COSA CI FA DONALD TRUMP AL FORUM DI DAVOS (LA FIERA DEI MULTIMILIARDARI CHE VOGLIONO ORIENTARE IL MONDO)?

Alla vigilia della nuova edizione del forum globale dell’economia di Davos è passata quasi completamente in sordina la denuncia dell‘ulteriore crescita disparità economica tra ricchi e poveri, da parte dell’organizzazione britannica non governativa OXFAM. In particolare la ONG citata segnala che nel primo semestre 2017 l’1% più ricco della popolazione mondiale continua a detenere più ricchezza del restante 99%. Inoltre nel 2017 l’82% dell’incremento della ricchezza globale è andata in tasca all’1% più ricco mentre il 50% più povero della popolazione mondiale non ha affatto beneficiato di tale incremento.

 

Ecco dove sta andando il mondo, diversamente dall’italia (per fortuna indietro in questa tendenza) dove ancora il 20% più ricco detiene solo il 66% della ricchezza. Secondo Voi a Davos   multimiliardari  riuniti a congresso per interrogarsi sulle sorti dell’umanità (e influenzarle) metteranno questa inquietante tendenza al centro del loro dibattito?

Ovviamente no. Così come gli americani dicono che nessun tacchino accetterebbe un invito a tavola per il giorno del ringraziamento! Quale multimiliardario vorrà mai accorrere a congresso per sentirsi dire che deve ridistribuire ai poveri una parte maggiore della propria ricchezza?

DAVOS = GLOBALIZZAZIONE

Il Forum di Davos nasce quasi mezzo secolo fa per iniziativa del professor Klaus  Schwab all’insegna della volontà di incrementare la globalizzazione dell’economia, vista allora inizialmente come la catena di trasmissione della ricchezza dai paesi ricchi a quelli meno avanzati. Il Forum ha sempre avuto poi la volontà di porsi domande sulle maggiori tendenze e minacce globali. Ma non ha mai nascosto a nessuno che -dal momento che vi si discute di economia, innovazione scientifica e regolamentazione dello sviluppo- i capitani d’industria e della finanza che sono lì riuniti si interroghino costantemente anche su come fare a trarne profitto.

La cosa di per sé non sarebbe uno scandalo se non fosse che a quel dibattito partecipano anche i più potenti politici del mondo e gli esponenti delle più importanti organizzazioni sovranazionali, gli stessi che dovrebbero invece preoccuparsi della tutela delle classi più svantaggiate, dello sviluppo economico dei paesi meno avanzati, della redistribuzione del reddito. Ovviamente il confronto tra gli uni e gli altri è utile, ma l’eventuale promiscuità è un’altra cosa.

DEFICIT COMMERCIALE E DISOCCUPAZIONE: CONSEGUENZE DELLA GLOBALIZZAZIONE INDISCRIMINATA

Al centro della prima globalizzazione e poi della crescita del commercio mondiale sino all’industrializzazione dell’intero continente asiatico c’è sempre stata la politica americana.

L’America, da Bill Clinton fino ai tempi di Barack Obama, ha sempre incoraggiato queste tendenze, sino a che la situazione non è tuttavia diventata insostenibile e non è stato eletto Donald Trump alla presidenza di quella nazione, proprio in risposta all’esigenza di contrastare una deriva contraria agli interessi del popolo americano .

Quello che molte testate giornalistiche non dicono è che Trump è stato eletto nel 2016 perché chi ha beneficiato della globalizzazione sono stati solo i privati imprenditori e investitori, mentre l’America negli ultimi 17 anni ha accumulato un deficit commerciale di oltre 4000 miliardi di dollari e si è indebitata verso l’estero per quasi 8000 miliardi di dollari, una cifra pari a circa il 41% del suo Prodotto Interno Lordo e superiore al Prodotto Interno Lordo di quasi tutte le altre nazioni!

L’export cinese verso gli USA vale da tempo oltre la metà delle sue importazioni e, non a caso, la Cina ha accumulato enormi risorse in Dollari (oltre 2000 miliardi) in buona parte oggi reinvestite in titoli del Tesoro americano.

IL DISCORSO DI TRUMP

È dunque probabile che Donald Trump che chiuderà i lavori della fiera dell’economia globale faccia qualche annuncio a forte impatto mediatico, come la denuncia di tutto ciò e degli interessi che vi sono dietro, magari proponendo ulteriori misure di ribilanciamento del commercio mondiale. La cosa è assai temuta da tutti coloro che rischiano di vedere danneggiati i propri interessi ed è questo il motivo per cui a questa edizione di Davos parteciperanno proprio tutti, persino Claude Junker che fino all’anno scorso aveva sempre snobbato il Forum. È persino arrivato un  messaggio di Papa Francesco.

C’è addirittura chi diceva che lo shutdown delle spese governative americane fosse stato imposto dai rivali di Trump anche per impedirgli di venire a partecipare a Davos! Cosa evidentemente esagerata, ma che indica lo stato di allerta generale.

Trump, che di norma è sempre molto coerente con i suoi elettori, probabilmente chiederà un riequilibrio strutturale del commercio mondiale, cosa che non farà piacere alla maggioranza dei convitati. Ma le conseguenze del possibile mancato accordo su questo tema potrebbero riguardare un nuovo innalzamento delle tariffe doganali o l’abbandono di altri trattati sul libero scambio. È da leggersi in questo senso l’accorato appello lanciato dal presidente indiano Narendra Modi nel suo discorso introduttivo.

Ma D’altronde non ci sono solo gli USA a voler contrastare un deficit commerciale strutturale, bensì anche la Gran Bretagna e la Francia, non a caso percepite in questo momento come forti alleate di Trump nella guerra santa verso il liberismo a tutti i costi.

RISCHI DI NUOVE GUERRE COMMERCIALI O DI NUOVE CRISI FINANZIARIE GLOBALI

Nel suo intervento Trump potrebbe rinunciare alla partecipazione a un comunicato congiunto in linea con il tema del Forum (“Creare un futuro condiviso in un mondo diviso”) e chiedere invece nuove regole per il commercio internazionale per frenare le peggiori conseguenze del globalismo indiscriminato.

E sarebbe piuttosto facile per i suoi avversari denunciarne la bieca volontà di erigere nuove barriere commerciali.

Ma le aberrazioni in termini di deindustrializzazione, disoccupazione e deficit pubblico (derivanti da quanto succedeva sino ad oggi) hanno danneggiato soprattutto il welfare delle classi sociali più deboli e questo fatto non è un elemento messo a fuoco dai principali media che partecipano al coro dei detrattori di Donald Trump.

In ogni caso l’eventuale irrigidimento delle reciproche posizioni non sarebbe privo di rischi per il sistema finanziario globale e per il commercio internazionale. A meno che ciò non sia addirittura espressamente desiderato da chi potrebbe trovare il modo di specularci sopra…

Stefano di Tommaso




MERCATI FINANZIARI: LIQUIDITÀ INNANZITUTTO!

Contrordine: avanti tutta! A volte bisogna ammettere di aver sbagliato e rivedere criticamente le proprie analisi: la liquidità dei mercati finanziari -già da tempo ai massimi- invece di iniziare a scendere cresce ancora e può dunque alimentare un ulteriore slancio verso nuovi massimi.

 

Con la vittoria di Macron alle presidenziali francesi non si può non prendere nota del rilascio ancora una volta di forti dosi di endorfine da parte del sistema finanziario globale, oramai da molti mesi, dopo l’estate 2016, subito a valle dello spavento (durato invero assai poco) conseguito dopo la vittoria della Brexit e in contemporanea all’elezione del più populista di tutti i leaders politici: Donald Trump.

UN FORTE E PROLUNGATO RILASCIO DI ENDORFINE

L’Unione Europea guadagna, con le elezioni francesi, uno dei suoi maggiori sostenitori di uno dei maggiori Paesi “centrali”, quelli che ne potevano avviare la disgregazione e che invece ne sosterranno l’evoluzione. Un messaggio politico importante (di stabilità) che non potrà non trasmettersi ai mercati finanziari, da tempo “dopati” da questo e da molti altri segnali favorevoli allo sviluppo dell’economia mondiale.

Quelle endorfine degli investitori hanno generato uno dei rialzi più sensibili delle borse mondiali nell’ultimo semestre, nonostante esso fosse anche uno dei più improbabili della storia economica, perché arrivato al termine di un lungo ciclo di crescita durato otto anni dal 2008, anno di deflagrazione della crisi di Wall Street, dopo due vittorie politiche “anti-sistema” come la Brexit e Trump, dopo un deciso calmieramento dei prezzi di petrolio e materie prime e in contemporanea ad un forte rimpatrio dei capitali verso i Paesi più sviluppati, cosa che aveva fatto temere per forti conseguenze nei confronti delle economie emergenti.

Invece anche in periferia del mondo è successo l’esatto contrario: le borse dei paesi emergenti sono salite (molto) e le loro valute non ne hanno risentito più di tanto.
Morale: non soltanto i mercati ancora una volta gongolano e riposano su un letto di buone e rassicuranti notizie, ma lo fanno :
– dalla cima dell’Everest, cioè nonostante si trovassero già in situazione di ipercomprato;
– contro ogni previsione con una contemporanea discesa dell’indice di volatilità al livello più basso degli ultimi dieci anni!

MERCATI FINANZIARI: LA VOLATILITÀ SCENDE, LA LIQUIDITÀ SALE

Lo scorso 12 Aprile l’indice della volatilità (quello più noto, riferito all’indice di borsa americano Standard & Poor’s 500) aveva toccato un massimo relativo di periodo (circa quota 16), che faceva pensare all’inaugurazione di una nuova fase di dubbi e sussulti, tanto per il fatto che ai livelli raggiunti dalle borse molti investitori avrebbero iniziato ad alleggerire i loro portafogli, quanto perché solo un mese fa l’inflazione sembrava riprendere corpo e numerosi venti di guerra spiravano in tutte le direzioni del pianeta, alimentando tensioni geopolitiche e il timore di possibili rincari petroliferi.

Invece, soltanto un mese dopo, dobbiamo prendere atto che è successo l’esatto opposto: l’indice della volatilità è sceso a quota 10, i mercati hanno letteralmente ignorato i rischi geopolitici (si legga al riguardo il recente articolo del Giornale Della Finanza :http://giornaledellafinanza.it/2017/05/03/gli-interessi-dietro-la-questione-nord-coreana/ ) nonché le vertigini che potevano scaturire dal camminare su un filo teso tra le vette stratosferiche toccate dalle valutazioni aziendali implicite nei livelli raggiunti delle borse.

Anzi: la loro volatilità è discesa e la loro liquidità è cresciuta, complice anche il fatto che oggi tutte le opinioni sugli utili aziendali e quindi anche sul futuro dei mercati borsistici sembrano essere molto buone. E se il mercato ha esattamente metà dei suoi partecipanti che acquista e l’altra che vende, la sua liquidità cresce! Diverso sarebbe trovarsi in un mercato dove in un determinato istante tutti comprano o tutti vendono: in un tale mercato sarebbe più difficile liquidare la propria posizione o costruirne una, perché sarebbe difficile trovare una contropartita. In un tale mercato -a parità di tutto il resto- la liquidità sarebbe inferiore.

ADESSO COSA ACCADE

Chiaramente, dopo che l’ennesima buona notizia è andata a corroborare il “sentiment” dei mercati, tutti si chiedono cosa succederà dopo. La finanza tende ad anticipare sempre le notizie e non è affatto detto che, subito dopo il loro conclamarsi, esso ne anticipi invece altre di segno negativo, che le statistiche economiche registreranno soltanto molti mesi dopo. “Buy on rumors and sell on news” dicono le vecchie volpi!

È sempre possibile che adesso i mercati vadano giù, ma è relativamente improbabile per i motivi sopra segnalati e altro ancora:

– primo, perché il quadro generale è comunque positivo anche per i mesi a venire , dunque non tale da alimentare fughe repentine;
– secondo, perché la buona liquidità generale favorisce un basso livello di onde del mercato (le stesse registrate dall’indice di volatilità) e dunque il miglior assorbimento di qualunque iniziativa di investitori decisi ad andare controcorrente senza impatti significativi sulle quotazioni;
– terzo, perché i tassi bassi, la tendenza ad ulteriori discese di costi energetici e materie prime (che scoraggia l’inflazione) e il buon ritmo di crescita dell’economia globale sono tutti fattori che spingono dalla parte dell’ottimismo;
– quarto, perché persino gli spread tra centro e periferia d’Europa, così come quelli tra Bund e Bond (europei contro americani) tendono a restare stretti, nonostante il chiaro sfasamento tra l’economia americana e quella continentale;
– quinto, perché l’Euro, passato lo spavento della frattura dell’Unione, accoglie capitali (anche da oltreoceano) e sale oltre ogni aspettativa, superando di slancio quota 1,10 Dollari e dunque minimizzando il rischio che il rialzo di tassi americano possa determinare uno shock valutario e, anzi, alimentando le aspettative di ulteriori interventi della BCE in acquisto di titoli di ogni genere per contenerne la rivalutazione. Cosa che aumenterebbe al tempo stesso la liquidità in circolazione.

LA DISFATTA DEI “CONTRARIAN”

Quel che sembra accadere perciò è una disfatta del partito dei “contrarian”, una forte stabilizzazione delle maggiori variabili economiche, una grande liquidità dei mercati e una parata di buone notizie politiche. Di cigni neri all’orizzonte ne potrebbero apparire molti ancora, ma al momento sembra restare in onda lo spettacolo della “bambola dai riccioli d’oro” (né troppo né poco di tutto), destinato ad ulteriori numerose repliche. Ogni possibile sussulto dei mercati sembra dunque rimandato ancora una volta. All’estate, magari, per la quale manca ancora più di un mese. Un’eternità per i mercati!

 

Stefano di Tommaso