LE DIVERGENZE DELL’OCCIDENTE

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I tassi d’interesse aumentano, l’economia rallenta, l’inflazione cala (ma non troppo), l’indebitamento continua a crescere e la guerra Ucraina rischia di allargarsi. Eppure le borse vanno alla grande e i mercati finanziari brindano: che succede? Dipende soltanto dal fatto che l’inflazione ha iniziato a calare? No,non solo. E quest’ultima non è detto sia ancora vinta..!

 

GLI EFFETTI DELL’ECCESSO DI CONCENTRAZIONE DELLA RICCHEZZA

Fior di studi sula concentrazione della ricchezza in poche potentissime mani hanno dimostrato che è una minaccia per la democrazia e il sistema di mercato che l’ha prodotta. Il rischio è quello di una progressiva inefficacia della politica a favore di chi esercita un potere finanziario o oligopolistico, arrivando a controllare le sorti di migliaia di posti di lavoro, il sistema sanitario, le risorse energetiche, le scelte delle amministrazioni locali e sinanco quelle dei parlamenti nazionali.

LA COMPAGNIA HOLDING SPACiò che però in queste ultime settimane stiamo sperimentando appare come una fase “nuova” dell’era “post-capitalistica”, in cui i mercati e i loro grandi protagonisti stanno mostrando la capacità di farsi un baffo non soltanto delle politiche economiche e fiscali delle nazioni, ma persino delle politiche monetarie, rendendole di fatto poco efficaci. Questa “novità” potrebbe aiutare a spiegare i rialzi azionari e il morbidissimo impatto dell’inflazione e delle misure messe in campo per contrastarla sui profitti delle grandi multinazionali.

LA COMPAGNIA HOLDING SPASP500 Corporate Earnings 12/2022

LA DISCUTIBILE “MANFRINA” DELLE BANCHE CENTRALI

Le banche centrali alzano i tassi d’interesse ben sapendo che poco saranno efficaci per combattere l’inflazione perché l’origine di quest’ultima non è il surriscaldamento dei consumi o l’eccesso di investimenti, bensì la scarsità di offerta di materie prime ed energia. Provocano non poco patimento alle piccole imprese, ai privati, e ai lavoratori autonomi che devono sobbarcarsi una spesa aggiuntiva fingendo che il rialzo dei tassi ridurrà l’inflazione.

Quegli aumenti colpiscono poi anche il costo del debito pubblico. I governi devono perciò stanziare maggiori risorse per il servizio del debito, distraendole dalla previdenza sociale, dall’assistenza sanitaria e dal rinnovo delle infrastrutture.

LA COMPAGNIA HOLDING SPAMa il calo della domanda di beni e servizi dei privati e delle piccole imprese appare -per la prima volta nella storia economica- poco percettibile nelle statistiche, fino a mettere in discussione il concetto stesso di “recessione”. Le grandi imprese, la grande finanza, i grandi oligopoli dell’energia, della farmaceutica, delle tecnologie e del commercio elettronico, ne risentono tutto sommato piuttosto poco, a causa delle enormi risorse a loro disposizione per contrastare i venti avversi.

E LE BORSE BRINDANO…

I listini azionari delle borse valori dipendono molto più dall’andamento dei titoli principali per ammontare di capitalizzazione che non da quello generalizzato dell’economia reale che condiziona quasi esclusivamente i profitti e le prospettive delle imprese minori. Ed è probabilmente questo il motivo principale per cui le borse occidentali stanno correndo a gonfie vele proprio da Ottobre, in strana coincidenza tanto con il picco dell’inflazione quanto con l’acuirsi del conflitto ucraino. Oggi la borsa americana delle tecnologie (il NASDAQ) è cresciuto del 20% dall’inizio dell’anno!

E’ quasi come se coesistessero due diverse economie nell’ambito delle stesse nazioni: quella dei grandi oligopoli e dei grandissimi investitori finanziari (che trae persino giovamento dai rialzi dei prezzi delle risorse naturali e dal rialzo dei tassi) e quella di tutti gli altri (che ne soffre).

LA “DIVERGENZA” TRA GRANDI E PICCOLI OPERATORI ECONOMICI

Si è creata insomma una situazione che viene alimentata dalle stesse istituzioni pubbliche (a partire dalle banche centrali) per cui se i tassi salgono e i debiti pubblici peggiorano aumenta anche la divergenza tra le due categorie di operatori: quelli della prima categoria ci guadagnano e quelli della seconda ci rimettono.

Difficile affermare che il panorama economico occidentale, rarefatto e fortemente polarizzato sui pochi grandissimi operatori economici del terzo millennio, sia ancora il medesimo del capitalismo storico, i cui valori erano: la concorrenza perfetta, la libera circolazione delle idee e del sapere scientifico, l’intervento dei comitati antitrust, l’innovazione e il pionierismo. Sembra di parlare di concetti relativi ad un’altra era geologica e invece si riferiscono soltanto all’altro ieri!

IL RIARMO FAVORISCE L’INFLAZIONE

Oggi poi l’Occidente propone attraverso i suoi mezzi di informazione di massa una “crociata” contro Russia e Cina (oltre che tutti gli altri stati accusati di “amicizia” con Russia e Cina), ree di non aver piegato la loro politica a questa nuova forma di “oligo-capitalismo” che rischia di sfociare in una sorta di dittatura occulta e globale. In nome di questa grande mobilitazione l’Occidente corre al riarmo, “sanziona” chi esprime “divergenza” e talvolta chiude sinanco alla libera circolazione delle idee, delle persone e delle merci.

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Finanziare il riarmo tuttavia comporta scelte importanti: la spesa pubblica cresce a scapito del “welfare” e accresce il debito pubblico. Al tempo stesso contrasta gli effetti restrittivi della politica monetaria delle banche centrali. Cioè favorisce l’inflazione.

 

 

 

IL RISCHIO DI UNA “SECONDA ONDATA”

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E le statistiche dicono che l’inflazione non è ancora vinta. Tutt’altro! Anzi il rischio è quello di vederne una “seconda ondata”! Ci sono per ora pochi segnali ma preoccupano non poco: se la discesa dell’inflazione in Occidente fosse già terminata non solo le borse non potrebbero che scendere bruscamente, ma le banche centrali sarebbero costrette a reagire bruscamente provocando, stavolta sì, una vera e propria recessione! Uno di questi segnali è il prezzo del rame, salito di circa il 30% dai minimi di Ottobre. Il rame è considerato un “anticipatore” dell’andamento degli altri prezzi delle altre materie prime, di solito di tre mesi.

LA COMPAGNIA HOLDING SPAAltri segnali da non sottovalutare riguardano l’inflazione “core”, cioè quella che non tiene conto dei prezzi energetici ed alimentari, in lieve salita in quasi tutti i paesi europei, e soprattutto gli aumenti salariali. Particolarmente accentuati negli Stati Uniti d’America, anche in Europa stanno arrivando un po’ dappertutto, con il rischio che possano innestare una spirale dei prezzi (soprattutto dei servizi) che si autoalimenta. D’altra parte è da considerarsi quasi fisiologico che, dopo una prima ondata di rialzo dei prezzi, ce ne siano di successive, così come accade per le pandemie. Una serie di “fattori di trascinamento” dell’inflazione appaiono inevitabili.

FANNO BENE LE BANCHE CENTRALI?

Fanno bene allora le banche centrali ad annunciare altri rialzi? Probabilmente no, dal momento che i tassi più elevati assai poco incidono sulle vere cause, fatto salvo il caso in cui esse riusciranno a “scatenare” una seria recessione economica e un rialzo della disoccupazione, due che però avrebbero anche molti effetti collaterali, tutt’altro che desiderabili. Ad esempio abbasserebbero il gettito fiscale, provocando nuove tasse o di mettere a rischio la sostenibilità dei debiti pubblici). Non solo: eventuali disagi sociali porterebbero quasi automaticamente i governi ad aumentare la spesa per il “welfare” (cn un effetto opposto sull’inflazione), proprio quando meno potrebbero permettersela!

LA “DIVERGENZA” TRA POLITICHE MONETARIE E FISCALI

C’è una seconda divergenza al riguardo: se le politiche fiscali restano espansive (a causa dell’incremento della spesa pubblica che deve finanziare il riarmo e che cerca di contrastare i problemi sociali generati dall’inflazione) a poco serve stringere sulle politiche monetarie!

LA COMPAGNIA HOLDING SPASenza pretendere di possedere la verità, in quest’ottica apparirebbe più corretta una manovra delle banche centrali coordinata con i governi per restringere la liquidità in circolazione senza alzare i tassi, onde riuscire a correggere i prezzi di materie prime ed energia, con la finalità di toccare le vere cause dell’inflazione degli altri prezzi ed evitare che il rialzo dei tassi provochi conseguenze spiacevoli.

Ma il rialzo dei tassi d’interesse (soprattutto se dovesse sortire un rialzo di quelli reali, cioè quelli al netto dell’inflazione) appare un toccasana per i bilanci di banche, finanziarie e holding di partecipazione. Con tassi reali più elevati le rendite finanziarie crescono, a scapito dell’industria e del commercio. Si può comprendere dunque che ci sono forti interessi in ballo!

COSA SUCCEDERÀ

Prima di lanciarsi nelle previsioni occorre ricordare l’andamento ciclico di quasi tutte le variabili economiche e finanziarie: è probabile che le borse non proseguano troppo a lungo nella risalita di cui hanno goduto negli ultimi mesi dal momento che l’economia globale rallenta, lievemente ma inesorabilmente. È inoltre possibile che l’inflazione arrivi a “rimbalzare”, seppur di poco, spingendo le banche centrali a ulteriori rialzi dei tassi, peraltro già ampiamente annunciati!

Tuttavia se il conflitto ucraino non si allargherà e se non si creerà un secondo fronte di scontro a Taiwan o in generale con la Cina, allora è possibile che il prezzo del petrolio e del gas continuerà a scendere, con un benefico effetto sull’economia mondiale e sull’inflazione dei prezzi. Ciò potrebbe permettere alle banche centrali di interrompere i rialzi dei tassi anche in presenza di piccoli rialzi dell’inflazione “core”. Il che darebbe manforte alle borse per toccare nuovi massimi.

LO SCENARIO PIÙ PROBABILE

Quello appena descritto non è tuttavia lo scenario più probabile. Il consenso di mercato attribuisce la probabilità più elevata ad una “lieve” recessione, forse confinata alle sole economie occidentali, che deprimerà la dinamica dei prezzi ma che scatenerà anche molta incertezza sui mercati finanziari, soprattutto se accompagnata da nuovi attacchi da entrambi i fronti in Ucraina. Provocando una discesa moderata delle borse.

E in tal caso gli scenari possibili sono almeno due: se i prossimi scontri in Ucraina saranno brevi ma intensi e lasceranno spazio a nuove trattative per la pace, l’effetto negativo sarà contenuto.

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Auspicando infine che l’ultimo scenario abbia la minima probabilità di verificarsi, c’è invece la teorica possibilità che gli scontri prossimi venturi siano pesanti e non consentano di “aprire” ad alcuna soluzione diplomatica. Anzi, se anche nei confronti della Cina dovessero aumentare le tensioni, allora l’inflazione potrebbe riprendere la sua corsa anche a causa dell’accresciuta necessità di materie prime ed energia, che porterebbe a rialzi dei prezzi in breve tempo generalizzati. In tutto il mondo forse. Con buona pace per il buonsenso!

 

Stefano di Tommaso




IN BORSA ARRIVANO I “DISTINGUO”

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Sebbene dopo qualche importante sussulto ci si possa attendere dei possibili rimbalzi, i mercati azionari sono chiaramente ancora sotto choc, soprattutto per il timore di una guerra potenzialmente devastante alle porte dell’Europa. La correzione in atto è stata forte nel corso di gennaio e rischia di continuare, anche per motivi strettamente tecnici (disinvestimenti dei risparmiatori dai fondi comuni, analisi tecnica ancora negativa, possibili ulteriori rialzi dei tassi d’interesse impliciti nei corsi dei titoli obbligazionari).

 

PERCHÉ LE BANCHE CENTRALI POTREBBERO SBAGLIARE

Ma in realtà c’è almeno un altro motivo che può portare ancora scompiglio sui listini azionari, ed è il pericolo che la reazione che le banche centrali possano essere tentare di mostrare i muscoli, di fronte all’oggettivo peggioramento del contesto macroeconomico relativo all’inflazione. Proviamo qui di seguito a comprenderne meglio il perché.

Come si può leggere nel grafico qui riportato, le aspettative del mercato relative ai rialzi dei tassi che verranno praticati dalle banche centrali sono già state più volte aggiornate al rialzo, comportando ogni volta che ciò succedeva una forte delusione per gli investitori e per le borse, con un conseguente “aggiustamento” dei listini azionari al ribasso:

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Dal nostro punto di vista questo significa soltanto una cosa: non è detto che le sorprese siano finite qui. Anche perché il mercato azionario americano, (quello che di solito dà l’intonazione a tutto il resto del mondo) nel corso del 2022 è sceso all’incirca del 7,7%, ciòè più o meno esattamente della misura dell’inflazione dei prezzi al consumo registrata a Gennaio negli USA. Dunque se l’inflazione salirà ancora, anche il listino azionario potrebbe scendere corrispondentemente.

L’INFLAZIONE È ANCORA IN AGGUATO

Ora, dal momento che il principale motore del rialzo dei prezzi è ancora oggi quello dell’energia, e dal momento che quest’ultimo sta continuando a salire vertiginosamente (il prezzo del petrolio è arrivato a 100 dollari al barile), ecco che il meccanismo sopra illustrato appare quantomai possibile, se non addirittura probabile. Con la conseguenza che nel grafico di cui sopra potremmo arrivare a marcare l’ennesima linea aggiuntiva, più in alto delle precedenti, che rispecchi l’innalzamento delle aspettative del mercato per i rialzi dei tassi d’interesse. I mercati azionari potrebbero ancora una volta subire una cocente delusione proprio da ulteriori prospettive di rialzo dei tassi d’interesse.

D’altra parte le banche centrali di tutto il mondo sono oggettivamente state fin troppo accomodanti sino ad oggi, e forse anche per un buon motivo (evitare di provocare recessioni economiche e innalzare il costo dei debiti pubblici). Ma se l’inflazione dovesse rivelarsi ancor più elevata di quella attuale, rischiano di perdere la faccia nel continuare a sostenere che sia passeggera. Cosa che le potrebbe sospingere a rivedere i tassi di sconto più al rialzo di quanto già annunciato.

Resto convinto del fatto che ciò si rivelerebbe nel tempo come un errore, non perché l’inflazione che osserviamo non permarrà davvero a lungo, ma a causa del fatto che il maggior costo del denaro potrebbe a sua volta generare altri problemi all’economia, rallentando gli investimenti produttivi e mandando definitivamente in crisi le aziende più indebitate, le piccole imprese e molti lavoratori autonomi. Il mondo occidentale oggi resta troppo appesantito dai debiti per permettersi di combattere l’inflazione a suon di rialzi dei tassi d’interesse, come poteva avvenire fino a mezzo secolo fa.

E I TASSI HANNO GIÀ INIZIATO A CRESCERE

Ciò nonostante i mercati finanziari hanno ovunque anticipato le possibili mosse delle banche centrali, e i rendimenti impliciti dei titoli a reddito fisso sono comunque saliti. Quindi da un certo punto di vista le sole dichiarazioni di intenzione futura delle banche centrali hanno già ottenuto la cosiddetta “forward guidance” del mercato. Eventuali eccessi in tal senso potrebbero non aiutarne la credibilità.

Ma vediamo cosa ha significato sino ad oggi questa ondata di ribassi che hanno afflitto le borse dall’inizio dell’anno: il doppio grafico qui sotto riportato mostra l’attesa più diffusa sul mercato relativa alla fine prossima ventura della correzione al ribasso a Wall Street, insieme al probabile andamento al rialzo dei profitti aziendali, che al momento sono infatti ancora in crescita.

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Personalmente concordo abbastanza con questa visione a medio termine dei mercati azionari, per una lunga serie di motivi, a partire da quello maggiore: è piuttosto improbabile che si scateni davvero un conflitto armato in Ucraina. Ovviamente ulteriori revisioni al rialzo dei tassi potrebbero porre fine all’aspettativa di crescita dei profitti, e cancellare così anche le prospettive di un rimbalzo.

MA COMUNQUE NON ANDREBBE BENE PER TUTTI…

Tuttavia anche in caso contrario l’andamento potenziale dell’indice generale non deve ingannare l’investitore: rischiamo che rispecchi la media del pollo di Trilussa !

È probabile infatti che al momento alcuni settori industriali continueranno a salire (energia e immobiliare, ad esempio) e altri continueranno a scendere (come ad esempio banche, tecnologia e telecomunicazioni). Altre sorprese potrebbero inoltre provenire da settori sino a oggi considerati “sicuri”, come il farmaceutico e la sanità, a causa del fatto che la spesa sanitaria non può continuare a crescere all’infinito e che, viceversa, i consumi potrebbero tornare ad orientarsi maggiormente verso i beni di consumo durevole e la formazione.

Tra le imprese quotate poi l’accentuarsi dei problemi relativi ai mercati finanziari potrebbe determinare un ennesimo “volo verso la qualità” dei gestori di patrimoni, arrivando a penalizzare le quotazioni delle imprese minori, meno capaci di contrastare il momento difficile con ingenti investimenti, e a valorizzare invece le grandi multinazionali.

QUALI SETTORI E PERCHÉ

Ovviamente non ci sono certezze al riguardo di quali titoli risulteranno davvero premiati e quali penalizzati, ma è abbastanza chiaro che i gestori di patrimoni dovranno fare i conti con una serie di fattori che li costringeranno a fare una maggior selezione, quali:

  • l’elevatissima volatilità, che spinge a cercare imprese con una più bassa probabilità di oscillazione rispetto al resto del mercato;
  • ancora una elevata liquidità in circolazione, che li spinge a tornare a investire cercando però soltanto vere occasioni di investimento (e dunque nelle aree più sicure del mercato);
  • un contesto di tassi d’interesse crescenti ma ancora al di sotto del tasso di inflazione, che spinge a cercare opportunità tra le più resilienti a questo fenomeno, come ad esempio gli investimenti immobiliari, abbandonando invece quelle più esposte ai tassi reali negativi, come i titoli del settore finanziario.

Sebbene dunque il contesto attuale resti piuttosto incerto per gli investitori e anche se l’investimento azionario, in tale congiuntura, possa rimanere di gran lunga il favorito rispetto ad altre opportunità di impiego dei risparmi, la situazione oggi si fa più difficile per determinare dove andrà il livello medio dei listini.

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Che arrivi una guerra o meno, che si decidano ulteriori strette monetarie oppure no. Duole dirlo, perché eravamo rimasti ottimisti nonostante si potesse intravedere un incremento della volatilità. Ma se le banche centrali dovessero cambiare atteggiamento, allora nessuno se la sentirebbe di andare controcorrente!

Stefano di Tommaso

 




LA RUSSIA NON INVADERÀ L’UCRAINA

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Gli ultimi giorni sono stati di vera passione per i mercati finanziari di tutto il mondo, e non soltanto per loro: anche per i prezzi delle materie prime e conseguentemente, del petrolio e in generale dell’energia. Ovviamente la cosa non ha mancato di riflettersi sulle stime dell’inflazione, che aveva già determinato allarme in tutte le direzioni arrivando, a fine Gennaio, al 7,5% in America, ben oltre ogni stima precedente. Anche a prescindere dalla guerra…

 

L’origine dei rincari era inizialmente stata dovuta ad una scarsità di forniture di semiconduttori, componenti essenziali oggi per quasi qualunque produzione manifatturiera, ma poi sono intervenuti i rincari dei prezzi petroliferi. Oggi però il timore diffuso è che persino quel 7,5% possa restare soltanto un bel ricordo e che se il petrolio supererà i 100 dollari per barile, possa spingerla ancora più in alto, sulla scia delle tensioni geopolitiche.

LA GEOPOLITICA SOSPINGE IL PREZZO DEL PETROLIO


Ovviamente non sono tutti d’accordo nel prevedere un’inflazione a doppia cifra, e c’è chi getta aqua sul fuoco continuando a far notare che le ragioni dell’inflazione sono quasi tutte passeggere, con la conseguenza che esse non potranno durare per sempre e che anche l’inflazione stessa alla fine dovrà ripiegare. Concordiamo in parte, ma occorre senza dubbio rammentare che alla base di quasi tutti questi rincari c’è anche un potenziale conflitto strategico nell’Europa dell’Est, dove la NATO vuole espandersi fino all’Ukraina e la Federazione Russa ha ovviamente fatto sapere che non continuerà a digerire senza fiatare ulteriori espansioni verso i propri confini di paesi che mostrano sempre più di allinearsi apoditticamente alle scelte americane.

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Si guardi su questo video, in proposito, il commento di Putin nel giorno della visita di Macron: https://www.youtube.com/watch?v=w7Unk2P8A-Y

Ricordiamoci infatti che da tempo, ma in particolare dal giorno dell’elevatissima adesione popolare al referendum in Crimea che ne sancì il ritorno alla Federazione Russa (staccandosi dall’Ucraina), l’America ha avviato -con la totale compartecipazione degli alleati europei- una serie infinita di sanzioni economiche contro la Russia, considerata dai media occidentali un “invasore”. Sanzioni che non ha poi mai dismesso e che hanno esacerbato i rapporti est-ovest, ivi compresi quelli con la Cina, rimasta molto critica sull’attendibilità delle dinamiche ufficialmente riportate e, anche per questo, oggi grande alleato della Russia.

L’escalation militare sta continuando in Ucraina, con l’arrivo di sempre maggiori forze occidentali, a supporto della repressione di un’eventuale invasione da parte delle forze armate della Federazione Russa, nonostante quest’ultima non abbia mai accennato a tale possibilità e anzi abbia un bel problema: quasi tutta la popolazione di lingua russa in Ucraina è oggi in stato di oggettiva difficoltà ed è sottoposta a legge marziale! Anche per questo quasi 300.000 di essi hanno lasciato tutto e varcato i confini chiedendo asilo alla Russia.

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Mosca ha soltanto fatto sapere che non tollererà un’ulteriore espansione della NATO verso i propri confini (cioè includendo l’Ucraina) e che -se l’Occidente volesse davvero la pace- si preoccuperebbe di rassicurare la Russia sull’infondatezza delle minacce alla propria sicurezza strategica e non cercherebbe invece di continuare a sostenere tentativi di colpi di stato ai propri confini, come ad esempio quello in Kazakhstan, quasi subito fallito.

LA RUSSIA NON VUOLE LA GUERRA, NÉ L’UCRAINA

Ma, magicamente, nonostante l’entrata dell’Ucraina nello spazio NATO sia praticamente già avvenuta da un pezzo (il paese ospita oggi infatti ingenti forze armate occidentali all’interno dei propri confini), la Russia non ha reagito, se non accrescendo la presenza delle proprie forze militari a ridosso dei confini meridionali e incrementando il coordinamento delle medesime con quelle cinesi. Perché non lo ha fatto? Perché un eventuale conflitto in Ucraina non potrebbe che divenire subito un conflitto globale, e anche fatalmente letale, a causa del potenziale nucleare degli armamenti. Ma anche perché le prime vittime di un tale conflitto sarebbero le popolazioni di lingua russa che risiedono all’interno dell’Ucraina.

Ricordiamoci che nessuna guerra importante è stata più combattuta dopo la 2^ guerra mondiale, proprio a causa della capacità di “dissuasione” degli arsenali nucleari. E la Russia ha fatto sapere chiaramente che, qualora le provocazioni dell’Occidente superassero una certa soglia, la sua risposta armata andrebbe direttamente ai “mandanti” (cioè a Washington e a Londra) e non soltanto agli alleati geograficamente più coinvolti (gli europei). E la strategia della dissuasione sino ad oggi ha funzionato.

Ma ciò che i media non dicono è che l’America in questa “campagna d’Ucraina” ha un obiettivo – oramai raggiunto – nel generare questa altissima tensione nei rapporti internazionali: quello di accrescere il valore monetario delle proprie risorse energetiche (è esportatrice netta di gas e petrolio). L’America ha inoltre in tal modo ristabilito la propria leadership politica sull’Occidente, che negli ultimi tempi era oggettivamente stata messa in discussione. Ma in questo ha fatto l’interesse anche della Russia, per lo stesso motivo.

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Anche a causa della strategia della tensione, si sono praticamente interrotte le forniture di gas russo all’Europa, pur in presenza di due nuovi importanti gasdotti appena realizzati: quelli cosiddetti “del Nord” che arrivano in Germania senza passare dall’Ucraina. Facendo largo all’arrivo delle navi americane che trasportano gas da petrolio liquefatto e permettendo così agli americani di vendere (cara) aglio”alleati” la loro produzione in eccesso. Ma se questo obiettivo vede anche nella Russia un importante beneficiario, perché mai l’escalation militare dovrebbe proseguire?

E infatti la nostra tesi è che ciò è improbabile che succeda, sebbene ci siano diverse possibili contromosse all’espansione occidentale in Ucraina, che la Russia potrebbe mettere in atto dal momento che dovrà trovare il modo di ripristinare la propria sicurezza strategica. Il risultato di tali mosse sarà un probabile prolungamento della tensione geopolitica, il cui unico limite è tuttavia l’alleato cinese, che ovviamente ha mal digerito l’accresciuto prezzo dell’energia e che cerca di non fomentare le possibilità che il mondo intero entri in guerra.

MA LA GUERRA FREDDA CONTINUERÀ, RISCALDANDO I PREZZI

Cosa se ne può dedurre, se non che la guerra fredda ha avuto sino ad oggi risvolti molto “caldi” sul fronte dell’inflazione che, alla fine, non potranno che risultare indesiderati alla stessa America, dove l’economia è meno ingessata che in Europa e dove i prezzi rischiano di salire troppo? Il partito “democratico” degli U.S.A. sta favorendo troppo le lobby di petrolio e gas e rischia così seriamente di perdere le elezioni di medio termine proprio a causa dell’inflazione, favorendo la potenziale riscossa dei Repubblicani.

Dunque o la presidenza degli Stati Uniti troverà modo di entrare seriamente nel conflitto armato (con qualche speranza di non infangarcisi troppo), ricompattando i consensi interni sulla base del nazionalismo strisciante, oppure alla fine troverà più utile allentare la tensione militare e far discendere il prezzo del petrolio a livelli più ragionevoli. Ed è questa la nostra tesi: il conflitto non scoppierà, nonostante le provocazioni occidentali (come quella del sottomarino in acque russe) perché non conviene a nessuno e perché i primi contrari a una devastante guerra sono gli stessi Ucraini sulla testa dei quali volerebbero i colpi di mortaio. Ma la tensione resterà alta ancora a lungo.

Il petrolio è dunque ragionevole ritenere che non scenderà troppo, anche perché c’è anche un altro fattore che probabilmente continuerà per un po’ a sostenerne le quotazioni: la limitazione dell’offerta, con una domanda che viceversa sino ad oggi ha mostrato di voler correre ancora a lungo. Dunque anche l’inflazione sembra arrivata per restare a lungo, ben più di quel che i banchieri centrali vorrebbero farci credere. E abbastanza per provocare uno scossone piuttosto violento sui mercati obbligazionari.

I TASSI SALIRANNO (POCO) …

Questo non significherà necessariamente un forte rialzo dei tassi d’interesse (perché le banche centrali getteranno probabilmente altra acqua sul fuoco), ma sicuramente porterà a cercare di controbilanciare i rendimenti reali negativi (dunque un po’ saliranno) e comunque genererà un ulteriore “de-basing” del potere d’acquisto delle principali divise monetarie, con l’eccezione di quelle considerate più sicure, come il Franco Svizzero. Per lo stesso motivo anche l’oro potrebbe riprendere quota (anche per il fatto che Russia e Cina continuano ad accumularlo), ma soprattutto resteranno probabilmente in alto le quotazioni dei principali listini azionari (i cui dividendi saranno sempre molto più appetibili delle cedole), mentre è possibile che saranno più danneggiate le borse periferiche e dei paesi emergenti.

… E L’ITALIA RIPRENDERÀ LE PRIVATIZZAZIONI

Lo scenario non è infine troppo favorevole a paesi come il nostro, a causa del fatto che la sostenibilità del nostro debito pubblico ne sarà minacciata. Ed è molto probabile che i timori sul rating nazionale verranno rintuzzati da un più deciso programma di privatizzazioni (gli immobili di proprietà pubblica, le principali infrastrutture ancora sotto il controllo statale sono ancora un boccone molto interessante per i grandi capitali). Era già una manovra nell’agenda di questo governo e non stupirà dunque il fatto che stavolta, dopo il probabile rialzo dello spread (a primavera la BCE interromperà il suo programma PEPP), possa venir messa in atto in grande stile! Che poi sia davvero così necessaria è tutt’altro discorso, sul quale invece ci permettiamo di dubitare…

Stefano di Tommaso




RESILIENZA ITALIANA

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I media di tutto il mondo riportano in queste ore due picchi preoccupanti: l’inflazione registrata negli Stati Uniti d’America a Novembre (quasi il 7% – si dove tornare indietro al 1982 per ricordarne una maggiore), e i nuovi contagi da COVID. L’Italia al momento sembra al riparo da entrambi. Ma è addirittura il futuro dell’economia globale a rischio. E se l’inflazione continuasse a correre ma la crescita economica no, allora ci troveremmo presto nel peggiore degli scenari: la temuta “stagflazione” (stagnazione + inflazione). In tal caso la leggendaria capacità del nostro paese di “cavarsela” in qualche modo, insieme alle molte doti del governo in carica, potranno aiutare il paese a partorire un miracolo?

 

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LE CAUSE DEI TIMORI

L’andamento economico globale sta indubbiamente subendo nuovamente un freno per le conseguenze dell’imperversare della quarta ondata pandemica, caratterizzata dalla “variante omicron”, dal perdurare della scarsa offerta internazionale di materie prime, semilavorati, derrate alimentari e materiali combustibili. Ma fino ad oggi ciò non ha quasi mai creato problemi ai mercati finanziari perché gli idranti delle banche centrali di tutto il mondo hanno continuato a irrorare liquidità e i tassi sono rimasti bassi. Oggi il picco dell’inflazione e la constatazione del fatto che sia divenuta “strutturale” fanno temere interventi delle banche centrali che possono mandare K.O. le borse e spingere al ribasso gli investimenti.

Ed è oramai divenuto certezza che la possente ripresa economica che tutti speravano avrebbe caratterizzato l’anno successivo a quello dei “lockdown” (il 2020) si è trasformata in poco più di un mero rimbalzo, riuscendo sì a riportare il calendario sostanzialmente indietro di 2 anni (al 2019), ma con aggravanti e scarse prospettive di poter proseguire.

LE AGGRAVANTI RISPETTO AL 2020

Le principali aggravanti rispetto alla situazione pre-covid sono almeno tre: A) il maggior debito contratto tanto nel settore pubblico quanto nel privato per finanziare la ripresa, B) la possibile -anzi probabile- risalita dei tassi d’interesse conseguente all’inflazione dei prezzi e C) l’accresciuto allarme ambientale, che pone una serie di interrogativi su quanto esso inciderà sul costo dell’energia e dunque sull’inflazione.

Veniamo da una situazione quasi-idilliaca di inflazione e tassi d’interesse bassi, molta liquidità in circolazione (e quindi ovviamente di borse ai massimi livelli di sempre) e decisa ripresa economica. Ma oggi lo scenario sembra mutare verso il peggio. Altrove nel mondo, laddove sono stati raggiunti i livelli di Prodotto Interno Lordo cui si era arrivati prima del COVID, la ripresa stesa si è quasi appiattita. Per non parlare dell’inflazione, che negli U.S.A. ha raggiunto livelli che non si vedevano da quasi quarant’anni e che gode di una micidiale catena di trasmissione: il duetto Dollaro/Petrolio: quando scende il secondo sale il primo e viceversa.

LA SITUAZIONE ITALIANA

Negli ultimi mesi l’Italia ha accelerato le sue esportazioni e, per la natura delle sue filiere produttive, è riuscita a limitare i danni del maggior costo delle materie prime. Le agenzie di rating ci hanno promosso e la Borsa ha performato bene. Anche l’altissimo tasso di popolazione vaccinata ha impedito (sino ad oggi) che la nuova ondata pandemica frenasse l’economia. E gli investimenti delle imprese stanno ancora continuando a correre, nonostante la più elevata tassazione del mondo, con una ripresa della fiducia degli operatori certificata di recente da Markit: l’indice Pmi manifatturiero dell’Italia ha addirittura toccato a novembre un massimo storico.

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Nel terzo trimestre del 2021 infatti il livello del valore aggiunto dell’industria manifatturiera italiana è risultato del 3,2% superiore a quello del quarto trimestre 2019 antecedente il Covid-19, mentre gli altri maggiori Paesi dell’Eurozona non sono riusciti a fare altrettanto. La Spagna è ancora sotto dell’1,4% ai livelli pre-crisi, la Francia del 4,8% e la Germania del 5,5%. L’Italia ha solo un settore tra i primi cinque del proprio export vulnerabile alle carenze di componentistica globale: l’automobile. Ma pesa soltanto per il 7,5% nelle nostre esportazioni totali mentre è del 17% per la Germania.

Se quest’anno il Pil dell’Italia è stato trainato anche dai contributi all’edilizia (110% e dintorni) e dalla ripresa dei consumi, il 2022 potrebbe proseguire, beneficiando dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Gli investimenti in digitalizzazione, ambiente, infrastrutture e sostegno sociale, possono aiutare l’Italia a ridurre il divario con il resto d’Europa in particolare nell’efficienza di Pubblica amministrazione e Giustizia, nonché nello sviluppo del Mezzogiorno.

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Ma l’asprezza dei giochi politici in corso per l’elezione del Presidente della Repubblica e la solita polemica pre-elettorale per elezioni politiche del 2023 (che potrebbe tornare a mordere già a partire dal prossimo anno) rivelano una certa difficoltà a far proseguire indisturbato l’attuale governo di unità nazionale.

LE CONDIZIONALITÀ EUROPEE

Inoltre lo “spread” (la differenza tra il costo del debito pubblico italiano e quello tedesco) ha già ripreso a correre, nonostante l’ottimo andamento dell’economia. Il finanziamento del debito pubblico italiano è stato infatti sino ad oggi garantito quasi soltanto dalla Banca Centrale Europea in attuazione del programma di acquisto dei titoli dì stato varato per contrastare l’emergenza pandemica (il c.d. P.E.P.P.). Ma questo avrà termine il prossimo 31 Marzo. Perché prosegua anche successivamente è probabile che dipenderà molto da una serie dì altre “condizionalità” che la Commissione Europea sta già preparando (dì fatto una riedizione riveduta e corretta del “Meccanismo Europeo dì Stabilità”, o MES che dir si voglia).

Il risultato della cosiddetta “cura Draghi” è sì insomma a un passo dall’essere colto, ma è anche tutt’altro che scontato. Il suo successo potrebbe aiutare il nostro paese a evolvere decisamente, ma il peso del debito dì Stato e l’ampiezza del deficit strutturale afferente le nostre finanze pubbliche lasciano supporre che ciò potrà avvenire soltanto se le condizioni economiche globali non continueranno a peggiorare e se la politica italiana non entrerà ancora una volta in fibrillazione con l’Unione Europea.

E I MERCATI AUMENTANO LA CAUTELA

I mercati finanziari di conseguenza non riescono ad esprimere (soprattutto per il nostro paese) previsioni affidabili, e oscillano tra ottimismo e pessimismo, su un sottofondo dì tensioni geopolitiche crescenti (che alimentano la forza del Dollaro) e tassi d’interesse dati per certo in crescita già dalla prossima primavera. Difficile dire cosa farà la nostra Borsa dopo Natale.

Sebbene infatti ci si attende che l’intonazione rimanga sostenuta, almeno fino all’estate, la volatilità delle sue quotazioni potrebbe continuare a crescere.

Stefano di Tommaso