il proprio turnaround e arrivare infine a incorporare la società di software EMC nel 2016, acquisita per la mirabolante cifra di 67 miliardi di dollari che però oggi conta per più dell’80% del suo valore totale, dal momento che è attiva nell’interessante business del cloud computing e della virtualizzazione dei documenti.

In casi come questo l’occasione per Dell di sostituire i 52 miliardi di dollari di debito con capitale di rischio che non comporta una spesa per interessi e che accetta livelli elevatissimi di valutazioni aziendali è di quelle da non lasciarsi sfuggire. Bisogna vedere se lo stesso potrà dirsi per i sottoscrittori di offerte come questa, sempre per il motivo che sono oramai due anni che Wall Street tocca quotidianamente nuovi massimi e che dunque le attese di elevati guadagni futuri sono decisamente ridotte, a meno che i profitti aziendali non continuino a crescere a livelli poderosi, cosa che peraltro sino ad oggi è puntualmente avvenuta, spiazzando i numerosissimi “gufi” che speravano di farsi un nome da “Guru” di borsa anticipando terribili crolli dei listini che non sono mai arrivati.

Molti altri grandi nomi dell’industria mondiale stanno però per aprire le ali della quotazione in borsa e la cosa è di per sé positiva per la crescita economica globale perché può aiutare gli investitori a diversificare il rischio e i listini a rinnovare il proprio “sangue”. È il caso ad esempio del colosso cinese Xiaomi, produttrice di telefoni cellulari e di una vasta gamma di altri oggetti elettrici ed elettronici di nuova generazione, valutata oltre 100 miliardi di dollari dalle quattro banche selezionate per la quotazione: Crédit Suisse, Deutsche Bank, Morgan Stanley e Goldmann Sachs. Ben oltre i 25 miliardi che avevano fatto scalpore qualche anno fa per la quotazione di Alibaba ma anche pari a un multiplo di oltre cinque volte il suo fatturato 2017, atteso intorno ai 20 miliardi di dollari !

LA DIFFUSIONE/DIFFICOLTÀ DELLA QUOTAZIONE DELLE “APP”

Forse le operazioni più ardite per l’approdo alle borse valori sono però quelle relative alle applicazioni sui telefoni cellulari, come Uber, Dropbox e Spotify, non tanto per gli importi (che sono meno significativi di quelli appena citati) ma per gli scabrosi precedenti nel settore, come ad esempio Snapshot i cui crolli subito dopo il giorno di quotazione hanno lasciato sul campo numerose vittime professionali. Il problema principale delle IPOs di questo genere è chiaramente quello della loro valutazione, tutta affidata a percezioni della possibile crescita esponenziale che lasciano negli investitori molti dubbi di validità.

Ciò nonostante il mondo delle “App” corre alla velocità della luce, macina risultati, profitti e innovazioni, come mostrano le tabelle qui riportate.

 

Sino a ieri questa oggettiva difficoltà di far dialogare il mercato dei capitali di rischio cui accedono le start-up innovative con quello delle borse, cui accedono i grandi operatori del risparmio gestito che cercano investimenti più tranquilli ha fatto spesso sì che molte operazioni siano passate dai fondi Venture Capital invece che dalle borse.

Oggi con le borse ai massimi e con la grande liquidità che è in circolazione il dubbio invece si pone. È il caso per esempio di Uber, arrivata ad essere valutata circa 70 miliardi di dollari, e poi caduta almeno di un terzo di quel valore a seguito degli scandali del suo fondatore e capo carismatico Davis Kalanick. Oggi, dopo la nomina di un nuovo CEO, si torna a parlare di quotarla, in quanto leader di un mercato (quello del Ride-Hailing cioè del taxi privato) che ci aspetta crescerà almeno di otto volte in pochi anni fino a raggiungere la spettacolare cifra di 285 miliardi di dollari a livello globale.

IN EUROPA SI QUOTANO SOPRATTUTTO PICCOLE E MEDIE IMPRESE

Certo non tutte le borse sono uguali: le principali borse mondiali registrano forse un minor numero di matricole rispetto a quelle europee (e mediamente di maggiori dimensioni) ma si trovano da tempo a veder crescere di più i propri indici, soprattutto a causa dell’avanzata dei profitti delle maggiori Blue Chips (le più grandi imprese quotate) che ne influenzano pesantemente i livelli.

In quelle stesse borse molte imprese quotate di minore dimensione o appartenenti a settori industriali meno “sexy” per gli investitori si sono invece rivalutate in borsa in misura decisamente più contenuta. Se questo può costituire un segnale di attenzione prospettica per le borse europee, che oggi sono al centro di ogni appetito ma sono popolate soprattutto di imprese più piccole e più tradizionali, d’altronde sono così “stellari” le valutazioni che vengono attribuite alle nuove mega imprese digitali americane o asiatiche che non si sa quali tra le due categorie di investimenti siano meno folli.

Ma con tutta la liquidità che c’è in giro e le scarse prospettive di ritorno che possono provenire dagli investimenti alternativi a quello azionario come il reddito fisso (i cui rendimenti restano bassi e le cui possibili perdite in conto capitale per i futuri rialzi dei tassi e dell’inflazione possono portare il conto finale in territorio negativo) o gli investimenti immobiliari o infine quelli in beni rifugio e opere d’arte, di certezze non ve ne sono proprio. Di speranze invece fin troppe, sebbene le prospettive di crescita economica globale sono oggi così positive (si parla di un +5%) che sarebbe oggettivamente strano il contrario.

Stefano di Tommaso




USIAMO AMAZON COME “TERMOMETRO” DELLA FEBBRE DELLE BORSE

Difficile fare previsioni in termini di rendimento dei mercati borsistici quando i momenti sono come quello che stiamo vivendo ! Da un lato le principali aziende quotate a Wall Street sono valutate sempre più esageratamente dagli acquirenti delle loro azioni, dall’altro lato ci sono validi motivi per ritenere che le migliori tra le medesime continueranno a migliorare le loro già ottime performances. E poi oramai da tempo ai medesimi acquirenti non restano grandi alternative per allocare i loro risparmi. Proviamo perciò a misurare la “febbre” del mercato cercando di esplorare il valore intrinseco di Amazon, il titolo più brillante e più controverso di tutte le blue chips, quantomeno per l’abnorme multiplo di valore che la caratterizza (331 volte gli utili prospettici).

 

IL FATTURATO AMAZON CRESCE QUANTO LE BORSE

Nonostante sia diventato un colosso globale Amazon è da considerarsi ancora un’azienda in decisa espansione sui mercati asiatici, quelli che più trainano la crescita economica mondiale. In India per esempio il 2017 lo ha chiuso con un +105%. Nel mondo, in parte a causa dell’esplosione dell’e-commerce, in parte per un’ottima focalizzazione aziendale sulla crescita, Amazon riesce da oltre 10 anni a progredire in termini di ricavi e margini a un ritmo superiore al 20% composto annuo.

Questa focalizzazione sulla crescita dimensionale le ha permesso di ottenere la leadership globale di uno dei settori che stanno cambiando il mondo: quello dell’e-commerce, ma per riuscirvi Amazon ha pagato ovviamente un prezzo. Negli stessi anni ha prodotto ben pochi profitti e nessun dividendo.

Volendo perciò ragionare in termini di valore intrinseco dell’azienda possiamo provare a ipotizzare due scenari (positivi): il primo e più realistico è che per i prossimi anni essa continui a crescere in modo lineare anche nei prossimi 5 anni. Un orizzonte ragionevole potrebbe essere 5 anni. Ma in tal caso il fatturato crescerebbe a poco più del doppio.

Il secondo, meno realistico anche per la concorrenza che le si sta sviluppando attorno, è che possa crescere ad un ritmo simile a quello precedente (+21%) e cioè in modo esponenziale e contemporaneamente riesca anche a incrementare i margini (che storicamente si situano allo 0,5% del fatturato) più che proporzionalmente alla crescita (già ottimistica) del fatturato.

I MULTIPLI PERÒ SONO DA CAPOGIRO

Amazon infatti fattura già oggi 161 miliardi di dollari e -con la prosecuzione della crescita al 21% composto annuo- nel 2022 arriverebbe a oltre 410 miliardi. Se proporzionali i profitti crescerebbero dunque a oltre 20 miliardi ( cioè arriverebbero a 26 dollari per azione) ma, nonostante questo possa sembrare un ottimo risultato, non basterebbe di sicuro a giustificare il prezzo attuale di oltre 1300 dollari, cioè oltre 50 volte quegli utili.

Se i diretti concorrenti di Amazon quotano in media 21 volte gli utili il maggior multiplo di Amazon (331 volte) è invece è giustificato oggi in conseguenza di attese di crescita di quest’ultima più che proporzionali.

Attendersi però che ancora tra 5 anni il suo multiplo possa restare a più di 50 volte gli utili è oggettivamente ardito: sarebbe infatti circa il doppio del multiplo medio di mercato (26 volte).

QUANTO VARRÀ TRA 5 ANNI?

Resta ovviamente la possibilità (non così assurda) che i margini di Amazon arrivino anch’essi a raddoppiare, portandosi a circa l’1% del fatturato riportando i multipli prospettici del 2022 al magico numero di 26 volte ed è esattamente ciò che scommette oggi il mercato nell’attribuire a questa regina della borsa il favoloso multiplo di 331 volte gli utili del 2018.

E comunque ricordiamoci che valutare un titolo 26 volte gli utili significa attribuirgli un misero rendimento implicito del 4%.

Forse è proprio qui tutta la magìa del momento che la borsa americana (e con essa tutte le altre di riflesso) sta vivendo: se parliamo delle aziende “regine del mercato” da un lato le loro quotazioni, per quanto ottimistiche, possono non risultare così fantasiose, dall’altro lato le medesime, per quanto possano risultare realistiche (in una prospettiva di forte crescita dell’economia mondiale), sono sicuramente anche animate da fortissimo ottimismo.

Se è vero che gli indici delle Borse valori sono pesantemente influenzati dall’andamento delle blue chips (che “pesano” per buona parte del listino) è altrettanto vero che le altre aziende quotate quasi per certo non raggiungeranno nemmeno una piccola frazione di tali mirabolanti performances. Dunque c’è ragione di attendersi che il mercato incrementi nel tempo la propria selettività. E poi non possiamo escludere che qualcosa possa sempre andare storto, riducendo le aspettative di crescita degli utili e minacciando la tenuta Delle borse.

ASPETTATIVE ESTREMAMENTE OTTIMISTICHE MA RAZIONALI

La morale potrebbe dunque essere quella di dover constatare attraverso il “termometro” prescelto un eccesso di ottimismo per i listini globali, unitamente all’aspettativa generalizzata di maggior selettività degli investimenti.

Ma rimane il fatto che un 4% di rendimento implicito di lungo periodo è pur sempre un risultato che nessun investitore riesce a reperire sul mercato alternativo: quello del reddito fisso (al netto di eventuali perdite in conto capitale al rialzo dei tassi).

Se da qualche parte i quattrini dei risparmiatori devono pur finire, ecco che -nonostante i livelli stratosferici- la Borsa riesce a svolgere meglio di tanti altri mercati la funzione di indicatore dello stato di salute dell’economia reale. E, come se ne può dedurre, il titolo di Amazon conferma di essere un ottimo termometro della sua febbre da risultato.

Stefano di Tommaso




LE BORSE SONO SOPRAVVALUTATE?

Negli ultimi otto anni e in particolare nel corso del 2017 le borse di ogni paese hanno toccato continuamente nuovi massimi, allarmando gli investitori di ogni genere circa la possibilità che il mondo si trovi oggi nel bel mezzo di una gigantesca e ingiustificata bolla speculativa.

 

LA RICERCA DI BENI RIFUGIO NON HA SORTITO EFFETTI CALMIERATORI

L’eventualità che la bolla scoppi è più che concreta, dal momento che, da qualunque angolazione si provi a guardare il fenomeno della corsa dei valori mobiliari, esso appare aver sconfinato nell’eccesso, e da tempo provoca reazioni di ogni genere: dalla ricerca di coperture del rischio di crollo dei mercati attraverso strumenti derivativi di ogni genere, fino alla spasmodica ricerca di diversificare i risparmi in beni rifugio, quali immobili di pregio, beni artistici, metalli preziosi e cripto-valute.

Peró la ricerca di alternative da parte di investitori e risparmiatori avrebbe dovuto limare gli eccessi dei mercati finanziari e invece non ha ancora sortito alcun effetto calmieratorio, né relativamente ai corsi di titoli azionari e obbligazionari (e nonostante anche il programmato rialzo dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, da tempo dichiarato e in parte già attuato), né sui volumi di scambio quotidiani delle borse valori e nemmeno sugli investimenti alternativi sopra citati, visti come riserva di valore da un lato, ma sicuramente dall’altro lato “pesati” dagli operatori professionali tanto quanto più o meno tutte le principali categorie di investimento (“asset class”): cioè comunque fortemente correlati agli andamenti di azioni e obbligazioni (quindi con una limitata capacità di sortire una vera diversificazione).

MA L‘ASSET CLASS PIÙ A RISCHIO È QUELLA DEI TITOLI AZIONARI

Ovviamente la categoria percepita più a rischio da chiunque è quella dei titoli azionari quotati alle borse valori, che sono continuamente “prezzati” sulla base dei rendimenti attesi, dei rischi potenziali e, altrettanto ovviamente, sull’appetibilitá degli investimenti alternativi. Molti analisti di mercato si interrogano sull’irragionevolezza delle quotazioni raggiunte ma, come dimostra la storia recente, nessuno al mondo può vantare alcuna certezza al riguardo.

Molti sistemi di calcolo sono stati escogitati per tenere conto non soltanto del rendimento attuale, ma soprattutto di quello prospettico, di quello storico e dei rendimenti alternativi più o meno rischiosi sulla base dei quali costruire delle ipotesi razionali.

Purtroppo occorre anticipare che sembrano non esistere ipotesi razionali di alcuna sorta capaci di “spiegare” il presupposto razionale delle attuali quotazioni, e ciò sebbene siano da tempo al lavoro fior di matematici, premi Nobel e interi dipartimenti universitari per riuscire a comprendere quanto il mondo possa essersi avvicinato alla possibilità di una decisa correzione della crescita in atto delle quotazioni borsistiche, apparentemente infinita.

NON ESISTONO TEORIE ECONOMICHE QUANTITATIVE PER INDICARE VALIDE PREVISIONI

Comunque si giri la frittata il risultato che viene fuori in termini di giustificazione delle valutazioni esistenti è apparentemente privo di senso, più rischioso di quanto non lo fosse ai tempi dello scoppio delle peggiori bolle speculative degli ultimi secoli, e per di più in un contesto di eccesso di indebitamento globale e di prefigurata riduzione della liquidità esistente per effetto di lungamente preannunciate politiche monetarie tendenzialmente restrittive !

Eppure gli operatori non sembrano accorgersene e anzi, con il senno di poi affermano che gli stessi avvertimenti da analisti ed economisti sono giunti loro già un anno e mezzo fa e che, se li avessero ascoltati, oggi avrebbero mancato mostruose opportunità di guadagno. Difficile peraltro smentire il “furor di popolo” e la saggezza collettiva con sofisticate inferenze statistiche e altre diavolerie matematiche che i più non leggerebbero nemmeno.

Qualcuno afferma (probabilmente a ragione) che l’ossatura teorica sottostante ai modelli economici utilizzati è oramai obsoleta, qualcun altro fa notare che essa, quantomeno nel breve e medio periodo è stata smentita dai fatti, mentre “nel lungo periodo”… torna alla mente il memorabile aforisma di John Maynard Keynes: “…saremo tutti morti”!

LE CONSIDERAZIONI “QUALITATIVE”

Ma se gli attuali metodi quantitativi di valutazione delle azioni non sembrano lasciare alcun barlume di speranza nel fornire valide indicazioni per il prossimo futuro sui mercati, proviamo allora ad elencare quelli qualitativi, giusto per non lasciare alcunché di intentato.

Ecco allora che ci si interroga sugli effetti (non sappiamo se solo apparentemente virtuosi) della digitalizzazione di produzione, distribuzione e finanza dell’economia globale, come pure sugli effetti dell’eradicazione di talune pandemie nei paesi emergenti o infine sul semplice loro (vistoso) miglioramento in termini di tenore di vita medio dell’umanità, che sta innalzando il prodotto globale lordo tanto quanto lo sta innalzando la crescita demografica, imputabile anch’essa per lo più ai medesimi paesi emergenti. È evidente infatti che se l’economia globale cresce più rapidamente anche i profitti aziendali accelerano. O infine ci si interroga sugli effetti moltiplicativi della progressiva riduzione della tassazione dei profitti, della liberalizzazione dei mercati, della progressiva globalizzazione e delle nuove flessibilità nel mondo del lavoro.

Tali effetti, unitamente ad un regime globale di tassi bassi come non se ne vedevano da quasi un secolo, inciderebbero non poco sulla stima della corretta capitalizzazione dei profitti aziendali di molte delle società quotate e sulle aspettative della loro ulteriore crescita, riflettendosi indirettamente su un nuovo approccio alla valutazione dei titoli azionari delle medesime. Una prova indiretta di ciò la si può trovare nell’incremento senza precedenti dell’attivitá globale di fusioni e acquisizioni tra imprese, con valutazioni che rispecchiano quelle borsistiche.

L’EFFETTO SULLE VALUTAZIONI DELLA PREVALENZA DI TITOLI TECNOLOGICI

Quanto ai primi fattori sopra elencati (digitalizzazione e globalizzazione) si può riscontrare una progressiva prevalenza sui listini e sugli indici di borsa dei titoli collegati alle nuove tecnologie digitali, molti dei quali sono accreditati di sempre più rapida capacità di crescita e pertanto per questi ultimi i profitti attesi collegati ai titoli azionari andrebbero capitalizzati con fattori di sconto decisamente più contenuti, a causa del correttivo legato alla maggior crescita attesa dei profitti.

Dunque il combinato disposto della crescita attesa dei profitti e della maggior incidenza dei titoli tecnologici sul totale dei listini azionari rende oggettivamente poco paragonabili le quotazioni degli attuali indici di borsa a quelle di anche soltanto dieci o vent’anni fa, e dunque chi si limitasse ad accostare “sic et simpliciter” i moltiplicatori degli utili di ieri e quelli di oggi sbaglierebbe di diverse lunghezze, dati:

  • il minor livello dei tassi di interesse, atteso tale anche per il prossimo futuro,
  • la crescita degli utili derivante dall’impennata dell’attività economica globale
  • l’elevata incidenza dei titoli tecnologici (che scontano attese di forti accelerazioni negli utili previsti) sul totale del listino.

Quanto ai fattori generali (demografia in aumento, riduzione della tassazione e bassi tassi di interesse) non possiamo non notare che la vera differenza sui profitti aziendali attesi (e sulle aspettative di ulteriori crescite degli stessi) arriva dal cospicuo incremento della capacità di spesa e di investimento dei paesi emergenti, la quale attiva le esportazioni dai paesi più ricchi verso quelli più poveri e dunque una crescita indotta anche laddove la demografia resta statica, con ovvia e più forte accelerazione polarizzata nei paesi più avanzati (perché attirano più risorse finanziarie) e in quelli più retrogradi (perché demograficamente e come capacità di spesa crescono più velocemente).

Basteranno questi fattori qualitativi a individuare valide ragioni per giustificare gli attuali livelli ultra-speculativi dei titoli azionari oppure alla fine qualcuno premerà il grilletto e, come o peggio che nel 2008, una parte consistente della ricchezza globale sarà risucchiata da una nuova crisi finanziaria?

Nessuna risposta è breve né certa. Proverò a fornire la mia nel prossimo articolo.

Stefano di Tommaso




LE BORSE SONO SOPRAVVALUTATE? (seguito articolo precedente)

Le considerazioni qualitative fatte nell’articolo precedente (tassi di interesse bassi, crescita economica dei paesi emergenti e loro demografia, miglioramento dei profitti aziendali e maggior incidenza dei titoli tecnologici sul paniere dei listini di borsa) portano a pensare che nell’osservare gli sviluppi dei mercati azionari ci si trovi di fronte ad un cambiamento di paradigma nel valutare le aziende, quantomeno quelle che corrono di più. Difficile però generalizzare, dal momento che queste ultime non sono equamente distribuite in tutte le Borse e che anzi, le altre (quelle operanti sui mercati più maturi) possano per lo stesso motivo avere vita sempre più dura.

 

I LISTINI CRESCONO DI PIÙ DOVE CI SONO TITOLI TECNOLOGICI

Wall Street corre anche perché sul totale di quel listino è più elevato il “peso” percentuale dei titoli tecnologici -quelli che oggi sviluppano la maggior capitalizzazione- i quali evidentemente godono di valutazioni molto superiori al normale.

Amazon ad esempio, come si può dedurre dai due grafici qui riportati, venerdì scorso capitalizzava 629 miliardi di dollari con un prezzo dell’azione giunto a 1300 dollari, ma secondo alcuni analisti potrebbe valere quasi l’8% in più (1400 dollari), perché il prezzo obiettivo precedente, di 1200 dollari, non solo è stato superato dai fatti, ma implicava un moltiplicatore dell’EBITDA (margine operativo lordo) di appena 15 volte, mentre quello corretto (atteso per il 2019) si situerebbe intorno a 18 volte.


Qual è la ratio? Ovviamente quella della velocità di crescita degli utili, che per Amazon tende a situarsi intorno al 33% e dunque al di sopra della media di mercato ma anche di quella degli altri cosiddetti FANG (Facebook 28%, Amazon 33%, Netflix30% Google 17%). Ma quanto varrebbe Amazon senza le aspettative di crescita al 33% composto annuo dei suoi profitti? Probabilmente neanche i due terzi di quel numero.


COSA SE NE PUÒ DEDURRE REGIONE PER REGIONE

Dalle osservazioni riportate derivano perciò molte considerazioni pratiche:

  • non è possibile generalizzare circa la sostenibilità degli attuali livelli delle borse perché molto dipende dalla qualità dei titoli che ne compongono gli indici;
  • anzi possiamo immaginare che la selettività degli investitori sulla qualità dei singoli titoli quotati possa soltanto accrescersi nel tempo, accentuando anche -probabilmente- le differenze tra listino e listino;
  • la volatilità dei corsi tuttavia non è pensabile che si mantenga così bassa in eterno, soprattutto pensando a quanta parte delle valutazioni dei migliori titoli tecnologici dipende dal realizzarsi delle attese (un piccolo scostamento tendenziale può determinare una forte differenza di valore);
  • la periodica rotazione dei portafogli degli investitori nel corso del 2017 non ha quasi dato luogo a “sell-out” diffusi, anzi: possiamo affermare che non c’è quasi stata, data la scarsa appetibilità delle asset class alternative, ma neanche qui possiamo scommettere che la situazione non cambi;

AMERICA

Difficile dedurne elementi di pessimismo per i listini Americani (Wall Street e NASDAQ), visto che la corsa delle maggiori società tecnologiche americane non accenna a fermarsi e che questo fatto attira capitali sui mercati finanziari più liquidi del mondo.

Dal momento tuttavia che una buona parte dei guadagni in conto capitale si materializzano quando la liquidità è abbondante, bisogna anche chiedersi come questa cambierà nel corso del prossimo anno prima di emettere un giudizio che derivi esclusivamente dalle considerazioni sopra esposte.

Se la Federal Reserve contrarrà (come ha promesso) la liquidità disponibile sul mercato per contrastare sul nascere i possibili focolai di inflazione, allora saranno soltanto la generazione di cassa fresca delle imprese e i flussi di capitali in entrata a poter sorreggere le borse, buona parte dell’effetto dei quali è già tuttavia risucchiato dal deficit commerciale strutturale americano.

I mercati temono poi l’eventualità che il Presidente emarginato o addirittura rimosso per motivo di salute mentale. Non è una cosa molto probabile, ma grandi forze si stanno commentando nel disegno e, se dovessero farcela, le aspettative di riduzione delle tasse andrebbero in fumo, così come una bella parte della capitalizzazione delle borse.

EUROPA

In Europa ci sono pochi titoli tecnologici quotati in borsa (se escludiamo il Regno Unito), ma le aspettative sulla crescita dei consumi e l’elevata immissione di liquidità (tutt’ora in corso) da parte delle banche centrali ha favorito i listini azionari, mentre due fattori li hanno invece penalizzati (seppur meno che proporzionalmente) : il cambio dell’Euro contro Dollaro e la crescita della bolletta energetica.

Se da un lato non ci si attende né che il Dollaro continui a svalutarsi contro Euro e nemmeno che il prezzo del petrolio continui a salire, dall’altro lato la Banca Centrale Europea ha chiaramente lasciato intendere che non proseguirà in eterno con il Quantitative Easing. Dunque dal punto di vista strutturale non si materializza un’aspettativa per l’Europa di forti crescite delle proprie borse. Qualora tuttavia il piano Macron per l’Europa dovesse trasformarsi in realtà allora sicuramente le borse accompagnerebbero l’accresciuto livello di fiducia degli investitori.

ASIA

In Asia il discorso è diverso, ma più difficile è dedurne una chiara indicazione: la crescita economica, quella dei consumi, dell’industria locale e dei commerci fa da traino al resto del mondo e continuerà probabilmente ancora a lungo a farlo. Le borse non possono che celebrare questo momento dorato e dunque corrono, unitamente alla crescita progressiva del risparmio gestito e della percentuale di quest’ultimo che finisce sui mercati mobiliari.

Ma l’instabilità finanziaria della Cina e, conseguentemente, di molti altri Paesi emergenti limitrofi continua ad aumentare e non è possibile non tenerne conto.

Quanto peserà perciò il rischio finanziario sulle aspettative degli investitori? Quali probabilità ci sono che potrà trasformarsi in panico e conseguenti vendite generalizzate di titoli e valute locali ? Poche, in assoluto, ma non zero.

CONCLUSIONI E CIGNI NERI (O BIANCHI) ALL’ORIZZONTE

L’indagine sulla sopravvalutazione delle Borse non ha portato a grandi motivi per ritenerle semplici vittime di bolle speculative ed eccessi di liquidità, anzi: abbiamo trovato motivi relativamente validi per ritenere che esista una giustificazione razionale ai livelli raggiunti. Non possiamo tuttavia affermare che dal punto di vista macroeconomico esistano altrettante giustificazioni razionali alle attese di ulteriori, mirabolanti impennate dei listini di Borsa, in nessuna parte del mondo.

Esiste in realtà una forza potente che potrebbe scatenare la prossima volata delle borse, che è l’avvio delle prime applicazioni commerciali dell’intelligenza artificiale. Ma bisogna vedere se, quando arriverà, tale forza non dovrà scontrarsi con altri problemi delle borse, ad esempio la mancata tempestiva monetizzazione del debito pubblico globale.

IL POSSIBILE RITORNO DELLO “STOCK PICKING” E DEI TITOLI “VALUE”

La morale delle morali è però tutt’altra: se è difficile generalizzare e formulare previsioni attendibili sui listini globali (dato che dipendono da troppe variabili) è però ipotizzabile che, dopo la grande abbuffata, gli investitori torneranno a optare per un maggior rigore nella selezione dei titoli e che tra questi sceglieranno soprattutto quelli “value” (meno ciclici e con un maggior contenuto di valore intrinseco). Ed è probabilmente lì che potranno realizzarsi buone performances a prescindere da ciò che avviene a livello planetario, soprattutto qualora a tale livello non succederà proprio alcunché.

Stefano di Tommaso