L’ECONOMIA CORRE, IL LAVORO E L’INFLAZIONE NO

Solo un paio di anni fa il mondo temeva una “stagnazione secolare” e la possibilità di una contestuale ripresa dell’inflazione (dunque una “stagflazione”) a causa dei timori legati a presunti effetti perversi dei Quantitative Easings (le politiche delle banche centrali volte a immettere liquidità sui mercati attraverso l’acquisto di titoli). Oggi sembra essere cambiato tutto: dai timori siamo passati agli stupori e persino alla noia nel leggere tutti i mesi bollettini economici trionfanti più o meno in tutto il mondo e al tempo stesso ciò avviene in assenza di fiammate inflazionistiche. Viviamo nel migliore dei mondi possibili o dobbiamo rivedere seriamente i metodi di raccolta dei dati statistici per effetto delle mutate condizioni generali al fine di riuscire a rappresentare un quadro più veritiero? Probabilmente sono vere entrambe le affermazioni.

 

Le borse valori sono passate da una crisi profondissima nel 2008 (che tutti concordavano nell’accomunare a quella del 1929 per la sua straordinarietà) a una grande euforia negli ultimi anni ma adesso destano una generalizzata apprensione per i livelli stratosferici toccati. E per di più godono di una bassa volatilità dei corsi, quasi che la situazione attuale sia percepita come assolutamente normale e non vi sia niente di strano nel poter toccare il cielo con un dito.

Un altro segno che le normali teorie dei cicli borsistici sono anch’esse superate dai fatti e che gli economisti e gli analisti finanziari non sanno più a che santo votarsi? Probabilmente si, sebbene nessuno si senta di escludere la possibilità che domani mattina qualche notizia inaspettata possa far crollare rovinosamente i mercati finanziari e mettere fine al regno del bengodi che stiamo sperimentando negli ultimi tempi.

UNA MONTAGNA DI DENARO FRESCO ASPETTA DI RIENTRARE IN BORSA

Eppure il numero di soloni che hanno sperato di passare alla storia nel riuscire a predire la prossima crisi dei mercati è in continuo aumento. Gli “strategist” delle società di gestione degli investimenti finanziari che consigliano di vendere tutto in borsa sono sempre più numerosi e, tra l’altro, vanno avanti da più di un anno a cercare asset alternativi. Tutto denaro che sarebbe potuto affluire in borsa e che invece ha perduto la giostra dei mercati che ha spedito più in alto del 30% i corsi azionari rispetto a circa un anno fa (quando si pensava che il mercato fosse già ai massimi di sempre) è stato riversato su immobili, opere d’arte, beni rifugio e criptovalute. Solo su queste ultime hanno avuto ragione. Mentre su tutto il resto magari non hanno perduto quattrini ma sicuramente hanno perduto più di un’opportunità di guadagno e si chiedono quando “rientrare” in posizione.

Adesso chiaramente il rientrare in posizione nel momento in cui i mercati toccano l’apice del massimo valore sembra una fesseria e però questa impasse per I grandi investitori va avanti da più di un anno! “Usque tandem?” Direbbe un banchiere centrale in deciso imbarazzo parafrasando Cicerone che si rivolgevano a Catilina! Dunque se da un lato le borse fanno paura dall’altro c’è un’altra montagna di liquidità di coloro che sono rimasti fuori e che si chiedono quand’é che le borse scenderanno un po’ per trovare l’occasione giusta per giustificare il loro ravvedimento. La morale è semplice: le borse difficilmente crolleranno ma anzi, sugli eventuali storni troveranno altro denaro fresco ad attenderle, anche per cogliere l’opportunità dei profitti sempre più grassi che stanno caratterizzando le principali società quotate nel mondo.

LO SPETTRO DELL’INFLAZIONE E DEL RIALZO DEI TASSI

Ma non ci sono solo i mercati finanziari: l’economia mondiale cresce per la prima volta a ritmo elevato e sincronizzato e non si trova quasi traccia di inflazione, nemmeno dove essa dovrebbe naturalmente stare: nei paesi più avvantaggiati dalla crescita nel terzo mondo, che hanno sperimentato il maggior incremento del numero degli occupati e che dispongono perciò di maggior reddito disponibile da spendere nei consumi. Gli economisti se lo chiedono ma, quale che ne sia la ragione, le statistiche fanno piovere numeri che sembrano certi: la stagione dell’inflazione sembra archiviata per un po’ di tempo almeno.

Il punto è che qualche segnale di attenzione relator ai prezzi è spuntato quá e lá: il petrolio è decisamente sui massimi delle medie storiche recenti (ha sfondato il muro dei 60 Dollari, contro molte previsioni che vedevano il permanere di un eccesso di offerta) e sembra puntare ancora più in alto mentre il corso del Dollaro, tanto per le annunciate politiche fiscali accomodanti del Presidente Trump, quanto per l’attrazione dei mercati finanziari americani, sembra di nuovo orientato al rialzo.


Se i prezzi di tutte le altre materie prime verranno influenzati da queste due variabili alla fine un po’ di inflazione la importeremo di sicuro! Tardi magari ma sì: non si colgono al contempo pari forze deflazionistiche all’opera per controbilanciare le pressioni sui prezzi.

Come sempre tuttavia la questione non sta nelle discussioni di principio (inflazione si o no) bensì nella misura delle cose: un leggero incremento ci proietterebbe -più di quanto non sia già oggi- nel migliore dei mondi possibili. Un incremento sostenuto dell’inflazione suonerebbe invece come una campanella d’allarme. Se posso avanzare uno spassionato parere: per molte ragioni è più probabile il primo che il secondo scenario (come si è visto per la Gran Bretagna). Dunque è possibile che la stagione della crescita non sia a un passo dalla svolta, bensì abbia imboccato un lungo percorso.

Le banche centrali tra l’altro sono sul piede di guerra pur senza avere individuato il fronte dove combatterla. Gli incrementi omeopatici dei tassi di interesse con ogni probabilità si concretizzeranno, e contribuiranno a debellare la possibilità di una più forte fiammata inflazionistica, mentre non è affatto scontato che danneggeranno i mercati.

LE PROSPETTIVE ITALIANE

In un quadro internazionale così rassicurante, l’Italia resta un Paese che guarda i grandi avvenimenti in una posizione non esattamente da protagonista, non solo per il macigno del debito pubblico che continua a crescere ma soprattutto perché un’intera area del Paese mostra scarsi segnali di vitalità e a causa delle pesantissime limitazioni della burocrazia. Eppure ha appena incassato una promozione sul proprio rating (quasi inaspettata) e da parte della più autorevole delle Agenzie: Standard & Poor’s, ragione per la quale è probabile che le altre seguiranno.

Un recente sondaggio tra gli analisti finanziari dá per scontati almeno altri sei mesi di crescita economica sostenuta, la cui vera portata sarà probabilmente rivelata solo al termine di tale periodo, cioè a ridosso delle elezioni politiche, vero banco di prova della stabilità.

Nel frattempo la rincorsa ai grandi del mondo continua con relativo successo e una serie di indicatori “fondamentali” porta il segno positivo. È possibile tra l’altro come dicevamo che i migliori dati macroeconomici verranno al riguardo rilasciati il più tardi possibile, per ovvi motivi di campagna elettorale dei partiti oggi al governo, cosa che lascia sperare in una relativa ulteriore forza del sistema bancario nazionale, vero flucro della tenue ripresa subalpina e comparto cardine di una parte consistente della capitalizzazione complessiva della Borsa Italiana, la quale già gode di ottima salute per lo straordinario numero di nuove imprese che decidono di varcarne la porta.

Quasi impossibile comporre dunque un quadro negativo, o anche soltanto fumoso se non fosse per il fatto che si prepara l’ennesimo autunno caldo di lotte sindacali. E questo a ridosso di una ripresa industriale ancora giovane e poco consolidata con molte imprese italiane che invece devono ancora fare quella pulizia nei bilanci (e negli esuberi) la sola cosa che può permettere loro di trasformare una brezza di positività in miglior produttività ed efficienza, essenziali per consolidare le buone performances.

Dunque una frase di cautela concedetemela: il momento è positivo, fin che dura!

Stefano di Tommaso




LA TRAHISON DES IMAGES (OVVERO: LE BANCHE CENTRALI SONO DAVVERO IN RITIRATA?)

Ci sono artisti che passano alla storia per le loro vite intense (si pensi al Caravaggio o a Van Gogh). E poi c’è René Magritte, un uomo elegante, come tanti, educato e distinto come un banchiere, ma capace di evocare la trasformazione della realtà come nessun’altro. In questo sta il suo genio: nell’invito a osservare il mondo con occhi diversi, a stupirci di ciò che è apparentemente banale, a scavare sotto la superficie per scoprire che la realtà è molto più affascinante di quanto non appaia. « Chi oserebbe pretendere che l’immagine di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa»

 

La Trahison des images (la fuorvianza delle immagini) è un suo dipinto realizzato nel 1928-29 (l’anno della più grande delle crisi di Borsa della storia). L’opera, contestando la raffigurazione della pipa (non si tratta di fatto di una pipa, bensì di una sua immagine), mira a mettere in risalto la differenza di tangibilità e consistenza che il mondo della realtà ha con quello dei segni, invitando alla riflessione sulla complessità del linguaggio. A cinquant’anni dalla morte di Maigritte il messaggio della filosofia surrealista lanciato con forza proprio dalla pittura di grandi evocatori di concetti astratti come lui (ma anche da Miró, Ernst, Dalí, de Chirico ecc…), non poteva essere più attuale nel contesto odierno dei mercati finanziari.

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL TAPERING

Sono quasi due anni che I banchieri centrali ci raccontano della loro volontà di procedere a una graduale ritirata da quello che è stato forse il loro più vasto e profondo intervento nella storia dell’economia: il Quantitative Easing (l’allentamento della politica monetaria seguìto alla brusca riduzione della liquidità in circolazione dopo la crisi borsistica del 2008). All’epoca si rischiava di ripercorrere pedissequamente gli otto anni di crisi economica che erano seguiti alla crisi finanziaria del 1929 e i principali banchieri centrali nel mondo, capitanati da quelli anglosassoni, decisero nel 2008 di controbilanciare con vigore la riduzione del moltiplicatore monetario del credito (e della velocità di circolazione della moneta) con l’acquisto sul mercato di grandi quantità di titoli e dunque con la conseguenza di affogarli di liquidità. I tassi di interesse discesero perciò più o meno bruscamente intorno allo zero e questo fatto risultò a sua volta essenziale per rendere sostenibile un altro macigno che rischiava di schiacciare per sempre l’economia mondiale: l’eccesso di indebitamento generale (tanto privato quanto degli Stati sovrani).

Che la manovra di Quantitative Easing (di stampo chiaramente keynesiano) sia risultata ex-post fortemente appropriata, nonostante le numerosissime critiche che piovevano soprattutto da economisti conservatori, lo dimostra il periodo di eccezionale crescita economica che oggi -a nove anni di distanza- il mondo intero sta vivendo in forma per di più sincrona: tanto per le economie più sviluppate quanto per quelle emergenti.

Il “Tapering” però (che dal punto di vista economico dovrebbe essere l’esatto opposto della manovra espansiva) sbandierato da due anni a questa parte dagli annunci dei medesimi banchieri centrali, preoccupati dall’incessante e dilagante crescita dei valori azionari e obbligazionari, è risultato tuttavia così prudente e graduale da apparire sostanzialmente inesistente. Un caso così estremo da risultare sostanzialmente illusorio di quella “Forward Guidance” (anticipazione verbale delle future manovre) che le banche centrali amano utilizzare per indirizzare i mercati quando vedono degli eccessi che potrebbero trasformarsi in futuri disastri.

Ecco allora che oggi si materializza una fuorviante rappresentazione della realtà: quella che tocchiamo con mano appare molto diversa da quella che ci viene comunicata dalla Yellen (governatrice della Federal Reserve bank of America), da Zhou Xiaochuan (presidente della banca centrale cinese) da Mark Carney (presidente della banca centrale inglese) e via dicendo, sino all’ultimo arrivato nella lista degli “annunciatori”: Mario Draghi (governatore della banca centrale europea).

NESSUNO PUÒ PERMETTERSI UN’IMPORTANTE RISALITA DEI TASSI DI INTERESSE

Ad ascoltare gli annunci bellicosi di aumenti dei tassi di interesse della Yellen sembrava che una nuova crisi dei mercati potesse arrivare solo per effetto di tale manovra, attuata invece sino ad oggi in forma quasi simbolica, perché lo sanno tutti che un vero rialzo dei tassi di interesse I governi di tutto il mondo non possono permetterselo, fino a quando non saranno riusciti a monetizzare buona parte del debito pubblico, cioè per molti anni ancora. Tanto per fare due numeri, dal 2007 i debiti globali (pubblici e privati) sono infatti aumentati di oltre il 70%, arrivando a sfiorare i 140mila miliardi di dollari secondo il Fondo monetario internazionale. E’ chiaro anche a un bambino che -se un’importante risalita dei tassi si materializzasse- il maggior costo del servizio del debito non farebbe che incrementare I disavanzi pubblici e dunque la massa del debito stesso, impedendone il rientro a volumi più fisiologici. Ecco dunque che si procede sistematicamente a graduali rinvii dei rialzi annunciati e a piccoli passi di un quarto di punto percentuale alla volta, augurandosi che l’omeopatia funzioni davvero nel limitare gli eccessi dei mercati finanziari.

Calcola la Banca Pictet che, secondo gli annunci odierni dei loro governatori, dopo i 2.540 miliardi di dollari iniettati sui mercati dalle 5 maggiori banche centrali del mondo nel 2017, si scenderà a “soli” 510 miliardi nel 2018 per poi teoricamente azzerare la liquidità immessa a partire dal 2019. Dunque bisogna aspettare almeno un biennio per verificare se toccheremo con mano una riduzione della liquidità sui mercati.

Per quest’anno invece ancora due triliardi e mezzo di dollari continueranno ad affogare gli acquisti di azioni e obbligazioni.

Poi si vedrà, anche sulla base della misura dell’inflazione dei prezzi al consumo (quasi inesistente), mentre di quella dei prezzi degli “assets” non se ne infischia nessuno.

D’altra parte una fetta consistente di questa liquidità è affluita sotto forma di investimenti nei Paesi emergenti. Negli ultimi anni essi hanno attirato importanti flussi d’investimento (superiori a 300 miliardi di dollari nel solo 2017) e questo ha aiutato decisamente il sincronismo della crescita economica globale che oggi registriamo, unitamente alla loro crescita demografica. È altresì indubitabile che la crescita generalizzata dei profitti aziendali cui assistiamo negli ultimi mesi (che a sua volta traina la corsa delle borse) c’entra parecchio con le maggiori esportazioni che il mondo più industrializzato realizza nei confronti dei Paesi Emergenti.

CHI VUOLE FERMARE IL CAVALLO IN CORSA?

“Davvero qualcuno vuol fermare il galoppo dell’economia ?” (avrebbe chiesto Maigritte con ironia). Nessuno, davvero, nemmeno se “sospinto” da forze artificiali. Anche perché i Paesi OCSE sanno benissimo che senza la manna dell’accelerazione del prodotto globale lordo che oggi finalmente si dispiega essi non potrebbero sostenere le tensioni sociali interne che derivano dal fatto che le classi meno agiate dei paesi più ricchi hanno beneficiato sino ad oggi ben poco della ripresa economica. La crescita indotta dalle facilitazioni monetarie ha in prima battuta favorito i detentori di attività finanziarie. Cioè h ampliato la disuguaglianza economica. Ci vuole tempo perché i suoi benefici si trasmettano all’economia reale.

Lo scenario perciò di graduale riduzione delle facilitazioni monetarie che ci viene propinato va filtrato attentamente con la realtà, che sembra riferirci uno scenario diverso, che nessuno vuole vedere tramontare troppo in fretta. Non lo vuole l’America, che si prepara a controbilanciare il suo tapering (tutto da vedere se poi si materializzerà dopo la nomina del successore della Yellen) con un pacchetto di riduzioni fiscali e incentivi all’industria proprio orientato al miglioramento dei redditi più bassi. Non lo vuole la Cina, ancora pesantemente impegnata a finanziare il suo sviluppo anche per strappare alla fame qualche centinaio di milioni residui di propri cittadini ancora dediti all’agricoltura più retrograda.

Non lo vuole nemmeno l’Europa, preoccupata più di quanto si possa immaginare dalle tensioni interne e dalle spinte separatiste che potrebbero far tramontare presto la stagione di crescita in corso, minacciata dal potenziale tracollo del debito sovrano dei suoi membri più deboli.

“Non credete minimamente a ciò che dico. Non prendete nessun dogma o libro come infallibile” diceva Buddha. E “una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità”, gli faceva eco Sherlock Holmes nei romanzi di sir Arthur Conan Doyle. Forse un esercizio utile anche in economia.

Stefano di Tommaso




ESUBERANZA RAZIONALE?

IL NOBEL A RICHARD THALER PUÒ SPIEGARSI CON IL TENTATIVO DI DARE RISPOSTE AL TEMA DELL’ESUBERANZA IRRAZIONALE DEI MERCATI FINANZIARI? E SE FOSSE IL CONTRARIO?

L’altro giorno leggevo tra i commenti all’ultima premiazione della fondazione Nobel per gli studi economici quelli che fanno riferimento ad un semplicissimo sito web gestito da un altro premio Nobel per l’economia: Robert Schiller. Il nome del sito internet “http://irrationalexuberance.com/main.html?src=%2F#4,0” parla già da solo. Esso si limita ad esporre, accanto alla copertina del famosissimo libro omonimo (vedi immagine copertina), soltanto due grafici: quello dell’andamento dell’indice azionario Standard &Poor di Wall Street (Insieme a quello dell’andamento degli utili aziendali) e quello del rapporto prezzo/Utile insieme all’andamento dei tassi di interesse.


Anche il premio Nobel elargito in precedenza a Robert Shiller riguardava la “Finanza Comportamentale”. Dunque questo tema è percepito dal mondo accademico nonché dai giurati del premio Nobel come uno di quelli davvero importanti in un momento come questo.

I GIUDIZI ED I COMPORTAMENTI UMANI NON SONO DEL TUTTO RAZIONALI. NEMMENO QUANDO CREDONO DI ESSERLO

Il ragionamento di fondo di Schiller e Thaler osserva che il comportamento umano non può essere rappresentato con la sola logica delle aspettative razionali e I modelli economici di conseguenza non possono non tenerne conto. Solo che quel “tenerne conto” può non andare soltanto nella direzione di predire lo scoppio delle bolle speculative. Può invece anche essere interpretato all’opposto per riuscire a comprendere come mai le borse continuano a salire.

Andiamo infatti a leggere cosa ci raccontava Shiller nel suo libro, pubblicato nel 2000 (quando I mercati finanziari avevano toccato un altro picco massimo): che se si vuole interpretare correttamente l’andamento delle Borse Valori bisogna necessariamente tenere conto anche delle psicologie (e non solo delle argomentazioni razionali) le quali aiutano non poco a fabbricare ogni genere di bolle speculative sui mercati. Il libro spiega anche che alla fine le bolle esplodono sempre, anche se a volte in tempi più lunghi del solito.

 

Questi grafici così sintetici e quasi silenziosi ci raccontano però anche dell’altro: se andiamo a guardare il rapporto prezzo utili cui si riferiscono le attuali quotazioni borsistiche, non c’è dubbio che siamo oggi ben lontani dai massimi del 2001, poco prima che finisse l’era della prima “New Economy” e il mondo cambiasse per sempre. Più esattamente su quel rapporto, rispetto ai massimi siamo a metà strada, mentre i tassi di interesse a lungo termine (la linea rossa) sono invece arrivati in picchiata ai minimi di sempre più o meno un anno fa, nonostante le intenzioni più volte espresse dai banchieri centrali di tutto il mondo, concordi con la necessità di continuare a tirarli un po’ su, dal momento che neanche negli anni trenta si erano visti così in basso.

E SE LE ATTUALI QUOTAZIONI DI BORSA RISPECCHIASSERO LA “NUOVA NORMALITÀ”?

Dunque da un lato le azioni quotate a Wall Street non risultano poi così care se comparate con I profitti che esse esprimono, dall’altro lato i tassi sono oggettivamente bassi e dunque essi giustificano (almeno in parte) delle quotazioni più elevate a parità di tutto il resto. Come dire che la bolla speculativa alla fine scoppierà ugualmente, ma di strada da fare per gonfiarsi ancora potrebbe averne ancora tanta. Allora in questo caso ciò che sembra davvero irrazionale è il timore di un crollo, non il suo opposto.

A proposito dei tassi di interesse bisogna poi ricordare che quelli che contano davvero sono I tassi reali prospettici, cioè quelli futuri e al netto dell’inflazione. Per soppesare il livello dei tassi di interesse reali e tenerne conto nel chiedersi come attualizzare i profitti futuri sono perciò importanti le aspettative di inflazione, che fino a qualche giorno fa sembravano puntare verso l’alto mentre poi è arrivata l’ennesima doccia fredda che gli economisti non riescono a spiegare se non con il salto quantico della digitalizzazione.

TASSI, CRESCITA E INFLAZIONE

La crescita economica infatti si accompagna di norma a un surriscaldamento dell’economia che porta qualche tensione sui prezzi al consumo perché aumenta la propensione alla spesa da parte dei consumatori che si ritrovano con un reddito maggiore. Questo sarebbe particolarmente evidente negli Stati Uniti d’America dove l’economia cresce oramai da più di sette anni ( altrove solo negli ultimi tempi l’economia è tornata a crescere ) e la disoccupazione è giunta ai minimi storici, eppure l’inflazione non risale. Senza di essa I tassi di interesse reale attuali, pur bassi, non sono nulli e pertanto hanno più probabilità di restare a livelli simili a quelli attuali.

Dunque I profitti futuri vanno attualizzati a tassi bassi e -in generale- giustificano maggiormente le quotazioni stratosferiche di molte società quotate.

Poi ovviamente per giudicare se le valutazioni espresse dalle borse appaiono o meno eccessive, dipende anche da ciascun settore di appartenenza. Tipico è il paragone che si fa tra I moltiplicatori degli utili di due titoli che sono chiaramente molto grandi ed esprimono business all’avanguardia e globalizzati, sono percepiti entrambi come titoli “tecnologici” ma appaiono tuttavia agli investitori molto diversi tra loro: Apple e Alphabet (Google). Il Financìal Times di stamane faceva notare che la prima, dal momento che buona parte dei suoi utili arrivano dagli apparati cellulari, viene considerata “cara” dal mercato al prezzo di 15 volte gli utili mentre la seconda, I cui profitti derivano per oltre l’80% dalla pubblicità online, quota tranquillamente (e da tempo) ben 27 volte gli utili. Le aspettative di crescita della prima sono infatti diverse da quelle della seconda.

MORALE

Per giudicare eccessive le valutazioni del mercato bisogna prima stabilire quale tasso di crescita dell’economia riduce il fattore di sconto dei profitti futuri. E se quel fattore prima di tener conto della crescita già partiva da un livello basso in assoluto, è sufficiente attendersi una lieve crescita prospettica del. Intesto economico per valutare molto più caro un titolo quotato. E nessuno può negare che, con una previsione di crescita economica globale vicina al 4% nell’anno in corso, le aspettative di crescita ulteriore dei profitti sono più che giustificate. Casomai perché il sistema prezzi/tassi/aspettative sia sostenibile bisogna che restino vere tanto le prospettive di un‘ inflazione limitata quanto quelle di un forte interscambio internazionale, fattore essenziale anche per tenere viva la prospettiva di importanti profitti aziendali. Diverso sarebbe infatti se quelle premesse mutassero.

Tornando alle aspettative-non-esattamente-razionali, appare possibile che se pensiamo di poter giudicare gli eventi sulla base di ciò che è successo in passato stiamo tralasciando quasi certamente una parte della verità. I lavori di Richard Thaler riguardano proprio la verifica del fatto che gli esseri umani si basano moltissimo sul comportamento passato per fondare le loro decisioni, anche quando chiaramente il futuro non rassomiglia più al passato.

Nonostante Thaler abbia espresso chiaramente il suo disappunto per il livello da lui giudicato eccessivo delle borse odierne, resta il fatto che le sue teorie possono funzionare anche all’opposto. Cioè nell’indicare “a prescindere “ come eccessivi I livelli borsistici attuali solo perché in passato non si era vissuto un salto quantico nello sviluppo economico (delle economie emergenti) come quello attuale. Nessuno può vantare delle certezze al riguardo ma il beneficio del dubbio deve continuare ad animare la ricerca dell verità!

Stefano di Tommaso




AAA OTTIMISMO CERCASI

Sui mercati finanziari europei aleggia il fantasma di una nuova ondata di pessimismo. Non dipende da un fattore in particolare, bensì da una “sfortunata serie di eventi” come titolava Lemony Snickets (pseudonimo di Daniel Handler) in una fortunatissima serie di romanzi dark per ragazzi. Se però numerosi indizi fanno almeno una prova ecco che si fa avanti l’idea che per il vecchio continente il clima di generale ottimismo possa essere repentinamente cambiato.

 

LE BANCHE RISENTONO DELLA SFIDUCIA

Se vogliamo cominciare dal settore bancario, forse di incidenti ne scorgiamo più di uno, a partire dal fallimento del Banco Popular, salvato in Giugno dal Santander (che ha permesso di risparmiare i depositanti) ma dove il buco per azionisti e obbligazionisti “junior” è risultato pari a 37 miliardi di euro, il doppio delle popolari venete.

Ed esattamente come nel caso di queste ultime, se la normativa europea può adattarsi alle circostanze (in funzione degli interessi commerciali e strategici di questo o quel paese che la domina) invece di risultare un baluardo di certezza, ecco che il resto del mondo torna a guardare i nostri mercati finanziari come noi normalmente apostrofiamo quelli del sud-America !

LA NUOVA NORMATIVA SUI NON PERFORMING LOANS

Il recente “giro di vite” della Banca Centrale Europea sui crediti deteriorati infatti sicuramente non ha riempito di gioia chi aveva appena rotto gli indugi ed era tornato a investire sulle banche europee, perché esso obbliga queste ultime a coprire entro sette anni con nuove risorse di capitale le perdite sugli NPL (non performing loans), ma soprattutto le obbliga a coprire entro due anni i crediti deteriorati di più recente formazione. Di fatto la BCE sta comunicando alle banche europee che devono raccogliere più capitale e l’effetto silurico sulle quotazioni delle medesime risulta ovvio persino a un bambino.

Preoccupanti anche le nuove stime circa l’ammontare complessivo dei crediti deteriorati in Europa: si presume che essi superino i mille miliardi di euro nominali, by-passando dunque la speranza che la normativa potesse non affliggere più di tanto il mercato dei capitali.

I TASSI CRESCONO

Se non vogliamo proseguire con l’ovvia elencazione di sfortunate coincidenze che sono culminate nella quasi-guerriglia urbana di Barcellona, ecco che un altro fattore di “attenzione” torna alla ribalta: i tassi impliciti sul mercato dei bond (che non rendono più quasi nulla) stanno tornando a crescere, in particolare in Italia (vedi grafico), rovinando la festa alle quotazioni del mercato dei titoli a reddito fisso (bonds) che devono quindi riallinearsi verso il basso.


Paragoniamo per un attimo i nostri mercacon quello americano: l’indice curato da Merril Lynch sui bond europei ad alto rendimento ci segnala un tasso medio di ritorno del 2,3%. Esattamente il medesimo dei titoli di stato americani a dieci anni. Ora, cambi valute a parte, voi quale preferireste tra i due rischi?

Il punto è che la BCE ha incentivato l’acquisto di obbligazioni aziendali in Europa da parte degli investitori istituzionali, anche per lasciarle libero il mercato dei titoli di stato sul quale l’offerta iniziava a scarseggiare in presenza del programma di acquisti noto comunemente come Quantitative Easing, tutt’ora in corso. Ovviamente tutti si chiedono quando finirà cosa succede al mercato e, nel dubbio (che è quasi una certezza) arrivano le prese di beneficio.

LE BORSE EUROPEE SONO SATOLLE


Se vogliamo infine porre la ciliegina sulla torta l’indice di borsa EuroStoxxs è cresciuto, da un anno a questa parte, dell’80% lasciando spazio a più di una vendita per realizzare i profitti accumulati soprattutto da parte di quegli investitori asiatici che avevano puntato a guadagnarci ben due volte: con le borse e con il cambio delle valute. Anche quest’ultimo ha arrestato la sua corsa e adesso si parla di tornare a rivalutare l’Euro solo a partire dal nuovo anno (una boccata d’ossigeno per l’Italia).

Si è anche visto con le prese di beneficio occorse nel primo giorno di quotazione della Pirelli: il più grande collocamento di sempre della Borsa Italiana ha lasciato un po’ tutti con la bocca amara. Fosse passato qualche altro giorno magari sarebbe stato addirittura rinviato!

Sappiamo anche che le attese per un lieve recupero del prezzo del petrolio e dei “consumabili” energetici (gas, carbone, ecc…) non faranno piacere all’industria del vecchio continente e che il record di esportazioni europee (che aveva favorito soprattutto le imprese cisalpine) raggiunto nella prima parte del 2017 non è destinato a durare nel tempo, anche a causa del cambio contro dollaro, che a partir dall’inizio dell’estate ne ha peggiorato la competitività.

NUOVI RATING ALL’ORIZZONTE?

Manca solo il “colpetto” decisivo delle immancabili puntate autunnali delle agenzie di rating sui mercati europei (tutte rigorosamente americane) perché i medesimi tornino a ridimensionarsi in maniera più consistente, ancora una volta a favore di quelli d’oltreoceano. È la legge del più forte (lo Yankee), che alla fine vuole il bottino maggiore sui mercati.

Sarebbe lui il conte Olaf dell’arcinota serie di romanzi di Lemony Snickets? Come diceva sempre il Divo Giulio quando gli facevano domande cattivelle: “a pensar male si fa peccato, però…

Stefano di Tommaso