LE BORSE CROLLERANNO?

I ripetuti e crescenti timori relativi alla tenuta degli attuali -stratosferici- livelli raggiunti dalle borse di tutto il mondo mi hanno spinto a compiere un’ indagine sulla loro situazione attuale, sulle ragioni sottostanti gli scossoni percepiti negli ultimi giorni e sugli auspìci che se ne possono trarre per il prossimo futuro.

Tutti gli osservatori economici si chiedono fino a quando durerà l’incantesimo del mercato finanziario, che da più di otto anni continua imperterrito la sua corsa. A dire il vero già intorno alla metà dello scorso anno se lo chiedevano tutti, ma poi è arrivato il cosiddetto “Trump trade”, cioè l’effetto positivo sulle borse derivato dal fascino che il nuovo corso politico americano esercitava sugli investitori, promettendo meno tasse e maggiori investimenti infrastrutturali.
Con il Trump trade è in effetti cambiato qualcosa nel mondo: l’economia globale ha imboccato di nuovo un percorso di crescita e la stessa cosa è accaduta per tutti i paesi OCSE, a partire dall’America, facendo dimenticare i timori di nuovo scoppio della bolla finanziaria. Oggi, a un anno esatto di distanza da quel momento storico, le politiche economiche promesse dal presidente americano non sono ancora state varate e le borse sono salite ancora di un bel po’, ragione per cui i medesimi dubbi si ripropongono.

Un recentissimo articolo della CNBC.COM riportava un questionario al quale hanno risposto circa 12.000 dei suoi suoi lettori. CNBC ha chiesto loro <<se si aspettano a breve uno “storico” tonfo delle borse>>  e ben il 44% di essi ha risposto si mentre un altro 26% nutre dei dubbi al riguardo e soltanto il 30% non lo ritiene probabile.

IL PESO DELLE ASPETTATIVE

La cosa ha dell’incredibile: il 70% degli intervistati tra la “creme” dei professionisti americani della finanza che legge quel magazine online vede dunque la possibilità a breve termine di un crollo di Wall Street! Come si può vedere nello “screenshot” qui sopra riportato, quasi non bastasse, a dare loro manforte ci si è messo anche un premio Nobel per l’economia come Robert Shiller che, intervistato in proposito, ha solo potuto fornire una sensazione, non certo una previsione razionale.

In effetti il mercato azionario americano è cresciuto più degli altri e, dal minimo toccato nel lontano Marzo 2009 (più di otto anni fa), ha più che quadruplicato il suo livello. Chiaramente un tale risultato lascia molto spazio per lo scetticismo circa la possibilità che Wall Street raggiunga ulteriori, mirabolanti vette.

L’ECCESSO DI LIQUIDITÀ HA DROGATO LE BORSE

Ma bisogna ricordare che l’intervento delle banche centrali di tutto il mondo per pompare liquidità (in queste settimane oltre che della BCE è la volta di quella giapponese) e la ripresa della crescita economica globale hanno senza dubbio contribuito a buona parte di tale performance.

La prima cosa che viene da pensare è che, quando tutta quella gente se lo aspetta, è probabile che lo scenario non si verifichi. Se infatti la stessa percentuale di intervistati si comporta di conseguenza, allora dovrebbe limitare decisamente i propri investimenti in titoli azionari, privilegiando la liquidità o degli investimenti alternativi, quelli che possano avere andamenti non correlati alla borsa (immobili, oro, eccetera). Ma se così fosse, allora bisognerebbe ammettere che c’è ancora molta liquidità in circolazione parcheggiata al di fuori del circuito borsistico e che, di conseguenza, i mercati finanziari potrebbero avere ancora molta strada da fare.
Sul versante opposto, occorre tenere presente che le aspettative sui mercati finanziari tendono ad “auto-realizzarsi”, alimentando esse stesse le possibili oscillazioni dei listini.

IL RUOLO DEI BUY-BACK E QUELLO DEI “TRADING SYSTEMS”

Per comprendere le ragioni di chi grida al possibile scoppio della “bolla speculativa ” bisogna tuttavia considerare due fattori “anomali” che hanno contribuito non poco al risultato della citata quadruplicazione dei dollari investiti sulla borsa di New York. Fattori che in precedenza avevano avuto un limitatissimo effetto sulle quotazioni azionarie:

1) un perverso meccanismo di “buy-back” (cioè di riacquisto da parte delle stesse società emittenti) tramite il quale le grandi corporations quotate utilizzano la liquidità che si ritrovano in pancia per comprare azioni proprie (invece di investire nello sviluppo dei propri mercati), principalmente per favorire gli interessi dei manager che hanno in mano delle cospicue “stock-option” (cioè incentivi ai propri manager basati sulla possibilità di ottenere azioni da rivendere poi sul mercato). Sono operazioni compiute tipicamente in frode degli azionisti di minoranza, ma il cui effetto “edulcorante” sulle quotazioni del titolo alla fine non lo disdegna nessuno, salvo il fatto che tende a far crescere artificialmente la misura degli “utili per azione”.

I buy-back dunque aiutano i corsi azionari a rimanere sostenuti nonostante il potenziale effetto depressivo delle vendite realizzate dai dirigenti, ma non solo: essi innanzitutto sortiscono l’effetto di trasferire liquidità dalle aziende ai privati che, spesso, la reinvestono sui mercati finanziari e, in secondo luogo, riducono il numero delle azioni in circolazione che andranno a spartirsi gli utili per azione (Earnings per Share: EPS) realizzati, facendo crescere artificialmente la redditività teorica delle società quotate che li mettono in pratica. Ecco un grafico relativo allo stesso periodo di otto anni testé citato, che evidenzia una crescita “fittizia” dei profitti per azione pari al 265% (più di metà della crescita totale realizzata dal mercato azionario!):

2) La diffusione di algoritmi e sistemi computerizzati per la compravendita ad alta frequenza di titoli azionari (HTFA: high frequency trading algorithms). Essi hanno oggettivamente cambiato i connotati all’andamento fino a ieri caratteristico del mercato dei capitali: fino all’avvento dei sistemi di trading infatti (basati principalmente sui principi dell’analisi tecnica), contavano molto di più le sensazioni umane e i fattori economici “fondamentali ” sul mercato azionario, circa i quali gli analisti finanziari si esprimevano anche in termini strategici.

Oggi, dieci e più anni dopo l’avvento delle contrattazioni computerizzate, l’unica variabile che conta davvero è la liquidità disponibile sul mercato (che, invariabilmente da molti anni a questa parte, cresce per effetto dell’intervento delle banche centrali di tutto il mondo).

Come sarebbe il mercato azionario senza se i regolatori avessero impedito o limitato tanto i buy-back quanto l’avvento degli HTFA? La risposta è quantomai scontata: probabilmente molto ma molto più in basso di dove si trova oggi. Anche questo è un elemento di preoccupazione: quanto è “artificiale” la situazione che osserviamo e quanto invece è motivata da fattori che presumibilmente resteranno in piedi nel prossimo futuro e che troveranno sempre maggiore ragion d’essere sulla base della crescita delle variabili macroeconomiche fondamentali?

IL RUOLO DEI TITOLI “TECNOLOGICI” NELLA CRESCITA DELLE BORSE

Ulteriori elementi di preoccupazione per le borse giungono infine dal “parterre” della medesima Wall Street, dove negli ultimi giorni una serie di titoli “tecnologici” di grande diffusione, come Alphabet (Google) e Amazon la cui capitalizzazione riflette in astratto le attese di enormi aspettative di crescita degli utili sebbene  -alla luce delle recenti preoccupazioni- abbia lasciato nelle ultime settimane sul terreno molti miliardi di dollari.

Senza l’apporto fondamentale della supervalutazione di quei titoli, entro certi limiti da ritenersi assolutamente sensata poiché basata sull’aspettativa di crescite esponenziali dei margini operativi (date le caratteristiche del modello di business delle cosiddette “internet companies”), Wall Street non avrebbe raggiunto le vette che oggi osserviamo. Eppure ogni qualvolta la valutazione di un titolo è basata sul ruolo fondamentale delle aspettative, non si può parlare di certezze circa la stima corretta della medesima e la psicologia può incidere non poco. Sono in molti a pensare che quelle aspettative sono forse cresciute un po’ troppo negli ultimi mesi e che qualche ragionevole dubbio è opportuno porselo.

Tornando a quanto sta succedendo oggi dunque, i due fattori che hanno contribuito a un generale ridimensionamento dei titoli cosiddetti “FANG” (Facebook, Amazon, Netflix, Google, e dintorni tra i quali Microsoft, Snapchat, eccetera) sono stati:

– la naturale rotazione dei portafogli degli investitori, i quali oggi ritengono perlopiù di trovarsi in una fase molto matura del ciclo economico e preferiscono puntare su settori industriali più tradizionali;

– i dubbi relativi alla misura effettiva della profittabilità del business digitale in genere, orientato necessariamente a forti crescite nel suo complesso ma al tempo stesso martoriato da un eccesso di concorrenza, come tutti i settori economici che si trovano ad uno stadio più primitivo del ciclo di vita del prodotto,  oltre che sottoposto a continui colpi di scena man mano che le innovazioni continuano a ridisegnarne gli assetti.

Ora è noto che è grande il peso complessivo sul listino di Wall Street della capitalizzazione di borsa dei principali titoli “tecnologici”, così come in Italia risulta esserlo quella delle banche. Ragione per cui una normale manovra di “rotazione” dei portafogli degli investitori istituzionali rischia di incidere non poco sull’andamento dell’indice generale.

NEL COMPLESSO I MOTIVI DI SCETTICISMO SONO FONDATI

Bisogna francamente ammettere che il quadro sin qui riportato è tutto sommato abbastanza preoccupante: un circuito mondiale delle borse valori fortemente condizionato dall’eccesso di liquidità pompata dagli stimoli delle banche centrali, le cui valutazioni sono giunte ai massimi di sempre tanto come valori assoluti quanto in relazione ai multipli di redditività, per di più condizionata da fattori distorsivi come i programmi di riacquisto delle azioni proprie e i sistemi di trading automatici.

Quali sarebbero i valori attuali dei listini di borsa se non fossero intervenuti quei fattori distorsivi, se gli investitori istituzionali non avessero adottato sistemi di trading che fanno propendere per la crescita dei valori basata sulla liquidità disponibile, se non ci fosse stata l’esplosione delle quotazioni dei principali titoli tecnologici (che però sono principalmente basate sulle aspettative di incremento esponenziale degli utili)?

LE VARIABILI MACROECONOMICHE

La vera risposta probabilmente risiede nelle variabili fondamentali dell’economia, le stesse che sino ad oggi sono state un po’ trascurate nella foga delle ipervalutazioni di borsa e che oggi, forse giunti a un punto di svolta, possono illuminare il cammino dinanzi a noi.
Ebbene però: l’indicazione che proviene da quelle variabili non potrebbe essere più positiva! A partire dalla crescita del prodotto mondiale lordo, stimata per il 2017 ad almeno il 3,6% (la più alta dal 2011) e al di sopra della media storica di lungo termine, pari al 3,5% (media altissima che comprende tanto la seconda rivoluzione industriale quanto l’avvento della grande distribuzione, quello dell’elettronica di massa e quello dell’avvento di internet).

A scriverlo è la Morgan Stanley in un suo recentissimo report dove tra l’altro smentisce le previsioni catastrofiche sulle borse formulate dal già citato premio Nobel Robert Schiller.

Una serie di fattori concorrono a questo giudizio così deciso:

– La crescita attuale si sviluppa congiuntamente tanto nei Paesi Emergenti quanto in quelli più sviluppati, con la relativa sorpresa dell’Unione Europea;
– Il commercio internazionale ha ripreso a correre a ritmi elevati sia in volume che in valore, come non succedeva da un quinquennio;
– Anche gli investimenti sono in decisa crescita nel mondo, persino a prescindere dalla solita Cina (che investe mendiamente il 40% del proprio P.I.L.) e questa è una misura piuttosto importante del fatto che la crescita attuale non sia effimera;
– La ripresa economica attuale peraltro è diversa da quella del 2010-2011, nella quale il movimento di rimbalzo dalla crisi profonda degli anni precedenti e la forte spinta degli stimoli monetari ai mercati finanziari avevano di per sé drogato l’effetto statistico finale.

Una volta tenuto conto di tutti questi elementi risulta più chiaro l’ottimismo di fondo espresso da Morgan Stanley per l’economia globale: la ripresa attualmente in corso rassomiglia di più a quella del periodo 2003-2006 che non a quella del 2010-2011 ed è piuttosto equamente ripartita in quasi tutte le zone del mondo.

LA TURBOLENZA POLITICA AMERICANA CONDIZIONA GLI ANIMI

Se teniamo conto del fatto che alla crescita del prodotto interno lordo globale si accompagnano anche la discesa della disoccupazione (o meglio: il maggior numero di occupati) e la ripresa dei consumi, il quadro complessivo dunque spiega piuttosto bene le attese per un forte aumento dei profitti netti delle società quotate, che si accompagna al tempo stesso ad un miglioramento dell’efficienza produttiva, dunque ad un miglioramento dei margini più che proporzionale all’aumento dei fatturati.

Eppure più andiamo avanti e più tra gli operatori serpeggiano dubbi sulla tenuta degli attuali livelli raggiunti dalle borse, a partire dalla più importante di tutti: quella americana.
E qui il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda dell’ottimo adoperata per osservarlo: gli ottimisti ritengono che prima o poi le nubi della lotta politica si diraderanno per necessità, lasciando spazio a quelle riforme volute da Trump e agli ulteriori effetti afrodisiaci sull’economia e a una maggior distensione internazionale relativamente ai focolai di guerra in essere, mentre i pessimisti temono che quanto visto sun qui sia solo l’antipasto di una lotta furibonda tra poteri più o meno occulti, che si svilupperà attraverso nuove guerre e nuovi stop alle riforme economiche.

È evidente che in questo secondo caso “il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo” come argomentava già Alan Turing, in un suo saggio del 1950: “Macchine calcolatrici e intelligenza”, dove anticipava il futuro luogo comune dell’ “effetto farfalla”.
Per quanto improbabile possa apparire, in un mondo magicamente e per la prima volta nella storia davvero interconnesso, non è un’idea che si può relegare alle sole ipotesi scientifiche!

Stefano di Tommaso




I PROFITTI E I FONDAMENTALI DELL’ECONOMIA TENGONO ALTE LE BORSE

Siamo arrivati quasi al mese di Agosto e i sapientoni che continuavano a prevedere un disastro imminente sui mercati finanziari ancora una volta sono stati smentiti dai fatti! Ovviamente in una situazione così contraddittoria nessuno può fare previsioni inequivocabili. Anzi, per molte ragioni i mercati potrebbero sperimentare qualche imprevisto temporale estivo! Però quando l’analisi tecnica dell’andamento dei mercati non ci viene incontro non resta che guardare agli elementi fondamentali dell’economia globale. È quello che anch’io intendo fare per commentare la situazione generale e dedurne qualche utile considerazione.

 

Le stime che riguardano la crescita economica mondiale infatti sono tutte in continua revisione al rialzo, mentre quelle che riguardano la previsione di un ritorno dell’inflazione sono assai più controverse perché non sembra esserci alcuna “curva di Phillips” in grado di spiegare più o meno linearmente per quale motivo i prezzi i beni e servizi quasi non si allineano al rialzo mentre l’occupazione e le retribuzioni salgono un po’ in tutto il pianeta.
Persino la Federal Reserve Bank of America ha sentito la necessità di esprimersi al riguardo, correggendo un po’ il tiro e ammettendo che per rivedere un rialzo dei prezzi generalizzato ci vorrà ancora molto tempo.

Questo non significherà necessariamente che i tassi (soprattutto quelli a lungo termine) non potranno salire ugualmente. Troppi i motivi per cui dovrebbero comunque farlo, a partire dal fatto che le autorità monetarie di tutto il globo è da tempo che blaterano in tal senso ma poi hanno di fatto mantenuto gonfi i loro portafogli di titoli acquistati sul mercato, lasciando vicini ai minimi storici i tassi di interesse e addirittura innalzando la liquidità disponibile sui mercati finanziari.

È chiaro a tutti che prima o poi le banche centrali dovranno invertire la rotta e che questo non potrà che elevare i livelli dei saggi di interesse, costringendo i mercati a guardare solo agli elementi fondamentali dell’analisi economica e a chiedersi se le valutazioni implicite che circolano in Borsa sono corrette. Una manovra che può portare qualche sussulto sui mercati.
È altrettanto chiaro però che questo non accadrà tanto presto, almeno sin tanto che i loro uffici studi non spiegano meglio per quale motivo l’armamentario degli strumenti di analisi economica (a partire dalla Curva di Phillips) non funzionano più.

GLI UTILI AZIENDALI

In realtà basta guardare meglio all’esplosione dei profitti delle principali società quotate in Borsa in tutto il mondo e alla crescita complessiva del reddito lordo prodotto dai cittadini di tutto il mondo (in qualche caso, come in Italia, quello netto è più o meno totalmente controbilanciato da un incremento della pressione fiscale).

Non solo sono saliti in tutto il mondo gli utili aziendali riportati nel primo trimestre 2017, ma dalle prime indicazioni che arrivano da J.P. Morgan e Citi Bank sembra che la festa sia decisamente continuata nel secondo. A partire dalle banche e società finanziarie, posizionate per beneficiare al meglio della situazione. Sinanco quelle europee, dopo che sono riuscite a tagliare buona parte degli sprechi e delle inefficienze, adesso vedono che il mercato finanziario fa affluire loro quei capitali che possono permettergli di riprendere a fare il loro mestiere fondamentale: prestare denaro.

Oltre ai titoli finanziari quelli per i quali ci si può aspettare maggiore attenzione da parte degli investitori sono probabilmente i grandi produttori di commodities a buon mercato (ici inclusi i metalli e in particolare l’acciaio), mentre tra i titoli tecnologici sarà sempre più evidente che rimangono sulla cresta dell’onda quelli più liquidi e patrimonialmente solidi e, tra questi, quelli che non hanno deluso le aspettative di crescita.

I FONDAMENTALI MACROECONOMICI

Il Fondo Monetario Internazionale ha incrementato quest’anno le aspettative di crescita economica globale dal 3,5% al 3,8%, ben al di sopra del 3,1% realizzato nel 2016. Le migliori sorprese sono arrivate dall’Europa e dal Giappone, per le quali si prevedeva uno scenario molto più statico ma secondo il mio modesto parere queste si spiegano assai bene con la volata delle rispettive esportazioni, che a loro volta sono generate da una crescita economica anche al di sopra di quanto rivelano le statistiche nelle aree dov’è più si concentra la popolazione mondiale e la sua relativa espansione demografica: i Paesi Emergenti, con l’Asia in testa, Cina e India comprese.

Persino il Prodotto Interno Lordo degli U.S.A. è previsto che quest’anno crescerà di almeno il 2%, sebbene la macchina politico-legislativa americana resti intrappolata nello stallo istituzionale seguìto alle accuse rivolte al neo-Presidente Trump di aver ricevuto un supporto dagli “hackers” russi. Ciò accade nonostante il governo non stia concludendo nulla sul fronte della riduzione fiscale e neppure su quello della spesa infrastrutturale!

Anzi, in tutti i paesi avanzati si rivedono copiose delle nuove quotazioni in Borsa (sulle quali era sceso un certo gelo da parte degli investitori) e continua imperterrita la crescita delle Fusioni ed Acquisizioni, che in tanti casi hanno avuto un ruolo positivo nelle razionalizzazioni da queste provocate e dunque nel miglioramento dei profitti aziendali. Le aspettative sono di ulteriori avanzamenti in tal senso e dunque i fattori fondamentali al lavoro in sottofondo fanno sperare che questo scenario quasi idilliaco possa non venire interrotto.

IL BASSO RUMORE DI FONDO DERIVANTE DALLE TENSIONI GEOPOLITICHE AIUTA LA CRESCITA DEI PAESI EMERGENTI

Dunque osserviamo uno scenario economico globale positivo cui si temeva potesse guastare la festa il riacuirsi delle tensioni internazionali, che invece sembrano essere state quasi quasi un fuoco di paglia. E se neanche la geo-politica rovinerà queste aspettative moderatamente ottimiste allora possiamo sperare che sarà quasi indolore il progressivo disimpegno delle autorità monetarie dagli stimoli imposti sino ad oggi?
Inutile dire che l’ottima salute -nonostante tutti i soloni- che stanno mantenendo i mercati finanziari, non aiuta necessariamente a sollevare dalla povertà le fasce più povere della popolazione, non riduce (anzi aumenta) le disuguaglianze nel reddito e, soprattutto, non cancella i debordanti e in qualche caso -come quello nostrano- addirittura crescenti debiti pubblici.

Però l’elevato livello (consolidato oramai da tempo) dei mercati finanziari può indubbiamente aiutare l’economia globale a migliorare e, indirettamente, a curare -sebbene non a risolvere-  i problemi di chi rimane più indietro. Quantomeno aiuta la crescita dell’occupazione, la speranza che questo aiuti l’inclusione economica dei più deboli in circuiti virtuosi di miglioramento, e lascia maggiori spazi per il futuro affinché gli investimenti proseguano la loro corsa e, con essi, nuove iniziative di spesa infrastrutturale possano tornare a prendere piede. Due elementi fondamentali affinché la grande liquidità che ancora alimenta i mercati possa trasmettere a valle un incremento di reddito che a sua volta può tenere alte le aspettative degli investitori.

In fondo l’incremento degli investimenti e il miglioramento dell’efficienza generale costituiscono la strada maestra che i sacri testi raccomandano per migliorare il benessere economico, insieme al diffondersi della conoscenza e degli interscambi. Se perciò i ricchi diventano più ricchi, è possibile che anche i poveri riescano a migliorare la loro situazione e ciò risulta indubbiamente migliore dell’alternativa!
Stefano di Tommaso




SULLE BORSE GLOBALI DUE MONDI CONTRAPPOSTI: TITOLI DIFENSIVI O TECNOLOGICI?

Sui listini di tutto il mondo la galassia dei titoli tecnologici appare avere andamenti sempre più contrapposti a quelli di un’altra galassia, quella dei titoli azionari dei comparti tradizionali. Investire sugli uni risponde infatti a logiche molto differenziate dall’investire sugli altri.

 

Sono oramai molti molti mesi che le borse globali galleggiano su livelli record e che, per questo motivo, i gestori del risparmio si interrogano su come orientare gli investimenti per rispondere alle esigenze dei loro sottoscrittori. L’onda lunga delle nuove tecnologie ha favorito guadagni meravigliosi ma sicuramente i titoli “tecnologici” se da un lato promettono ancora performance eccezionali, dall’altro costituiscono una scommessa forte e rischiosa. I loro corsi sono soggetti a violente oscillazioni anche a causa del fatto che la calma piatta in superficie dei mercati ha incentivato una decisa rotazione dei portafogli.

Sino ad oggi poi anche il mercato dei titoli a “reddito fisso” ha fornito ottime soddisfazioni, ma il livello “quasi zero” dei tassi di interesse fornisce poca attrattiva per gli investitori e per questo motivo essi tendono a preferire investimenti azionari “difensivi” cioè orientati verso titoli a bassa oscillazione e con elevate politiche di dividendi.

Quel che accade perciò rassomiglia ad un processo di polarizzazione degli investimenti. È ormai come se ci fossero per ogni grande borsa del mondo due diversi mercati azionari:

•da un lato quello dei titoli azionari emessi da aziende tradizionali, dove gli investitori hanno da tempo rinunciato a fare scorribande e alla speranza di cospicui apprezzamenti in conto capitale, ma dove cercano invece una sponda di lungo termine, che assicuri loro la cedola e la solidità (per “bondificare” cioè “obbligazionarizzare” i loro investimenti).

•dall’altro lato quello dei titoli emessi da start-up tecnologiche, aziende del mondo internet e società con elevato potenziale di crescita: tutti titoli che esprimono invece forti attese di rivalutazione, assieme ad un’elevata volatilità. Questo mercato risponde al veloce cambiamento delle attese man mano che si chiariscono le tendenze di fondo delle curve esponenziali delle performances. Dunque con titoli come Snapchat che vanno giù e quelli come Amazon o Tencent che invece continuano a correre.

Ovviamente gli investitori non sanno bene se e quando saltellare dall’una all’altra galassia, ma appare loro tuttavia abbastanza chiaro che i titoli appartenenti alla prima sembrano divenuti quasi inscalfibili e immutabili alle oscillazioni degli umori persino quando i peggiori timori geopolitici prendono il sopravvento. Dipendono forse maggiormente dalla liquidità dei mercati che però ancora oggi resta molto elevata (vedi il grafico qui allegato che riporta una delle spiegazioni”tattiche” per cui le borse sino ad oggi non sono andate giù: anche nell’ultimo semestre la liquidità sui mercati si è accresciuta ).

Mentre i titoli appartenenti alla seconda galassia (i “tecnologici”) appaiono molto più sensibili alle oscillazioni degli indicatori economici, al trading online e, in definitiva, al “consensus” del mercato. La loro volatilità è infinitamente più alta anche perché settimana dopo settimana qualcuno di essi appare essere un cavallo stanco, altri corrono più delle aspettative e in media scontano maggiormente i timori di un improvviso ridimensionamento dei listini.

Un interessante comparto industriale rimasto forse a cavallo tra i due mondi appare essere quello dell’automobile, dove convivono FCA e GM da una parte, ancora ostinatamente orientati al design più che all’innovazione e dall’altra parte aziende innovative come Tesla, produttrice di auto elettriche supertecnologiche e capaci di guidare quasi da sole. Con tutte le vie di mezzo come Toyota, WW e Volvo, che hanno saltato il fosso della tecnologia di trazione con motori termici tradizionali ma non del tutto e non prevalentemente.  Ovviamente i titoli di Tesla volano, dominati dalle attese sulle consegne di autoveicoli la cui domanda supera di molte volte l’offerta, mentre sugli altri titoli aleggiano minacciosi i nuvoloni della prossima riduzione della spesa per consumi, cui essi possono risultare più sensibili della media.

Utile anche domandarsi chi ci rimette in una tale forte diaspora tra le due diverse tipologie di titoli azionari, mossa dai timori di fondo di possibili ridimensionamenti delle quotazioni. La risposta è che non rientrano in nessuna delle due categorie oggetto di questa polarizzazione i titoli meno liquidi e quelli a minor capitalizzazione. Ma anche quelli emessi da imprese non fortemente caratterizzate come “market leader” di qualche specifico settore, le start-up in generale e forse anche i progetti di IPO. La polarizzazione degli investimenti in fondo è uno dei tanti modi adottati dal mercato per mettersi sulla difensiva !

 

Stefano di Tommaso

 




ITALIA: L’ECONOMIA NON CRESCE QUANTO LA SPESA E IL DEBITO PUBBLICO

In occasione delle elezioni amministrative, è curioso e triste al tempo stesso notare che le prospettive economiche dell’Italia -e di conseguenza quelle di buona parte di noi- restano fortemente compresse a causa delle politiche economiche alla rovescia fatte dai Governi degli ultimi 50 anni, quello attuale compreso. Ma il segnale che giunge dalle urne alimenta la speranza di riuscire a cambiarle!

 

La crescita economica del ns Paese resta fortemente limitata, se non addirittura bloccata, a causa dell’invadenza della spesa pubblica, del debito che ne consegue, dall’assurda tassazione che esso provoca e dalla burocrazia infernale che si è stratificata. Purtroppo il nuovo salasso dei conti pubblici dovuto al salvataggio delle banche popolari venete è l’ennesimo segnale che il Governo non se ne cura.

L’ovvia affermazione ce la sentiamo ripetere da anni da ogni intellettuale che minimamente voglia far lo sforzo di comprendere l’Italia. Eppure gli Imprenditori, i Professionisti, i Lavoratori Autonomi e gli Investitori nazionali sembrano dimenticarla spesso e volentieri, assuefatti come sono nella loro sudditanza pressoché imbelle alla casta dei politici che governano e continuano a sconquassare l’ex “Bel Paese”: un termine che risale a Dante: «Del bel paese là dove ’l sì sona» (Inf. XXXIII, 80) e al Petrarca: «il bel paese Ch’Appennin parte, e ’l mar circonda e l’Alpe» (Canzoniere, CXLVI) ma che oramai dobbiamo iniziare a cancellare dal ns vocabolario.

UN DESTINO SEGNATO DALLA SPESA PUBBLICA

Non che le cose non stiano andando per l’Italia meglio di prima, e nemmeno che il Paese non abbia fatto progressi. Infinitesimi però. Mentre il destino economico dell’Italia -e, con esso, quello di buona parte di noi Italiani- potrebbe essere completamente diverso, se i politici al governo comprendessero che la spesa e il debito pubblico non possono estendersi all’infinito.

Ricordiamo alcuni numeri e fatti:

– La spesa pubblica assorbe, nel 2016, al netto degli interessi sul debito, il 42.2% del P.I.L. Dunque il costo della macchina statale, compresi gli interessi, assorbe ben più della metà di ogni centesimo del reddito lordo prodotto dai suoi cittadini andando la mattina a lavorare;

– Non stupisce constatare che negli ultimi quindici anni (cioè più o meno da quando siamo nell’Eurozona) oltre mezzo milione di Italiani abbia deciso di portare all’estero la propria residenza, oltre al fatto che un numero probabilmente ben maggiore di giovani leve lo abbia fatto senza ufficialità per apparenti motivi di studio o di temporanea esperienza oltre confine (con il dichiarato desiderio tuttavia di non fare più ritorno). Inutile ricordare che molti di essi sono i migliori, quelli che potrebbero aiutare a cambiare le cose, generare nuove imprese, innovazioni e reddito futuro;

– La crescita economica italiana degli ultimi quindici anni d’altra parte è sempre rimasta molto al di sotto di quella degli altri Paesi OCSE, mentre la spesa pubblica corrente non solo è costantemente aumentata, sia in assoluto che in rapporto al P.I.L., ma è  anzi cresciuta al netto degli interessi sul debito pubblico, quindi senza che la responsabilità dello scandalo possa essere scaricata sul passato;

– Anzi, sono proprio gli interessi sul debito ciò su cui si è più risparmiato, grazie, però, non alle scelte del governo italiano, ma a quelle della Banca Centrale Europea. Mentre i tagli pubblici effettuati ammontano a 16 miliardi nel 2015; 10 nel 2016 e 3 nel 2017 essi non hanno ridotto la spesa corrente -dal momento che il debito continua a crescere- quanto tagliato da una parte è stato più che speso dall’altra. Abbiamo di fatto tagliato solo gli investimenti!

HANNO RAGIONE GLI ALTRI PAESI DELL’U.E.

Numeri alla mano perciò, da un lato hanno ragione gli altri membri dell’Unione quando continuano a pretendere da noi un po’ di rigore, ma dall’altro il rigore noi lo abbiamo tristemente e inutilmente applicato soltanto agli investitori e ai migliori produttori di reddito, elevando continuamente la tassazione (mentre, per effetto della nota Curva di Laffer, in realtà il gettito fiscale scende). Non stupisce che siano i primi a fuggire!
Inutile ricordare che invece in tutto il resto del mondo le tasse vengono tagliate per favorire lo sviluppo e gli investimenti (e, in ultima analisi, persino il gettito fiscale!).

Come si fa perciò a non affermare che ancora una volta noi Italiani ci facciamo governare alla rovescia? È una realtà contabile dimostrata dai fatti e priva di segnali di inversione.
Una realtà che condanna le prospettive economiche delle aziende, che disincentiva le nuove iniziative, che impedisce le nuove infrastrutture, che spinge i nostri migliori cervelli a trasferirsi nel resto del mondo, che sottrae progressivamente quel che rimane dei servizi pubblici, della previdenza sociale, e persino dell’assistenza sanitaria.

SOMMERSO, ESPORTAZIONE DI CAPITALI E ILLEGALITÀ

E mentre oltre la metà del reddito prodotto nel Paese viene sequestrato dalla macchina pubblica, quelli che lo producono hanno sempre più incentivi ad alimentare l’economia sommersa, l’esportazione dei capitali e l’illegalità.
Cioè tutte quelle cose che sembravano migliorare con il nostro ingresso in Europa…  Ma è difficile dare la colpa agli altri per quel che sprechiamo!

Dovremmo “solo” cambiare radicalmente la gestione della Pubblica Amministrazione e, con essa, ogni uomo al suo governo (locale o nazionale che sia) e forse gli Italiani lo hanno capito, poiché il risultato delle elezioni amministrative va in questa direzione, a prescindere dal colore politico.
Se non ci riusciremo tuttavia nel giro di pochi anni essa non esisterà nemmeno più.

 
Stefano di Tommaso