LA RECESSIONE È GIÀ ALLE PORTE?

Il dato statistico ha fatto sobbalzare tutti: media, esperti, commentatori, imprenditori e investitori. La produzione industriale italiana si è ridotta a Novembre (sul Novembre precedente) del 2,6%, un’enormità se pensiamo a una crescita attesa del prodotto interno lordo (tanto quella passata quanto quella attesa per il 2019) dell’uno virgola qualcosa, che tra l’altro a questo punto è facile che nell’anno in corso non ci sia più.

 

Ma dove stanno le cause? I più se la prendono con il governo, che però è in carica da sin troppo poco tempo per esserne il vero responsabile. E poi c’è quel “di cui” grosso come una casa che si chiama “produzione industriale automobilistica” (un settore industriale che in Italia ha tantissime imprese, buona parte delle quali grandi esportatrici di componentistica) che ha fatto quasi -20% a Novembre (su Novembre 2017). Per fare una sintesi potremmo affermare che la frenata dell’industria automobilistica sia stata quasi l’unica vera causa di quella (otto volte più piccola) registrata dalla produzione industriale nazionale!

SORPRESA! LA GERMANIA ARRANCA

Ma se andiamo a scavare tra le statistiche europee allora sì che salta fuori la vera sorpresa (che costituisce anche buona parte delle ragioni di quella nostrana): la Germania nello stesso periodo (Novembre 2017 -Novembre 2018) ha fatto quasi il doppio della frenata industriale italiana : -4,7%. È questa sì che è una vera enormità, dal momento che, pur in assenza del dato del 4.° trimestre, già nel terzo trimestre la Germania è andata indietro con il prodotto interno lordo e le previsioni indicano che chiuderà l’anno con una crescita del P.I.L. tra il +1,2% e il +1,5% circa (cioè poco più che da noi). Si veda il grafico qui sotto:

Come dire che l’arretramento che noi abbiamo sperimentato a fine anno è stato ancor più vistoso per i tedeschi! Se teniamo conto del fatto che l’export industriale è sceso del 3,2% nello stesso periodo, capiamo che la
Germania (il gigante industriale d’Europa) è stata duramente colpita dalla congiuntura negativa e che questo fatto getta un’ombra sinistra sulle prospettive del vecchio continente, che fino all’estate godeva di un forte avanzo commerciale con il resto del mondo.

Il problema non è marginale per le esportazioni dell’industria italiana, spesso e volentieri fornitrice/terzista di quella teutonica. Il traino (stavolta negativo) è praticamente scontato. Ecco invece sino a Novembre (qui a sinistra) il dato italiano del P.I.L.

L’Europa oggi inoltre si confronta con Francia e Gran Bretagna -sempre più instabili dal punto di vista politico- e con l’avvio della campagna elettorale per le elezioni europee (tra soli 4 mesi) che rischia di portare un forte ribaltone per l’attuguale maggioranza politica della Germania. Difficile dunque che i governanti europei riusciranno a coalizzarsi in questi 4 mesi e a prendere iniziative clamorose per contrastare il declino che sembra delinearsi per l’economia europea.

LA CINA RALLENTA E IL CAMBIO VA A PICCO

La congiuntura non sembra molto migliore in Cina dove, nonostante le statistiche sulla crescita siano discutibili (da più parti si ritiene che molti dati siano stati “truccati”) essa è certamente superiore a quella di buona parte del resto del mondo.

In Cina quasi la metà di quella crescita del P.I.L. (40%) è dipesa fino a ieri dall’incredibile livello di investimenti compiuti da aziende spesso sussidiate dal governo con denaro pubblico preso a prestito.

La contropartita di ciò è un cambio con il Dollaro fortemente perdente e l’accentuarsi dell’inflazione attesa, derivante anche dal maggior costo delle importazioni. Qui sotto il grafico del cambio Yuan/Dollaro nelle ultime settimane:

A sinistra invece il grafico dell’inflazione attesa, in evidente crescita:

Oggi quindi la Cina si confronta però con un indebitamento al limite della sostenibilità e, ciò nonostante, con forti rischi di vedere stabilmente ridotte le sue esportazioni in Occidente incrementandone le importazioni (e dunque importando anche inflazione). Il timore generale è che quella macchina industriale che con la sua dinamica ha portato benefici indotti anche a tutto il resto del mondo possa incepparsi, sotto la pressione che l’America sta esercitando su di essa.

MA ANCHE L’AMERICA RALLENTERÀ (INEVITABILMENTE)

A questo punto anche la prospettiva di crescita economica americana del 2019 inizia a venire messa in discussione, perché non potrà basarsi esclusivamente su un ulteriore accelerazione dei consumi interni (anche perché è difficile ipotizzare ulteriori miglioramenti dell’occupazione dopo che l’economia interna ha già raggiunto di fatto il pieno impiego dei fattori). A evidenziare il rallentamento dei consumi c’è l’inflazione U.S.A., già scesa all’1,9% nei 12 mesi terminati a Dicembre del 2018 (per la prima volta sotto al 2% dall’Agosto 2017) .

D’altra parte, se l’America nonostante la piena occupazione mostrerà una crescita economica rilevante, probabilmente ciò dipenderà da una favorevole dinamica salariale, ma se ciò avverrà allora anche l’inflazione si risveglierà.

PIÙ UNA STAGNAZIONE CHE UNA VERA RECESSIONE

Tutto ciò spinge a supporre che la crescita economica globale prevista in precedenza dovrà ridursi e che ciò andrà inevitabilmente a scapito delle economie più deboli e di quelle più dipendenti dalle esportazioni, come l’Italia. È chiaro che in questo scenario l’iniziativa (attuale e soprattutto potenziale) del governo per uno stimolo “fiscale” forte potrà risultare particolarmente efficace nel contrastare la deriva negativa, ma difficilmente gli permetterà di vantarsene, dal momento che sarà già un ottimo risultato non arretrare economicamente.

Una relativa stagnazione globale dunque non soltanto è probabile che arrivi in anticipo, ma forse è davvero già alle porte. Cioè sarà ufficiale già nel corso del 2019, dopo un intero decennio di ripresa in America e pochi anni di (relativo) sviluppo a casa nostra. E forse proprio per questo l’arretramento a casa nostra non colpirà così duramente.

IL VERO RISCHIO È LO SHOCK FINANZIARIO

Il punto è che quando la stagnazione globale sarà incorporata nelle statistiche, allora i governi di buona parte del mondo si presenteranno all’appuntamento dell’inversione del ciclo economico-per la prima volta nella storia recente- con troppi debiti e assai poca capacità di contrastarla.

E sarà allora che il sistema finanziario globale sarà messo a durissima prova, perché alla recessione in arrivo potrebbe sommarsi una ripresa dell’inflazione, e perché ciò nonostante nessun paese al mondo potrà permettersi di incrementare i tassi di interesse, portando dunque i rendimenti reali sotto lo zero.

Ma questo è davvero un altro film… chi vivrà vedrà!

Stefano di Tommaso




INDIETRO TUTTA ?

Se ai mercati finanziari la scorsa settimana non è bastata nemmeno la doppietta di buone notizie di una possibile tregua nelle guerre commerciali in corso e del mutato atteggiamento delle banche centrali che avevano recentemente dichiarato di essere pronte a rivedere la loro volontà di procedere con i rialzi dei tassi d’interesse, il ragionamento che ne consegue è che la loro situazione è forse più grave di quello che sembrava.

 

La settimana appena conclusa ha lasciato infatti i mercati con la bocca amara, nonostante le ottime aspettative che avevano fatto seguito alll’ultimo meeting dei maggiori governanti del mondo: il G20 di Buenos Aires. Ufficialmente si è parlato del riacuirsi dei timori di uno scontro sempre più frontale tra Stati Uniti d’America e Cina, dopo l’arresto (chiesto dagli americani) della figlia di uno dei maggiori imprenditori dell’estremo oriente, apparentemente sulla base di capi d’accusa molto relativi (la violazione del bando americano sulle forniture all’Iran).

La verità sembra però essere ben più grigia: ai mercati finanziari della figlia del signor “Huawei” non sarebbe probabilmente interessato affatto se, per le relazioni tra i due paesi, questo non fosse stato un episodio paragonabile all’attentato di Sarajevo (che costò la vita poco più di un secolo fa al principe ereditario d’Austria e divenne il “casus belli” che dette inizio al deflagrare della prima guerra mondiale), scoprendo d’un tratto una verità ben diversa da quella raccontata dagli organi di stampa: gli U.S.A. hanno molto da recriminare circa i comportamenti commerciali poco ortodossi delle industrie cinesi, e non intendono chiudervi un occhio in nome di una ritrovata armonia!

UNA TERRIBILE COINCIDENZA DI CIRCOSTANZE NEGATIVE

Il vero punto della questione però è che nemmeno la gravità della guerra commerciale in corso sarebbe poi così importante per l’umore dei mercati finanziari, se non fosse che va a coincidere temporalmente con:
•una riduzione progressiva della liquidità disponibile e il rialzo dei tassi di interesse (entrambi programmati dalle banche centrali)

•la volontà degli investitori professionali di realizzare le laute plusvalenze accumulate in quasi un decennio di borse crescenti,

•l’inizio di una discesa della fiducia dei consumatori,

•l’allarme recessione lanciato dagli economisti che da tempo indicano una elevata correlazione statistica della fine di un ciclo economico positivo con l’inversione della pendenza della curva dei tassi di interesse (per cui se il differenziale dei rendimenti a breve con quelli a lungo termine si azzera, allora si crea una situazione “innaturale”)

•il ripetuto allarme circa la dimensione nuovamente raggiunta dagli strumenti finanziari derivati (paragonabile soltanto a quella toccata prima della grande crisi del 2008) e dunque del rischio che il castello di carte della speculazione possa abbattersi con sfracello sull’economia reale, ma soprattutto che esso possa travolgere le più importanti banche del mondo, mettendo di nuovo a rischio i capisaldi del sistema internazionale.

 

I RISCHI DI TENUTA DEL SISTEMA BANCARIO

Degli argomenti di preoccupazione testè citati è forse l’ultimo quello peggiore di tutti, soprattutto per il continente europeo, perché è da noi che le imprese piccole e medie più dipendono dai finanziamenti del sistema bancario (anche a causa di un mercato dei capitali relativamente sottosviluppato) e dunque è da noi che un’eventuale nuova crisi del sistema bancario può fare i danni peggiori.

A ingrigire il quadro ci si mette dunque la prospettiva di un prossimo anno molto difficile per i Paesi appartenenti all’Unione Europea, già gravati da un eccesso di tassazione (a sua volta derivante dalla necessità di finanziare un eccessivo indebitamento pubblico)

I RISCHI POLITICI E DI TENUTA DEI CONTI PUBBLICI

E adesso anche travolti anche da un deciso ricambio in corso delle leadership politiche (con tutto quello che ne consegue in termini di rischi di dissoluzione della moneta unica)

e al tempo stesso con il rischio che le esportazioni (su cui molto si è basata la loro relativa salute economica fino ad oggi) possano in definitiva venire seriamente danneggiate dalle guerre commerciali e dalla possibilità che molti Paesi Emergenti entrino in default finanziario a causa del caro-Dollaro.
A corroborare poi l’attesa complessiva di una vera e propria frenata della crescita economica globale ci si sono messe infine la discesa del prezzo del petrolio (stranamente proprio all’arrivo della stagione fredda) è un drastico calo delle vendite dei beni di consumo durevole, primi fra tutti gli autoveicoli!

Mettendo insieme tutti i tasselli del mosaico quello che ne consegue è che i tempi di vacche grasse per i profitti aziendali e per gli investimenti tecnologici potrebbero essere già un ricordo all’inizio del 2019, cioè un anno almeno in anticipo sulle previsioni che circolavano ancora poche settimane fa.

 

IL GIOCO PERVERSO DELLE ASPETTATIVE CHE SI AUTOREALIZZANO

Al di là dunque di un possibile rimbalzo delle borse valori nei prossimi giorni, i forti ribassi della settimana appena trascorsa hanno acceso una luce sinistra sulla probabilità che le reali prospettive dei mercati finanziari globali siano peggiori di quanto la maggioranza degli operatori economici era disposta a credere fino a ieri.

•E se dovesse prevalere lo scoramento collettivo sarebbe sufficiente quest’ultimo per mandare il mondo anticipatamente in recessione, a causa del perverso gioco delle aspettative che si autorealizzano e degli investimenti (tanto quelli industriali come quelli strutturali) che rischiano di bloccarsi a causa della riduzione delle disponibilità finanziarie per sostenerli.

Stefano di Tommaso




PERCHÉ CALANO BORSE E PETROLIO

Sono alcune settimane che vediamo una discesa marcata del prezzo del petrolio e, di conseguenza, tutti si chiedono per quale motivo, in piena stagione autunnale, questo possa succedere. Se possa essere sintomo di una imminente recessione o viceversa se questo possa addirittura provocare una stabilizzazione del tasso di inflazione e, di conseguenza, uno stop alla crescita dei tassi di interesse. Ma in fondo molte delle considerazioni possibili valgono anche per Wall Street…

 

 

Ogni teoria ovviamente può essere valida in un momento in cui è divenuto sempre più complesso non soltanto fare previsioni sui mercati finanziari, ma anche soltanto interpretare correttamente quel che accade nel mondo, ma una cosa è assolutamente indubbia: i prezzi al momento sono in ribasso per un eccesso di offerta, ed è questo che li fa calare, come afferma la microeconomia:

 

Non certo i timori di una futura recessione, dal momento che al riguardo non ci sono certezze circa l’incombere di un nuova recessione e, anzi, la domanda mondiale dell’oro nero continua a crescere, nonostante tutto (ivi comprese le politiche che si oppongono all’inquinamento atmosferico) come è mostrato dal grafico che segue :

 


Il fatto che ci sia un eccesso di offerta tuttavia non significa necessariamente che il prezzo del petrolio sia destinato a scendere troppo, poiché molta dell’offerta oggi in eccesso smetterebbe di affluire al mercato qualora il prezzo medio scendesse al di sotto dei 50 dollari al barile, come dimostra questo grafico che indica i prezzi di “break-even” (cioè al di sotto dei quali i produttori ci perdono) per le varie tipologie di estrazione:

 

Perché allora tutti speculano sulle sorti dell’economia reale quando vedono che Le borse o il prezzo di talune materie prime subiscono un eccesso di offerta? Le possibili risposte sono molteplici:

– In primo luogo c’è la psicologia: la volatilità di questi giorni ha riguardato un po’ tutti I mercati del mondo, a partire da quelli finanziari ed è divenuta un fattore di incertezza che deprime gli slanci;

– Poi c’è la domanda che languisce: la maggioranza degli speculatori chiude l’anno con un nulla di fatto (siamo quasi alla fine dell’anno e i mercati si sono riaccartocciati sulle quotazioni espresse all’inizio);

– Ma soprattutto ci sono le prospettive, anzi: non ci sono più! Nessuno oggi si aspetta davvero un 2019 in corsa come il 2016 (seconda metà dell’anno, dalla campagna elettorale di Trump in poi) e come il 2017 (che è salito quasi senza soluzione di continuità).

 

 

Tre fattori che pesano come pietre ad affossare persino la speculazione, quella che aveva tenuto in vita le speranze che i buy-back e la liquidità tutt’ora abbondante potesse giocare in rimpiazzo della domanda degli investitori di lungo periodo, oramai sopita da tempo. È questa la vera risposta alla domanda di “copertina”!

Risultato: sulle borse chi ha fatto buoni guadagni è più probabile che resti oramai alla finestra, pronto magari a speculare su qualche ondata in arrivo, mentre chi è rimasto intrappolato su prezzi di carico alti attende (con poco entusiasmo) di riuscire a realizzare ed è forse per questo che c’è più offerta che domanda e che la volatilità è in crescita ( si veda il grafico):

Lo stesso vale per la speculazione sulle materie prime e l’energia, con l’aggravante che, nonostante la domanda resti elevata, sono le prospettive quelle che più ne penalizzano i prezzi:

– È sotto gli occhi di tutti il peggioramento del clima globale e questo fa pensare che nuove misure verranno prese per evitare che la situazione precipiti;

– La speculazione è di conseguenza stanca di lottare contro le avversità e il calo delle riserve globali di petrolio immagazzinato (si veda il grafico qui sotto riportato) ne testimoniano il disimpegno;

– Il costo del denaro è cresciuto, così di conseguenza quello del “carry trade” (cioè del detenere qualcosa in portafoglio sinché non ne salga il prezzo) e l’ulteriore stretta alla liquidità globale non fa ben sperare per la disponibilità di credito nel prossimo futuro.

 


Qualcuno ha stimato che la stretta monetaria in arrivo innalzerà il prezzo del credito di ulteriori tre punti percentuali in capo a un anno, a prescindere dai rialzi dei tassi programmati dalla Federal Reserve Bank of America, che al massimo sembra saranno quattro ed assommeranno cumulativamente ad un solo punto percentuale in più.

Dunque il ciclo del credito è già alla svolta è anche questo induce previsioni pessimistiche che scoraggiano la speculazione e, con essa, anche la liquidità dei mercati.

Una vera iattura se teniamo conto del fatto che il ribasso del prezzo dell’energia e di numerose materie prime non può che avere effetti di ulteriore “compressione” dell’inflazione, che già non correva da sola, con il rischio quindi che la debolezza dell’inflazione possa ribaltare la tendenza che sembrava vedersi e trasformarsi di nuovo in deflazione!

Ma non si era detto che invece non ci sono prove né teorie affidabili sul fatto che una nuova recessione sia in arrivo?

Certamente si e l’argomento è così dibattuto che qualcuno si aspetta la fine (che sembra non arrivare mai) dell’attuale super-ciclo economico per non prima della fine del 2019. Un’eternità in termini speculativi!

La verità è che fare previsioni sino a ieri è stato relativamente semplice: i mercati andavano soltanto all’insù e l’unica vera leva da azionare prima o poi era il freno, dal momento che era ovvio non sarebbero continuati a correre per sempre.

Ma poi è arrivato il 2018: un anno intero di incertezza e spostamenti “laterali”, nel corso del quale il freno è stato azionato dai più, ma questo non ha significato alcun crollo. Certo il bitcoin è forse stato la vittima più illustre della disillusione collettiva e della riduzione della liquidità disponibile, complici le banche centrali che ha usato tutto il potere nelle loro mani per disinnescarne lo sviluppo (che invece prima o poi potrebbe arrivare). La verità è il panorama si è complicato a dismisura e che la maggioranza degli investitori ha oggi perso ogni orientamento.

Per dimostrare quanto sopra proverò a fare un esempio. Avete notato che nessuno parla più degli effetti maieutici e miracolosi delle innovazioni tecnologiche in arrivo? Eppure nessuno le ha stoppate, anzi! I risultati delle nuove tecnologie sono incoraggianti e gli effetti delle medesime sulla nostra vita quotidiana devono ancora farsi veramente sentire. I due continenti più vitali del globo (Asia e America) ci hanno scommesso l’anima e aspettano di vederne i ritorni economici, mentre il vecchio continente ha dimostrato di poterci convivere insieme, rinnovando le sue produzioni da esportazione, dal lusso all’impiantistica, passando per le costruzioni di grandi opere e proseguendo fino agli alimenti più sani.


Quel che ne consegue è che la prossima recessione non sarà con ogni probabilità uguale alle altre che l’hanno preceduta: molti fattori recentemente comparsi all’orizzonte è possibile che andranno a smorzarne gli effetti negativi e, anzi, i bradisismi in corso potrebbero indurre molte variazioni in positivo dei paradigmi della vita quotidiana, rivoluzionando i settori industriali e stimolando la crescita di nuovi parametri di ricchezza, benessere, reddito. Togliendo valore a ciò che lo aveva in passato e non necessariamente aggiungendone a quel che davvero conterà in futuro, contribuendo ad affossare in maniera quasi definitiva il concetto di inflazione che era considerato valido fino a ieri (anche perché il paniere dei beni preso per suo campione statistico dovrà essere continuamente rivisto).

Se questo fosse le attuali condizioni del mercato dei titoli a reddito fisso (i cui rendimenti reali diventerebbero estremamente interessanti se il tasso di inflazione dovesse tornare a calare) saranno da ricordare come memorabili, perché potrebbero non rivedersi più ancora per molto tempo. Mentre le borse sono già arrivate al loro nirvana, anche se ciò che resta da considerare è il livello reale dei profitti aziendali, che secondo me possono riservare sorprese positive.

Se così accadesse davvero (e solo il tempo potrà dirlo) allora le borse non collasserebbero mai più tutte insieme come è accaduto nel 2008, ma semplicemente continuerebbero a lungo in quella fase “laterale” di galleggiamento sul mare magno della liquidità (che non può letteralmente essere fatta sparire nel nulla a pena del collasso dei debiti pubblici mondiali) sotto la cui superifice molte cose si muovono velocemente e dalle cui profondità nuove isole vulcaniche sono pronte ad emergere, mentre altre ne scivoleranno lentamente al di sotto.

Stefano di Tommaso




DIECI E NON PIÙ DIECI

Esattamente dieci anni fa esplodeva la crisi della Lehman Brothers, una delle più grandi banche d’affari americane e del pianeta e dava l’avvio alla peggiore crisi finanziaria degli ultimi ottant’anni. Ma dopo poco più di un anno di passione le borse da allora hanno ripreso a correre e sono ascese a toccare i massimi di sempre. Oggi, allo scadere di quel decennio nuove importanti avvisaglie di pericolo si stanno radunando nuovamente sui mercati finanziari di tutto il mondo e in particolare su Wall Street, che sino ad oggi si è laureata come la regina delle borse valori e che ha tenuto molto meglio delle altre le sue quotazioni. Ma, a ben vedere la scadenza dei 10 anni potrebbe rivelarsi caustica proprio per i titoli più performanti…

 

Quanto durerà la “bonanza” degl’investimenti azionari? Tutti sanno che l’eternità è riservata ad altri argomenti e che tutto ciò che va in alto prima o poi deve tornare in basso, ma sino ad oggi le borse hanno riservato agli investitori solo sorprese positive, anche quando sono cresciute parecchio. In questi giorni tuttavia in cui si ricorda uno dei momenti più drammatici dei mercati finanziari a memoria d’uomo sempre più investitori professionali iniziano a prendere precauzioni e a prepararsi al peggio, sebbene la prossima recessione non sia nemmeno in vista. In questo articolo cerchiamo di fare luce sulle prospettive dei mercati azionari all’arrivo di un autunno che potrebbe rivelarsi più “caldo” del previsto.

LA DIVERGENZA CRESCENTE TRA LE BORSE NEL MONDO

Cominciamo con un grafico particolarmente esplicativo della divergenza profonda che si è creata -a partire dalla primavera del 2018- tra le quotazioni di Wall Street e quelle di tutte le altre borse valori:

 

Il grafico è coerente con il fenomeno di rimpatrio dei capitali americani investiti in giro per il mondo e con il riaffermarsi del Dollaro quale moneta leader. Ma forse, per fare luce sulla situazione paradossale che stiamo vivendo, bisogna fare ancora un ragionamento, mettendo in relazione le strabilianti performance di Wall Street (rispetto al resto del mondo) viste nel grafico qui sopra, con quelle di un ristrettissimo numero di titoli super-tecnologici e super importanti per il listino, senza i quali la stessa Wall Street non sarebbe affatto stata la medesima:

Nel grafico qui riportato vietiamo infatti che buona parte della performance l’hanno fatta 5 aziende superstar: i cosiddetti titoli FAANGs (Facebook Amazon Apple Netflix e Google) e in particolare la stessa Apple, che ha praticamente sorretto il listino con le sue forze, arrivando per prima oltre la soglia fatidica di mille miliardi di dollari di capitalizzazione.

Bisogna peraltro ammettere che in questa follia euforica c’è forse anche del genio, dal momento che senza i FAANG probabilmente avremmo assistito ad una forte penalizzazione del listino americano che avrebbe a sua volta potuto scatenare un “sell-off” (fuga dalle borse) di proporzioni bibliche e che pertanto il medesimo è stato evitato.

Dunque buona parte delle altre borse valori e la stessa Wall Street -se si escludono quei cinque titoli “d’oro”- sta già oggi navigando a vista e comunque sotto ai livelli di inizio anno.

L’INVERSIONE DELLA CURVA DEI RENDIMENTI

Ma proprio allo scadere dei dieci anni dall’ultima crisi finanziaria un altro importante campanello d’allarme ha iniziato a suonare: l’inversione della curva di rendimenti. Si veda nel grafico che segue l’evoluzione del differenziale tra i rendimenti dei titoli di stato americani con scadenza a 10 e a 5 anni: quando il primo frutta meno interessi del secondo ecco che qualcosa di innaturale sta succedendo.

Per chi è familiare con il concetto basterà solo dire che tutti concordano sul fatto che, quando accade, nel giro di un anno al massimo arriva la recessione, spesso indotta dalle manovre della stessa banca centrale americana. Per gli altri possiamo aggiungere che, dal momento che anche questa volta le attese sul rialzo dei tassi di interesse sono divenute più importanti nel breve che nel lungo termine (per il quale evidentemente gli operatori non si aspettano grandi variazioni), ecco che -a livello di rendimenti- il mercato preferisce comperare titoli di stato a 10 anni invece di quelli a 5 anni poiché nel breve termine la costanza degli incrementi nei tassi di interesse operata dalla Federal Reserve Bank of America ha solidificato la convinzione che questa continuerà a incrementarli ancora a lungo.

MA LA RECESSIONE E’ ALLE PORTE?

Quando dovrebbe manifestarsi allora la recessione? Difficile per chiunque rispondere ma indubbiamente il super-ciclo economico positivo (che dall’America si è esteso a praticamente tutto il resto del mondo) sembra giunto a durate record nella storia economica e da adesso in poi ogni momento potrebbe essere quello buono per la sua inversione.

E’ stata forse la presidenza Trump che ha gettato scompiglio nelle attese degli economisti, con un forte rilancio tanto delle aspettative quanto dei profitti netti aziendali, dopo l’importante sconto fiscale operato meno di un anno fa ma annunciato quasi due anni fa (con la sua elezione) e la promessa di dare supporto a forti investimenti infrastrutturali. Dopo l’arrivo di Trump indubbiamente l’economia americana ha conosciuto un bel balzo in avanti, registrando livelli occupazionali record che non si vedono nemmeno in Cina (dove le paghe sono dieci volte più basse) e incrementi tanto nei redditi quanto nei consumi pro-capite. Le aspettative di recessione si sono dunque fortemente ridimensionate e anche i mercati finanziari ne hanno risentito positivamente. Ma l’economia americana è oggettivamente “drogata” dagli stimoli fiscali, arrivati per di più dopo anni di stimoli monetari. Quanto a lungo potrebbe continuare a correre se non ne arriveranno ancora di nuovi? Di seguito un grafico che mostra le attese degli effetti delle manovre in corso sull’economia:


LA FUGA IN SORDINA DEGLI INVESTITORI PROFESSIONALI

Volendo poi proseguire con i campanelli d’allarme, anche il comportamento dei grandi hedge-funds speculativi, per quanto solo parzialmente indicativi di una vera e propria tendenza, sono cambiati negli ultimi mesi: il grafico che segue infatti indica una forte attesa di incremento per il prossimo Novembre dell’indice della volatilità, in coincidenza con le “elezioni di medio termine” americane, le medesime che potrebbero segnare la riconquista del Congresso americano da parte dei democratici e, in quel caso, anche la fine della carriera politica del presidente Trump:

Ebbene i due grafici che seguono mostrano il fatto che i grandi investitori hanno iniziato a scommettere su un ribasso del listino già da alcuni mesi, incrementando nel contempo l’investimento sui titoli a reddito fisso (cosa che spiegherebbe il differenziale negativo sulle scadenze più lunghe visto poco sopra):

I RIBASSISTI SI CONCENTRANO SULLE STAR DEL LISTINO

Anche per quanto riguarda la selezione dei titoli su cui investire, l’incremento delle scommesse al ribasso sui FAANGs (e dintorni, come Microsoft, Alibaba e Tesla) mostra chiaramente che gli investitori professionali (i più attivi sul fronte delle scommesse al ribasso) sono pericolosamente pessimisti sugli unici colossi che hanno puntellato la tenuta del listino di Wall Street:

Potrebbe allora confermarsi l’oscura metafora con famosi “mille e non più mille” anni indicati da Gesù Cristo, con i dieci anni e non più altri dieci dei mercati finanziari? Non è detto, così come hanno avuto poca soddisfazione i fautori della fine del mondo, in qualsiasi epoca abbiano profetizzato.

Certo però il numero di argomenti a favore di un deciso ridimensionamento delle valutazioni azionarie continua a crescere e chi ritiene, come mostrato nel grafico qui sotto riportato, che il mondo ha digerito un salto in alto permanente nella valutazione delle aziende, dovrebbe ricordarsi delle più basilari leggi della fisica, a partire da quella più cara a Isaac Newton: la legge di gravità!


Stefano di Tommaso