QUASI MEZZO MILIARDO DI DOLLARI PAGATO PER LA STARTUP DI DUE ITALOAMERICANI, DOCENTI AL M.I.T.

Emilio Frazzoli, professore di ingegneria aeronautica e astronautica al famosissimo Massachusetts Institute of Technology e un altro professore dello stesso Istituto, Carlo Iagnemma, a capo del gruppo di ricerca sulla robotica dell’automazione per il settore automotive, quattro anni fa avevano fondato Nu-Tonomy, la classica iniziativa di spin-off universitario quale startup tecnologica per raccogliere capitali e dedicarsi ai sistemi di software avanzato per la guida autonoma dei veicoli stradali in ambienti affollati e complessi.


All’inizio dello scorso anno l’iniziativa ebbe una certa notorietà per il lancio di un servizio sperimentale di taxi-robot a Singapore basati sulla Mitsubishi elettrica Miev, poi sulla Renault Zoe. L’esperienza -di grande successo- ha permesso loro di sottoscrivere accordi di collaborazione con Uber, Grab (la rivale di quest’ultima nel sud-est asiatico) e con la stessa Renault. Successivi accordi sono stati sottoscritti con Lyft per un servizio di Robo-Taxi a Boston, Massachusetts, dove ha sede la loro società.


Qualche giorno fa la svolta: Delphi Automotive, una multinazionale americana nata come spin-off della General Motors dei primi anni ‘90 e dedicato alla fabbricazione e ingegneria della componentistica dell’automobile, li ha comprati per quasi mezzo miliardo di dollari per rinnovare il lato tecnologico della propria offerta di prodotti.

Delphi ha dichiarato che l’iniziativa è volta ad accelerare l’introduzione sul mercato di sistemi per trasformare le auto in circolazione in sistemi completamente autonomi, con l’introduzione di nuovi talenti dell’ingegneria gia presenti in azienda (2 anni fa Delphi aveva già comprato un’azienda simile: Ottamatika, spin-off di un’altra Università, la,Carnegie Mellon) fondata da due professori di origine indiana, che prometteva di immettere sul mercato I propri sistemi già dal 2019.

L’intero settore è stato sconvolto, negli ultimi tempi da investimenti miliardari delle case automobilistiche finalizzati a permettere loro di raggiungere per prime il medesimo obiettivo di sfornare veicoli completamente autonomi: Ford aveva comprato Argo Artificial Intelligence, una startup molto simile ma in stadi meno maturi di sviluppo, mentre General Motors aveva pagato un miliardo per la Cruise Automation e Toyota, forse la più avanti nel processo di sviluppo, ha già registrato qualcosa come 1400 brevetti nel campo della guida autonoma avendo assunto, qualche tempo fa, un intera squadra di professori del medesimo Massachusetts Institute of Technology. Ma nessuna di queste operazioni può oscurare il vertice raggiunto qualche mese fa da Intel, che ha pagato oltre 15 miliardi di dollari Mobileye, una società israeliana (leggi il mio articolo di Marzo in proposito : http://giornaledellafinanza.it/2017/03/14/nuovo-rilancio-nella-corsa-alla-self-driving-car/)

Stefano di Tommaso




LE BORSE DIVENTERANNO PIÙ SELETTIVE SULLA BASE DEI PROFITTI INDUSTRIALI

Il dibattito sulle iper valutazioni delle imprese, che emana dallo struggimento degli operatori delle borse valori alle prese con il più enigmatico di tutti i lunghi cicli borsistici di rialzo degli ultimi decenni, si concentra oggi sulla possibilità che, nonostante i corsi azionari abbiano superato di slancio tutti i massimi storici precedenti, in realtà i profitti delle imprese possano in futuro risultare in grado di correre ancora più in alto, giustificando dunque nel tempo ciò che oggi sembra eccessivo.

Da tempo chi scrive sostiene un’ardua tesi:gli investitori sono da troppo tempo alla ricerca di valide alternative alle scelte di asset allocation praticate sino ad oggi perché i corsi azionari attuali arrivino a sgonfiarsi in un baleno. Sebbene sinora i fatti sembrano aver dato ragione a questo assunto, se vogliamo evitare di cadere nel ridicolo con affermazioni fideistiche non possiamo che cercare delle risposte a una domanda di fondo: quali e quante imprese stanno effettivamente moltiplicando la loro redditività? Non tutte evidentemente!

Ovviamente non si può prescindere dai presupposti fondamentali che stanno pilotando da oramai otto anni la corsa al rialzo dei valori mobiliari:

  • i tassi straordinariamente bassi ma contemporaneamente la bassissima inflazione rilevata,
  • la grande liquidità disponibile sui mercati che è seguìta alle politiche monetarie espansive,
  • la “congestione dei risparmi” di un’intera generazione di “baby boomers” che si approssima alla pensione e che riversa sui mercati una domanda eccessiva di carta finanziaria,
  • l’ampiezza delle oscillazioni negative precedenti,
  • la grande ripresa economica globale in corso,
  • l’aspettativa che i profitti delle imprese continuino a moltiplicarsi.

Sebbene l’argomento dei profitti aziendali non sia l’unico a tenere alte le quotazioni borsistiche, forse esso dal punto di vista microeconomico merita qualche ulteriore approfondimento perché il dibattito in questione ha effettivamente preso corpo a seguito di un’impennata degli utili delle grandi corporation quotate a Wall Street e tutti si chiedono se, conseguentemente, c’è da attendersi la stessa impennata anche per le altre imprese nel mondo, fino alle più piccole e alle meno globalizzate (ad esempio le PMI dei paesi emergenti) e, a maggior ragione, fino a quelle meno tecnologiche.

LE SUPER VALUTAZIONI DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE

La corsa della tecnologia sembra infatti avere molto a che vedere con le iper valutazioni espresse da Wall Street: sono soprattutto i grandi colossi tecnologici e i dominatori di internet quelli che hanno pesantemente alzato la media delle valutazioni. Le quotazioni borsistiche di questi ultimi viaggiano a multipli di prezzo che superano le duecento volte gli utili. La famosa media del pollo di Trilussa è sempre in agguato dunque è ciò che può giustificarsi nel caso di quei colossi globali potrebbe non essere valido per le imprese periferiche e meno tecnologiche.

I mercati finanziari infatti, se nei prossimi giorni non esprimeranno addirittura una più o meno pesante correzione, quantomeno è probabile che proveranno a ragionare sull’ennesima “rotazione” dei portafogli azionari, allo scopo di selezionare meglio le proprie scelte e, auspicabilmente, di provare a diversificare il più possibile i rischi sistemici del possedere assset finanziari che sembrano a tutti troppo “cari”.

Ma ricordiamoci che sono molti molti mesi che i grandi investitori (e sinanco i banchieri centrali) ci ripetono la stessa solfa: l’eccesso di ottimismo che si registra nelle borse porterà presto ad una loro discesa e, dal momento che quel “presto” non arriva mai, da queste colonne nei mesi scorsi abbiamo più volte ironizzato sul tema con analogie letterarie come “Aspettando Godot” o “Il Deserto dei Tartari”! Il punto è che nessun ciclo borsistico può durare in eterno e nessun gestore di portafogli di investimento può permettersi di non chiedersi cosa succederà dopo che quello attuale si sarà esaurito.

Al riguardo c’è chi afferma con certezza che chi investe a questi livelli otterrà scarsi risultati in futuro, chi esprime una fede indiscriminata verso la crescita economica globale che supporta le valutazioni estreme dei mercati, e chi continua a scavare sul fronte della giustificazione razionale delle valutazioni elevate, per trovare non solo risposte al quesito fondamentale sopra descritto (cosa succederà “dopo”) ma anche per riuscire individuare nuove strategie di investimento o nuove ragioni per “ruotare” ancora una volta i portafogli titoli.

I SETTORI PIÙ INTERESSANTI E QUELLI MENO

Scendiamo perciò nel dettaglio dei principali settori economici:

1. Le maggiori imprese supertecnologiche (come Tesla, ad esempio) scontano nelle loro valutazioni la capacità di raggiungere risultati clamorosi in grado di ridefinire il mercato della mobilità personale e quello degli accumulatori di energia di nuova generazione. Quanto tale fiducia sia ben riposta è difficile dirlo, ma resta l’ineluttabilità del fatto che qelle imprese sembrano destinati a cambiare più radicalmente e più velocemente del previsto i loro mercati di sbocco. Casomai i dubbi degli investitori riguardano la presunzione di relativa inerzia dei produttori tradizionali di autoveicoli e sistemi di energia (tutte da dimostrare) e la presunzione di forte capacità organizzativa e industriale da parte di imprese come quella del tetragono Elon Musk di riuscire a realizzare le quantità richieste dal mercato nei tempi annunciati. Qualora le risposte a tali dubbi siano positive, quanto spazio di mercato resterebbe allora alle altre imprese che si sono buttate all’inseguimento dei leader globali? La mia personale convinzione è che non tutti gli operatori super tecnologici riusciranno infatti a tramutare le loro mirabolanti innovazioni in forti profitti e, in un mondo sempre più globalizzato, i leader mondiali di mercato sono dunque quelli più probabilmente in grado di riuscire a raccogliere i maggiori frutti della loro “brand awareness”. Perciò quanto sopra può valere tranquillamente anche per Amazon, per Google, Apple e Tencent e può dunque fornire un deciso supporto razionale alle astronomiche valutazioni di borsa che essi esprimono;

2. Le imprese invece che fondano sì i loro punti di forza sulla rete internet, ma scommettono soprattutto sulla loro capacità di moltiplicare la clientela e i profitti grazie alla mera digitalizzazione e al business che ne consegue di sostituzione delle attività tradizionali (ad esempio gli operatori dell’entertainment come Netflix quali valide alternative a quelli come Sky di Rupert Murdoch), secondo la mia umile opinione rischiano grosso: non è così scontato che i loro predecessori non saranno in grado di rinnovarsi velocemente!

3. Lo stesso può valere per i nuovi colossi del commercio elettronico come Alibaba e Zalando, che rischiano di incontrare decisi ostacoli nel loro processo di cambiamento delle abitudini della gente al riguardo della distribuzione commerciale perché l’umanità è molto conservativa se il possibile rinnovamento delle abitudini della gente non porta anche dei radicali miglioramenti nella vita quotidiana. In molti casi perciò è ragionevole porre qualche dubbio su talune mirabolanti valutazioni di titoli come Netflix laddove esse non siano congiunte a vantaggi radicali nella vita di tutti i giorni.

4. Un ragionamento invece a favore delle supervalutazioni che oggi il mercato esprime può riguardare i leaders globali nei mercati del lusso e del lifestyle, come ad esempio Ferrari o LVMH, che storicamente si sono sempre mostrati in grado di saper raccogliere la sfida del rinnovamento ma che poggiano le loro pretese di mercato su una loro potentissima “brand awareness”. Per essi l’avanzata delle economie emergenti e lo sviluppo demografico e sociale dell’umanità sono fonte probabile di ulteriori soddisfazioni rispetto ai rispettivi “follower” di mercato e per quanto pazzi possano risultare i prezzi da essi praticati, è possibile che i loro ampi margini restino sostenibili.

5. Al contrario per molte delle grandi imprese che oggi risultano leader nei settori B2B (business to business) ci sono seri dubbi circa la sostenibilità di elevate valutazioni di mercato perché ogni minima novità di mercato potrebbe propagarsi, negli ambiti professionali, alla velocità della luce.

6. Ciò può valere per le compagnie aeree, per colossi informatici come la IBM, per i giganti dell’industria di base come Thyssen o General Electric, o sinanco per i grandi (e innovativi) produttori di sistemi informatici come SAP o Oracle e persino come i grandi produttori di beni di largo consumo come Hewlett-Packard o Samsung la cui offerta commerciale non risulti tuttavia “iconica”, a prescindere da quanto capaci siano di cavalcare le innovazioni. In molti di quei settori la concorrenza dei nuovi astri nascenti provenienti dal sud est asiatico o la possibilità che nuove proposte a valore aggiunto provengano da soggetti completamente nuovi rischia di porre dei limiti alla corsa nel tempo dei loro profitti.

I CRITERI DI SELEZIONE DEI SETTORI INDUSTRIALI

La vera discriminante nell’analisi delle effettive capacità di moltiplicazione dei profitti prospettici non sembra perciò l’eccesso di valutazioni ai prezzi attuali delle maggiori imprese quotate, quanto la loro capacità di mantenere la testa della competizione nel loro settore industriale con i margini economici che ne conseguono (vedi Apple), la loro capacità di esprimere un’effettiva brand awareness globale, e soprattutto la possibilità che la loro capacità di fare business in maniera del tutto nuova possa riuscire ad estendersi a sempre nuove categorie di prodotto (vedi Amazon) mentre al contempo su quelle meglio presidiate vengono lentamente alzate barriere all’entrata dei nuovi competitors.

Al contrario in buona parte dei settori industriali rivolti al B2B e in quelli meno protetti da nicchie di mercato e situazioni fortemente localizzate nemmeno le imprese maggiori potranno mantenere il passo con le attuali valutazioni e la possibile avanzata della de-regolamentazione globale potrebbe mettere in discussione molte aziende leader industriali dei nostri giorni. Le stesse argomentazioni non lasciano purtroppo molto spazio alle supervalutazioni che le borse praticano di molte imprese troppo localizzate o troppo piccole, che dovranno affrontare difficoltà ulteriori nel reperire le risorse per la crescita dei propri profitti. Temo anzi che i fattori di sconto nei prezzi di tali imprese dovranno accrescersi.

I veri rischi degli investitori perciò non risiedono nell’ampiezza dei moltiplicatori di prezzo pagati oggi in borsa, bensì nella rispondenza di tali valutazioni alla loro capacità propulsiva a livello globale e nel cavalcare le grandi ondate di modificazione delle abitudini della gente.

Se queste considerazioni significano che in media i valori azionari sino ad oggi espressi dalle borse potranno proseguire la loro corsa o dovranno necessariamente ridursi in futuro, è materia che qui lasciamo alle personali valutazioni di ciascun lettore. È mia personale convinzione che in assenza di forti scossoni geopolitici o relativi a grandi catastrofi invece i mercati finanziari possano proseguire la loro navigazione relativamente indisturbati, ma che saranno necessariamente costretti a proseguire nel processo di selezione dei migliori asset, così come potranno beneficiare ancora a lungo della relativa calma che regna sui titoli a reddito fisso.

I fattori fondamentali all’opera oggi per tenere bassi i tassi di interesse è possibile che non verranno rimossi nel prossimo futuro. Per prevedere quello più remoto invece ci stiamo ancora attrezzando…

Stefano di Tommaso

 




AAA OTTIMISMO CERCASI

Sui mercati finanziari europei aleggia il fantasma di una nuova ondata di pessimismo. Non dipende da un fattore in particolare, bensì da una “sfortunata serie di eventi” come titolava Lemony Snickets (pseudonimo di Daniel Handler) in una fortunatissima serie di romanzi dark per ragazzi. Se però numerosi indizi fanno almeno una prova ecco che si fa avanti l’idea che per il vecchio continente il clima di generale ottimismo possa essere repentinamente cambiato.

 

LE BANCHE RISENTONO DELLA SFIDUCIA

Se vogliamo cominciare dal settore bancario, forse di incidenti ne scorgiamo più di uno, a partire dal fallimento del Banco Popular, salvato in Giugno dal Santander (che ha permesso di risparmiare i depositanti) ma dove il buco per azionisti e obbligazionisti “junior” è risultato pari a 37 miliardi di euro, il doppio delle popolari venete.

Ed esattamente come nel caso di queste ultime, se la normativa europea può adattarsi alle circostanze (in funzione degli interessi commerciali e strategici di questo o quel paese che la domina) invece di risultare un baluardo di certezza, ecco che il resto del mondo torna a guardare i nostri mercati finanziari come noi normalmente apostrofiamo quelli del sud-America !

LA NUOVA NORMATIVA SUI NON PERFORMING LOANS

Il recente “giro di vite” della Banca Centrale Europea sui crediti deteriorati infatti sicuramente non ha riempito di gioia chi aveva appena rotto gli indugi ed era tornato a investire sulle banche europee, perché esso obbliga queste ultime a coprire entro sette anni con nuove risorse di capitale le perdite sugli NPL (non performing loans), ma soprattutto le obbliga a coprire entro due anni i crediti deteriorati di più recente formazione. Di fatto la BCE sta comunicando alle banche europee che devono raccogliere più capitale e l’effetto silurico sulle quotazioni delle medesime risulta ovvio persino a un bambino.

Preoccupanti anche le nuove stime circa l’ammontare complessivo dei crediti deteriorati in Europa: si presume che essi superino i mille miliardi di euro nominali, by-passando dunque la speranza che la normativa potesse non affliggere più di tanto il mercato dei capitali.

I TASSI CRESCONO

Se non vogliamo proseguire con l’ovvia elencazione di sfortunate coincidenze che sono culminate nella quasi-guerriglia urbana di Barcellona, ecco che un altro fattore di “attenzione” torna alla ribalta: i tassi impliciti sul mercato dei bond (che non rendono più quasi nulla) stanno tornando a crescere, in particolare in Italia (vedi grafico), rovinando la festa alle quotazioni del mercato dei titoli a reddito fisso (bonds) che devono quindi riallinearsi verso il basso.


Paragoniamo per un attimo i nostri mercacon quello americano: l’indice curato da Merril Lynch sui bond europei ad alto rendimento ci segnala un tasso medio di ritorno del 2,3%. Esattamente il medesimo dei titoli di stato americani a dieci anni. Ora, cambi valute a parte, voi quale preferireste tra i due rischi?

Il punto è che la BCE ha incentivato l’acquisto di obbligazioni aziendali in Europa da parte degli investitori istituzionali, anche per lasciarle libero il mercato dei titoli di stato sul quale l’offerta iniziava a scarseggiare in presenza del programma di acquisti noto comunemente come Quantitative Easing, tutt’ora in corso. Ovviamente tutti si chiedono quando finirà cosa succede al mercato e, nel dubbio (che è quasi una certezza) arrivano le prese di beneficio.

LE BORSE EUROPEE SONO SATOLLE


Se vogliamo infine porre la ciliegina sulla torta l’indice di borsa EuroStoxxs è cresciuto, da un anno a questa parte, dell’80% lasciando spazio a più di una vendita per realizzare i profitti accumulati soprattutto da parte di quegli investitori asiatici che avevano puntato a guadagnarci ben due volte: con le borse e con il cambio delle valute. Anche quest’ultimo ha arrestato la sua corsa e adesso si parla di tornare a rivalutare l’Euro solo a partire dal nuovo anno (una boccata d’ossigeno per l’Italia).

Si è anche visto con le prese di beneficio occorse nel primo giorno di quotazione della Pirelli: il più grande collocamento di sempre della Borsa Italiana ha lasciato un po’ tutti con la bocca amara. Fosse passato qualche altro giorno magari sarebbe stato addirittura rinviato!

Sappiamo anche che le attese per un lieve recupero del prezzo del petrolio e dei “consumabili” energetici (gas, carbone, ecc…) non faranno piacere all’industria del vecchio continente e che il record di esportazioni europee (che aveva favorito soprattutto le imprese cisalpine) raggiunto nella prima parte del 2017 non è destinato a durare nel tempo, anche a causa del cambio contro dollaro, che a partir dall’inizio dell’estate ne ha peggiorato la competitività.

NUOVI RATING ALL’ORIZZONTE?

Manca solo il “colpetto” decisivo delle immancabili puntate autunnali delle agenzie di rating sui mercati europei (tutte rigorosamente americane) perché i medesimi tornino a ridimensionarsi in maniera più consistente, ancora una volta a favore di quelli d’oltreoceano. È la legge del più forte (lo Yankee), che alla fine vuole il bottino maggiore sui mercati.

Sarebbe lui il conte Olaf dell’arcinota serie di romanzi di Lemony Snickets? Come diceva sempre il Divo Giulio quando gli facevano domande cattivelle: “a pensar male si fa peccato, però…

Stefano di Tommaso

 




NEL “VOLARE VERSO LA QUALITÀ” IN BORSA TORNA DI MODA LA “BONDIFICATION”

Nonostante la speculazione pura abbia negli ultimi mesi preso il sopravvento sugli investitori razionali nel guidare le tendenze della maggior parte dei listini di borsa nel mondo, in realtà esiste un numero elevatissimo di “cassettisti” che investono anche in titoli quotati ma restano pur sempre alla ricerca di un reddito.La maggioranza di questi non è più in forma individuale ma è oggi rappresentata da investitori professionali o da “family offices” che perseguono il medesimo obiettivo di ottenere dall’investimento sul mercato mobiliare un reddito più o meno costante derivante da cedole e dividendi, anche attraverso sofisticate politiche di investimento come appunto la “bondification”.

I rendimenti pagati dai titoli a reddito fisso sono oramai ridottissimi da anni, a causa del livello quasi pari a zero dei tassi di interesse e, per quel che si può ritenere guardando alle politiche monetarie perseguite dalle banche centrali di tutto il mondo, è probabile che tali politiche proseguano ancora per molti mesi se non per anni.

Questo il motivo per il quale già da un paio d’anni gli investitori che rimangono nei loro orientamenti fortemente avversi al rischio e sostanzialmente alla ricerca di un reddito derivante dal proprio capitale per pagare alle scadenze dovute pensioni, annualità o o anche solo le bollette e le spese domestiche, hanno alla fine adottato politiche di “bondification”, cioè di sostituzione dell’investimento obbligazionario con quello azionario sperando di poter trovare un’alternativa all’investimento in titoli a reddito fisso definendo una particolare composizione del portafogli di titoli azionari di elevata solidità e caratterizzati da elevate politiche di dividendi.

VANTAGGI E SVANTAGGI

Un portafoglio azionario selezionato sulla base della classe di rischio (basso, evidentemente) e sulla capacità di elargire dividendi, invece che sulla base della differenziazione delle tipologie di investimento, può raggiungere l’obiettivo di perseguire minor rischio e importanti capacità di generare reddito ma può mostrare anche maggior dipendenza nel suo comportamento dall’andamento di taluni comparti industriali che esprimono i titoli che pagano più dividendi.


Cioè la selezione di titoli sulla base della bondification può avere un secondo aspetto negativo oltre evidentemente ad essere meno suscettibile di forti rivalutazioni (in quanto meno “pesato” sui titoli a forte crescita): questo secondo aspetto consiste nella minor diversificazione geografica e settoriale, perché i “dividend aristocrats” -come vengono chiamati- sono pochi e sono principalmente legati ai settori dal ciclo di vita più maturo.

Inoltre sino ad oggi le migliori soddisfazioni a chi investe in borsa sono arrivate soprattutto dai titoli tecnologici a grande capitalizzazione (si veda in proposito il grafico). Nulla garantisce che il trend non possa continuare esattamente come è stato sino ad oggi.

LA ROTAZIONE DEI PORTAFOGLI

Il punto però è che in momenti come questo, caratterizzati da timori circa i livelli raggiunti dai listini azionari e da una certa rota dei portafogli da titoli “growth”a titoli più sicuri, decidere di sottopesare quei titoli può finalmente consistere in un vantaggio netto e dunque la bondification può fornire due ordini di soddisfazioni a chi l’ha messa in pratica:

• I maggiori dividendi percepiti

• L’apprezzamento in conto capitale.

Anzi, il mercato sa che la cuccagna delle borse non durerà in eterno (anche se da un anno essa va oltre ogni ragionevole aspettativa) e dunque cerca di ruotare i portafogli verso investimenti meno a rischio e di maggior qualità in termini di profitti, storia, di dividendi, di livello del management e di dimensioni aziendali.

Il “volo verso la qualità” riguarda pertanto non solo quei titoli che risultano in grado di pagare i maggiori dividendi, ma soprattutto quelli che possono vantare una storia di successi ripetuti, di solidità aziendale e di migliore persistenza della propria strategia competitiva.

È questo il motivo principale perché l’argomento della bondification è tornato in auge. In molti casi i portafogli di titoli selezionati in tal senso possono dunque anche ottimamente performare in un momento come quello attuale che mette in secondo piano l’interesse per i titoli tecnologici e innovativi ma con più rischiosità .

IL “VOLO VERSO LA QUALITÀ”

Se si vuole dunque provare a selezionare un portafoglio “value” (cioè più orientato all’investimento difensivo e a lungo termine), il Sole 24 Ore ci fornisce di seguito un’elenco di criteri per la cernita:

• Una redditività costante e in crescita

• Una storia di costante apprezzamento del titolo in borsa

• La capacità di tenere sotto controllo la produttività del lavoro

• La capacità di generare cassa

• La non eccedente valutazione di borsa in termini di P/E

• La “riserva implicita” di valore derivante dai valori intangibili: il marchi e il management

WHAT NEXT?

Resta da vedere quali soddisfazioni potranno pervenire in futuro a chi mette in pratica oggi una tale politica di selezione del portafoglio azionario.

Quando le borse dovessero tornare a veder crescere la volatilità, infatti, gli svantaggi in termini di diversificazione e di sottoesposizione verso i titoli che promettono maggior crescita di un portafoglio così selezionato potrebbe penalizzare chi la mette in pratica (sebbene si potrebbe sempre obiettare che oggigiorno la possibilità di diversificare, in funzione della non omogeneità del rischio, in misura statisticamente rilevante, è quasi scomparsa).

Come sempre perciò, non esiste una ricetta per gli investitori valida per tutte le stagioni. Ad oggi le borse hanno continuato a salire nonostante mille e una cornacchia cercassero di costruire una propria reputazione suonando le campane a morto per prime. E mentre salivano la volatilità scendeva (che è sicuramente un segno di forza del momento borsistico) e i profitti aziendali andavano alle stelle.

Il futuro non è detto che ci riserverà un crollo delle borse nell’immediato ma, mano mano che le banche centrali piloteranno i mercati verso una riduzione della liquidità da esse immessa, potrebbe anticipare una tendenza alla discesa dei corsi con l’aumento della loro volatilità. Neanche questo succederà in un istante ma è chiaro che non solo i titoli più “conservativi “ dal punto di vista del rischio potrebbero “tenere” i livelli più degli altri, ma anche che nessuno si aspetta un nuovo vero e proprio “boom”della crescita economica globale. Dunque rimanere sotto-pesati sui titoli più speculativi può non essere comunque una cattiva idea.

Stefano di Tommaso