PERCHÉ CALANO BORSE E PETROLIO

Sono alcune settimane che vediamo una discesa marcata del prezzo del petrolio e, di conseguenza, tutti si chiedono per quale motivo, in piena stagione autunnale, questo possa succedere. Se possa essere sintomo di una imminente recessione o viceversa se questo possa addirittura provocare una stabilizzazione del tasso di inflazione e, di conseguenza, uno stop alla crescita dei tassi di interesse. Ma in fondo molte delle considerazioni possibili valgono anche per Wall Street…

 

 

Ogni teoria ovviamente può essere valida in un momento in cui è divenuto sempre più complesso non soltanto fare previsioni sui mercati finanziari, ma anche soltanto interpretare correttamente quel che accade nel mondo, ma una cosa è assolutamente indubbia: i prezzi al momento sono in ribasso per un eccesso di offerta, ed è questo che li fa calare, come afferma la microeconomia:

 

Non certo i timori di una futura recessione, dal momento che al riguardo non ci sono certezze circa l’incombere di un nuova recessione e, anzi, la domanda mondiale dell’oro nero continua a crescere, nonostante tutto (ivi comprese le politiche che si oppongono all’inquinamento atmosferico) come è mostrato dal grafico che segue :

 


Il fatto che ci sia un eccesso di offerta tuttavia non significa necessariamente che il prezzo del petrolio sia destinato a scendere troppo, poiché molta dell’offerta oggi in eccesso smetterebbe di affluire al mercato qualora il prezzo medio scendesse al di sotto dei 50 dollari al barile, come dimostra questo grafico che indica i prezzi di “break-even” (cioè al di sotto dei quali i produttori ci perdono) per le varie tipologie di estrazione:

 

Perché allora tutti speculano sulle sorti dell’economia reale quando vedono che Le borse o il prezzo di talune materie prime subiscono un eccesso di offerta? Le possibili risposte sono molteplici:

– In primo luogo c’è la psicologia: la volatilità di questi giorni ha riguardato un po’ tutti I mercati del mondo, a partire da quelli finanziari ed è divenuta un fattore di incertezza che deprime gli slanci;

– Poi c’è la domanda che languisce: la maggioranza degli speculatori chiude l’anno con un nulla di fatto (siamo quasi alla fine dell’anno e i mercati si sono riaccartocciati sulle quotazioni espresse all’inizio);

– Ma soprattutto ci sono le prospettive, anzi: non ci sono più! Nessuno oggi si aspetta davvero un 2019 in corsa come il 2016 (seconda metà dell’anno, dalla campagna elettorale di Trump in poi) e come il 2017 (che è salito quasi senza soluzione di continuità).

 

 

Tre fattori che pesano come pietre ad affossare persino la speculazione, quella che aveva tenuto in vita le speranze che i buy-back e la liquidità tutt’ora abbondante potesse giocare in rimpiazzo della domanda degli investitori di lungo periodo, oramai sopita da tempo. È questa la vera risposta alla domanda di “copertina”!

Risultato: sulle borse chi ha fatto buoni guadagni è più probabile che resti oramai alla finestra, pronto magari a speculare su qualche ondata in arrivo, mentre chi è rimasto intrappolato su prezzi di carico alti attende (con poco entusiasmo) di riuscire a realizzare ed è forse per questo che c’è più offerta che domanda e che la volatilità è in crescita ( si veda il grafico):

Lo stesso vale per la speculazione sulle materie prime e l’energia, con l’aggravante che, nonostante la domanda resti elevata, sono le prospettive quelle che più ne penalizzano i prezzi:

– È sotto gli occhi di tutti il peggioramento del clima globale e questo fa pensare che nuove misure verranno prese per evitare che la situazione precipiti;

– La speculazione è di conseguenza stanca di lottare contro le avversità e il calo delle riserve globali di petrolio immagazzinato (si veda il grafico qui sotto riportato) ne testimoniano il disimpegno;

– Il costo del denaro è cresciuto, così di conseguenza quello del “carry trade” (cioè del detenere qualcosa in portafoglio sinché non ne salga il prezzo) e l’ulteriore stretta alla liquidità globale non fa ben sperare per la disponibilità di credito nel prossimo futuro.

 


Qualcuno ha stimato che la stretta monetaria in arrivo innalzerà il prezzo del credito di ulteriori tre punti percentuali in capo a un anno, a prescindere dai rialzi dei tassi programmati dalla Federal Reserve Bank of America, che al massimo sembra saranno quattro ed assommeranno cumulativamente ad un solo punto percentuale in più.

Dunque il ciclo del credito è già alla svolta è anche questo induce previsioni pessimistiche che scoraggiano la speculazione e, con essa, anche la liquidità dei mercati.

Una vera iattura se teniamo conto del fatto che il ribasso del prezzo dell’energia e di numerose materie prime non può che avere effetti di ulteriore “compressione” dell’inflazione, che già non correva da sola, con il rischio quindi che la debolezza dell’inflazione possa ribaltare la tendenza che sembrava vedersi e trasformarsi di nuovo in deflazione!

Ma non si era detto che invece non ci sono prove né teorie affidabili sul fatto che una nuova recessione sia in arrivo?

Certamente si e l’argomento è così dibattuto che qualcuno si aspetta la fine (che sembra non arrivare mai) dell’attuale super-ciclo economico per non prima della fine del 2019. Un’eternità in termini speculativi!

La verità è che fare previsioni sino a ieri è stato relativamente semplice: i mercati andavano soltanto all’insù e l’unica vera leva da azionare prima o poi era il freno, dal momento che era ovvio non sarebbero continuati a correre per sempre.

Ma poi è arrivato il 2018: un anno intero di incertezza e spostamenti “laterali”, nel corso del quale il freno è stato azionato dai più, ma questo non ha significato alcun crollo. Certo il bitcoin è forse stato la vittima più illustre della disillusione collettiva e della riduzione della liquidità disponibile, complici le banche centrali che ha usato tutto il potere nelle loro mani per disinnescarne lo sviluppo (che invece prima o poi potrebbe arrivare). La verità è il panorama si è complicato a dismisura e che la maggioranza degli investitori ha oggi perso ogni orientamento.

Per dimostrare quanto sopra proverò a fare un esempio. Avete notato che nessuno parla più degli effetti maieutici e miracolosi delle innovazioni tecnologiche in arrivo? Eppure nessuno le ha stoppate, anzi! I risultati delle nuove tecnologie sono incoraggianti e gli effetti delle medesime sulla nostra vita quotidiana devono ancora farsi veramente sentire. I due continenti più vitali del globo (Asia e America) ci hanno scommesso l’anima e aspettano di vederne i ritorni economici, mentre il vecchio continente ha dimostrato di poterci convivere insieme, rinnovando le sue produzioni da esportazione, dal lusso all’impiantistica, passando per le costruzioni di grandi opere e proseguendo fino agli alimenti più sani.


Quel che ne consegue è che la prossima recessione non sarà con ogni probabilità uguale alle altre che l’hanno preceduta: molti fattori recentemente comparsi all’orizzonte è possibile che andranno a smorzarne gli effetti negativi e, anzi, i bradisismi in corso potrebbero indurre molte variazioni in positivo dei paradigmi della vita quotidiana, rivoluzionando i settori industriali e stimolando la crescita di nuovi parametri di ricchezza, benessere, reddito. Togliendo valore a ciò che lo aveva in passato e non necessariamente aggiungendone a quel che davvero conterà in futuro, contribuendo ad affossare in maniera quasi definitiva il concetto di inflazione che era considerato valido fino a ieri (anche perché il paniere dei beni preso per suo campione statistico dovrà essere continuamente rivisto).

Se questo fosse le attuali condizioni del mercato dei titoli a reddito fisso (i cui rendimenti reali diventerebbero estremamente interessanti se il tasso di inflazione dovesse tornare a calare) saranno da ricordare come memorabili, perché potrebbero non rivedersi più ancora per molto tempo. Mentre le borse sono già arrivate al loro nirvana, anche se ciò che resta da considerare è il livello reale dei profitti aziendali, che secondo me possono riservare sorprese positive.

Se così accadesse davvero (e solo il tempo potrà dirlo) allora le borse non collasserebbero mai più tutte insieme come è accaduto nel 2008, ma semplicemente continuerebbero a lungo in quella fase “laterale” di galleggiamento sul mare magno della liquidità (che non può letteralmente essere fatta sparire nel nulla a pena del collasso dei debiti pubblici mondiali) sotto la cui superifice molte cose si muovono velocemente e dalle cui profondità nuove isole vulcaniche sono pronte ad emergere, mentre altre ne scivoleranno lentamente al di sotto.

Stefano di Tommaso




SETTEMBRE, TEMPO DI MIGRARE

“Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti. Han bevuto profondamente ai fonti alpestri, che sapor d’acqua natia rimanga né cuori esuli a conforto, che lungo illuda la lor sete in via. Rinnovato hanno verga d’avellano. E vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume silente, su le vestigia degli antichi padri. O voce di colui che primamente conosce il tremolar della marina! Ora lungh’esso il litoral cammina La greggia. Senza mutamento è l’aria. Il sole imbionda sì la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciacquio, calpestio, dolci romori. Ah perché non son io co’ miei pastori?”
(Gabriele D’Annunzio)

 

Il mese di settembre per i mercati finanziari non è mai stato facile o tranquillo, né ricco. E chiunque abbia già vissuto qualche decina di altre stagioni osservando i listini può scommetterci forte: nemmeno questo Settembre promette bene, come peraltro si è già abbondantemente visto tanto sulle piazze principali, come a Wall Street e al Nasdaq, ma anche in quelle secondarie come la nostra Milano.

Soprattutto sono le emozioni dell’ottovolante quelle che oggi spaventano più gli investitori, perché se da un lato i mercati hanno mostrato chiaramente di non essere ancora arrivati a toccare i massimi, dall’altro lato sempre più professionisti dei mercati finanziari ora hanno la pancia piena, le idee confuse e poca voglia di mettere a rischio le performance già realizzate fino a questo momento (vedi grafico):

Continuando con l’analogia dei pastori che si apprestano alla transumanza, essi “hanno bevuto profondamente” alle fonti della ricchezza e ora più che mai sentono essere arrivati vicini al momento della svolta, del “Sell-off”, sebbene neanche questa volta c’è qualcuno in grado di affermare che le borse abbiano toccato il massimo, tanto per la clamorosa crescita dei profitti (che rilancia in alto la sfida dei multipli di borsa), quanto per la sempre maggiore polarizzazione dei listini intorno ai titoli che promettono clamorose crescite per il futuro, lasciando invece a bocca asciutta le altre Blue Chips dei bei tempi che furono.

Dunque i mercati non sono stupidi, nè sembrano arrivati al capolinea. Operano importanti “distinguo” e cercano ulteriori spazi operativi, e impongono ai gestori una cospicua rotazione dei portafogli. Ma è altrettanto vero che il trenino degli alti e bassi di un giorno o di una settimana al massimo, dopo la pausa ferragostana è oramai già ripartito da un pezzo e promette per l’autunno molte evoluzioni e altrettanti brividi, a partire dalla clamorosa svendita settembrina dei titoli tecnologici, per poi passare ai rischi che comportano i mercati emergenti fino alle sorprese che possono riservarci il comparto energetico e quello obbligazionario anche a causa del crescente indebitamento globale (vedi grafico qui sopra).

Di motivazioni per temere importanti svarioni ce ne sono infatti a bizzeffe: dalla statistica che vede l’impennata settembrina dell’indice VIX (quello della volatilità di Wall Street) al possibile rilancio autunnale dell’inflazione e comunque al quasi scontato aumento dei tassi d’interesse, fino ai dubbi sulla tenuta dei bond italiani. Al momento hanno preso respiro, ma in qualche mese di tempo le tensioni potrebbero riemergere con rinnovato vigore, e questo non incentiva capitali e investimenti. Il treno della ripresa insomma da noi farà un minor numero di fermate, e probabilmente senza molto preavviso.

Ma la vera questione è un’altra, molto più banale di argute considerazioni geo-politiche e macro-economiche alla base della psicologia dei mercati: D’Annunzio concludeva il suo “Settembre”: “ora lungh’esso il litoral cammina La greggia. Senza mutamento è l’aria. Il sole imbionda sì la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciacquio, calpestio, dolci romori. Ah perché non son io co’ miei pastori?”

Traduzione: i pastori (gli investitori) abbandonano le montagne e tornano alle terre natíe (le maggiori piazze finanziarie), per godere ancora un po’ il calore di Settembre (i grassi profitti realizzati), ebbri di ricordi e felici della calma apparente dell’ultimo sole d’estate. Perché poi è in arrivo l’ennesimo autunno caldo, con le solite questioni inflazionistiche, politiche, sociali e istituzionali che non ci faranno dormire sonni tranquilli…

Si spiega forse così la discesa in corso delle quotazioni dei titoli tecnologici (quelli che sino a ieri si erano rivalutati maggiormente) e anche il deciso trapasso dalle obbligazioni ad alto reddito e lunga scadenza a quelle di più breve durata e più sicure, fino al potente risucchio dei capitali dai paesi emergenti verso Wall Street e Londra, con conseguente rivalutazione di Dollari e Sterline, tendenza che a occhio e croce continuerà.

E se qualcuno lo mette in dubbio bisogna solo fargli presente che è un percorso appena iniziato: i possibili venti di guerra possono solo rafforzarla…

Stefano di Tommaso




CAPITALI E TECNOLOGIA RIVOLUZIONANO L’INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA

Tutti si chiedono cosa succederà all’industria dei veicoli da trasporto (e dei loro componenti), innanzitutto perché essa ha vissuto sino ad oggi un certo numero di anni di grande bonanza e adesso mostra qualche segnale di stanchezza nelle vendite e nei prezzi praticati (è da tempo esclusivamente un mercato di sostituzione), ma anche e soprattutto perché ci aspetta che in esso prendano contemporaneamente piede tre diverse rivoluzioni tecnologiche e di mercato che lo influenzeranno moltissimo:

 

TRE DIVERSE RIVOLUZIONI TECNOLOGICHE SONO IN ARRIVO

– la motorizzazione dei veicoli : (sempre più ibrida-elettrica o mossa da nuove tipologie di combustibile (esempio: idrogeno) e sempre meno diesel, anche in funzione delle esigenze ecologiche e di miglior comfort prestazionale (vibrazioni, rumore, accelerazione, frenata, sospensioni, tenuta di strada…)

– la tecnologia di guida dei veicoli: anche grazie alla digitalizzazione e allo sviluppo delle tecnologie ad essa collegate, ci si aspetta che i veicoli in circolazione saranno animati da grandi intelligenze artificiali, sempre più capaci di farli muovere in sicurezza e autonomamente, sfidando la crescente complessità di ogni contesto (dai centri città ai tunnel alla pioggia o neve),

– La condivisione della proprietà dei veicoli: dal momento che è stimato che ogni veicolo venduto venga utilizzato in media pochi minuti al giorno e che la congestione urbana del traffico spinge inevitabilmente a ridurne il numero in circolazione. Un’esigenza che rimodellerà anche il design dei veicoli, le loro caratteristiche di parcheggiabilità, durabilità e autonomia, data la necessità che ne consegue di poter restare in esercizio per il maggior numero di ore al giorno.

È chiaro che si tratta di tre potentissime ventate di novità che ci si aspetta potranno a breve termine cambiare radicalmente i connotati dell’intera filiera produttiva, ma è ancora più evidente che nessun operatore potrà in futuro fare a meno di importanti collaborazioni con quelli attivi in settori industriali completamente diversi dall’industria tradizionale vdell’auto:

I SETTORI INTERESSATI AL CAMBIAMENTO DELL’INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA

– dalla fabbricazione di motori elettrici e dei sistemi di “power train” (gestione della trazione) sempre più efficienti,

– all’industria dei sensori di ogni genere,

– al settore informatico e dell’intelligenza artificiale

– a quello della conservazione dell’energia (batterie e sistemi alternativi, quali le fuel cells),

– fino all’industria dei nuovi materiali, dalla siderurgia al carbonio, al grafene, al vetro e ai nuovi materiali compositi plastici,

– o a quella del design e dell’arredo interno (ivi compresa la pelletteria e gli accessori)

– per finire con l’ergonomia e gli apparati elettro-medicali utili per la prevenzione degli infortuni.

NULLA SARÀ PIÙ COME PRIMA

Se però tutto questo è vero, è altresì realistico pensare che ben poco del panorama industriale nel settore “automotive” prossimo venturo resterà simile a quello attuale!

Con ogni probabilità dunque il “venture capital” e le “fusioni e acquisizioni” (anche e soprattutto trasversali a diversi settori economici) rimodelleranno e ridefiniranno completamente i confini dell’industria dell’auto, i moltiplicatori di valore di ciascun segmento, fino a decretare il successo o la disfatta di vecchi e nuovi gruppi industriali che riusciranno meglio di altri a cavalcare le ondate di rinnovamento sopra descritte.

Il probabile calo delle vendite degli “altri” veicoli e l’avvento di nuove normative che tenderanno a risultare più restrittive nei confronti dei veicoli inquinanti termineranno il lavoro della ridefinizione dell’industria automobilistica. Ovviamente in un tale contesto chi si ferma è perduto!

IL TRIONFO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Ma se c’è un comparto che più probabilmente la farà da padrone è quello dell’intelligenza artificiale, sia nell’attirare i maggiori capitali e i migliori cervelli scientifici dati i moltiplicatori di valore che il mercato finanziario gli riserva, che nella pervasività delle innovazioni che esso determina, anche al di fuori dell’industria della mobilità.


Negli ultimi anni la robotica in generale e l’intelligenza artificiale in particolare hanno attratto le maggiori risorse dei capitali di ventura e la Silicon Valley è oggi tutta un fiorire di start-up tecnologiche focalizzate sulla guida autonoma dei veicoli e su tutto l’indotto che tale industria ha generato. Se va avanti di questo passo il cuore dell’industria dell’auto non potrà che spostarsi in California! Il Giornale della Finanza l’anno passato ha già pubblicato 3 articoli sui cambiamenti in arrivo nell’industria automobilistica : a proposito dell’ auto intelligente , a proposito della sua supply chain, e riguardo al fenomeno del car sharing .

Oggi sono però cresciute, con i capitali dei grandi investitori, grandi compagnie completamente dedite alla tecnologia della guida autonoma come ad esempio ZOOX, che ha recentemente raccolto 500 milioni di dollari per continuare a sviluppare un sistema completo di auto elettrica a guida autonoma (di fatto totalmente alternativa a case come Tesla), valutata implicitamente quasi 3 miliardi di dollari nell’operazione di aumento di capitale. Zoox ha assunto 500 risorse super-specializzate per sviluppare un proprio “robo-taxi” in grado di fare tutto da solo e afferma di esserci sostanzialmente già riuscita!

CAPITALIZZAZIONI DA SOGNO

Le più grandi società della Silicon Valley in concorrenza con Zoox sono peraltro dei colossi come Waymo, la società lanciata da Google nel settore della guida autonoma basata sull’intelligenza artificiale con la collaborazione di Fiat Chrysler e molte altre (BMW, HONDA, INTEL e DELPHI. In una recente intervista al capo analista di UBS Eric Sheridan Business Insider riporta che la sua valutazione come società una volta scorporata da Alphabet (la holding di Google) potrebbe toccare I 135 miliardi di dollari! Per fare un paragone la Ford Motor Co. capitalizza in borsa “soltanto” una quarantina di miliardi di dollari!

La General Motors ha invece acquistato CRUISE alla fine del 2017, valutandola 1 miliardo di dollari. Recentemente (fine maggio 2018) Softbank ha investito nella società 2,25 miliardi di dollari con un aumento di capitale che dovrebbe portarla a controllarne il 20% circa, valutandola implicitamente 11,25 miliardi di dollari.

Ci sono in realtà in questo momento oltre 50 società e filiali di altre aziende che hanno dei veicoli a guida autonoma in circolazione per le strade della California, tutte suscettibili di riuscire a vincere, nelle varie sfaccettature, la corsa all’auto intelligente! Ma soprattutto molte di queste hanno in corso il sorpasso della valutazione della loro casa-madre, quando non sono nate in modo del tutto spontaneo.

LA RIGENERAZIONE DEL SETTORE

Dal momento che le prime a investire in queste start-up sono state proprio le case automobilistiche tradizionali, non è difficile ipotizzare una salutare “rigenerazione” di quell’industria, anche perché sino a ieri a causa dell’oligopolio di fatto che ne preservava margini e quote di mercato, il settore dell’auto era rimasto a fabbricare -affinandole- sostanzialmente le stesse autovetture degli anni ‘90. Forse gli azionisti di controllo dei protagonisti della nuova generazione di costruttori di autoveicoli rimarranno quasi gli stessi, ma le risorse umane, le modalità di lavoro e gli stabilimenti produttivi non potranno che cambiare radicalmente nei prossimi mesi e anni, perché la rivoluzione del settore è in pieno corso!

Stefano di Tommaso




DELL RITORNA A WALL STREET PER CAVALCARE LA TRASFORMAZIONE DIGITALE DELLE AZIENDE

Dopo cinque anni di assenza da Wall Street il nome di Michael Saul Dell è destinato a farsi sentire di nuovo alle grida, dopo che in Ottobre sarà stata perfezionata l’operazione che decreta il ritorno alla quotazione sul listino americano della società che porta il suo nome: Dell Technologies, una società che sarà “strategicamente orientata a trarre vantaggio dalle applicazioni commerciali delle nuove tecnologie tra le quali “Internet delle Cose”, la realtà virtuale, l’intelligenza artificiale, i sistemi di apprendimento automatico dei computers, le telecomunicazioni di 5^ generazione, e la “Nuvola” per l’archiviazione dei dati in mobilità (cloud computing)”.

“La crescita senza precedenti di questi anni e il posizionamento del nostro portafoglio di tecnologie e servizi su un’offerta che copre gli ambiti della trasformazione digitale delle aziende cosa che ci posiziona in modo unico in un momento molto importante per la società” ha precisato agli analisti Michael Dell, in occasione della presentazione dell’operazione di ritorno in Borsa della sua società. Due mesi prima Michael Dell, nel corso della convention aziendale a Las Vegas, aveva spiegato che la sua società si concentrerà sul futuro tecnologico, che porta inevitabilmente allo sviluppo della partnership tra Uomo e Macchina: il connubio tra intelligenza umana e tecnologie potenti che impatterà sul progresso umano dei prossimi 10-15 anni. Un futuro che ovviamente richiederà alla sua società forti investimenti.

LA STORIA

Figlio di una agente di cambio ebrea e di un ortodontista la cui famiglia era immigrata in America in fuga dalla Germania nazista, Dell -che oggi ha solo 53 anni- avviò nel 1984 la sua società per fabbricare personal computer destinati ad essere venduti per corrispondenza a basso prezzo in tutto il mondo. All’epoca egli aveva 19 anni e soli otto anni dopo quella sua società era già entrata nella classifica di Fortune come una delle 500 più grandi aziende al mondo ed era quotata a Wall Street. Ancora oggi non c’è al mondo un ufficio, studio professionale o azienda che non utilizzi qualche macchina o monitor con scritto sopra il nome DELL a caratteri cubitali.

IL “DELISTING”

Nonostante il grande successo raggiunto la Dell Corporation fino a sei anni fa restava sostanzialmente una fabbrica di personal computers e anche per questo motivo aveva sperimentato un vistoso calo della capitalizzazione di borsa. Allora Michael Dell propose al mercato di ricomprarsi le azioni quotate che costituivano il “flottante” riconoscendo alla società di cui era a capo una valutazione di 25 miliardi di dollari. Nel 2013, dopo quasi un anno dall’annuncio e molte polemiche che videro il noto raider Carl Icahn accusarlo di pagare troppo poco agli azionisti di minoranza i titoli che egli ritirava dal listino, l’iniziativa di Dell ebbe successo e la società venne “delistata” dalla borsa newyorkese .

Dal canto suo Michael Dell si difese dalle accuse accusando a sua volta gli analisti di borsa di guardare troppo al breve termine, e affermando che l’unico modo per riuscire a rispondere alle sfide imposte dalle mutate condizioni di mercato con una strategia priva di condizionamenti esterni -basata sulle nuove tecnologie e non più sulla produzione di macchine- era quello di far tornare l’azienda in ambito “privato” (cioè non quotata) per poi stravolgerne liberamente i connotati.

L’ACQUISIZIONE DI EMC E LA QUOTAZIONE DELLE TRACKING STOCKS SU VM WARE

Tre anni dopo la riuscita di quell’operazione (2016) la sua Dell Inc. poteva annunciare di aver finalizzato per 67 miliardi di dollari l’acquisizione della EMC, il colosso mondiale dei data centers” (centri per l’archiviazione dei dati sui quali si basa il Cloud Computing) con l’ausilio del fondo Silver Lake, di Microsoft e di un gruppo di banche, dopo aver montato una delle più complesse operazioni finanziarie della storia per riuscirvi.

Parte del denaro per questa operazione era pervenuto dall’offerta al mercato borsistico di “tracking stocks” (azioni virtuali senza diritto di voto) della VM WARE (dove VM sta per “virtual motion”: software per la realtà virtuale), garantite dalla partecipazione di controllo posseduta da EMC nella medesima azienda al momento dell’acquisto di EMC da parte di Dell.

IL RITORNO DI DELL A WALL STREET

L’operazione che vede oggi Dell tornare a Wall Street è anche tecnicamente interessante perché non consiste in una classica “Initial Public Offering” (IPO) cioè nel collocamento di titoli azionari che si fa in occasione della quotazione in borsa di una società, bensì in una proposta -rivolta ai detentori di quelle “tracking stocks” di VM WARE quotate- di acquisto (per 9 miliardi di dollari) e scambio (per la restante parte fino al valore complessivamente proposto di 21.7 miliardi di dollari) delle medesime, trasformandole in azioni ordinarie della Dell Technologies stessa in ragione di una tracking stock ogni 1,3 azioni di Dell Technologies. Se quegli azionisti voteranno a favore della proposta, ad essi dopo l’operazione a apparterrà una quota variabile dal 21% al 31% di quest’ultima.

L’offerta appare generosa perché la valutazione implicita riconosciuta ai detentori di quelle “tracking stocks” (21,7 miliardi di dollari) è superiore nel complesso di quasi il 30% alla loro capitalizzazione di borsa al momento della proposta (circa 17 miliardi di dollari), sebbene essa consista solo in parte in un’offerta di denaro e per la maggior parte in azioni della Dell Technologies che da cinque anni non è più quotata ma che nel frattempo ha acquisito la EMC Corporation e, con essa, anche il controllo della VM WARE che resta indipendente nella sua gestione e quotata separatamente a Wall Street (fattura meno di 8 miliardi di dollari ma capitalizza più di 60 miliardi di dollari).

LE VALUTAZIONI IMPLICITE, L’INDEBITAMENTO E CHI CI HA GUADAGNATO

In realtà il vero affare lo fanno Michael Dell, la Microsoft e il fondo Silver Lake, che per finanziare parzialmente la quota cash riconosciuta agli azionisti delle “tracking stocks” chiedono alla VM Ware di distribuire dividendi per 9 miliardi di dollari (che per la maggiora7saranno pagati alla sua controllante Dell Technologies), e poi ottengono un implicito riconoscimento dal mercato di un elevatissimo valore per la loro partecipazione nella Dell Technologies (partecipazione che nel complesso scenderà ex post dal 100% al 72%, con la quota in mano a Michael Dell dal 47% al 54% ), senza metterne in discussione l’indebitamento (circa 53 miliardi a livello consolidato) in buona parte contratto all’epoca dell’acquisto di EMC. Una leva finanziaria che ha consentito loro di beneficiare della rivalutazione della società in questi anni (la valutazione implicita della Dell Technologies supera i 70 miliardi di dollari) senza condividerla con altri investitori. Michael Dell infatti cinque anni fa, al momento del delisting della sua Dell Corporation ne possedeva soltanto il 14%.

GLI ULTERIORI INVESTIMENTI A SUPPORTO DELL’EVOLUZIONE TECNOLOGICA

Ma bisogna anche notare che il ritorno in Borsa, già approvato dai Consigli di Amministrazione di Dell e VM Ware, risulta soprattutto funzionale agli investimenti che saranno necessari per mettere in pratica la strategia che Michael Dell ha annunciato a Maggio a Las Vegas alla Convention Annuale della sua azienda, che raduna oltre 14.000 clienti e fornitori: un percorso che traguarda il 2030, basato sulle quattro esigenze che accompagnano la trasformazione delle aziende: il passaggio dal mondo analogico a quello digitale, l’evoluzione degli strumenti di calcolo, la necessità di sicurezza informatica e quella dell’evoluzione delle competenze informatiche della forza lavoro. Che trovano risposte estremamente avanzate nel portafoglio di società del mondo Dell (Dell EMC, Pivotal, RSA, Secureworks, Virtustream e VM Ware) che copre dall’edge computing, al core computing, fino al cloud computing.

Una strategia basata sulla possibilità di coprire in modo integrato tutte le esigenze di Information Technology delle aziende, che parte dall’offerta storica di computers, di sistemi di archiviazione e di infrastrutture di rete, fino a arrivare a coprire anche quella di sistemi per lo sfruttamento della mole di dati che proviene da Internet delle Cose, di proposte per Intelligenza Artificiale nelle aziende, di Realtà Virtuale e Realtà Aumentata per le vendite online. E che necessiterà evidentemente di continui investimenti.

Stefano di Tommaso