PERCHÉ LE BORSE CORRONO

L’economia globale ha frenato abbastanza bruscamente alla fine del 2018, poi tra mille sussulti e distinguo sembra essere tornata a innestare la marcia in avanti (in quasi tutto il mondo salvo che in Europa), ma la ripresa delle quotazioni delle borse mondiali, dopo il calo registrato nel 2018 ha superato le più rosee aspettative. Perché? La risposta più breve è: perché le banche centrali hanno cambiato atteggiamento e oggi la liquidità sovrabbonda sui mercati. Ma in realtà lo scenario è più complesso.

 

I MOTIVI DI TIMORE A FINE 2018

Per cercare di interpretare correttamente la situazione corrente bisogna innanzitutto notare come alcuni tra i maggiori timori che erano comparsi al momento della picchiata delle borse di tutto il mondo (a fine dicembre 2018) stanno perdendo la loro ragion d’essere mano mano che i mesi passano:

  • prima quelli sulle guerre commerciali internazionali (a partire dalla madre di tutte le battaglie: la Cina contro l’America),
  • poi i timori derivanti dall’eccesso di rigore praticato dalla Federal Reserve nel perseguire la normalizzazione della politica monetaria (e dal conseguente scontro con il Presidente Trump),
  • per seguire con quelli derivanti dalle conseguenze di una lite profonda tra la Gran Bretagna e il resto d’Europa (la prima è importatrice netta dalla seconda),
  • e per finire con le possibili tensioni che sarebbero conseguite a una crisi dei debiti pubblici (a partire da quelli italiano e americano).
    Con la conseguenza quasi scontata di una potenziale revisione al ribasso del giudizio delle agenzie di rating internazionali, di materia per far tremare le borse ce n’era perciò proprio a bizzeffe.

LA MINI-RECESSIONE D’AUTUNNO

A tutto ciò si aggiungeva lo sconcerto provocato dalla mini-recessione d’autunno (che sembrava essere arrivata senza alcun preavviso e che pareva precludere ad una decisa anticipazione della conclusione dell’attuale ciclo economico positivo e all’arrivo di una nuova recessione globale). Recessione tecnica invece, rivelatasi poi per quello che in realtà è forse sempre stata: uno scossone di assestamento o poco più, persino in Italia, dove il primo trimestre 2019 sembra già puntare oltre la parità.

IL PANORAMA SEMBRA DECISAMENTE MIGLIORATO

Tutti coloro che si informano regolarmente sanno perciò che buona parte dei mal di testa che conseguivano all’accumulo di nuvoloni neri e che avevano scatenato un panico da nuova tempesta perfetta nella finanza mondiale oggi sembrano invece dileguarsi, quantomeno nelleaspettative: la Cina e l’America (ma soprattutto quest’ultima, che ha smesso di cannoneggiare anche nei confronti del resto del mondo) stanno mostrando fermamente che vogliono trovare un esito positivo ai negoziati. La FED ha detto chiaramente che non intende accollarsi la responsabilità di una nuova recessione e che dunque i prossimi aumenti dei tassi d’interesse sono rinviati a data da destinarsi. La Gran Bretagna ha abbandonato l’idea di sbattere la porta alla Commissione Europea rinviando a tempi migliori l’uscita dall’Unione (tra due mesi ci saranno le elezioni per il rinnovo dei vertici d’Europa) e infine le agenzie di rating si sono guardate bene dall’infierire sull‘eccesso di debiti pubblici, astenendosi dal peggiorare i loro giudizi e, più di ogni altro fattore, il timore che il mondo stesse viaggiando verso una nuova recessione sembra quantomeno rintuzzato da una serie confortante di nuovi dati macroeconomici che paiono smentire i gufi che annunciavano un‘ imminente apocalisse.

MA NON BASTA PER GIUSTIFICARE LA CORSA DEI LISTINI

Tutto bene dunque? Più o meno si, fatta salva l’ovvia considerazione che quelle sopra citate sono tutte delle “mezze buone notizie”, non il grilletto che può aver scatenato la nuova corsa all’oro della finanza mondiale! In molti casi l’allarme è stato infatti soltanto rinviato.

Non per niente l’inflazione resta ai minimi storici, i tassi d’interesse a lungo termine sono andati in direzione opposta a quelli a breve termine (sono scesi) e tutti sanno che, tempo un anno o due, l’inversione della curva dei tassi (quelli a lungo termine dovrebbero normalmente restare ben al di sopra di quelli a breve, per remunerare la minor liquidità) prelude all’inversione del ciclo economico.

Se invece dal picco negativo di Dicembre scorso (meno di tre mesi fa) le principali borse sono cresciute circa del 20% qualche altro motivo ci deve pur essere e i più concordano che la risposta risieda nella politica monetaria delle banche centrali, le quali non hanno soltanto cambiato atteggiamento (come la FED) ma in molti altri casi hanno addirittura ripreso a pompare liquidità, a partire da quella cinese, fino a quella europea, passando dalla Bank of Japan che non ha letteralmente mai smesso di farlo.

LA LIQUIDITÀ INNANZITUTTO

Altro che normalizzazione monetaria dunque, siamo di fatto agli antipodi, anzi peggio che agli antipodi, perché -anche a causa della maggior offerta di moneta da parte delle altre banche centrali che non trova riscontro in altrettanta fiducia nelle borse locali- Wall Street in questi mesi non solo è cresciuta parecchio (vedi grafico qui sopra), ma ha anche continuato a rosicchiare quote di mercato alle altre grandi borse, attirando capitali dal resto del mondo sia perché esprime grandi qualità (liquidità, trasparenza e controlli, eccetera) che per il fatto che il Dollaro è rimasto da tempo in tendenza ascendente contro praticamente tutte le altre valute.

L’indice europeo paragonabile allo Standard&Poor 500 riportato qui accanto è infatti l’Eurostoxx 600 qui sotto, che evidentemente si è mosso con più moderazione e in leggero ritardo.

 

Tra l’altro l’afflusso netto di capitali in zona Dollaro non fa che rinforzare quella divisa, che resta chiaramente in un canale ascendente, come mostra il grafico della sua quotazione contro Euro qui accanto riportato.

La liquidità dunque è ciò che fino ad oggi ha continuato a sostenere i listini di borsa, anche tenendo conto del fatto che i titoli a reddito fisso mancano oramai del primo dei due aggettivi: il reddito, e che per questo motivo molti investitori scelgono i titoli azionari per avere dai dividendi la cedola che non esiste più per quelli obbligazionari.

MA QUANTO PUÒ DURARE ?

Ma quanto può durare questa bonanza? La domanda è per definizione senza risposte certe ma possiamo provare a guardare qualche dettaglio interessante negl’indici che misurano la produttività del lavoro, dal momento che il rialzo del costo della manodopera già registrato in America può diffondersi nel resto del mondo anche se esso non sembra incidere necessariamente sui consumi, la cui composizione è in forte cambiamento (ed è forse principalmente per questo motivo che l’inflazione non cresce).


La produttività non è soltanto stranamente rimasta al palo negli ultimi anni, un periodo in cui viceversa i profitti aziendali hanno corso più di quanto avessero mai fatto prima, ma ciò è anche successo nel Paese che più di tutti gli altri ha investito nella rivoluzione digitale (che ha da molti altri punti di vista portato a immensi efficientamenti economici): gli Stati Uniti d’America. Qualcuno ne ha attribuito le cause all‘ avanzamento delle tecnologie che hanno generato la cosiddetta “sharing economy” (economia della condivisione) grazie alla quale molti prodotti e servizi sono divenuti economici o addirittura gratuiti (a partire dalle notizie, fino al noleggio di bici e automobili), andando ad alterare gli indici che la tracciavano proprio laddove le nuove tecnologie si sono sviluppate maggiormente.

ALCUNI SEGNALI POSITIVI…

Ebbene dopo molti anni in cui addirittura sembrava volgere al ribasso, nell’ultimo trimestre 2018 ha fatto un balzo in avanti, facendo ben sperare che le tensioni salariali non finissero con il divorare il salto in avanti dell’efficienza aziendale che è derivata dall’andamento economico positivo in America.

Se andiamo poi a guardarne l’andamento dell’efficienza dell’ora lavorata nei paesi più sviluppati (OECD) troviamo in effetti che molte economie emergenti e in particolare quelle dell’Europa dell’Est come Polonia, Lettonia, Bulgaria e Romania, negli ultimi tre lustri hanno mostrato dinamiche molto più pronunciate che non quelle degli U.S.A. o del Regno Unito.


Lo stesso non può peraltro dirsi per il nostro Paese che, rispetto ai più diretti concorrenti europei, ha accumulato un ritardo considerevole, come si può notare dal grafico qui riportato.


Ebbene quella timida ripresa della produttività americana fa pensare che la maggior efficienza per le imprese derivante dall’avanzamento delle tecnologie produttive sia arrivata a lambire anche l’industria manifatturiera americana, lasciando ben sperare che non resti effimera la timida ripresa dei prodotti economici lordi che sembra aver attecchito sul pianeta dopo la pausa della crescita registrata alla fine dello scorso anno.

Nulla di certo tuttavia, e soprattutto non si tratta ancora di una tendenza consolidata che possa far sperare nella ripartenza di un nuovo ciclo economico globale di sviluppo senza essere passati (o quasi) dalla fase recessiva. Per ora è soltanto una pia speranza: quella che l’incedere inesorabile delle nuove tecnologie possa aprire nuovi scenari di sviluppo economico, sino ad oggi impensabili.

E ALTRI SEGNALI DI PRUDENZA

Per il momento dunque la prudenza è d’obbligo: le borse mondiali appaiono ancora una volta fortemente sopravvalutate rispetto alla redditività delle imprese che vi sono rappresentate, o quantomeno in forte anticipo rispetto alle performances che queste ultime dovranno mostrare per giustificare le elevatissime valutazioni implicite nei corsi azionari. E sempre che l’inflazione non faccia brutte sorprese, dal momento che se arrivasse anche le aspettative -oggi stazionarie- relative ai bassissimi tassi di interesse che sottendono alla stima dei flussi di cassa prospettici che possono generare quelle imprese, sarebbero riviste al ribasso, trascinando con sè anche i listini di borsa.

Un’ipotesi al rialzo quindi e una al ribasso fanno la più assoluta parità nelle attese circa l’evoluzione delle borse di qui alla fine dell’anno in corso. Che peraltro è quello che si aspettano quasi tutti gli analisti finanziari per i prossimi 10 mesi, ma con l’unica avvertenza che la media del pollo appena ipotizzata non implica necessariamente un mare calmo come l’olio per la navigazione, soprattutto quando gli scenari appena pennellati tendono un po’ troppo al colore rosa, che sia esso quello di un’alba oppure di un tramonto. Nessuno può davvero dirlo…

Stefano di Tommaso




L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE È LA “NUOVA ELETTRICITÀ“ E LA CINA NE VUOLE IL PRIMATO

Ecco forse un buon motivo perché non scoppierà l’attuale bolla speculativa dei titoli tecnologici: l’intelligenza artificiale è la nuova frontiera delle start-up tecnologiche e qualsiasi cosa un essere umano possa fare in meno di un secondo, già oggi è facilmente replicabile dall’intelligenza artificiale.

 

È ovvio che ciò cambierà l’intero scenario industriale così come l’elettrificazione l’ha cambiata all’inizio del ventesimo secolo e dunque c’è un disperato bisogno di accaparrarsi queste tecnologie per rimanere efficienti.

Già oggi l’intero comparto industriale della robotica è in pieno fermento, a causa del fatto che l’industria non può rimanere indietro nell’efficienza dei costi di produzione, ma questo non significa ancora aver varcato la soglia dell’intelligenza artificiale : le macchine che apprendono da sole e che si organizzano per eseguire lavori complessi saranno figlie dell’ “internet delle cose”, capace di generare una notevole mole di informazioni che saranno poi processate dall’intelligenza artificiale allo scopo di poterle usare come base dati di partenza.

Sì perché lo sviluppo dell’intelligenza artificiale si basa sulla possibilità di riuscire a esaminare una gran mole di dati per dedurne una serie di comportamenti “intelligenti”, appunto. Per riconoscere I volti umani, per interloquire con loro, per prendere decisioni “razionali” i processori devono realizzare copiose “inferenze” statistiche, sulla base delle quali potranno risultare affidabili. Dunque anche la problematica della velocità del trasferimento dei dati e della loro elaborazione è cruciale per poter realizzare la base dell’intelligenza artificiale: i “sistemi esperti”. Dunque la dimensione delle informazioni disponibili è l’aspetto che permette di evolverli.

E’ noto ad esempio che nella battaglia per il primato nella guida autonoma delle autovetture è Tesla al comando, perché ha il maggior numero di mezzi in circolazione con già al loro interno i sistemi per rilevare e inviare i dati rilevati nelle varie situazioni stradali incontrate. Dunque più automezzi Tesla con sistemi più o meno parziali di guida automatica saranno in circolazione e più Tesla sarà in grado di trasformare i miliardi di informazioni raccolte in miglioramenti dei propri sistemi di guida.

Lo stesso criterio ci porta a immaginare che molto presto sarà la Cina a vincere la battaglia per il primato dell’intelligenza artificiale applicata al commercio e all’industria. La Cina ha infatti la più estesa base industriale installata al mondo e il maggior numero di utenti internet. Questo può fornirle un grosso vantaggio notevole nella corsa alla prossima rivoluzione industriale: acquisire la più ampia base dati e applicarla nello spettro più ampio possibile delle attuali tecnologie .

Le principali società tecnologiche cinesi (Baidu, J.D., Tencent e persino Alibaba) hanno già a disposizione un‘ amplissima base dati della loro clientela “retail” (che in molti casi rasenta il miliardo di individui) e stanno investendo moltissimo nell’intelligenza artificiale per poterla utilizzare in ogni direzione, esattamente come oggi sta già facendo Google. Ma il continente asiatico raccoglie quasi dieci volte la popolazione di quello americano, e con una sete di progresso nemmeno paragonabile.

 

D’altra parte se ne capisce anche la motivazione: se l’intelligenza artificiale è destinata a cancellare il 20-30% degli attuali posti di lavoro e ben pochi suoi abitanti possono oggi vivere con una rendita finanziaria, è altrettanto necessario che quei posti di lavoro di industria e commercio siano rimpiazzati con quelli nella gestione delle tecnologie. Ogni tanto la pianificazione centralizzata dell’intero apparato industriale cinese presenta anche qualche vantaggio per il Paese!

Stefano di Tommaso




L’ECONOMIA CORRE, IL LAVORO E L’INFLAZIONE NO

Solo un paio di anni fa il mondo temeva una “stagnazione secolare” e la possibilità di una contestuale ripresa dell’inflazione (dunque una “stagflazione”) a causa dei timori legati a presunti effetti perversi dei Quantitative Easings (le politiche delle banche centrali volte a immettere liquidità sui mercati attraverso l’acquisto di titoli). Oggi sembra essere cambiato tutto: dai timori siamo passati agli stupori e persino alla noia nel leggere tutti i mesi bollettini economici trionfanti più o meno in tutto il mondo e al tempo stesso ciò avviene in assenza di fiammate inflazionistiche. Viviamo nel migliore dei mondi possibili o dobbiamo rivedere seriamente i metodi di raccolta dei dati statistici per effetto delle mutate condizioni generali al fine di riuscire a rappresentare un quadro più veritiero? Probabilmente sono vere entrambe le affermazioni.

 

Le borse valori sono passate da una crisi profondissima nel 2008 (che tutti concordavano nell’accomunare a quella del 1929 per la sua straordinarietà) a una grande euforia negli ultimi anni ma adesso destano una generalizzata apprensione per i livelli stratosferici toccati. E per di più godono di una bassa volatilità dei corsi, quasi che la situazione attuale sia percepita come assolutamente normale e non vi sia niente di strano nel poter toccare il cielo con un dito.

Un altro segno che le normali teorie dei cicli borsistici sono anch’esse superate dai fatti e che gli economisti e gli analisti finanziari non sanno più a che santo votarsi? Probabilmente si, sebbene nessuno si senta di escludere la possibilità che domani mattina qualche notizia inaspettata possa far crollare rovinosamente i mercati finanziari e mettere fine al regno del bengodi che stiamo sperimentando negli ultimi tempi.

UNA MONTAGNA DI DENARO FRESCO ASPETTA DI RIENTRARE IN BORSA

Eppure il numero di soloni che hanno sperato di passare alla storia nel riuscire a predire la prossima crisi dei mercati è in continuo aumento. Gli “strategist” delle società di gestione degli investimenti finanziari che consigliano di vendere tutto in borsa sono sempre più numerosi e, tra l’altro, vanno avanti da più di un anno a cercare asset alternativi. Tutto denaro che sarebbe potuto affluire in borsa e che invece ha perduto la giostra dei mercati che ha spedito più in alto del 30% i corsi azionari rispetto a circa un anno fa (quando si pensava che il mercato fosse già ai massimi di sempre) è stato riversato su immobili, opere d’arte, beni rifugio e criptovalute. Solo su queste ultime hanno avuto ragione. Mentre su tutto il resto magari non hanno perduto quattrini ma sicuramente hanno perduto più di un’opportunità di guadagno e si chiedono quando “rientrare” in posizione.

Adesso chiaramente il rientrare in posizione nel momento in cui i mercati toccano l’apice del massimo valore sembra una fesseria e però questa impasse per I grandi investitori va avanti da più di un anno! “Usque tandem?” Direbbe un banchiere centrale in deciso imbarazzo parafrasando Cicerone che si rivolgevano a Catilina! Dunque se da un lato le borse fanno paura dall’altro c’è un’altra montagna di liquidità di coloro che sono rimasti fuori e che si chiedono quand’é che le borse scenderanno un po’ per trovare l’occasione giusta per giustificare il loro ravvedimento. La morale è semplice: le borse difficilmente crolleranno ma anzi, sugli eventuali storni troveranno altro denaro fresco ad attenderle, anche per cogliere l’opportunità dei profitti sempre più grassi che stanno caratterizzando le principali società quotate nel mondo.

LO SPETTRO DELL’INFLAZIONE E DEL RIALZO DEI TASSI

Ma non ci sono solo i mercati finanziari: l’economia mondiale cresce per la prima volta a ritmo elevato e sincronizzato e non si trova quasi traccia di inflazione, nemmeno dove essa dovrebbe naturalmente stare: nei paesi più avvantaggiati dalla crescita nel terzo mondo, che hanno sperimentato il maggior incremento del numero degli occupati e che dispongono perciò di maggior reddito disponibile da spendere nei consumi. Gli economisti se lo chiedono ma, quale che ne sia la ragione, le statistiche fanno piovere numeri che sembrano certi: la stagione dell’inflazione sembra archiviata per un po’ di tempo almeno.

Il punto è che qualche segnale di attenzione relator ai prezzi è spuntato quá e lá: il petrolio è decisamente sui massimi delle medie storiche recenti (ha sfondato il muro dei 60 Dollari, contro molte previsioni che vedevano il permanere di un eccesso di offerta) e sembra puntare ancora più in alto mentre il corso del Dollaro, tanto per le annunciate politiche fiscali accomodanti del Presidente Trump, quanto per l’attrazione dei mercati finanziari americani, sembra di nuovo orientato al rialzo.


Se i prezzi di tutte le altre materie prime verranno influenzati da queste due variabili alla fine un po’ di inflazione la importeremo di sicuro! Tardi magari ma sì: non si colgono al contempo pari forze deflazionistiche all’opera per controbilanciare le pressioni sui prezzi.

Come sempre tuttavia la questione non sta nelle discussioni di principio (inflazione si o no) bensì nella misura delle cose: un leggero incremento ci proietterebbe -più di quanto non sia già oggi- nel migliore dei mondi possibili. Un incremento sostenuto dell’inflazione suonerebbe invece come una campanella d’allarme. Se posso avanzare uno spassionato parere: per molte ragioni è più probabile il primo che il secondo scenario (come si è visto per la Gran Bretagna). Dunque è possibile che la stagione della crescita non sia a un passo dalla svolta, bensì abbia imboccato un lungo percorso.

Le banche centrali tra l’altro sono sul piede di guerra pur senza avere individuato il fronte dove combatterla. Gli incrementi omeopatici dei tassi di interesse con ogni probabilità si concretizzeranno, e contribuiranno a debellare la possibilità di una più forte fiammata inflazionistica, mentre non è affatto scontato che danneggeranno i mercati.

LE PROSPETTIVE ITALIANE

In un quadro internazionale così rassicurante, l’Italia resta un Paese che guarda i grandi avvenimenti in una posizione non esattamente da protagonista, non solo per il macigno del debito pubblico che continua a crescere ma soprattutto perché un’intera area del Paese mostra scarsi segnali di vitalità e a causa delle pesantissime limitazioni della burocrazia. Eppure ha appena incassato una promozione sul proprio rating (quasi inaspettata) e da parte della più autorevole delle Agenzie: Standard & Poor’s, ragione per la quale è probabile che le altre seguiranno.

Un recente sondaggio tra gli analisti finanziari dá per scontati almeno altri sei mesi di crescita economica sostenuta, la cui vera portata sarà probabilmente rivelata solo al termine di tale periodo, cioè a ridosso delle elezioni politiche, vero banco di prova della stabilità.

Nel frattempo la rincorsa ai grandi del mondo continua con relativo successo e una serie di indicatori “fondamentali” porta il segno positivo. È possibile tra l’altro come dicevamo che i migliori dati macroeconomici verranno al riguardo rilasciati il più tardi possibile, per ovvi motivi di campagna elettorale dei partiti oggi al governo, cosa che lascia sperare in una relativa ulteriore forza del sistema bancario nazionale, vero flucro della tenue ripresa subalpina e comparto cardine di una parte consistente della capitalizzazione complessiva della Borsa Italiana, la quale già gode di ottima salute per lo straordinario numero di nuove imprese che decidono di varcarne la porta.

Quasi impossibile comporre dunque un quadro negativo, o anche soltanto fumoso se non fosse per il fatto che si prepara l’ennesimo autunno caldo di lotte sindacali. E questo a ridosso di una ripresa industriale ancora giovane e poco consolidata con molte imprese italiane che invece devono ancora fare quella pulizia nei bilanci (e negli esuberi) la sola cosa che può permettere loro di trasformare una brezza di positività in miglior produttività ed efficienza, essenziali per consolidare le buone performances.

Dunque una frase di cautela concedetemela: il momento è positivo, fin che dura!

Stefano di Tommaso