IL MASSIMO DEI MASSIMI

Uno studio di Bloomberg Magazine mette a fuoco il particolare momento storico dei mercati finanziari. La scorsa settimana il più importante indice di borsa a Wall Street (Standard &a Poor 500) ha toccato un nuovo record: quota 2500.


LE BORSE SALGONO MA LA VOLATILITÀ SCENDE

La notizia del nuovo massimo di Wall Street potrebbe non avere nulla di sensazionale se non fosse che essa giunge :

  • Nel modo più “soft” che si possa immaginare e cioè senza alcuno strappo: è un anno e mezzo che Wall Street non registra uno storno di almeno il 5% sui corsi delle azioni quotate,
  • Con la più bassa volatilità dei corsi azionari mai riscontrata (si veda qui sotto il grafico dell’indice VIX a 10 anni),
  • Quando oramai quasi tutti i più grandi “guru” avevano predetto un’imminente e importante correzione,
  • Mentre i maggiori fondi azionari americani toccano un altro record nelle richieste di disinvestire da parte dei privati: oltre 200 miliardi di dollari dal 2009 ad oggi!


IL RUOLO DEI BUY-BACK

Ma se tutti i fondi azionari vendono per stare dietro ai disinvestimenti allora chi è che compra? Quello che salta fuori frugando tra le statistiche è che sono le stesse aziende che hanno emesso titoli che poi se li ricomprano. I “buy-back” delle aziende americane hanno raggiunto da 2009 ad oggi la cifra stratosferica di tremila miliardi di dollari.


Il fenomeno può far discutere a lungo perché può essere considerato alternativo agli investimenti aziendali in innovazione e capacità produttiva, ma bisogna ricordare che le aziende che comprano i propri titoli lo fanno sulla base degli utili già realizzati e con la liquidità di cui già dispongono. Dunque non si tratta della classica volata dei corsi trainata dalla speculazione, che magari fa tutto a debito e l’indomani mattina, se lo scenario muta, è costretta precipitosamente a vendere.

Certo quello dei Buy-Back è un fenomeno innegabilmente collegato a quella parte della remunerazione aziendale legata alle “Stock-Options”, strumenti che in teoria intendono allineare gli interessi del management con quelli dell’azionariato ma che di fatto rischiano di orientare le scelte aziendali a far crescere le quotazioni anche artificialmente.

MA I RENDIMENTI SONO BUONI

Ma il record delle quotazioni non cancella la buona redditività dei medesimi titoli azionari: tanto per cominciare essi a Wall Street rendono più dei titoli di stato, come mostra il grafico sull’andamento dell’indice prezzo/rendimento (P/E) confrontato con il rendimento dei titoli di stato americani a 10 anni (qui sotto riportato). Quindi non sembrano così sopravvalutati e acquistare quei titoli appare comunque una scelta razionale compiuta dal management, anche ai prezzi attuali:

IL RUOLO DEI GRANDI TITOLI TECNOLOGICI

La cavalcata di Wall Street eccede poi quella di tutte le altre borse mondiali, ma anche perché è a Wall Street che si concentrano le maggiori multinazionali tecnologiche come Facebook, Apple, Amazon Microsoft e Google: le famose componenti del super ristretto club denominato FAAMG. Da sole queste società hanno contato nel 2017 per il 31% della crescita del medesimo indice S&P500 !


Le FAAMG ono anche le società i cui utili crescono più velocemente e quelle che prospettano non soltanto le maggiori capitalizzazioni di borsa della storia (qualcuna di esse, come Apple, è ripetutamente giunta vicino al tetto mai toccato sin’ora dei 1000 miliardi di dollari), ma anche le migliori prospettive nel tempo di ulteriore crescita.

 

LE BORSE DEL RESTO DEL MONDO NON SONO DA MENO

Ma se Wall Street registra la miglior crescita e nuovi record, come stanno andando le altre borse? Nemmeno a casa nostra ci possiamo lamentare un granché: l’indice MIB della borsa di Milano è tornato decisamente a correre nel 2017 raggiungendo quasi i massimi storici del 2014 e del 2015 e questo nonostante il cambio dell’Euro con il Dollaro si sia rivalutato di quasi il 15% nell’ultimo anno (da 1,05 a 1,20).

Se guardiamo all’indice europeo complessivo (Stoxx 600) il quadro appare quasi identico:


Per non parlare dell’indice Hang Seng della borsa di Hong Kong: anch’esso al massimo storico come Wall Street! In Cina, nonostante la stretta ai rubinetti del credito che la banca centrale sta dando per motivi di prudenza, l’economia è cresciuta del 6,9% annuo nel secondo semestre 2017, battendo le stime degli analisti. Non stupisce dunque che la borsa sia così euforica:

CONCLUSIONI AFFRETTATE?

Proviamo perciò a riassumere cio che vediamo: il fenomeno delle quotazioni azionarie giunte ai massimi di sempre si estende a tutto il mondo e si accompagna all’immensa fortuna generata dai grandi titoli tecnologici, principalmente quotati a Hong Kong e Wall Street.

Esso accade in contemporanea al record di disinvestimenti dai fondi azionari da parte degli investitori privati e al crescere di indicazioni di prudenzada parte dei maggiori analisti, i quali però notoriamente lo fanno da oltre un anno e sino ad oggi possono soltanto ammettere di aver avuto torto.


Abbiamo anche notato che persino a questi livelli di capitalizzazione il rapporto prezzo utili è alto ma non esagerato se rapportato alle effettive prospettive di crescita dei profitti.

L’economia mondiale cresce inoltre altrettanto forte nel 2017 (o almeno è questa la prospettiva per l’ultimo scorcio dell’anno in corso) ma indubbiamente la parte del leone nella corsa delle borse la fanno i buy-back delle imprese quotate: un fenomeno particolarmente difficile da interpretare nella sua interezza ma che non può scatenare, di per sé, una corsa al ribasso.


Certo in generale più crescono le quotazioni azionarie e più cresce la possibilità che si verifichi un tonfo delle borse con tutto quello che ne consegue.

Oppure accadrà che la crescita economica globale prosegua la sua accelerazione e arrivi a consentire all’intera umanità di vivere una vita migliore. Certo ad oggi il 2017 sembra essere un anno migliore (soprattutto per chi stava peggio). Persino migliore delle rosee prospettive riassunte dal Fondo Monetario Internazionale nel grafico qui sopra riportato.

Stefano di Tommaso




CON LA BOMBA A IDROGENO LA QUESTIONE COREANA SI COMPLICA. QUELLO CHE I MEDIA NON RACCONTANO PERÒ…

A molti mesi dalla presa di coscienza del fatto che il leader della Corea del Nord farà di tutto pur di non farsi mettere nel sacco dagli Stati Uniti d’America (più o meno in coincidenza con l’elezione di Donald Trump), molte sicurezze relative alle possibili opzioni politiche e militari sono saltate. Non stupisce oggi di apprendere che i militari al soldo di Kim Jong-Un siano pronti anche a montare una testata nucleare all’Idrogeno da centinaia di chilotoni sui propri missili balistici intercontinentali.

La dura verità è che per gli Stati Uniti d’America non ci sono opzioni militari “sul tavolo”, a meno di non rischiare la perdita di decine di milioni di vite umane nei primi trenta minuti di guerra, tanto in Corea del Sud, quanto in Giappone e persino a casa propria. Non ci sono nemmeno vere opzioni di riuscire a sferrare un attacco “chirurgico” . Il dittatore Kim lo sa bene e mostra i muscoli perché ha capito che è questo l’unico modo che ha per non farsi invadere o farsi destituire e sostituire da qualche fantoccio inviato da fuori.

E poi, se anche ci fosse, la realtà è che nessuna opzione militare americana sembrebbe accettabile per la Cina, che da sempre ha considerato la Corea del Nord come uno stato cuscinetto. Dopo quel che si è visto ai confini della Russia, dove ogni pretesto è stato utilizzato dalla NATO per ampliare la propria sfera di influenza, la Cina come potrebbe sperare che una Corea domani riunificata non diventi un avamposto americano si suoi confini? Se ci facciamo caso, addirittura ultimamente gli USA hanno fatto pressioni per il riarmo del Giappone, da secoli uno stato antagonista della Cina.


Quello che i media non raccontano è che la corsa al riarmo del dittatore coreano è da mettere in diretta corrispondenza con la progressiva pressione militare esercitata dagli americani tanto sulla Corea del Sud quanto sul suo angelo custode cinese, affinché egli venisse destituito. Anzi ultimamente le forze armate americane avevano forse sperato che -in nome di un’alleanza commerciale- questo lo facesse la Cina stessa, ma la verità è che non succederà, perché ciò andrebbe contro i suoi interessi nazionali.

La situazione paradossale cui si è giunti è che se Kim attacca l’America (ipotesi peraltro del tutto irrealistica) è solo lui contro gli USA, mentre se l’America attacca Kim anche la Cina risulterebbe in guerra con loro, per ovvi motivi di salvaguardia dei propri confini e dopo un istante da quando i soldati americani avessero varcato le frontiere della Corea del Nord anche quelli cinesi lo farebbero, reclamando la loro sfera di influenza (esattamente come è già successo nel 1950) e, di fatto, cambiati i personaggi, la situazione finale non risulterebbe troppo diversa.

L’unica vera soluzione della vicenda è quello di un mutuo scambio: la limitazione della proliferazione nucleare coreana contro un ritiro delle truppe americane dalla Corea del Sud e dal Mar del Giappone, cosa che convincerebbe anche la Cina delle buone intenzioni degli Stati Uniti se con ciò essi perdessero davvero la capacità di un “pronto intervento” nella regione. Lo faranno mai? È psicologicamente difficile per chiunque accettare di fare un passo indietro ma è anche razionalmente molto rischioso fare degli altri passi avanti verso un conflitto che coinvolgerebbe immediatamente oltre alla Cina anche la Russia, il Giappone, tutti i paesi della NATO e di conseguenza quasi l’intero pianeta!

L’opzione nucleare con Kim Jong -Un non è mai stata realistica ma oggi lo è meno che mai. Gli Stati Uniti lo sanno bene, anche se non lo dicono, perché dovrebbero ammettere di essere stati beffati. Forse anche per questo i mercati finanziari si rilassano e dormono sonni tranquilli. Per quante dimostrazioni muscolari militari entrambi i rivali possano inviare alle televisioni di tutto il pianeta, nessuno sta davvero prendendo in considerazione l’escalation  verso un conflitto termonucleare globale.

 

Stefano di Tommaso

 




IL GIOCO DELL’OCA* DEI MERCATI

Nonostante gli annunci e gli inviti alla prudenza, nonostante i rialzi dei tassi annunciati e, in parte varati in America, le banche centrali di tutto il mondo continuano a darsi il cambio nell’immettere nuova liquidità netta sui mercati finanziari e quella liquidità sospinge in alto qualsiasi titolo quotato.
Il fenomeno genera macroscopiche distorsioni della realtà percepita, avvolgendo in una nuvola dorata ogni asset che sui mercati possa vantare una certa liquidabilità e innalzandone senza ragioni apparenti la valutazione.

 

L’ECCESSO DI LIQUIDITÀ AL CENTRO DEL DIBATTITO

Con i mercati che continuano a inanellare quotazioni stellari gli investitori restano prudenti e disorientati, perché non posseggono strumenti analitici che permettano loro di giustificare gli eccessi dei mercati. Scrivo dei “mercati” e non solo delle borse perché la pandemia da eccesso di liquidità ha travolto anche gli altri mercati, a partire dal reddito fisso dove gli investitori acquistano qualsiasi titolo anche senza alcuna ragione apparente, per non parlare di taluni immobili a reddito, delle criptovalute e dei metalli preziosi, per arrivare ultimamente addirittura alle riserve petrolifere, le cui valutazioni erano rimaste notoriamente in stallo per eccesso di offerta.

IL PARADOSSO DEI BOND “KROGER FOODS”

A proposito di eccessi un fenomeno apparentemente inspiegabile se non con la lente della disperazione derivante dalla sovrabbondanza di liquidità è quello che ho osservato qualche giorno fa con il piazzamento di bond in tre tranches (a 5,10 e 30 anni) per un miliardo di dollari da parte di Kroger, una media catena americana di supermercati alimentari, praticamente subito dopo che le sue azioni sono andate a picco (insieme a quelle di quasi tutte le catene di supermercati) per effetto dell’acquisto di Whole Foods da parte di Amazon.
Posso comprendere la prudenza di chi preferisce una cedola ad un mercato azionario percepito dai più oramai come estremamente speculativo, ma qualcuno si è chiesto se, fra trent’anni, la catena esisterà ancora? Probabilmente no, visto che tra l’altro, il rendimento che offrono quei bond resta al di sotto del 5%. Come nessuno quindi si è chiesto se quel 5% (scarso) può compensare i rischi cui va incontro il detentore di quel finanziamento non garantito concesso ad un distributore tradizionale di alimentari operante in un mercato che -chiarissimamente- va incontro a forti cambiamenti.

A CORTO DI TEORIE ECONOMICHE ADEGUATE

Il fenomeno appena citato è significativo tanto dell’apparente cecità degli investitori relativamente agli elementi fondamentali dell’analisi economica, quanto del fatto che, indubbiamente, tutti coloro che da quasi un anno a questa parte hanno gridato allo scandalo dell’eccesso di valutazioni dei mercati finanziari è poi rimasto scottato dalla realtà dei fatti, che è andata nella direzione opposta, smentendoli clamorosamente!

La verità perciò è che ben pochi tra gli investitori riescono a capire qual è il gioco, e a farsene una ragione, soprattutto perché mancano di adeguati strumenti analitici: le vecchie infrastrutture dell’analisi economica evidentemente non risultano adeguate a spiegare la situazione eccezionale in cui si trovano i mercati finanziari globali!
Ma soprattutto, anche qualora saltasse fuori qualche teoria economica in grado di meglio giustificare la situazione corrente alla luce di una razionalità che ai più invece sfugge, questa non costituirebbe necessariamente una garanzia del fatto che la situazione di “bonanza” perdurerà a lungo in futuro e che dunque i mercati a un certo punto non crolleranno precipitosamente.

BASSA VOLATILITÀ, CONTRO OGNI RAGIONEVOLE PREVISIONE

L’eccedenza di liquidità ha tra l’altro ridotto la volatilità dei mercati a meno della metà dai picchi toccati un anno fa. Ecco ad esempio l’andamento a un anno dell’indice VIX (che misura la volatilità dell’indice SP500 relativo ad un ampio paniere di titoli di Wall Street):


IL TIMORE DELL’INFLAZIONE E LO SPETTRO DELLA DEFLAZIONE

Sebbene dunque non sia un mistero per nessuno che risieda nella grande liquidità disponibile la causa primaria della beata calma piatta e dei meravigliosi ritorni sul capitale per chi ha investito sino ad oggi, la sensazione tra gli operatori è che il trascorrere del tempo senza che l’inflazione faccia significativi passi in avanti non migliori la situazione di incertezza circa il futuro delle borse e del risparmio gestito.

Il timore generalizzato è infatti che la crescita economica, degli investimenti, dell’occupazione e dei salari possa mostrare a un certo punto più o meno di colpo i suoi effetti inflattivi, spiazzando tutti e generando panico.
Nemmeno le banche centrali in quel caso avrebbero a disposizione molti strumenti, perché l’eccesso di rigonfiamento dei propri bilanci, l’eccesso di debito pubblico e il livello davvero basso dei tassi di interesse attuali impedirebbe loro molte delle manovre previste nelle principali teorie economiche accreditate, oppure le costringerebbero ad azioni estreme, tornando a dover muoversi come nel 2009, in territori inesplorati.

L’ECCESSO DI DIPENDENZA DALLE BANCHE CENTRALI E I BUONI FONDAMENTALI

Il punto è che la situazione eccezionale di picco che oggi osserviamo -per quanto per sua natura instabile- potrebbe ugualmente perdurare per un tempo indefinito, perché quel che sembra è che le banche centrali sono diventate prigioniere del loro stesso gioco, impossibilitate a tornare indietro nella loro millimetrica regolazione del rubinetto e anche senza alcuna volontà di farlo, se non il più gradualmente possibile.
Gli operatori d’altronde dipendono più che mai dalle loro indicazioni, e nessuno si mette davvero a scommettere contro gli attori di gran lunga più importanti dei mercati, assecondandoli pedissequamente.

Il contesto generale è peraltro fortemente positivo: l’economia europea è il nuovo campione mondiale di performance, quella asiatica continua la sua corsa (sempre che la bolla finanziaria cinese non imploda), quella americana c’è il sospetto che vada meglio di ciò che le statistiche ci raccontano perché sarebbe politicamente incoerente mostrare agli elettori i successi economici dell’era politica irriverente inaugurata da un Presidente eletto contro tutti i sacri crismi della tradizione americana e oggi sotto pesante assedio da parte del Congresso. E la tendenza globale alla riduzione della tassazione sui redditi e al miglioramento dell’efficienza delle imprese suggerisce di non fare follie tirando la corda di un aumento dei tassi sin tanto ché l’inflazione non si manifesti impetuosa. Ma è difficile dire se ciò succederà mai.

COME NEL “DESERTO DEI TARTARI”

Non credo di essere il solo a rievocare nella situazione attuale il meraviglioso e surreale romanzo “Il Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, dove le banche centrali di oggidì sono forse l’equivalente del Tenente Drogo, che viene inviato giovanissimo alla Fortezza Bastiani nell’attesa che un giorno da oltre il deserto spuntino i nemici del Regno (dei non meglio definiti “Tartari”, cioè l’inflazione, fuor di metafora).
Appena arrivato si rende conto di essere forse caduto in una trappola, e vorrebbe fuggire. Ma quella situazione surreale e magica in cui si trova in fondo gli piace. E così il comando del suo manipolo a difesa della fortezza diviene nel tempo il suo pretesto per dare un significato al suo ruolo e agli anni vissuti lì dentro nel prepararsi al combattimento. Prima o poi dovrà arrivare l’occasione tanto attesa, quell’evento glorioso che gli regalerà finalmente prestigio ed onore, ma invece il tempo passa ed egli finisce in quella prigione dorata i suoi giorni, nella nebbia delle abitudini e delle ritualità, a guardia un baluardo immaginario a difesa del nulla. Un simbolo delle convenzioni e degli schemi con cui puntelliamo le nostre esistenze cercandovi missioni inesistenti e sicurezze impossibili.

Stefano di Tommaso

*L’Oca che dà il nome al gioco è un animale tenuto in grande considerazione da molti popoli antichi, a partire dagli Egizi per giungere ai Greci. I Romani avevano affidato alle oche il compito di vegliare sul tempio di Giunone, nel Campidoglio. Per i Celti, il palmipede era simbolo dell’aldilà e guida dei pellegrini, ma anche simbolo della Grande Madre dell’Universo. Le regole del gioco si conformano a questa valenza sacra dell’animale, sottolineando il suo ruolo di “guida provvidenziale”: capitare su una casella contrassegnata da un’oca permette infatti di abbreviare il percorso, raddoppiando il punteggio ottenuto.
Il numero delle caselle, 63, è particolarmente significativo: come prodotto di 9 x 7 permette di intendere il percorso come successione di 7 cicli di 9. Questi numeri si collegano direttamente alla teoria degli “anni climaterici”, tenuti in grande considerazione dall’astrologia classica: i cicli settenari e novenari segnano infatti gli anni fondamentali della vita umana che, in questo caso, si concluderebbe col sessantatreesimo anno, chiamato “il grande climaterio”. In questo senso il gioco può essere inteso come una rappresentazione simbolica del percorso stesso della vita. Ma c’è di più: la casella 63 è quella che permette di accedere al centro della spirale, al “castello o giardino dell’oca” che non è numerato. Considerando anche il centro, avremmo in tutto 64 caselle e questo numero, oltre ad essere simbolo dell’Unità, verso la quale il cammino ci deve ricondurre (6+4=10; 1+0=1), è il prodotto di 8 x 8 e suggerisce immediatamente una possibile analogia del nostro gioco con quello degli scacchi, che, a sua volta, ha la sua matrice simbolica nei 64 esagrammi dell’I Ching o “Libro dei Mutamenti”, i cui simboli descrivono appunto tutti gli stadi possibili dell’esistenza umana.

 




METÀ ANNO & METÀ DEL GUADO

Giunti alla svolta dell’Estate, all’inizio del nuovo semestre solare e alla vigilia del nuovo G20, proviamo a fare il punto sulla situazione dei mercati e dell’economia globale e, soprattutto, sulla possibilità di una correzione estiva delle borse.

 

Con i prezzi al consumo stabili in Italia a giugno l’inflazione, grande protagonista di timori e aspettative nella prima metà dell’anno, è in calo dello 0,1% all’1,3% mentre nei prossimi mesi dovrebbe restare poco sopra questi livelli (media annua attesa del CPI a 1,5%). Alla stessa percentuale dovrebbe attestarsi in Eurozona la crescita dei finanziamenti ai privati.

L’OTTIMISMO DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA

Draghi perciò gongola: la situazione è in quella perfetta via di mezzo per la prosecuzione degli stimoli quantitativi (tra inflazione/deflazione, crescita moderata e borse non troppo esuberanti) che può permettergli al tempo stesso di continuare quasi indefinitamente a sostenere la liquidità in circolazione e i rinnovi dei titoli di stato italiani (di un eventuale stop se ne riparlerà oramai nel 2018) mentre l’Euro continua ad apprezzarsi sul Dollaro e su quasi tutte le altre valute (cosa molto gradita ai Tedeschi, che stanno partendo per le vacanze sentendosi un po’ più ricchi).

Nemmeno l’Italia trema: le esportazioni italiane vanno ugualmente un po’ meglio di prima (la fiducia delle imprese nel manifatturiero è passata a Giugno a 107,3 dal 106,9 precedente mentre nelle costruzioni sale a 129,8 dal 128,1 di maggio: ai massimi da quasi un decennio) e, se durante il momento di punta del turismo in Italia arriva un po’ più di valuta forte, la cosa non dispiace a nessuno.

L’Euro in salita invece alle borse europee un pochino disturba: chi fa i conti in Dollari continua a cavarsela con le performances ma concorrono alla debolezza delle borse continentali l’instabilità politica e bancaria italiana, gli effetti negativi (assai limitati invero) dell’uscita della Gran Bretagna e i dubbi sulla capacità di Macron di realizzare ciò che ha promesso. La situazione europea tuttavia non riuscirà a influenzare il corso delle borse, anzi fosse per quelle nostrane ci sarebbero anche segnali di cauto ottimismo.

I PERICOLI PER LE BORSE ARRIVANO DA OLTREOCEANO

Il mercato azionario è però sempre più globalizzato e, casomai, il vero pericolo che una correzione significativa su manifesti nel corso del mese arriva dal resto del mondo, dove un certo numero di tensioni stanno acuendosi: dalle difficoltà crescenti della presidenza Trump a quelle geopolitiche mediorientali, dal timore del crollo del sistema finanziario cinese, fino a quello dello scoppio della bolla speculativa derivante dagli eccessi di leva finanziaria di nuovo presenti sul mercato dei derivati (che nel 2008 è stato il vero detonatore).

Bisogna ricordare infine che buona parte degli shock sul mercato finanziario sono stati storicamente generati dalle mosse delle banche centrali e anche stavolta la Yellen potrebbe trovare il modo di portare avanti la tradizione tanto con il suo recente richiamo circa le valutazioni troppo elevate espresse dal mercato quanto per il fatto che un contesto americano di piena occupazione e crescita moderata potrebbe tentare la FED di continuare con il rialzo dei tassi, cosa che però potrebbe-nello scenario attuale- costituire un ulteriore ostacolo alla partenza degli investimenti nelle grandi opere infrastrutturali promesse da Trump.

A ciò va aggiunto che gli operatori si interrogano sulle implicazioni di una crescita economica americana fin troppo moderata che potrebbe far propendere il Congresso americano verso la definitiva archiviazione della riforma fiscale. Già solo questi ultimi due fatti, una volta incorporati nei modelli statistici degli analisti, possono far temere uno scivolone estivo delle borsa americana e, con essa, di buona parte di quelle asiatiche.

Questo non significherà necessariamente l’avvio di una nuova tempesta perfetta dei mercati, per via della crescita economica globale consistente e generata da variabili cosiddette “fondamentali” (demografia, capacità produttiva, tecnologie e globalizzazione). Ma solo che, all’alba del secondo semestre 2017, l’economia globale -giunta a malapena a metà del guado nel suo processo di rinnovamento- qualche ostacolo lungo il suo cammino verso un mondo migliore è praticamente scontato che lo si incontri

 

Stefano di Tommaso