INVESTIRE COLLEZIONANDO: THE ART OF PATEK PHILIPPE

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Si dice che l’essere umano, per sua stessa natura, sia portato a collezionare. Poco importa cosa, che siano francobolli, conchiglie oppure dipinti d’autore: la possibilità di raccogliere oggetti simili, confrontarli, catalogarli ed ammirarli tutti insieme. La maggior parte degli oggetti collezionabili, tuttavia, è destinata a spendere la propria esistenza appesa ad una parete, chiusa in un cassetto, infilata tra le pagine di un album. Fanno eccezione gli orologi, che possono invece essere goduti in qualsiasi momento, indossati anche fuori casa, e sono l’accessorio perfetto e irrinunciabile nel guardaroba delle persone eleganti.

Curiosamente, però, il collezionismo di orologi, nello specifico di quelli da polso, affonda le sue radici in un tempo e un luogo a noi molto vicini. I segnatempo portatili nacquero a cavallo tra il Sette e l’Ottocento, e per un secolo rimasero appannaggio della fetta più abbiente di popolazione. Erano infatti oggetti preziosi, e dunque costosi, sia per i materiali usati che per la perizia necessaria al loro assemblaggio. Le cose cambiarono a partire dagli anni Venti del Novecento, quando nuove tecniche industriali consentirono di aumentare la produzione e rendere gli orologi più resistenti, abbassando al contempo il prezzo dell’oggetto finito. Inoltre, il passaggio dall’orologio da tasca a quello da polso rese i segnatempo infinitamente più pratici ed appetibili a chiunque.

La rivoluzione degli anni Venti segnò l’inizio del declino per gli orologi da tasca, che erano d’un tratto divenuti fragili, poco pratici e persino antiquati nel design: questo, di fatto, determinò l’inizio della loro collezionabilità. Tuttavia, gli orologi da tasca erano collezionati da una nicchia molto ristretta di appassionati e, con l’eccezione di alcuni pezzi particolarmente ricercati non raggiunsero mai quotazioni paragonabili a quelle visibili oggi nel mercato degli orologi da polso.

Bisogna aspettare gli anni Ottanta per veder nascere un reale interesse nel collezionismo di orologi da polso: quando l’avvento dei movimenti al quarzo di fabbricazione giapponese minacciava la sopravvivenza dei segnatempo meccanici, diversi appassionati italiani iniziarono ad acquistare orologi “d’epoca” prevedendo un incremento nella loro desiderabilità negli anni a venire. Acquistando spinti dal proprio gusto personale, gli italiani riuscirono inconsapevolmente ad indirizzare il nascente mondo del collezionismo: la loro predilezione per determinati marchi e tipologie di orologi provocò ben presto un aumento della domanda, e dunque del valore, di orologi come i Rolex “Prince”, gli “Ovetti” e i cronografi Patek Philippe. Nel corso di un decennio, il collezionismo di orologi raggiunse una portata tale da spingere anche le case d’asta, tradizionalmente attive solo nel mondo dell’arte, dell’antiquariato ed eventualmente dei gioielli, ad organizzare vendite all’incanto con cataloghi interamente composti da segnatempo.

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Il Deepsea Special, ricercato Rolex celebrativo, in asta da Phillips

Ed è proprio un’asta l’evento che, a detta di moltissimi esperti, ha segnato l’inizio del collezionismo come lo intendiamo oggi: si tratta dell’ormai leggendaria “Art of Patek Philippe”, allestita con encomiabile lungimiranza da Antiquorum nel lontano 1989. Per la prima volta nella storia si potè parlare di asta “tematica”, ovvero dedicata interamente ad una sola manifattura; il catalogo raccoglieva un numero relativamente ridotto di orologi, tutti selezionati per l’estrema qualità e per la rarità; infine, erano organizzati per materiale della cassa, suddivisi in base alla forma e ben fotografati.

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Due Patek Philippe da polso venduti durante l’asta “The Art of Patek Philippe”

Risulta quindi facile comprendere per quale motivo tale vendita sia considerata un punto di svolta nella storia del collezionismo. Per la prima volta, si affermarono i due concetti fondamentali che ancora oggi stanno alla base del mercato: la rarità e, ancor di più, la qualità, caratteristiche imprescindibili che un orologio deve avere per essere considerato appetibile da collezionisti, commercianti e investitori.

Con il passare degli anni, il mercato si è raffinato: i marchi più apprezzati dai collezionisti, sia per la loro storia che per il valore intrinseco o attribuito dei loro orologi, hanno fatto registrare una crescita delle quotazioni costante ed impressionante. Per dare un’idea dell’andamento del mercato: tra le venti maggiori aggiudicazioni nella storia delle aste, ben sedici sono avvenute dopo il 2015. Emblematico è il caso di modelli iconici, come il Rolex Daytona, il Patek Philippe Nautilus o l’Audemars Piguet Royal Oak, che sono passati dal valere poco più di diecimila euro sul finire degli anni Duemila alle quotazioni attuali, che sfiorano i centomila euro. Con buona soddisfazione dei lungimiranti collezionisti che, in meno di quindici anni, hanno visto il loro investimento decuplicare in un trend che non accenna a fermarsi.

E sì, perché nonostante lo scetticismo di alcuni riguardo alla tenuta del mercato nel difficile periodo della pandemia, le aste di novembre 2020 e maggio 2021 hanno dimostrato come le paure fossero assolutamente infondate. La percentuale di vendite e i prezzi di aggiudicazione, hanno ancora una volta migliorato le statistiche precedenti, anche grazie alla comparsa sul mercato di esemplari precedentemente sconosciuti oppure conservati gelosamente per decenni in favolose collezioni private.

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Patek Philippe Ore del mondo

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Il Cartier “London” Crash offerto da Sotheby’s

Nuovi record sono attesi per l’imminente stagione delle aste autunnali, quando andranno all’incanto orologi strepitosi che hanno acceso il fermento nei collezionisti fin dal giorno del loro annuncio, come il primo Patek Philippe 2523 “Ore dell mondo” mai prodotto, di uno dei rarissimi Rolex “Deepsea Special” degli anni ’60, o di un rarissimo Cartier Crash prodotto in una decina di pezzi dalla boutique londinese del marchio.

Elenco aggiudicazioni Patek Philippe 2523 e grafico

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Elenco aggiudicazioni Cartier Crash e grafico

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La ricerca è stata effettuata da Alvise Mori

Per informazioni: marika.lion@lacompagnia.it




INVESTIRE COLLEZIONANDO: UN PATEK PHILIPPE NON SI POSSIEDE MAI COMPLETAMENTE

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Un Patek Philippe non si possiede mai completamente, semplicemente si custodisce e si tramanda”, un motto che trasuda identità e legame con la tradizione, il passaggio di mano simbolico fra generazioni che, per forza di cose, avviene anche in Patek Philippe. Un ambiente sicuramente prono all’innovazione, purché porti con sè gli stilemi cardine dell’azienda; forse avrete già capito che stiamo parlando del Nautilus, il primo “salto nel vuoto” fatto da Patek Philippe. Un salto nel vuoto perché fino al 1976 la casa ginevrina era sempre stata sinonimo di eccellenza nel campo delle complicazioni ma sappiamo anche che proprio in quegli anni vi era il boom degli gli orologi al quarzo che, provenienti dal Giappone, stavano mettendo a dura prova l’orologeria meccanica svizzera. A tal proposito, ogni brand cercava un escamotage per sfuggire alla morsa della concorrenza del quarzo giapponese. Sulla scia del Royal Oak, lanciato 4 anni prima da Audemars Piguet, anche Patek Philippe decise di puntare su un segnatempo che fosse un trait d’union fra eleganza, data dall’eseiguo spessore e la cassa dai profili smussati e sportività, conferitagli dal materiale, l’acciaio, ed il bracciale.

 

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Disegni originali firmati Gerald Genta di Nautilus e Royal Oak

Entrambi gli orologi nascono dalla matita di Gerald Genta, personaggio chiave che non ha solamente risollevato le sorti dei due brand ma ne ha altresì spianato la strada per un successo che ancora oggi non accenna a finire. Come spesso accade, l’ispirazione non muove da calcoli o studi ma si manifesta inaspettatamente nel quotidiano e sta all’artista saper coglierla ed incanalarla nei giusti binari. Il Nautilus ne è la prova, con Genta che durante una cena posa lo sguardo sulla finestra a forma di oblò del ristorante e ne trae l’idea per la cassa. Il lancio del Nautilus venne accolto con morigerato entusiasmo, in quanto, da un lato vi era l’innegabile finezza costruttiva ed estetica ma dall’altro alcuni clienti rimasero sorpresi nel vedere Patek Philippe virare su un segnatempo tanto sportivo e versatile. Il successo planetario di cui oggi il Nautilus gode era ancora lontano.

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Pubblicità Nautilus ref. 3700 in acciaio

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Brevetto della cassa del Nautilus. Credits: Monochrome Watch

Il primo Nautilus nacque sotto la referenza 3700 e veniva distribuito nelle versioni acciaio, oro ed oro-acciaio. Ad oggi tale referenza risulta sicuramente la più ricercata dai collezionisti, sia perché rappresenta la prima iterazione di questa icona, sia in quanto molti la considerano la versione più riuscita esteticamente. Infatti, accanto ad uno spessore estremamente ridotto, il primo Nautilus sfoggia una cassa di 42mm, dimensioni piuttosto inusuali per l’epoca, tanto da meritare l’appellativo di “jumbo”.

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Nautilus 3700 in acciaio. Credits: Phillips

 

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Nautilus 3700 in oro giallo. Credits: Christie’s

Proprio per accontentare la fetta di clienti desiderosa di una cassa con diametro più contenuto, nel 1981 Patek Philippe introduce la referenza 3800, ancora oggi apprezzata per l’enorme versatilità e la varietà di configurazioni disponibili. Poco dopo il nuovo millennio, nel 2004 Patek Philippe concentra le sue forze sul Nautilus, modello che da tempo non veniva innovato. La prima manovra consiste nel riesumare la cassa jumbo da 42mm del 3700, che non risulta più oversize ma perfettamente in linea con gli attuali gusti del pubblico. Nasce così la referenza 3711, la quale verrà prodotta esclusivamente in oro bianco e rappresenta la transizione verso la nuova generazione del modello. La 3711 rappresenta una rarità in termini di numeri di produzione, in quanto rimase in catalogo solo dal 2004 al 2006, anno in cui verrà introdotta la referenza che ha fatto conoscere il Nautilus al grande pubblico, la 5711.

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3711 in oro bianco. Credits: Phillips

A differenza del Royal Oak, declinato nel tempo in numerose versioni e complicazioni, il Nautilus è sempre rimasto piuttosto fedele al disegno originale e non ha mai visto l’aggiunta di complicazioni oltre la data e l’ora. Tutto ciò fino al 2018, anno in cui Patek Philippe abbina il calendario perpetuo al Nautilus in una soluzione largamente apprezzata dai collezionisti. Tale referenza, la 5740, ha rinvigorito il modello e diventerà certamente un futuro must-have.

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5740 calendario perpetuo. Credits: Phillips

Negli ultimi 5 anni, le quotazioni del Nautilus sono andate aumentando in maniera costante con il 3700 che a poco a poco ha trainato anche le referenze successive, compresa l’attuale 5711. La versione in acciaio della 3700 risulta essere la più ricercata, dal momento che sin dal 1990, anno in cui cessa la produzione della referenza, bisognerà attendere il 2004 per vedere nuovamente un Nautilus con cassa jumbo da 42mm. Oltre ai metalli canonici, esistono degli esemplari rarissimi di 3700 in oro bianco e platino. Se l’oro bianco può essere considerato una rarità degna di aggiudicazioni altissime, il platino realizzato in un meno di 5 pezzi rappresenta il re dei Nautilus e ne riassume al meglio l’importanza.
Quest’ultimo è apparso in asta per la prima volta nel 2013, momento in cui il Nautilus non godeva ancora dell’attenzione odierna, conseguendo la cifra record di 730.000 euro. Qualora tornasse sulle scene, tale esemplare conseguirebbe certamente un risultato di gran lunga superiore. Infatti, un esemplare in oro binaco, battuto nel 2020 ha ottenuto un risultato molto simile(690.000 euro) nonostante la differente rarità. Ciò riflette palesemente la crescita che il Nautilus ha sperimentato negli ultimi anni.

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3700 in oro bianco battuto nel 2020 da Phillips per 690.000 euro. Credits: Phillips

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3700 in platino battuto nel 2013 da Christies per 730.000 euro. Credits: Christie’s

Abbandonando le rarità assolute, possiamo osservare che attualmente un 3700 in acciaio possiede una quotazione che oscilla tra i 130.000 ed i 200.000 euro, cifra che vista la maggiore rarità può spaziare dai 180.000 ai 300.000 euro per gli esemplari in oro. La forbice indica le variazioni di prezzo che intercorrono fra i diversi esemplari, a seconda delle condizioni in cui si trovano e della presenza o meno del corredo originale.
La crescita esponenziale del Nautilus ed in particolare della referenza 3700 non deve sorprenderci, in quanto tale modello riflette in pieno le tendenze estetiche attuali e portandosi addosso la storia e la tradizione di un marchio come Patek Philippe, crea un binomio irresistibile per qualunque collezionista.

La ricerca è stata effettuata da Lorenzo Rabbiosi

Per informazioni: marika.lion@lacompagnia.it