LA RUSSIA NON INVADERÀ L’UCRAINA

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Gli ultimi giorni sono stati di vera passione per i mercati finanziari di tutto il mondo, e non soltanto per loro: anche per i prezzi delle materie prime e conseguentemente, del petrolio e in generale dell’energia. Ovviamente la cosa non ha mancato di riflettersi sulle stime dell’inflazione, che aveva già determinato allarme in tutte le direzioni arrivando, a fine Gennaio, al 7,5% in America, ben oltre ogni stima precedente. Anche a prescindere dalla guerra…

 

L’origine dei rincari era inizialmente stata dovuta ad una scarsità di forniture di semiconduttori, componenti essenziali oggi per quasi qualunque produzione manifatturiera, ma poi sono intervenuti i rincari dei prezzi petroliferi. Oggi però il timore diffuso è che persino quel 7,5% possa restare soltanto un bel ricordo e che se il petrolio supererà i 100 dollari per barile, possa spingerla ancora più in alto, sulla scia delle tensioni geopolitiche.

LA GEOPOLITICA SOSPINGE IL PREZZO DEL PETROLIO


Ovviamente non sono tutti d’accordo nel prevedere un’inflazione a doppia cifra, e c’è chi getta aqua sul fuoco continuando a far notare che le ragioni dell’inflazione sono quasi tutte passeggere, con la conseguenza che esse non potranno durare per sempre e che anche l’inflazione stessa alla fine dovrà ripiegare. Concordiamo in parte, ma occorre senza dubbio rammentare che alla base di quasi tutti questi rincari c’è anche un potenziale conflitto strategico nell’Europa dell’Est, dove la NATO vuole espandersi fino all’Ukraina e la Federazione Russa ha ovviamente fatto sapere che non continuerà a digerire senza fiatare ulteriori espansioni verso i propri confini di paesi che mostrano sempre più di allinearsi apoditticamente alle scelte americane.

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Si guardi su questo video, in proposito, il commento di Putin nel giorno della visita di Macron: https://www.youtube.com/watch?v=w7Unk2P8A-Y

Ricordiamoci infatti che da tempo, ma in particolare dal giorno dell’elevatissima adesione popolare al referendum in Crimea che ne sancì il ritorno alla Federazione Russa (staccandosi dall’Ucraina), l’America ha avviato -con la totale compartecipazione degli alleati europei- una serie infinita di sanzioni economiche contro la Russia, considerata dai media occidentali un “invasore”. Sanzioni che non ha poi mai dismesso e che hanno esacerbato i rapporti est-ovest, ivi compresi quelli con la Cina, rimasta molto critica sull’attendibilità delle dinamiche ufficialmente riportate e, anche per questo, oggi grande alleato della Russia.

L’escalation militare sta continuando in Ucraina, con l’arrivo di sempre maggiori forze occidentali, a supporto della repressione di un’eventuale invasione da parte delle forze armate della Federazione Russa, nonostante quest’ultima non abbia mai accennato a tale possibilità e anzi abbia un bel problema: quasi tutta la popolazione di lingua russa in Ucraina è oggi in stato di oggettiva difficoltà ed è sottoposta a legge marziale! Anche per questo quasi 300.000 di essi hanno lasciato tutto e varcato i confini chiedendo asilo alla Russia.

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Mosca ha soltanto fatto sapere che non tollererà un’ulteriore espansione della NATO verso i propri confini (cioè includendo l’Ucraina) e che -se l’Occidente volesse davvero la pace- si preoccuperebbe di rassicurare la Russia sull’infondatezza delle minacce alla propria sicurezza strategica e non cercherebbe invece di continuare a sostenere tentativi di colpi di stato ai propri confini, come ad esempio quello in Kazakhstan, quasi subito fallito.

LA RUSSIA NON VUOLE LA GUERRA, NÉ L’UCRAINA

Ma, magicamente, nonostante l’entrata dell’Ucraina nello spazio NATO sia praticamente già avvenuta da un pezzo (il paese ospita oggi infatti ingenti forze armate occidentali all’interno dei propri confini), la Russia non ha reagito, se non accrescendo la presenza delle proprie forze militari a ridosso dei confini meridionali e incrementando il coordinamento delle medesime con quelle cinesi. Perché non lo ha fatto? Perché un eventuale conflitto in Ucraina non potrebbe che divenire subito un conflitto globale, e anche fatalmente letale, a causa del potenziale nucleare degli armamenti. Ma anche perché le prime vittime di un tale conflitto sarebbero le popolazioni di lingua russa che risiedono all’interno dell’Ucraina.

Ricordiamoci che nessuna guerra importante è stata più combattuta dopo la 2^ guerra mondiale, proprio a causa della capacità di “dissuasione” degli arsenali nucleari. E la Russia ha fatto sapere chiaramente che, qualora le provocazioni dell’Occidente superassero una certa soglia, la sua risposta armata andrebbe direttamente ai “mandanti” (cioè a Washington e a Londra) e non soltanto agli alleati geograficamente più coinvolti (gli europei). E la strategia della dissuasione sino ad oggi ha funzionato.

Ma ciò che i media non dicono è che l’America in questa “campagna d’Ucraina” ha un obiettivo – oramai raggiunto – nel generare questa altissima tensione nei rapporti internazionali: quello di accrescere il valore monetario delle proprie risorse energetiche (è esportatrice netta di gas e petrolio). L’America ha inoltre in tal modo ristabilito la propria leadership politica sull’Occidente, che negli ultimi tempi era oggettivamente stata messa in discussione. Ma in questo ha fatto l’interesse anche della Russia, per lo stesso motivo.

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Anche a causa della strategia della tensione, si sono praticamente interrotte le forniture di gas russo all’Europa, pur in presenza di due nuovi importanti gasdotti appena realizzati: quelli cosiddetti “del Nord” che arrivano in Germania senza passare dall’Ucraina. Facendo largo all’arrivo delle navi americane che trasportano gas da petrolio liquefatto e permettendo così agli americani di vendere (cara) aglio”alleati” la loro produzione in eccesso. Ma se questo obiettivo vede anche nella Russia un importante beneficiario, perché mai l’escalation militare dovrebbe proseguire?

E infatti la nostra tesi è che ciò è improbabile che succeda, sebbene ci siano diverse possibili contromosse all’espansione occidentale in Ucraina, che la Russia potrebbe mettere in atto dal momento che dovrà trovare il modo di ripristinare la propria sicurezza strategica. Il risultato di tali mosse sarà un probabile prolungamento della tensione geopolitica, il cui unico limite è tuttavia l’alleato cinese, che ovviamente ha mal digerito l’accresciuto prezzo dell’energia e che cerca di non fomentare le possibilità che il mondo intero entri in guerra.

MA LA GUERRA FREDDA CONTINUERÀ, RISCALDANDO I PREZZI

Cosa se ne può dedurre, se non che la guerra fredda ha avuto sino ad oggi risvolti molto “caldi” sul fronte dell’inflazione che, alla fine, non potranno che risultare indesiderati alla stessa America, dove l’economia è meno ingessata che in Europa e dove i prezzi rischiano di salire troppo? Il partito “democratico” degli U.S.A. sta favorendo troppo le lobby di petrolio e gas e rischia così seriamente di perdere le elezioni di medio termine proprio a causa dell’inflazione, favorendo la potenziale riscossa dei Repubblicani.

Dunque o la presidenza degli Stati Uniti troverà modo di entrare seriamente nel conflitto armato (con qualche speranza di non infangarcisi troppo), ricompattando i consensi interni sulla base del nazionalismo strisciante, oppure alla fine troverà più utile allentare la tensione militare e far discendere il prezzo del petrolio a livelli più ragionevoli. Ed è questa la nostra tesi: il conflitto non scoppierà, nonostante le provocazioni occidentali (come quella del sottomarino in acque russe) perché non conviene a nessuno e perché i primi contrari a una devastante guerra sono gli stessi Ucraini sulla testa dei quali volerebbero i colpi di mortaio. Ma la tensione resterà alta ancora a lungo.

Il petrolio è dunque ragionevole ritenere che non scenderà troppo, anche perché c’è anche un altro fattore che probabilmente continuerà per un po’ a sostenerne le quotazioni: la limitazione dell’offerta, con una domanda che viceversa sino ad oggi ha mostrato di voler correre ancora a lungo. Dunque anche l’inflazione sembra arrivata per restare a lungo, ben più di quel che i banchieri centrali vorrebbero farci credere. E abbastanza per provocare uno scossone piuttosto violento sui mercati obbligazionari.

I TASSI SALIRANNO (POCO) …

Questo non significherà necessariamente un forte rialzo dei tassi d’interesse (perché le banche centrali getteranno probabilmente altra acqua sul fuoco), ma sicuramente porterà a cercare di controbilanciare i rendimenti reali negativi (dunque un po’ saliranno) e comunque genererà un ulteriore “de-basing” del potere d’acquisto delle principali divise monetarie, con l’eccezione di quelle considerate più sicure, come il Franco Svizzero. Per lo stesso motivo anche l’oro potrebbe riprendere quota (anche per il fatto che Russia e Cina continuano ad accumularlo), ma soprattutto resteranno probabilmente in alto le quotazioni dei principali listini azionari (i cui dividendi saranno sempre molto più appetibili delle cedole), mentre è possibile che saranno più danneggiate le borse periferiche e dei paesi emergenti.

… E L’ITALIA RIPRENDERÀ LE PRIVATIZZAZIONI

Lo scenario non è infine troppo favorevole a paesi come il nostro, a causa del fatto che la sostenibilità del nostro debito pubblico ne sarà minacciata. Ed è molto probabile che i timori sul rating nazionale verranno rintuzzati da un più deciso programma di privatizzazioni (gli immobili di proprietà pubblica, le principali infrastrutture ancora sotto il controllo statale sono ancora un boccone molto interessante per i grandi capitali). Era già una manovra nell’agenda di questo governo e non stupirà dunque il fatto che stavolta, dopo il probabile rialzo dello spread (a primavera la BCE interromperà il suo programma PEPP), possa venir messa in atto in grande stile! Che poi sia davvero così necessaria è tutt’altro discorso, sul quale invece ci permettiamo di dubitare…

Stefano di Tommaso




IN BORSA MAI DIRE MAI!

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Dopo l’improvvisa inversione di rotta degli ultimi giorni diviene più difficile prevedere dove saranno le borse intorno a fine anno. Ogni scenario è lecito, dal momento che sono tutt’ora al lavoro le tendenze che ne hanno scatenato la crescita. Ma sono entrati ancora una volta in gioco dei rischi asistematici dovuti alla quarta ondata pandemica e alle sue possibili conseguenze in termini di risvolti per l’economia reale. Le borse potrebbero sì riprendere la loro corsa la rialzo, ma la volatilità attesa è ai massimi, e la tempistica dei loro movimenti è dunque ben poco prevedibile. Morale: ci sono molte ragioni per le quali il mercato azionario globale potrebbe tornare a risalire, ma il condizionale è d’obbligo: in borsa mai dire mai!

 

IL SELL-OFF

Lo scorso anno di questi tempi l’allarme contagi -ancora in assenza dei vaccini- aveva generato quasi lo stesso panico di inizio pandemia. Stavolta è più complicato prendersela con l’ennesima variante del COVID ma per le borse di tutto il mondo l’allarme degli ultimi giorni ha funzionato alla grande: il sell-off (la svendita dei titoli quotati in borsa) è stato uno dei più avversi della storia borsistica recente. Nel grafico che segue ecco cosa è successo :

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Al calo medio delle borse nel mondo (indice MSCI ALL COUNTRY) di circa il 3% nell’ultima settimana si contrappone un guadagno del 15,50% da inizio anno e di oltre il 20% da un anno fa ad oggi. Per le borse europee è andata all’ingiù in maniera ancora più marcata, dopo una crescita dell’ultimo anno ancora maggiore: l’indice delle principali azioni quotate (STOXX EUROPE 600) è sceso di quasi il 4,5% nell’ultima settimana dopo una crescita di quasi il 20% da inizio anno e di oltre il 22% da un anno fa ad oggi.

LA VOLATILITÀ E’ ALLE STELLE

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D’altra parte ce l’eravamo già detto: con le quotazioni quasi ai massimi storici c’era da attendersi una volatilità in deciso aumento e così è stato. Ora, durante la calma del fine settimana, non è facile orientarsi tra le ondate della tempesta improvvisa che si è scatenata per comprendere qual’è la tendenza di fondo. Ma la sensazione è che questa non sia affatto cambiata. E cioè che sia ancora al rialzo e che il sell-off di questi giorni possa presto essere archiviato come un momento di panico e nient’altro.

I MOTIVI DI OTTIMISMO

Quali motivi per dirlo? Non ci sono grandi patemi d’animo per la crescita economica (le ultime rilevazioni mensili dell’indice dei direttori acquisti delle aziende (il MARKIT) sino positive e battono le aspettative, l’inflazione sembra potersi leggermente attenuare (ed è già una buona notizia). Questo vale soprattutto per le materie prime, mentre per il petrolio c’è un bel po’ di panico, oltre che una tendenza di fondo poco rassicurante, dovuta alla scarsità di materia prima prodotta, rispetto alla domanda.

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Soprattutto c’è il fatto che la situazione pandemica, che qualche colpo di assestamento lo darà di sicuro alla crescita economica globale, costituirà il movente principale (se non la scusa) per spingere le banche centrali a mantenere un atteggiamento accomodante e continuare -di fatto- ad immettere liquidità sul mercato. Cosa che non può mancare di avere effetti positivi sul mercato azionario, in particolar modo intorno a fine anno, quando i gestori di patrimoni devono portare a casa le loro performances, nonché le commissioni che ne derivano.

E’ dunque piuttosto probabile che la corsa delle Borse abbia soltanto avuto uno stop. E poi, come se non bastasse, secondo Goldman Sachs con il nuovo anno sta per riversarsi sul solo mercato azionario americano più di un trilione di dollari di “buy-back” aziendali (cioè di acquisti di azioni proprie da parte delle aziende), ai massimi della storia recente, come mostra il grafico qui riportato:

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IL POSSIBILE “RALLY” DI FINE ANNO

In quest’ottica potremmo anche vedere il sell-off di fine Novembre quasi soltanto come un’ottima occasione per comprare prima che il mercato raggiunga nuovi massimi. Determinati principalmente da un comportamento relativamente razionale di chi investe che risponde all’acronimo di “TINA” (“there is no alternative”: al mercato azionario).

Investire in obbligazioni in un momento in cui i tassi potrebbero salire può risultare infatti più rischioso dell’investire in Borsa, mentre mantenere la liquidità può significare non soltanto perdere delle opportunità di rialzo, ma prima ancora può comportare l’erosione del capitale ad opera dell’inflazione. Che potrà sì diminuire, ma difficilmente si fermerà, come dimostra la situazione dell’estremo oriente, dove la crescita economica si è già ridotta decisamente, ma l’inflazione no! Di seguito un grafico andamento le di USA e UE:

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PERÒ…

Mai dare per scontato il risultato però, perché è altrettanto vero che l’evolversi della quarta ondata pandemica non lo conosce nessuno, così come è vero che un dollaro troppo forte (come è già oggi) rischia di rovinare le feste a tutti, dai paesi emergenti fino agli americani stessi, gettando di conseguenza le borse in un possibile stato di panico.

Senza considerare il rischio che anche il caro-petrolio (che, appunto, rischia di riprendere presto) possa giocare un brutto scherzo all’economia e, di conseguenza, agitare ancora una volta le acque già particolarmente mosse dell’investimento azionario, per l’impatto negativo che può comportare sui profitti di periodo.

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Tutto questo per dire che, se la volatilità per le prossime settimane è servita quasi per certo su un piatto d’argento, persino nel caso in cui le borse dovessero parallelamente tornare a guadagnare nuovi massimi, la festa potrebbe non riguardare tutti. E’ altresì prevedibile infatti al momento l’ennesima rotazione dei portafogli, quantomeno nel caso in cui dovessero essere rispolverate restrizioni a viaggi e movimenti in genere.

Come dice Alessandro Fugnoli (di Kairos) nella sua ultima newsletter insomma: ci vuole anche tanta pazienza: per le banche centrali onde evitare di reagire eccessivamente ad un’inflazione che potrebbe attenuarsi, e per gli investitori per decidere quale strada prendere senza svendere nel momento sbagliato. Sempre che ce la si possa permettere…

Stefano di Tommaso




AUTUNNO CALDISSIMO

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Petrolio a 80 dollari al barile, il massimo da sette anni! E il bello è che non è finita.il prezzo del gas è cresciuto molto di più, spingendo svariati produttori di energia elettrica a spostarsi sul petrolio per limitare i danni: solo questo fatto ha aggiunto circa mezzo milione di barili al giorno alla domanda mondiale di petrolio, tornata dopo il crollo pandemico a crescere negli scorsi mesi più di quanto è tornata a crescere l’attività estrattiva.

 

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IL RUOLO DELL’OPEC+

C’è dunque da attendersi nuove tensioni sui prezzi perché ieri l’OPEC+ (l’organizzazione dei produttori di petrolio che include anche la Federazione Russa) ha sì acconsentito ad accrescere la produzione di greggio, ma moderatamente e gradualmente, fino a raggiungere un incremento di 400mila barili, dunque meno dell’ accresciuta domanda.

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Se a questo ragionamento si aggiunge la considerazione del fatto che le scorte strategiche di petrolio e gas sono quasi dappertutto molto basse e che dunque governi, produttori e distributori stanno soltanto aspettando il momento buono per ricostituirle, ecco che non si intravede la fine del tunnel che sta portando verso la soglia psicologica dei 100 dollari al barile il prezzo del petrolio.

MA IL GAS È CRESCIUTO DI PIÙ

D’altronde se volessimo fare un paragone, il prezzo del metro cubo di gas naturale è cresciuto fino ad un livello equivalente a circa 180-190 dollari al barile di petrolio (cioè di circa il doppio della crescita del prezzo del petrolio sul mercato), seminando il panico persino tra gli intermediari, molti dei quali potrebbero rischiare il tracollo finanziario perché, di fronte a una tale impennata, avevano nei giorni scorsi scommesso su un ribasso.


La stessa America, che produce più materia prima energetica di quanta ne possa consumare (e dunque la esporta) è preoccupata per le conseguenze dolorose che ciò potrebbe scatenare sull’economia reale (l’incremento quasi scontato della velocità di circolazione della moneta), che rischia di trovarsi di fronte all’ennesima fiammata inflazionistica dopo che le autorità monetarie e politiche si erano sperticate sulla “temporaneità” del rialzo dei prezzi.

E ARRIVA LA SVALUTAZIONE MONETARIA

In un precedente articolo avevamo fatto notare che era andata più o meno nello stesso modo all’inizio degli anni ‘70, quando però il mondo non affogava nei debiti e in una marea di derivati finanziari come oggidì, con i quali stavolta si può “scherzare” molto meno di allora nel lasciare che i tassi di interesse rincorrano la svalutazione monetaria.

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Non a caso il Dollaro è risalito bruscamente la scorsa settimana e rischia di proseguire la tendenza al rialzo. Questo rischia di indurre ulteriore tensione sul prezzo delle materie prime, paradossalmente più preoccupando che facendo gioire i paesi emergenti, i debiti finanziari dei quali rischiano di rivalutarsi più dell’incremento dei ricavi da export.

I media ne parlano assai poco ma i governi di tutto il mondo sono in allarme, e stanno correndo ai ripari in ordine sparso, senza un opportuno coordinamento. Soprattutto dopo aver strombazzato ai quattro venti la necessità di ridurre le emissioni nocive, sostituendo le fonti energetiche di origine fossile con quelle da fonti rinnovabili.

BORSE GIÙ-PREZZI SÙ E, TUTTAVIA…

Concludiamo con due grandi -ma non scontate- ovvietà: 1) l’economia globale rischia ulteriori rallentamenti che sono l’esatto opposto di ciò che poteva sperare sino a pochissimi mesi fa, e 2) le borse (come anche le quotazioni dei titoli a reddito fisso) non potranno che accusare il colpo, quantomeno a livello psicologico.

Dunque ciò che è destinata ad amplificarsi è principalmente la volatilità, sebbene non necessariamente possa essere a rischio il livello finale dei listini (quello di fine anno, utile per calcolare la performance di chi amministra patrimoni), dal momento che c’è pur sempre in circolazione molta liquidità ancora a caccia di occasioni.

LA PROBABILE RINCORSA DEI SALARI

Un’ultima considerazione riguarda l’economia de’noantri: l’Italia ha sino ad oggi sperimentato una forte deflazione salariale, che ha compresso i consumi e trattenuto la risalita dei prezzi al consumo. Il paragone con gli altri paesi industrializzati lo si può leggere da questo grafico ed è impietoso: nel periodo dì riferimento il nostro potere d’acquisto si è praticamente dimezzato rispetto agli Stati Uniti d’America.

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Ma l’arrivo probabile dell’inflazione a due cifre porrà più dì un problema dì rivalutazione dei salari e della conseguente tenuta dei conti pubblici, dal momento che una parte importante (più dì un terzo) dì tutti gli assunti sono dipendenti della pubblica amministrazione!

Stefano di Tommaso




MERCATI SEMPRE MENO PREVEDIBILI

Di motivi per preoccuparsi ce ne sono molti: dalle cosiddette guerre commerciali di Donald Trump ai tassi di interesse che la FED banca centrale americana) vuol far risalire vendendo i titoli acquistati in passato, dalle supervalutazioni dei principali titoli tecnologici all’eccesso di programmi di buy-back (riacquisto azioni proprie) che stanno sostenendo i listini, dai timori per la continua espansione dei debiti di Paesi come il nostro all’eccesso di rialzo delle quotazioni di Dollaro e Petrolio…

L’elenco delle preoccupazioni che dovrebbero aggredire i gestori di portafogli potrebbe continuare a lungo, tenendo presente che tutto ciò sta letteralmente mettendo in ginocchio le economie dei Paesi Emergenti e i loro mercati finanziari. Ma, ciò nonostante, tutto sommato le principali borse dei Paesi OCSE fino ad oggi hanno retto bene, pur mostrando segni sempre più evidenti di convulsioni (volatilità in ascesa) e di incertezza.

ALLA LARGA DAI FINTI “GURU”

I sacri libri di testo affermano che è normale tutto ciò camminando per il viale del tramonto di uno dei più lunghi periodi di rialzo delle borse, e che di conseguenza è tempo di fare i preparativi per l’inverno dei mercati, facendo ruotare i portafogli verso titoli di aziende che producono più cassa, le cui quotazioni sono meno speculative e i cui valori intrinseci sono maggiori. Ma se volessimo dare retta queste indicazioni è probabile che ancora una volta rischieremmo di sbagliare, poiché sono almeno due anni che le borse sono alle stelle e i finti “guru” vanno ripetendo invano che crolleranno.

ANCORA UNA VOLTA CORRERANNO I TITOLI TECNOLOGICI?

La speculazione, che sembra essere il principale attore dei mercati in tutto il 2018, continua a privilegiare i cosiddetti titoli “growth” (alla lettera: “crescita”) che quindi sono costantemente sulle montagne russe ma non sono certo precipitati in basso. Ma anche perché viviamo in un momento di forte crescita economica che supera costantemente le previsioni dei vari Istituti di ricerca (a partire da quello del Fondo Monetario Internazionale) e conseguentemente i profitti aziendali non sono mai stati così grassi e perché l’inflazione stenta a decollare nonostante la decrescita costante della disoccupazione e, soprattutto, nonostante il forte incremento della bolletta energetica (che ne compone una buona parte).

ATTENTI AI TASSI

Chi non si sente pronto a forti emozioni e di esporsi al rischio di forti perdite in conto capitale dovrebbe -continuano i sacri testi- rivolgersi al mercato obbligazionario, puntando su ritorni molto più limitati ma più sicuri. Peccato che, con i tassi in salita, con la curva dei rendimenti che esprime i medesimi ritorni tanto per il brevissimo quanto per il lunghissimo termine e con i rendimenti reali apparentemente negativi che i mercati esprimono, nemmeno i titoli del reddito fisso sembrano promettere bene.

Dunque non è per niente facile orientarsi eppure, con un equilibrio sempre più precario, chi investe qualche scelta la deve fare, perché ancora una volta non è così sicuro che tenere denaro liquido sui conti correnti bancari sia una buona idea.

IL POSSIBILE “RALLY” ESTIVO

Anzi: secondo numerosi autorevoli commentatori e “strategist” delle principali case di investimento (coloro che indicano la linea da seguire agli operatori di portafoglio), c’è ancora spazio per i i principali mercati finanziari per riprendere a correre durante l’estate, sebbene tale corsa si sviluppi sempre più sul filo del rasoio.

Questo perché di denaro in circolazione ce n’è ancora parecchio e alcune banche centrali come quelle Europea, della Cina e del Giappone, stanno ancora immettendone altro, i buy-back continuano imperterriti (mossi dalle casse piene delle aziende) e il boom di petrolio e gas torna a far brillare l’intero settore delle energie da fonti rinnovabili e, soprattutto, perché la digitalizzazione dell’economia globale continua inesorabilmente a generare efficienza sui costi e, in definitiva, tanto valore, il quale mano mano si trasforma (anche) in valore azionario.


UN EQUILIBRIO ALTAMENTE INSTABILE

Il mondo va avanti, insomma, le tigri asiatiche ruggiscono e l’Occidente continua a trarne ampio beneficio, sebbene sia chiaro che l’equilibrio dei mercati finanziari sia sempre più a rischio, che la loro volatilità possa continuare a salire e che un loro significativo ridimensionamento sia sempre più prossimo.

Dal momento che sui mercati non si può continuare a far finta di niente si può cercare di trarre vantaggio dalla situazione cavalcando con gli strumenti derivati la possibilità di guadagnare dalla volatilità crescente, dalla sempre maggiore fragilità dei mercati e dall’ondata ribassista che prima o poi si svilupperà.

COSA FARE ALLORA?

Nel frattempo l’economia reale continua la sua corsa e dunque saranno soprattutto i titoli azionari di aziende pro-cicliche quelli che potranno beneficiarne di più, soprattutto se le loro quotazioni hanno di recente subíto un ridimensionamento. Così come sono ancora una volta i titoli delle imprese che sviluppano nuove tecnologie (come l’intelligenza artificiale, la robotica e i servizi di internet) quelli che potrebbero portare a casa nel breve termine i migliori risultati, sebbene si debba tenere presente che nel lungo termine solo alcune di quelle imprese resteranno vive.

Ci sono fondi di investimento che selezionano solo comparti industriali come questi: inutile dire che le loro quotazioni sono già cresciute moltissimo. Ma con l’ondata di ulteriori fusioni e acquisizioni (siamo giunti ai massimi storici) che si apprestano a “ridefinire” i singoli comparti industriali, il “fai da te” resta ampiamente sconsigliato.

Sui mercati obbligazionari invece è tutta da vedere se i tassi d’interesse continueranno a salire, in assenza (o quasi) di inflazione endemica (cioè non originata da fattori esterni come guerre o shock petroliferi). È persino possibile il contrario, almeno per i tassi a lungo termine, sebbene questo valga molto più per i titoli americani che per quelli europei, la cui divisa di conto potrebbe scivolare ulteriormente a seguito delle tensioni interne.

E’ facile perciò prevedere il contrario per il Dollaro, ma anche per il Franco Svizzero e la Sterlina Inglese, considerati paradisi più sicuri in caso di intemperie, anche se -ricordiamocelo- purtroppo di certezze sui mercati ce ne sono sempre meno!

Stefano di Tommaso