NON È UN PAESE PER GIOVANI

Una giornata a Londra, tra mille discorsi e impegni, mi ha tuttavia aiutato non poco a uscire dalla routine dei soliti pensieri, delle solite notizie economiche e politiche, per avventurarmi in qualche riflessione di fondo, complici le due ore di aereo di ritorno in cui sei costretto a sedere, sonnecchiare, mangiucchiare, bere e, ovviamente, riflettere…

 

Penso al mondo che va avanti, a questi cittadini britannici che, pur spaventati dalle possibili conseguenze della Brexit guardano purtuttavia ben oltre, investono, interagiscono piu di tanti altri popoli europei con tutto il resto del mondo, e cercano di trarne il meglio per sè stessi.

E penso a noi Italiani che avanti ci guardiamo ben poco, anzi spesso ci inveteriamo nei soliti discorsi (o lasciamo impunemente che altri lo facciano per noi), che non ci spaventiamo nemmeno per ciò che dovrebbe invece davvero intimidirci, che non programmiamo un bel niente e che facciamo una gran fatica, quando andiamo all’estero a cercare di vendere i nostri prodotti, a non farci prendere per pazzi dal resto della truppa!

Il mondo attraversa una congiuntura particolarmente positivo, con molti paesi emergenti che finalmente tirano un sospiro di sollievo e cercano di cogliere il momento storico favorevole per fare qualche deciso passo in avanti, tanto dal punto di vista della competitività delle loro imprese, quanto da quello della modernizzazione delle infrastrutture, soddisfatti sinanco se a fare gli investimenti a casa loro alla fine è qualcun altro (che vorrà pur guadagnarci sopra) ma almeno sanno che così progrediscono.

Il problema che vedo a casa nostra invece è che proprio quando tutto va per il meglio e il progresso avanza che ci sono conseguenze per chi rimane al palo. È in quel momento che si perdono quelle posizioni di avanguardia civile, scientifica, industriale e stilistiche che abbiamo tenuto per quasi un secolo dopo le ultime guerre, rischiando di perdere anche tutti i vantaggi che le medesime ci hanno portato.

Sarebbe questo il momento anche per noi italiani di investire (o attrarre investimenti altrui) nella ricerca, nell’innovazione, nelle nuove tecnologie e nelle infrastrutture che le favoriscono. Basterebbe creare taluni incentivi fiscali, comitati di promozione, protocolli di marketing territoriale o anche solo la riconversione di capannoni dismessi e servizi generali per le start-up innovative, per vedere fiorire da noi quelle iniziative che i nostri giovani vanno a creare all’estero, dove sono supportati a farlo.

Quali sono le considerazioni che possono discendere dal prendere atto non essere più -noi Italiani- gente in grado di organizzarsi e stimolare investimenti in innovazioni, tecnologie, ricerca e infrastrutture ? Quali sono le conseguenze dell’impossibilità tutta italiana di finanziare o raccogliere capitali per l’internazionalizzazione, la distribuzione globale dei nostri prodotti, l’acquisizione di aziende simili alle nostre nel resto del mondo, o anche solo per riuscire a modernizzare I nostri impianti, I nostri supermercati, I nostri mezzi di trasporto o I nostri edifici ?

La prima e di gran lunga la più importante è quella relativa ai nostri giovani, ai nostri talenti, ai nostri circuiti formativi: in assenza di iniziative se teniamo a loro possiamo solo sperare che essi prendano il largo, che si svincolino da governicchi e ministeri popolati da miopi e ignoranti, che se ne freghino degli infiniti limiti di legge alla loro possibilità di avere successo e che abbandonino la speranza di un’assunzione precaria, che si allontanino dalle periferie decadenti, dai luoghi fatiscenti e dalle aziende del passato, per andare all’estero e cercare di guardare piu lontano o più in alto, per sperare in una vita migliore dentro un mondo migliore.

Come si può desiderare per loro il contrario se si vuole il loro bene? Come si può sperare che restino a casa nostra a pagare le nostre pensioni (e vitalizi) per chiunque e le nostre tasse infinite? Come si può accettare gli infimi livelli di sanità pubblica che vengono loro riservati quando non possono pagare i (carissimi) servizi delle cliniche private?

Ma in tal caso come si può accettare di continuare a salutare, riverire e magari sostenere i soliti politici, coloro il cui sistema di potere ci sta conducendo così in basso? Come si può pensare che tutto ciò che essi fanno possa rimanere impunito, che nessuno voglia ribaltare la situazione ?

Oggi come oggi il nostro Paese non può essere considerato una culla per le iniziative delle giovani generazioni, un luogo idoneo al cimento degli intellettuali, degli ardimentosi e degli ambiziosi. Ad ogni passo essi rischierebbero di finire sedati e imbavagliati prima ancora di rendersene conto.

Forse non serve avere figli e non serve sperare che qualcuno di essi possa avere l’intelligenza e l’ambizione di guardare oltre il cortile, per rendersene conto e per sperare che il sistema burocratico, statico e inetto, che governa le nostre debolezze, arrivi prima possibile a crollare rovinosamente per far posto a qualcosa di nuovo.

Ma è sufficiente ogni tanto mettere il naso fuori dei confini di stato, per annusare l’aria che cambia e rendersi conto del fetore di quella che invece ristagna…

Stefano di Tommaso




SORPRESA! L’ECONOMIA GLOBALE CRESCE PIÙ DEL PREVISTO

Nell’anno che si è appena concluso il Financial Times stima che la crescita economica mondiale possa essere arrivata al 5% annuo, un ritmo doppio rispetto agli anni 2015-2016 e che non si vedeva dal secolo scorso. Sino a pochi mesi fa nessuno lo aveva previsto e ancora oggi molte testate internazionali (come l’Economist, ad esempio) fanno fatica ad ammetterlo.

Parliamoci chiaro, per molti commentatori è come se ciò corrispondesse alla sconfitta politica degli avversari della Brexit, del Trumpismo e del nuovo corso politico di Francia, Cina, India e Giappone, in barba a quelli che fino a ieri tifavano per il partito della guerra, per l’esplosione del terrorismo internazionale, per l’invasione indiscriminata dei migranti in Europa e per la destabilizzazione di Medio e Estremo Oriente. C’erano evidentemente forti interessi privati a destabilizzare il pianeta che, per qualche motivo, sono stati disattesi, e un esercito di pennivendoli pronti a fornirne una giustificazione razionale.

Il mondo sembra invece essere giunto a una svolta radicale negli ultimi mesi, ancorché essa non sia stata riportata dai media, e dunque senza che se ne sia ancora percepita l’effettiva portata. Per ora ne parlano solo gli economisti e gli investitori, consci del fatto che qualcosa di eccezionale sta prendendo forma e tuttavia niente affatto sicuri della sua “durabilità”. Le borse dunque crescono, ma con estrema circospezione, mentre i money managers le seguono sempre più scettici, e continuano a cercare ogni forma possibile di copertura dal rischio di un ribaltone.

L’ANNO DEI RECORD

 

 

Certo il 2017 è stato l’anno dei record, non solo per l’ascesa costante del valore delle attività finanziarie di tutto il mondo, per la ripresa economica dei paesi emergenti che nessuno si aspettava e addirittura per la distensione geopolitica internazionale che si è riscontrata ex post, ma anche perché tra gli allarmi della Brexit che avrebbe dovuto danneggiare Gran Bretagna e intera Europa e l’elezione di Trump -il Presidente americano più contrastato dai media che la storia ricordi- i commentatori che facevano più notizia erano le cornacchie che suonavano campane a morto rispolverando fantasmi del passato come l’iper-inflazione che sarebbe seguíta agli stimoli monetari delle banche centrali, la stagnazione secolare cui saremmo dovuti precipitare in assenza di miglioramenti della produttività del lavoro (concetto coniato da Sanders nel 2013), o addirittura sperticandosi in previsioni apocalittiche di un nuovo poderoso crollo dei mercati finanziari (chi non ricorda gli allarmi lanciati prima da George Soros e poi da Ray Dalio) o addirittura l’eventualità che precipitassero a picco il prezzo del petrolio e il volume del commercio internazionale.

 

Inutile ricordare com’è andata: è successo l’esatto opposto a dir poco! Non solo, ma il grosso della crescita economica globale è provenuto dalle regioni asiatiche e da quelle più periferiche, senza esplosioni demografiche e in modo sincronico con la ripresa delle economie più avanzate! Ancora oggi La prima economia mondiale resta ancor oggi quella americana, ma se guardiamo invece ai valori espressi in base alla parità di potere

d’acquisto allora nel 2017 la Cina ha già superato gli Stati Uniti d’America.

I GRANDI TIMORI

Come sempre in questi casi non ci possono essere certezze di essere entrati in una nuova era di prosperità, anzi!

 

Ma cosa affermano allora (e anche con una certa autorevolezza) le cornacchie? Che il mondo sta sperimentando oggi una crescita pagata al carissimo prezzo dell’esplosione del debito globale, tanto privato quanto di stato, arrivato nel complesso alla mirabolante cifra di 233.000 miliardi di dollari, più che raddoppiato (+163.000 miliardi di dollari) rispetto a vent’anni prima. E che la fase aurea in cui ci troviamo potrebbe presto rovesciarsi con le strette monetarie e gli aumenti dei tassi d’interesse già avviati dalle banche centrali i cui effetti tuttavia non sono ancora manifesti. Dunque la fase in cui ci troviamo potrebbe essere fortemente ciclica e instabile perché basata su nuovi debiti.

Il timore è particolarmente evidente se osserviamo i debiti pubblici di Cina e America, che si stima siano arrivati entrambi a superare gli 11.500 miliardi di dollari (quello italiano, uno dei maggiori al mondo, è poco sopra i 2.200 miliardi), pur sempre un’inezia tuttavia, se si guarda anche all’escalation dei debiti privati. Timori fondati peraltro, se osserviamo le previsioni di ulteriori espansioni di tali debiti pubblici, in America a causa del taglio fiscale che ancora non è chiaro come sarà finanziato, e in Cina perché è l’apparato statale che sta sostenendo i numerosi casi di default delle amministrazioni locali.

GLI INVESTIMENTI TRAINANO LA CRESCITA

Sul fronte degli ottimisti tuttavia le cose non stanno poi così male perché, contrariamente ai sostenitori dell’illusione monetaria fornita dall’accresciuto valore delle attività finanziarie detenute dai privati (che potrebbero averli indotti ad una maggior spesa per consumi) quello che rilevano le statistiche invece è che il maggior contributo alla crescita economica non l’hanno fornito i consumi bensì gli investimenti, e che questi ultimi si sono rivolti principalmente alle nuove tecnologie, alla digitalizzazione e alla robotizzazione degli stabilimenti produttivi, mentre sono parallelamente calati (in termini relativi) gli investimenti rivolti allo sviluppo energetico.

Tutti fattori che dovrebbero congiurare per una crescita basata sul calo dei costi di produzione e sulla limitatezza dell’inflazione di risulta. Una tendenza che fa dunque ben sperare che il fenomeno della crescita del 2017 non sia soltanto un’anomalia statistica.

Stefano di Tommaso




IL BITCOIN A 235.000 DOLLARI?

Il prezzo della criptovaluta più famosa del mondo è cresciuto, dal 2010 ad oggi, 5 milioni di volte, provocando una miriade di reazioni e la convinzione generale che si tratti di una bolla speculativa o di una catena di Sant’Antonio. Quello che però non tutti hanno notato è che la natura del Bitcoin, la cui offerta (detta “estrazione “, in Inglese “mining”) è fortemente sotto controllo, è tale da impedirne la diffusione senza che parallelamente il suo valore si apprezzi, mentre in numero ancora minore sanno che del Bitcoin tutti ne parlano ma ben pochi al mondo lo hanno comperato o utilizzato. Si è mai vista una bolla speculativa sul mercato di cui tutti parlano senza che la medesima sia diffusa tra i partecipanti? Viene il sospetto che allora sia l’esatto opposto: che il bello debba ancora venire.

TUTTI NE PARLANO, POCHI LO DETENGONO

Nel mondo esistono soltanto 21 milioni di conti denominati in Bitcoin (in inglese “wallets”), certificati dai registri ufficiali (in inglese “ledgers”)che si scambiano la cripto valuta e condividono la tecnologia della catena di blocco (in inglese “blockchain”). Perciò è ragionevole affermare che, nonostante la sua gran notorietà, quel numero di conti in Bitcoin sia un’inezia rispetto ai 5 miliardi di persone che hanno oggi almeno un conto corrente bancario.

Si stima che il valore complessivo dei mezzi di pagamento (il cosiddetto aggregato monetario “M1”, oltre evidentemente all’oro in circolazione) oggi nel mondo ammonti a qualcosa come 40.000 miliardi di dollari (di cui solo 3.500 miliardi di dollari sono il valore dell’oro) ed è un dato di fatto che una quota crescente di transazioni stiano iniziando a passare dalla rete internet e dal commercio elettronico. Se parallelamente a tale trasferimento degli scambi dal mondo fisico a quello virtuale anche una parte del valore dei medesimi sarà denominato in Bitcoin, se anche solo il 10% di quella cifra si trasferisse in Bitcoin, essa ammonterebbe alla mirabolante capitalizzazione complessiva di 4.000 miliardi di dollari, cioè quasi 14 volte l’attuale valore complessivo di 287 miliardi di dollari del bitcoin al prezzo attuale di 17.000 dollari. Questo risultato -data la rigidità dell’offerta, che non può essere aumentata- porterebbe il valore del Bitcoin a 235.000 dollari (14 volte quello attuale).

L’ipotesi del 10% è in realtà conservativa, mentre ovviamente il nesso logico fra l’incremento dell’ e-commerce e quello dell’utilizzo di Bitcoins non è scontato. Tuttavia si stima che le oltre 1.6 miliardi dì persone che hanno fatto acquisti online a fine 2017 diventeranno 2,14 miliardi a fine 2020, mentre l’ammontare complessivo degli acquisti online cresceranno più rapidamente: si stima che passeranno

da quasi 2.800 miliardi di dollari nel 2017 a quasi 4.500 nel 2021. Nel sud-est asiatico le vendite online sono già divenute il 12,1% delle vendite al dettaglio, mentre sono ancora poco più dell’8% in Europa e Stati Uniti.

 

RISPONDE A ESIGENZE INELUDIBILI

Il fenomeno delle criptovalute ha comunque delle profonde ragioni di esistere (e sulle quali si sono scritte milioni di pagine) e la sua tecnologia, esattamente come ogni altra tecnologia -una volta che è stata inventata- non è possibile cancellarla. Nonostante dunque che oggi qualcuno, allettato dai grandi guadagni realizzati così rapidamente, decida di vendere la sua cripto valuta e (ancor più raramente ) lo faccia chiudendo il suo conto in Bitcoin, è facile predire che invece, nel complesso, la diffusione della cripto valuta più diffusa nel mondo prosegua inevitabilmente e che, in tal caso, il suo prezzo non possa che salire, a causa dell’impossibilità di espanderne l’offerta.

Le cripto valute stanno infatti iniziando ora ad aprire le porte di un gigantesco mercato potenziale che è quello delle valute virtuali universali da utilizzare sulla rete per scambiarsi pagamenti.

Questo mercato oggi è dominato da sistemi di pagamento -come ad esempio PayPal- denominati in una o più valute pregiate (Euro, Dollari, Yen o Renminbi, ad esempio) che non solo sono soggette a restrizioni nella circolazione e alla tassazione, ma in più non potranno mai avere la medesima funzionalità delle cripto valute per tutto il resto del mondo (i miliardi di persone che vivono nei paesi emergenti) le quali non trovano particolarmente comodo detenere a casa loro conti in valuta pregiata per comprare o vendere su internet.

UNA RISERVA DI VALORE

Le cripto valute assolvono inoltre in modo originale e, forse, insostituibile, ad una seconda funzionalità: sono una riserva di valore, un po’ come l’oro o i diamanti. Ma a differenza dei tipici beni-rifugio, la loro offerta sul mercato non è manovrabile dalle istituzioni, non può essere aumentata, e la loro detenzione non può essere vincolata dalle autorità di nessun tipo. L’argomento appena citato può non risultare così importante agli occhi di un cittadino contemporaneo americano o europeo, abituato a contare sui propri diritti di proprietà e su sistemi di circolazione del denaro più o meno liberalizzati, ma diviene una qualità fondamentale per tutti gli altri -molti miliardi di persone- che vivono altrove.

 

L’infrastruttura che è nata negli ultimi cinque anni e che si è diffusa nel mondo per registrarne gli scambi non solo è di per se il “pezzo pregiato” che fa del Bitcoin una vera perla (tant’è che persino la IBM sta pensando di utilizzare la “blockchain” per certificare i dati aziendali spediti sulla “nuvola”) ma rappresenta oramai un investimento miliardario difficile da rimpiazzare e risulta inscindibile dal Bitcoin stesso.

AUTORITÀ E INVESTITORI NON LO HANNO ANCORA ADOTTATO

I mercati finanziari di tutto il mondo lo hanno riconosciuto e hanno iniziato a trattare il Bitcoin come una separata “asset class” su cui investire, consci del fatto che esso è divenuto una riconoscibile riserva di valore, ma di fatto quasi nessuno ci ha ancora investito. Quando lo faranno il suo valore non potrà che crescere. Addirittura il Giappone lo ha equiparato ad ogni altra valuta di conto quale mezzo ufficiale di pagamento. Se al momento gli altri Paesi non lo hanno ancora fatto è perché risultano infastiditi da un qualcosa che non possono controllare, ma la tendenza ad adottarla come mezzo di pagamento sembra inevitabile per scongiurare il peggio (che diventi il mezzo di pagamento universale e che possa relegare quelli ufficiali di Stato allo stesso ruolo che hanno oggi francobolli e marche da bollo) .

CONCLUSIONI

Esattamente come le carte di credito ma con una dignità e un‘ affidabilità completamente diverse, il Bitcoin risponde perciò a esigenze ineludibili e, non diversamente dalle carte di credito, nonostante che ne siano nate a valanghe, alla fine quasi solo il circuito Visa-MasterCard è rimasto quello universalmente accettato, dal momento che risulta poco utile per chiunque gestirne una pluralità. Così come su internet continuano a nascere iniziative di ogni tipo ma il motore di ricerca per eccellenza resta Google e per chiunque risulta relativamente scomodo andarne a cercare altri. In più, mano mano che l’utilizzo di Google si diffonde, risulta ancor più inutile avvalersi delle alternative. Lo stesso potrebbe valere per la più diffusa delle cripto valute, ma ciò determinerebbe -quasi automaticamente- anche un aumento di valore.

Stefano di Tommaso




TUTTI VOGLIONO FAR SOLDI CON LA NUVOLA,MA A RENDERLA SICURA ARRIVA IL BLOCKCHAIN

Se vi chiedete qual è il tema più importante nelle aspettative degli analisti finanziari per far soldi in borsa, allora dimenticate l’intelligenza artificiale, le auto elettriche, o la realtà aumentata: tutta roba che fa molto spettacolo ma, dal momento che la grande liquidità disponibile favorisce soprattutto la spesa per investimenti delle imprese che vogliono rinnovarsi ed efficientarsi, ecco che i veri quattrini la maggior parte degli operatori del mercato dei capitali pensano di farli con ciò che è più vicino alle attuali esigenze delle imprese che oggi investono a tutto spiano: la nuvola digitale (detta anche: “cloud computing”).

LA DIGITALIZZAZIONE È IL MAGGIOR SINGOLO CAPITOLO DI SPESA PER INVESTIMENTI DELLE IMPRESE

La digitalizzazione avanza, e con essa crescono le esigenze di infrastruttura informatica delle imprese, che trovano il loro sbocco naturale nell’outsourcing di tutto ciò che non conviene tenere in casa e che può essere fornito da remoto accanto a una miriade di servizi accessori. E se questo è il capitolo di spesa che si prevede crescerà di più nell’anno a venire, è qui che gli operatori vogliono scommettere.

È il medesimo motivo per il quale le più grandi società dell’era digitale, come Apple, Google, Amazon, Alibaba, Tencent e Facebook sono cresciute in borsa per tutto il 2017: si sono soprattutto apprestate a occupare anticipatamente lo spazio di mercato delle piattaforme digitali rivolte alle imprese industriali e commerciali (il “B2B”) ottenendo con questo il consenso degli analisti finanziari.

C’ERANO UNA VOLTA I DATABASE

C’erano una volta i data center e prima ancora i software per la gestione dei database, come ad esempio Oracle, ma avevano uno straordinario limite tecnico (tra gli altri): era difficile accedere loro da telefoni intelligenti e tavolette, cioè dalla rete mobile. Non a caso le società che meglio sperano di posizionarsi per il 2018 (solo per le FAAMG -Facebook Amazon, Apple, Microsoft e Google- si pensa che le vendite in questo settore possano crescere al ritmo di 100 miliardi di dollari nel corso dell’anno) sono proprio quelle che più hanno investito sugli strumenti accessibili da rete mobile.

Con una (grossa) eccezione: “the big blue” (al secolo “IBM” : nell’immagine Virginia Rometty, Presidente e Direttore Generale) il gigante dei mainframes si è già dotata dei più avanzati 60 data center nel mondo ed è fornitrice di buona parte del software di gestione di tutti gli altri servizi cloud nonché ovviamente del “ferro” di buona parte degli altri data center e per di più prima di tutti gli altri ad aver scommesso sulla tecnologia del blockchain per fornire accesso sicuro ai database aziendali, al commercio elettronico e ai servizi remoti di telelavoro, contabilità, gestione del personale, della forza di vendita, delle fabbriche automatiche, eccetera. Addirittura il gigante dell’informatica, che ha appena compiuto 106 anni di vita, sta compiendo una vera e propria rivoluzione copernicana nel favorire la nascita di start-up tecnologiche regalando loro l’accesso gratuito al proprio software di gestione del blockchain per incoraggiare l’utilizzo della propria nuvola.

LA NUVOLA NON SI È DIFFUSA SINO AD OGGI PER TIMORI SULLA SICUREZZA INFORMATICA

Si sa che la remora principale ad adottare servizi sulla nuvola da parte delle aziende e delle pubbliche amministrazioni era stata la problematica della sicurezza di accesso ai dati.

Le frodi informatiche e la ciber-sicurezza sono ancora oggi un tema caldo e molto spesso un vero e proprio mal di testa per chi vuole fare il miglior utilizzo del sistema informatico che gira intorno al “cloud computing” cioè alla digitalizzazione “sulla nuvola” (da remoto): quello estensivo dove tutte le applicazioni e i sistemi gestionali aziendali sono collegati e accessibili da qualsiasi piattaforma.

IL BLOCKCHAIN PUÒ RISOLVERE IL PROBLEMA

Il sistema di registro remoto (diffused ledger) creato con la tecnologia blockchain per assicurare gli scambi sulle criptovalute è la risposta ideale alla domanda di sicurezza aziendale che frenava lo sviluppo del “cloud computing”: il sistema di blocco creato per le criptovalute è considerato sino ad oggi virtualmente inattaccabile e tiene conto di ogni possibile accesso o movimento, documentandolo.

Il mercato dei servizi informatici connessi al blockchain è valso nel suo complesso nel 2016 soltanto 242 milioni di dollari, ma è destinato a toccare quasi gli 8 miliardi di dollari entro il 2022, parallelamente alla stima dell’espansione dei servizi in “cloud” che si stima verrà adottata entro 5 anni dal 55% delle grandi imprese (oltre i 1000 dipendenti) rispetto all’attuale 17% delle stesse, anche a causa del crescente utilizzo dei dati relativi all’Internet delle cose (IOT).
Stefano di Tommaso