VERSO UN “PIANO MARSHALL” ITALIANO

Il Governo Italiano ha fatto chiaramente capire alla comunità internazionale che non intende rimanere indifferente alla tragedia del Ponte Morandi di Genova, che rischia di trasformarsi in una immagine pubblica fortemente negativa per il Bel Paese (dove le infrastrutture collassano perché non sono sufficientemente controllate e dove quindi anche il turismo e il business sono potenzialmente a rischio) e si appresta a dialogare con la Commissione Europea per lanciare un suo piano Marshall per la ricostruzione e la manutenzione delle principali opere pubbliche.
L’iniziativa -un vero e proprio anticipo sulla Manovra Economica d’Autunno- riguarderebbe una miriade di infrastrutture, la parziale ri-nazionalizzazione delle Autostrade per l’Italia (API, il veicolo attraverso il quale Atlantia controlla il 50% delle concessioni autostrada) nonché la ricostruzione di migliaia di scuole, il riassetto di circa 10.000 strade e di parte dei circa 60.000 ponti presenti nel territorio, viene valutata secondo le prime stime non ufficiali in almeno 80 miliardi di euro, anche a causa del pesante ritardo con il quale sono proceduti sino ad oggi gli interventi manutentivi ordinari.
PERCHÉ UN “PIANO MARSHALL”
L’Italia infatti soffre più di altri paesi del ritardo di numerosi investimenti che altrove sono stati spesso finanziati con risorse private ma quasi mai a casa nostra. Gran gran parte delle infrastrutture viarie italiane ha superato infatti i 50 anni di età, che corrispondono alla vita utile associabile alle opere in calcestruzzo armato realizzate con le tecnologie disponibili nel secondo dopoguerra (anni ’50 e ’60).
Il problema è di grandi dimensioni e di forte impatto mediatico: il costo di un ponte è stato fino ad oggi all’incirca pari a 2.000 euro/mq. dunque le cifre necessarie per evitare altre tragedie come quella accaduta e provvedere all’ammodernamento dei soli ponti italiani più a rischio ammonterebbero a decine di miliardi di euro. Per questo motivo si descrive l’operazione come il “piano Marshall” delle infrastrutture stradali italiane, basato sulla sostituzione di gran parte di esse con nuove opere caratterizzate da una vita utile decisamente superiore ai 50 anni (in buona parte scaduti) del passato.

Si veda in proposito il grafico qui sopra riportato, che mostra investimenti in infrastrutture viarie che si sono mantenuti relativamente stabili in Germania e Francia, sono tornati a crescere in Gran Bretagna, mentre sono bruscamente crollati in Italia con l’arrivo della crisi economica (dai quasi 14 miliardi del 2007 fino a 3,4 miliardi del 2010 e da allora non si sono quasi più ripresi. Nel 2015 ammontavano a 5 miliardi di euro contro gli 11,7 della Germania, i 10 della Francia e i 9 della Gran Bretagna (che ha molti meno chilometri di strade dell’Italia):
Per non parlare dell’andamento generale degli investimenti pubblici in Italia e in Europa (grafico a destra):
UNO STIMOLO AL PRODOTTO INTERNO LORDO
L’iniziativa riguardante gli investimenti infrastrutturali avrebbe anche un secondo interessante risvolto, che è quello di avere tutte le caratteristiche per fungere da importante stimolo al prodotto interno lordo italiano (potrebbe arrivare ad ammontare a un intero punto percentuale in più di P.I.L.) nell’anno in corso e nel prossimo, rilanciando così tanto l’occupazione (che resta stabilmal di sopra del 10%) e gli investimenti produttivi delle imprese che ne saranno coinvolte.

Ultima ma non trascurabile caratteristica di questa iniziativa sarebbe la possibilità di considerare il finanziamento (in deficit rispetto al budget statale) di tali spese pubbliche in maniera differente rispetto alla spesa corrente e, come tale, sembra che possa contare su una prima approvazione informale della Commissione Europea, proprio perché basato su investimenti e dunque potrebbe essere interpretato come cosa diversa dal precedente programma (essenzialmente composto di linea dura con l’Unione Europea e maggiori voci di spesa corrente) con il quale il governo penta-leghista era stato varato.
D’altra parte il reddito di cittadinanza e la “Flat Tax” (la tassa sul reddito fino a 100mila euro ad aliquota unica 15%) di fronte all’immane sciagura di Genova oggi possono anche attendere uno o due semestri (si è stimato che possano costare fino a 6 punti percentuali di P.I.L.) mentre se nel frattempo si potesse registrare una maggior crescita dell’economia -nell’ordine, diciamo, del 2% (in linea con la media europea)- questo potrebbe aiutare non poco ad attuare, in un prossimo futuro, anche le iniziative elettoralmente più rilevanti per la base che ha votato l’attuale maggioranza politica.
ITALIA SORVEGLIATO SPECIALE
L’Italia in questi giorni post-ferragostani è chiaramente il “sorvegliato speciale” delle agenzie di rating di tutto il mondo, ma è anche un enorme macigno che può avere la massa critica per far cadere a pezzi la costruzione europea qualora le sue finanze pubbliche si avvitassero in una sequela di aspettative negative e maggiori tassi di interesse, che significherebbero maggior costo del debito pubblico, il quale a sua volta ridurrebbe automaticamente la sostenibilità del medesimo. Un‘iniziativa volta a contrastare i timori e la sfiducia dei mercati potrebbe giovare molto, così come anche la tempestività della manovra potrebbe aiutare moltissimo alla credibilità del Paese.
L’attesa degli analisti infatti per i nostri conti pubblici è “border-line”, atteso che la crescita economica nel 2018 è vista in calo rispetto a quanto registrato con il governo Gentiloni e che nessuno si aspetta inasprimenti fiscali o innalzamenti delle aliquote IVA (come previsto nel “giugulare” patto di stabilità sottoscritto in precedenza con la Commissione Europea) per contrastare il deficit derivante dalla deriva della spesa pubblica, che ogni anno si incrementa significativamente più del prodotto interno lordo.
UNA “MANOVRA D’AUTUNNO” ANTICIPATA GIOVEREBBE ALLA CREDIBILITÀ INTERNAZIONALE DEL NUOVO GOVERNO
Dunque è piuttosto probabile che con quelle premesse si arrivi a sfondare il tetto del 3% (in rapporto al P.I.L.) del deficit di bilancio e, senza qualche altra notizia di segno positivo, sarebbe difficile convincere la comunità finanziaria internazionale della costanza di sostenibilità del debito pubblico. Sino ad oggi il Ministro Tria si è prodigato in generiche dichiarazioni ma poi non ha detto nulla di più concreto, mentre la delibera anticipata a fine Agosto o ai primi di Settembre di una Manovra Finanziaria d’Autunno (che rischia per altri versi di risultare decisamente “caldo” per il Governo) che risulti compatibile con le esigenze di stabilità sarebbe un atto collegiale dell’intero Esecutivo e potrebbe aiutare moltissimo a ristabilire la fiducia internazionale (e con essa la riduzione del famigerato “spread” con i titoli di stato tedeschi).
Stefano di Tommaso




ITALIA: L’ECONOMIA NON CRESCE QUANTO LA SPESA E IL DEBITO PUBBLICO

In occasione delle elezioni amministrative, è curioso e triste al tempo stesso notare che le prospettive economiche dell’Italia -e di conseguenza quelle di buona parte di noi- restano fortemente compresse a causa delle politiche economiche alla rovescia fatte dai Governi degli ultimi 50 anni, quello attuale compreso. Ma il segnale che giunge dalle urne alimenta la speranza di riuscire a cambiarle!

 

La crescita economica del ns Paese resta fortemente limitata, se non addirittura bloccata, a causa dell’invadenza della spesa pubblica, del debito che ne consegue, dall’assurda tassazione che esso provoca e dalla burocrazia infernale che si è stratificata. Purtroppo il nuovo salasso dei conti pubblici dovuto al salvataggio delle banche popolari venete è l’ennesimo segnale che il Governo non se ne cura.

L’ovvia affermazione ce la sentiamo ripetere da anni da ogni intellettuale che minimamente voglia far lo sforzo di comprendere l’Italia. Eppure gli Imprenditori, i Professionisti, i Lavoratori Autonomi e gli Investitori nazionali sembrano dimenticarla spesso e volentieri, assuefatti come sono nella loro sudditanza pressoché imbelle alla casta dei politici che governano e continuano a sconquassare l’ex “Bel Paese”: un termine che risale a Dante: «Del bel paese là dove ’l sì sona» (Inf. XXXIII, 80) e al Petrarca: «il bel paese Ch’Appennin parte, e ’l mar circonda e l’Alpe» (Canzoniere, CXLVI) ma che oramai dobbiamo iniziare a cancellare dal ns vocabolario.

UN DESTINO SEGNATO DALLA SPESA PUBBLICA

Non che le cose non stiano andando per l’Italia meglio di prima, e nemmeno che il Paese non abbia fatto progressi. Infinitesimi però. Mentre il destino economico dell’Italia -e, con esso, quello di buona parte di noi Italiani- potrebbe essere completamente diverso, se i politici al governo comprendessero che la spesa e il debito pubblico non possono estendersi all’infinito.

Ricordiamo alcuni numeri e fatti:

– La spesa pubblica assorbe, nel 2016, al netto degli interessi sul debito, il 42.2% del P.I.L. Dunque il costo della macchina statale, compresi gli interessi, assorbe ben più della metà di ogni centesimo del reddito lordo prodotto dai suoi cittadini andando la mattina a lavorare;

– Non stupisce constatare che negli ultimi quindici anni (cioè più o meno da quando siamo nell’Eurozona) oltre mezzo milione di Italiani abbia deciso di portare all’estero la propria residenza, oltre al fatto che un numero probabilmente ben maggiore di giovani leve lo abbia fatto senza ufficialità per apparenti motivi di studio o di temporanea esperienza oltre confine (con il dichiarato desiderio tuttavia di non fare più ritorno). Inutile ricordare che molti di essi sono i migliori, quelli che potrebbero aiutare a cambiare le cose, generare nuove imprese, innovazioni e reddito futuro;

– La crescita economica italiana degli ultimi quindici anni d’altra parte è sempre rimasta molto al di sotto di quella degli altri Paesi OCSE, mentre la spesa pubblica corrente non solo è costantemente aumentata, sia in assoluto che in rapporto al P.I.L., ma è  anzi cresciuta al netto degli interessi sul debito pubblico, quindi senza che la responsabilità dello scandalo possa essere scaricata sul passato;

– Anzi, sono proprio gli interessi sul debito ciò su cui si è più risparmiato, grazie, però, non alle scelte del governo italiano, ma a quelle della Banca Centrale Europea. Mentre i tagli pubblici effettuati ammontano a 16 miliardi nel 2015; 10 nel 2016 e 3 nel 2017 essi non hanno ridotto la spesa corrente -dal momento che il debito continua a crescere- quanto tagliato da una parte è stato più che speso dall’altra. Abbiamo di fatto tagliato solo gli investimenti!

HANNO RAGIONE GLI ALTRI PAESI DELL’U.E.

Numeri alla mano perciò, da un lato hanno ragione gli altri membri dell’Unione quando continuano a pretendere da noi un po’ di rigore, ma dall’altro il rigore noi lo abbiamo tristemente e inutilmente applicato soltanto agli investitori e ai migliori produttori di reddito, elevando continuamente la tassazione (mentre, per effetto della nota Curva di Laffer, in realtà il gettito fiscale scende). Non stupisce che siano i primi a fuggire!
Inutile ricordare che invece in tutto il resto del mondo le tasse vengono tagliate per favorire lo sviluppo e gli investimenti (e, in ultima analisi, persino il gettito fiscale!).

Come si fa perciò a non affermare che ancora una volta noi Italiani ci facciamo governare alla rovescia? È una realtà contabile dimostrata dai fatti e priva di segnali di inversione.
Una realtà che condanna le prospettive economiche delle aziende, che disincentiva le nuove iniziative, che impedisce le nuove infrastrutture, che spinge i nostri migliori cervelli a trasferirsi nel resto del mondo, che sottrae progressivamente quel che rimane dei servizi pubblici, della previdenza sociale, e persino dell’assistenza sanitaria.

SOMMERSO, ESPORTAZIONE DI CAPITALI E ILLEGALITÀ

E mentre oltre la metà del reddito prodotto nel Paese viene sequestrato dalla macchina pubblica, quelli che lo producono hanno sempre più incentivi ad alimentare l’economia sommersa, l’esportazione dei capitali e l’illegalità.
Cioè tutte quelle cose che sembravano migliorare con il nostro ingresso in Europa…  Ma è difficile dare la colpa agli altri per quel che sprechiamo!

Dovremmo “solo” cambiare radicalmente la gestione della Pubblica Amministrazione e, con essa, ogni uomo al suo governo (locale o nazionale che sia) e forse gli Italiani lo hanno capito, poiché il risultato delle elezioni amministrative va in questa direzione, a prescindere dal colore politico.
Se non ci riusciremo tuttavia nel giro di pochi anni essa non esisterà nemmeno più.

 
Stefano di Tommaso