QUOTARSI IN BORSA NEL 2022

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Guerra, inflazione, possibile recessione stanno tenendo emittenti e investitori più lontani dai listini provocandone forti ribassi che hanno influito pesantemente sulla riduzione, nel corso del 2022, del numero delle Initial Public Offerings (IPO). Ma non le ha cancellate del tutto, anche perché la tendenza di fondo è quella di un incremento del loro numero. Sempre più imprese intendono raccogliere capitali nei mercati regolamentati e, per farlo, avviano un percorso di preparazione che può durare anni. Quando risultano pronte per l’IPO, ma arrivano periodi come questo, spesso non lo cancellano tutto bensì si limitano a rinviarlo. Il che è un bene per listini come quello italiano, dove il numero di società quotate è ancora limitatissimo.

 

LE BORSE SCENDONO…

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A Wall Street (di gran lunga la borsa più importante del mondo, spesso anticipatrice di tutte le altre) l’ultima settimana si è chiusa con un ribasso che non si vedeva dall’inizio di gennaio. La causa di questo violento ribasso è legata all’indice dei prezzi al consumo USA di maggio, che ha raggiunto il livello più alto dal 1981. Il dato ha mostrato un aumento dell’8,6% su base annua e del 6% se si escludono i prezzi di cibo ed energia. Gli economisti intervistati da Dow Jones si aspettavano un aumento su base annua dell’8,3% per l’indice principale e del 5,9% per l’indice core. Il grafico qui riportato mostra l’andamento di Wall Street dall’inizio dell’anno: un calo da 4800 punti a 3900 in soli sei mesi!

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Anche gli altri mercati borsistici hanno vissuto molto male la tempesta scatenata dalle banche centrali. L’indice europeo Stoxx 600 per esempio, perde da inizio anno quasi il 14%.

I dati sull’inflazione americana hanno anche riacceso i timori di una recessione. La fiducia dei consumatori americani è scesa violentemente. La lettura preliminare di giugno dell’indice di fiducia ha toccato un minimo storico: è diminuita del 14% rispetto a maggio, proseguendo la tendenza al ribasso dell’ultimo anno e raggiungendo il valore più basso registrato nella sua storia, paragonabile al minimo raggiunto nel mezzo della recessione del 1980. E in effetti grafici come questo mostrano una decisa probabilità che sia in arrivo una nuova recessione globale!

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…MA POI DI SOLITO RISALGONO…

Tuttavia, come si può intuire dal grafico sotto riportato, i corsi azionari hanno una loro ciclicità durante l’anno solare (scendono nella prima parte e salgono nella seconda) e forse anche stavolta, dopo i pesanti ribassi (linea blu) potrebbe esserci una fase di relativa traslazione laterale, seguita da un rimbalzo a partire dal mese di Luglio (i numeri dell’asse delle ascisse sono quelli delle settimane dell’anno), così com’è successo mediamente negli ultimi trent’anni (linea rossa).

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Certo le vendite in borsa riducono la liquidità disponibile, materia prima essenziale per alimentare il fenomeno dei collocamenti azionari delle matricole di borsa: i cosiddetti Initial Public Offerings (IPO).

LE IPO IN OCCIDENTE OGGI SONO UN DECIMO CHE NEL 2021…

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Il valore delle IPO tra USA e Europa quest’anno è sotto del 90% rispetto allo scorso anno. La raccolta di fondi nei primi 5 mesi del 2022 delle matricole al listino principale delle Borse è scesa a 17,9 miliardi di dollari con 157 IPO contro le 628 dei primi 5 mesi del 2021 e 192 miliardi di dollari raccolti. Il problema però non è soltanto occidentale: a livello globale è andata altrettanto male, con 596 IPO contro le 1237 dell’anno precedente e 81 miliardi di dollari raccolti nei primi 5 mesi, contro i 283 del 2021: cioè un calo del 71%. Certo, in questi numeri si può leggere un calo più vistoso dei mercati euro-americani rispetto a quelli asiatici, ma bisogna aspettare la seconda parte dell’anno per tracciare un quadro affidabile, dal momento che molte IPO sono state soltanto rimandate e potrebbero vedersi da Settembre.

Il comparto delle SPAC ha anch’esso visto una notevole riduzione dei numeri: a Wall Street erano state 613 le matricole con una raccolta di 162 miliardi di dollari, mentre nei primi 5 mesi dell’anno sono state soltanto 19 ma tutte di grandi dimensioni.

…MA IN MOLTI CASI SONO SOLTANTO RINVIATE A TEMPI MIGLIORI

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Cosa succede quindi: sono le imprese non vogliono più quotarsi o è il mercato che non è favorevole ad accoglierle? Il punto focale sembra quello della scarsa liquidità. Guerra, inflazione, possibile recessione stanno tenendo emittenti e investitori più lontani dai listini: magari in autunno potrebbe rivedersi un certo ritorno delle quotazioni, soprattutto in Italia dove resta molto elevato il numero di aziende che non sono quotate e che oggi potrebbero fare tale scelta.

La diminuita probabilità di successo del collocamento azionario rende oggettivamente più sfidante il lavoro di molti mesi che le candidate matricole devono svolgere per poter risultare idonee alla quotazione. Ma lo sbarco sul listino azionario è un’operazione complessa che viene preparata in tempi lunghi (soprattutto dal punto di vista della pianificazione strategica) e comunque che si può realizzare in non meno di un semestre. Dunque è possibile che molte società stiano pensando da tempo a tale scelta e che oggi stiano soltanto rimandando l’operazione a tempi migliori.

OGGI “VANNO” SOLTANTO LE ENERGIE VERDI

Sicuramente poi è un tema di settori industriali: in questo periodo di forti tensioni sul mercato dell’energia è evidente che questo è l’unico comparto non intaccato dai ribassi. E infatti buona parte delle candidate alla quotazione nei prossimi mesi sono proprio aziende del settore, a partire dalla De Nora, che fabbrica elettrodi per ottenere idrogeno, o dalla Plenitude, che vende al dettaglio l’energia rinnovabile prodotta dall’ENI. Come si può dedurre dalla tipologia delle maggiori candidate italiane, non soltanto il settore privilegiato per le IPO è quello dell’energia, ma anche e soprattutto se questa è “verde”! Ma restano sullo sfondo l’intelligenza artificiale, la robotica e la cura della persona. Tutti campi sui quali sarà più probabile raccogliere capitali in borsa.

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Nessuno può negare l’urgenza per gli investitori professionali di accumulare titoli con forti caratteristiche ESG (environmental, social and governance). Ma restano appetibili anche le società che operano nelle biotecnologie, nell’aerospaziale e nelle altre tecnologie “verdi” o che aiutano a risparmiare, perché si ritiene che potranno sostenere più di altre i loro margini di profitto con la prossima recessione. Un settore in piena ripresa poi è quello dell’ “outdoor”, a partire da biciclette e trekking, perché considerato pro-ambiente e privo di ricadute inquinanti. Non a caso un’altra candidata alla quotazione alla Borsa italiana è la storica Selle Royal (accessori per biciclette di alta gamma).

Qualche punto di domanda invece attiene (per il momento) alle imprese del settore alimentare perché, pur appartenendo a un comparto per definizione anticiclico, esse hanno subìto enormi rialzi nei costi delle materie prime lacerando di conseguenza negli scorsi mesi i conti economici, senza che sia così scontata la loro capacità di rialzare corrispondentemente i prezzi di vendita.

MA QUANDO ARRIVA LA RECESSIONE BISOGNA INVESTIRE

La borsa però è anche sinonimo del mercato dei capitali e qui si apre un tema ben più ampio: quali imprese hanno davvero saputo cogliere tutte le opportunità di creare valore per i propri azionisti anche senza ricorrere a maggiori investimenti e capitali di terzi? La risposta molto spesso è: “molto poche”. In tantissimi altri casi le imprese sono affette da scarsa capacità di guadagno perché non hanno investito abbastanza, scegliendo spesso di restare “famigliari” e magari poco aperte all’internazionalizzazione. Sebbene non siano soltanto i capitali investiti a poter garantire migliori performances (molto spesso un problema è anche la qualità delle risorse umane di vertice) è inutile dire che in molti casi la scelta di restare piccoli è perdente.

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Proprio perché viviamo in un mondo caratterizzato da una sempre maggiore velocità dei cambiamenti le imprese devono trovare la capacità di reagire, molto spesso investendo pesantemente, quantomeno per cogliere tre obiettivi strategici fondamentali :

  • poter comunicare adeguatamente sulle piattaforme digitali, potenziare la notorietà del marchio, ottenere potenti stimoli di ritorno dal dialogo con la clientela
  • raggiungere la massima efficienza operativa, per esempio a livello energetico e di economicità della produzione, ma anche a livello distributivo che spesso costituisce una formidabile barriera alla crescita
  • potersi permettere una più accurata pianificazione aziendale, con la quale misurare risultati e performances del proprio staff, nonché per adattarsi più velocemente alle mutate condizioni ambientali e alle crescenti richieste di personalizzazione di prodotti e servizi.

IN BORSA SI RACCOLGONO CAPITALI PER LA CRESCITA

E per investire correttamente occorre non soltanto avere capacità di credito, ma anche poter investire in misura congrua del capitale di rischio, adeguando il livello di quest’ultimo alla sfida che ciascun investimento strategico rappresenta: più è elevata e meno si può sostenere con capitale preso a prestito.

La borsa rappresenta per le imprese che possono candidarvisi un’opportunità da questo punto di vista più unica che rara, dal momento che i sottoscrittori del capitale che vi si può raccogliere non andranno ad incidere sul governo dell’impresa e non pretendono di riaverli indietro con gli interessi. Ovviamente però stanno molto attenti a comprendere se esistono reali opportunità di creazione di valore!

IPO: BUONE OPPORTUNITÀ NON SOLO PER LE IMPRESE

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Ma le matricole in borsa possono rappresentare anche una buona opportunità per chi investe: mediamente le valutazioni d’azienda in occasione dei collocamenti iniziali vengono scontate del 20-30% rispetto al valore teorico. E se guardiamo al listino americano la maggior parte delle imprese che oggi mostrano la più alta capitalizzazione vent’anni fa non c’erano!

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Questo non è di per sé garanzia di guadagno nel sottoscrivere tali offerte pubbliche, ma aiuta poiché soprattutto per la borsa italiana, fortemente dipendente da pochi titoli relativi alle banche e alle public utilities, le IPO sono un’occasione abbastanza rara (e dunque mediamente da cogliere) di diversificazione degli investimenti. Se mettiamo insieme lo “sconto matricola” con l’opportunità di diversificazione degli investimenti, ecco che quelli nelle matricole di bors risulta nel lungo termine vincente.

Stefano di Tommaso




MOLTA LIQUIDITÀ A PIAZZA AFFARI

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Nonostante l’enorme volatilità che ha caratterizzato l’inizio del 2022 per le borse di tutto il mondo, quella italiana sembra promettere relativamente bene per l’anno in corso, e non solo per motivi macroeconomici, ma anche per i numerosi ”Initial Public Offering“ (IPO) in programma quest’anno e per la liquidità che vi sta affluendo. La piattaforma Euronext permette agli investitori istituzionali di osservare contemporaneamente tutti i listini locali, incrementando così l’attenzione verso quelli più periferici come il nostro. E ciò potrebbe risultare decisamente favorevole per sostenere le imprese italiane che vogliono svilupparsi.

 

LA LIQUIDITÀ RESTA ABBONDANTE

Nonostante tutti facciano scongiuri per la guerra in Europa dell’Est e professino cautela per l’anno in corso, dai gestori di fondi e patrimoni sembra trasparire un moderato ottimismo per le borse quest’anno, quantomeno a causa del fatto che i rendimenti reali negativi spingeranno verso l’azionario un probabile travaso dai titoli obbligazionari. In aggiunta possiamo sperare che l’economia italiana continui a recuperare il divario accumulato nei confronti del resto del continente e dì conseguenza i profitti delle imprese possano continuare a crescere, seppure ad un ritmo ridotto a causa del maggior costo dell’energia e dell’elevata tassazione, rispetto alla maggioranza degli altri paesi europei.

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La banca centrale di Francoforte si è poi mostrata sino ad oggi relativamente più accomodante rispetto alle altre banche centrali e per il momento sta continuando ad acquisire titoli pubblici immettendo di fatto altre risorse nel sistema finanziario, seppur ad un ritmo progressivamente decrescente. L’afflusso originato dalla BCE si trasmette indubbiamente anche alle borse e risulta favorevole alle operazioni di IPO, che quest’anno anche in Italia potrebbero risultare particolarmente numerose, come indicato di seguito.

Nel grafico qui sotto riportato: l’andamento dell’aggregato monetario “M1” fino allo scorso Dicembre nell’Eurozona.

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IL FILONE ESG

L’Italia è poi molto orientata ad investimenti in ambito di sostenibilità e questo può favorire l’ottimismo degli investitori, che sono più che mai a caccia di opportunità compatibili con il nuovo “mantra” dei mercati: la sigla ESG. Questa sintetizza i 3 principi cui deve rispondere l’attività delle imprese che vogliono mostrarsi capaci di produrre risultati non solo da punto di vista economico, ma anche nel rispetto della natura e nel favorire il miglioramento sociale dentro e fuori di esse. In particolare: “environmental”, richiama l’impatto di sostenibilità dell’attività per l’ambiente e il territorio, “social“, l’impatto dell’azienda sul contesto socioeconomico in cui è inserita, e “governance” la capacità di mostrare un governo interno diffuso e trasparente.à

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I criteri ESG (e la misura della rispondenza agli stessi da parte delle imprese: il cosiddetto “rating ESG”) sono oggi utilizzati da chi investe per selezionare le migliori imprese dal punto di vista della sostenibilità a lungo termine e le aziende che possono dimostrare di essere più attente al rispetto di questi principi godono pertanto del favore -talora esclusivo- degli investitori. Questi non soltanto si vedono costretti a ruotare i portafogli in direzione di maggior prudenza, ma temono anche che i titoli emessi da imprese non rispondenti a tali criteri possano -nel tempo- subire un progressivo deprezzamento, anche a causa dei vincoli normativi che dovranno sempre più rispondere all’emergenza ambientale.

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E spesso, per i criteri ESG, le imprese italiane, con le loro forti capacità in ambito culturale, artistico, alimentare e ingegneristico, spesso esprimono vere e proprie eccellenze, cosa che può favorire la borsa italiana rispetto a quelle di altri paesi europei.

POSSIBILI I.P.O. PER QUASI 5 MILIARDI DI EURO NEL 2022

Un altro aspetto che potrebbe favorire il listino nazionale è la grande mole di nuove quotazioni in borsa previste per l’anno in corso. Non è passato nemmeno un paio di mesi e la raccolta di capitali in borsa per le imprese italiane si è già approssimata al primo miliardo di euro!

Al momento anzi sarebbero esattamente 752 milioni di euro, senza contare però l’IPO di Iveco a inizio anno -la prima del 2022- che, formalmente, è consistita solo in uno splitting delle azioni della casa madre, ma che di fatto ha reso liquida sul mercato una quota importante di minoranza (per un controvalore di circa 1 miliardo di euro) di un’azienda che capitalizza circa 3 miliardi di euro.

Il settimanale Milano Finanza ha pubblicato un elenco di 5 probabili matricole in probabile arrivo sul listino entro la prima metà dell’anno al solo segmento MTA della borsa di Milano il cui ammontare dei collocamenti potrebbe assommare a quasi un altro miliardo di euro: De Nora, Selle Royal, Chiorino, Shopfully e una SPAC in ambito sostenibile. Totale: almeno altri 800 milioni di euro.

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E potrebbe non essere finita qui. Si parla infatti con insistenza almeno di altre sei importanti IPO (forse tutte all’MTA, con un collocamento medio di almeno una cinquantina di milioni): Fedrigoni, Cantiere del Pardo, Facile.it, Epta, Illy, Thun, OTB (only the brave: Renzo Rosso). Se così fosse, aggiungeremmo ulteriori 300-500 milioni al totale.

Poi sono inevitabilmente in arrivo le circa quaranta matricole del segmento EGM (Euronext Growth Milan, l’ex AIM) la cui raccolta media potrebbe superare quella dello scorso anno (sono 843 i milioni raccolti nel 2021 su 43 IPO), assicurando così una raccolta ulteriore di almeno un altro miliardo di euro a quanto sopra indicato. Si perché forse quest’anno potrebbero essere anche di più. Si può perciò ipotizzare che con queste matricole il totale della raccolta da IPO italiane salirebbe nel complesso a 2,5/2,8 miliardi.

Ma c’è in più la probabilissima IPO della controllata di ENI nelle energie rinnovabili, Plenitude Spa, del valore teorico di 10 miliardi di euro e il cui collocamento azionario al segmento STAR potrebbe da solo assommare ad almeno 2,5 miliardi di euro. Ecco che il totale della raccolta dell’anno svetterebbe perciò a circa 5 miliardi!

E questo importo non conteggia le numerose imprese italiane che al momento hanno scelto di quotarsi alla borsa di Parigi, in quella di Londra o a New York, dove ad esempio la sola D-Orbit ha ottenuto 160 milioni di euro dalla “business combination” con una SPAC di nome Breeze Holdings che l’ha valutata poco più di un miliardo di euro.

Insomma, rispetto all’anno scorso, che già era stato positivo per Piazza Affari, con 49 IPO di cui 44 all’AIM (e una raccolta totale di oltre 2,3 miliardi di euro, di cui circa 844 all’AIM), quest’anno sembra promettere ancora meglio. Ovviamente pesano come macigni sulla possibilità che ciò accada le minacce di guerra e i possibili eccessi di reazione da parte delle banche centrali all’inflazione che, trascinata dal rincaro dei costi energetici, è oramai proiettata a superare la doppia cifra entro la fine dell’anno. Nel grafico che segue un elenco dei principali investitori intervenuti nel corso del 2021, con un’evidente numerosità degli operatori stranieri!

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Le matricole della borsa portano infatti con sé un forte contenuto di innovazione, dinamismo, investimenti e internazionalizzazione. Tutte qualità che aiutano i loro titoli ad andare controcorrente rispetto alle società già quotate e ad attirare capitali sulla nostra piazza..

ALLORA CONVIENE ANCORA INVESTIRE IN BORSA?

Non è affatto detto che la spirale inflazionistica continuerà a lungo, e tutti sperano nella possibilità che le banche centrali mantengano nei prossimi mesi la posizione assunta senza accelerare la risalita programmata dei tassi d’interesse. Se così sarà, allora i mercati non subiranno importanti correzioni e, anzi, la liquidità continuerà ad affluire alle borse, quantomeno per la parte proveniente dal disinvestimento sui titoli a reddito fisso. Nel grafico qui sotto riportato si può vedere che nel mese di Gennaio è andata così a livello globale:

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A questo risultato potrebbero inoltre contribuire anche i proventi dei Programmi Individuali di Risparmio (PIR) che sono ancora in piedi, così come le risorse provenienti dall’estero sulle società italiane più promettenti dal punto di vista tecnologico o dalle prospettive migliori.

Difficile invece anticipare cosa succederebbe qualora lo scenario economico si deteriorasse parecchio. Nei prossimi giorni saranno pubblicati in Europa tanto i dati sull’indice PMI manifatturiero quanto quelli sull’inflazione (CPI). Sarà una misura aggiornata del deterioramento apportato alla crescita economica da parte dell’inflazione dei prezzi, sulla base della quale i mercati valuteranno quanto ottimismo è ragionevole ancora avere.

Sicuramente nei prossimi giorni la volatilità è destinata a restare alta e, nella bagarre, è oggettivamente difficile districarsi tra alti e bassi per valutare l’effettivo andamento dei listini. Ma molti osservatori concordano con una visione moderatamente ottimistica circa i listini borsistici europei.

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TANTO PEGGIO TANTO MEGLIO

Sicuramente i dati macroeconomici in arrivo saranno abbastanza negativi ma la sensazione è che non saranno tali da invertire il clima positivo che si respira in Borsa. E’ possibile che l’importante numero di società che affluiranno al listino azionario possa sfoltirsi in tal caso, perché inevitabilmente le valutazioni risentirebbero della situazione. Ma non è così scontato che l’inflazione produca un ribasso delle borse e una riduzione del numero delle IPO, dal momento che i nuovi collocamenti azionari avvengono sempre a sconto rispetto ai valori teorici di capitalizzazione.

Dunque così come è già successo che gli importanti ribassi visti sulle borse da inizio d’anno non hanno sino ad oggi influito sui programmi di IPO, è altrettanto possibile che molti di questi IPO programmati non vengano cancellati, almeno se non succederà nulla di eclatante. Senza contare il fatto che l’incremento di inflazione potrebbe orientare a maggior ragione gli investitori verso il listino azionario. La borsa valori insomma resta sino ad oggi l’investimento più consigliabile, soprattutto se si tiene conto dell’inflazione e dei conseguenti rendimenti reali negativi offerti dai titoli a reddito fisso.

La maggior parte delle imprese quotate non solo promette un dividendo che talvolta è più ricco delle cedole, ma è anche in posizione rialzista di fronte all’inflazione. I loro titoli azionari possono costituire nel tempo un’ottima riserva di valore, se la frenata dell’economia non arriva sino alla recessione (cosa ad oggi poco probabile).

Stefano di Tommaso




LE STARTUP AMERICANE FANNO CASSA

La quotazione in borsa di Uber Technologies sembra la perfetta occasione per fare qualche considerazione di fondo sulla schiera di “unicorni” (così vengono chiamate le nuove imprese dell’era digitale che superano la valutazione di un miliardo di dollari) i cui sopravvalutatissimi titoli stanno per riversarsi ancora una volta a Wall Street, sulla scia della nuova ondata di liquidità che le banche centrali continuano a immettere sui mercati.

 


Secondo una stima indipendente al momento si possono contare più di 340 di quegli “unicorni” quando ce n’erano circa un decimo in numero solo cinque anni fa (39 per l’esattezza), la maggior parte dei quali (21 per l’esattezza) oggi sono già quotati in borsa, cambiandone radicalmente i connotati.


Non che sia andata così male: se prendiamo l’andamento delle famose FAANG (Facebook Amazon Apple Netflix e Google), le loro quotazioni negli ultimi tempi hanno corso ben più dell’indice più usato per valutare l’andamento della borsa americana, come si può leggere dal grafico qui riportato:


Ma la proliferazione di queste società (gli “unicorni” sono soltanto la punta dell’iceberg di un’intera generazione di startup che hanno trovato risorse presso gli investitori privati) e delle loro favolose valutazioni è probabilmente anche il risultato della ricerca spasmodica -da parte degli investitori- di nuove più rischiose opportunità su cui investire la montagna di liquidità sulla quale essi sono seduti. Nel 2018 per la prima volta gli investimenti complessivi nelle startup tecnologiche da parte degli americani hanno superato i 100 miliardi di dollari !


Solo pochi anni fa qualcuno aveva denunciato il fenomeno del cosiddetto “savings glut”(cioè la congestione dei risparmi, che non erano mai stati così alti a causa del miglioramento delle condizioni generali di vita, dell’invecchiamento progressivo della popolazione ricca, eccetera…) facendo notare al tempo stesso che le opportunità di investimento mobiliare non si erano moltiplicate allo stesso ritmo, spingendo in tal modo al rialzo i titoli a reddito fisso (e al ribasso i loro rendimenti) e a nuove vette le quotazioni delle principali borse del pianeta. Già questo fenomeno può spiegare in buona parte la montagna di quattrini che si riversano sugli investimenti più rischiosi.

Ma come si può riuscire a distinguere tra l’oceano di nuove iniziative quelle che faranno le migliori performances, quando supereranno la fase iniziale di perdite di bilancio? La risposta più onesta è che molto spesso non si può. Quello che oggi conta di più tra le vincenti della loro categoria è piuttosto la loro capacità di attrarre risorse finanziarie per crescere dimensionalmente.

Uber da questo punto di vista, con la sua teorica valutazione di 100 miliardi di dollari è la perfetta prova di tale affermazione! Dopo dieci anni di sonore perdite economiche (ha bruciato circa 20 miliardi di dollari) il suo giro d’affari, 11,3 miliardi nel 2018, è salito del 42% rispetto al 2017, che invece aveva visto il raddoppio rispetto a 2016. Il numero di utenti mensili è balzato del 34% a 91 milioni nell’ultimo anno e sua volta era cresciuto ben di più, del 51%, nel 2017. Le risorse finanziarie di cui è stata dotata hanno infatti permesso a Uber di espandere il proprio modello di business a qualsiasi servizio dove avrebbe potuto utilizzare dei collaboratori esterni per fare consegne, di qualsiasi cosa, nonostante la quasi totalità di quei servizi sia in perdita.

Lyft, che si è quotata in Borsa pochi giorni fa a livelli ben più bassi (24 miliardi), ha semplicemente spinto meno sull’acceleratore perchè aveva meno risorse da spendere per la sua crescita. E la notizia che le operazioni di quotazione sembrano andare benone sta spingendo Pinterest, l’ennesimo social network in forte perdita, a scaldare anche lei i motori per la borsa!

È quello che recentemente gli economisti hanno battezzato come “esuberanza irrazionale”: l’eccesso di ricchezza (e di aspettative sulla crescita economica) porta a scommettere su nuovi modelli di business persino laddove non c’è alcun indicatore che possa far presumere razionalmente la prospettiva di un profitto. Ovviamente la misura di questa esuberanza è cresciuta soprattutto negli ultimi anni, insieme con la ricchezza degli investitori, come si può vedere dal grafico:


Ma il fenomeno della montagna di liquidità che -aperte le cateratte della borsa- si riversa sugli unicorni al momento della quotazione ha molti altri risvolti sociali e industriali. Innanzitutto quello sulla competitività con i loro concorrenti del passato: inutile far notare che il momento è drammatico per tutti coloro che si occupano di consegne locali “alla vecchia maniera” nelle città dove Uber o Lyft sono presenti. Nessuno di loro dispone delle risorse che hanno questi colossi per perdere ancora denaro! E’ chiaro che per tutti gli altri i margini si schiacciano e il modello di business in può più prescindere da internet e dalla pubblicità online, cosa che a sua volta riduce le entrate pubblicitarie dei giornali locali, delle televisioni regionali e delle affissioni.

Ma la cosa più buffa sono i prezzi delle case, che nelle città più interessate (San Francisco e Los Angeles) alla pioggia di denaro che si sta riversando da Wall Street sono già in passato schizzati alle stelle e ancora una volta si apprestano a crescere. Molti dei beneficiari delle gigantesche valutazioni hanno infatti dormito in un appartamento in comune con molti altri giovani fino a poco tempo fa, e adesso vogliono spostare sull’economia reale i guadagni realizzati su quella “di carta”.

Rischia di andare un po’ come per l’oro del Portogallo, arrivato nel diciassettesimo secolo assai copioso dalle colonie d’oltreoceano, è stato capace di bruciare l’economia reale nel giro di pochi anni, arrestandone il normale funzionamento. Ma per fortuna questa volta il fenomeno sociologico è ben più esteso. Da ogni parte del mondo si investe e si è investito nelle società che sono destinate a cambiare per sempre il volto industriale del mondo. E i frutti che ne derivano vanno anch’essi in tutte le direzioni.

Se poi sarà davvero una manna o viceversa risulterà essere stata una (pericolosissima) moda del momento, lo sapranno soltanto i posteri. Per ora possiamo soltanto cercare alche paragone, come ad esempio la statistica degli ultimi 55 anni qui sotto riportata, che distingue tra imprese valutate poco in relazione ai loro elevati profitti (primo istogramma), quelle dell’indice più diffuso della borsa americana (secondo) e quelle valutate molto e con bassi profitti (terzo):


È chiaro che partire dal 1963 può essere un po’ distorsivo, ma è altrettanto vero che abbiamo già visto scoppiare la bolla speculativa delle “dot.com” dei primi anni ‘90 ed è piuttosto elevato il rischio che anche stavolta la bolla delle aspettative scoppi prima che il nuovo corso si consolidi.

Stefano di Tommaso




CON LA QUOTAZIONE DI NEXI E SIA, LA BORSA VA VERSO LE FINTECH

Con l’ipo di Nexi (la ex Carta SI) si prospetta per la Borsa Italiana una delle più importanti quotazioni previste nel 2019 in tutta Europa. Il gruppo Nexi, attivo nella gestione delle carte di credito e leader nei pagamenti e nella monetica, è nato dall’Istituto Centrale delle Banche Popolari (Icbpi) e da CartaSì ed è posseduta da un consorzio di fondi di private equity: Bain Capital, Advent e Clessidra. Ha un valore che, secondo le ultime indiscrezioni, potrebbe essere compreso tra 7 miliardi e 7,5 miliardi.

 


L’operazione Nexi è destinata a muovere le acque stagnanti della Borsa Italiana non soltanto perché si tratta di una delle maggiori ma anche perché il mercato dei sistemi di pagamento è in grande fermento in tutta Europa! Il gruppo, guidato da Paolo Bertoluzzo ha in progetto di sbarcare sul listino del mercato telematico azionario entro aprile per permettere ai fondi di private equity Clessidra, Bain e Advent di disinvestire, dopo essere rimasti soci di Nexi dal 2014 con il 93,2% del capitale.

ANCHE SIA GUARDA ALLA BORSA

Alla faccia del rischio-Italia poi, la quotazione in Borsa di Nexi non sembra peraltro destinata a rimanere isolata per la Borsa Italiana, dal momento che si fa un gran parlare anche di quella di SIA, società italiana che ha Cassa Depositi e Prestiti come primo azionista attraverso Fsia Investimenti srl (49%, oltre a un 17% indirettamente detenuto tramite F2I) ma che può vantare tra i propri azionisti anche Banca Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Mediolanume e Deutsche Banked ed è attiva nella progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture tecnologiche per istituzioni finanziarie, banche, imprese e pubbliche amministrazioni, nelle aree dei pagamenti e della monetica in oltre 50 Paesi, anche attraverso società controllate in Austria, Croazia, Germania, Grecia, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Ungheria e Sudafrica. La società ha inoltre filiali in Belgio e Olanda e uffici di rappresentanza in Inghilterra e Polonia.

Anche per SIA il dossier quotazione è aperto da tempo, per due grandi motivi: per finanziare la crescita interna dei ricavi (Payments Canada ha appena scelto Sia per realizzare il nuovo sistema nazionale per i pagamenti di importo rilevante denominato Lynx) che si prevede arrivino a 800 milioni in 2 anni, e per effettuare due importanti acquisizioni in Europa dove SIA è già in short-list.

L’IPOTESI DI FUSIONE TRA NEXI E SIA

La valutazione che circola sul mercato per SIA è di circa 3 miliardi di euro e l’importo previsto di raccolta dalla Initial Public Offering, assommando l’aumento di capitale e la cessione di azioni da parte degli attuali soci, dovrebbe raggiungere il miliardo di euro. Non è nemmeno esclusa la fusione tra le due realtà (Nexi e SIA), da cui potrebbero nascere sinergie immediate per quasi 100 milioni di euro e un gruppo risultante dall’aggregazione con valorizzazione superiore a 10 miliardi di euro, in grado di competere con colossi come Wirecard, Worldpay, Igenico, Worldline e Nts nelle acquisizioni di realtà minori, nonostante i multipli siano stellari (con valutazioni intorno alle 20 volte l’EBITDA).

IL PRECEDENTE DI ADYEN

La verà novità è perciò quella che in Europa gli investitori del mercato dei capitali stanno tornando a rivolgere la loro attenzione ai titoli delle società attive nei servizi digitali di pagamento. Il mercato delle FinTech sino all’altro ieri sembrava destinato ad essere oggetto di attenzione soltanto da parte del Venture Capital, ma oggi non è più così.

C’è ad esempio il precedente di Adyen, società olandese che si è quotata pochi mesi fa alla borsa di Amsterdam con una valutazione di circa 7 miliardi di euro, che offre servizi di pagamento estremamente competitivi grandi banche e emittenti di carte di credito, nonché sistemi di pagamento online. Ayden ha acquisito clienti di primissimo piano tra cui, da Facebook a Uber, e ha registrato ricavi per oltre un miliardi di euro nel 2017. Non solo. Poco tempo fa Adyen ha rimpiazzato PayPal come fornitore ufficiale di Ebay, posizionandosi così al vertice del settore dei pagamenti.

LO SGUARDO LUNGO DELLE BIG TECH


Oltre ai tradizionali operatori dell’universo dei pagamenti digitali, compresi Bancomat (società partecipata da 132 istituti di credito e che fornisce servizi finanziari a 440 banche), e i gestori di carte di credito come Visa e Mastercad, a cercare di rafforzare le posizioni a livello internazionale ci sono anche le BigTech mondiali, da Apple a Alibaba fino a Samsung, e non è un caso che Amazon, Google, Facebook stanno cercando di ottenere licenze bancarie in Lussemburgo, Irlanda e Lituania.

Da non sottovalutare poi la contiguità di questo mercato con quello delle «fintech», piattaforme in grado di offrire servizi finanziari e di trasferimento di denaro tra privati come, per quanto riguarda l’Italia, Satispay, che oggi conta 430mila clienti, o Tinaba che promette di trasformare lo smartphone in un portafoglio.

UN MERCATO CHE PUNTA AL RADDOPPIO

Nel 2021, secondo uno studio di Cap Gemini e Bnp Paribas, i pagamenti digitali nel mondo arriveranno a raddoppiare i valori attuali, toccando gli 880 miliardi. In Italia, dove solo il 28% delle transazioni avviene senza denaro contante, lo spazio di crescita appare più ampio che mai.

Stefano di Tommaso