SULLE BORSE GLOBALI DUE MONDI CONTRAPPOSTI: TITOLI DIFENSIVI O TECNOLOGICI?

Sui listini di tutto il mondo la galassia dei titoli tecnologici appare avere andamenti sempre più contrapposti a quelli di un’altra galassia, quella dei titoli azionari dei comparti tradizionali. Investire sugli uni risponde infatti a logiche molto differenziate dall’investire sugli altri.

 

Sono oramai molti molti mesi che le borse globali galleggiano su livelli record e che, per questo motivo, i gestori del risparmio si interrogano su come orientare gli investimenti per rispondere alle esigenze dei loro sottoscrittori. L’onda lunga delle nuove tecnologie ha favorito guadagni meravigliosi ma sicuramente i titoli “tecnologici” se da un lato promettono ancora performance eccezionali, dall’altro costituiscono una scommessa forte e rischiosa. I loro corsi sono soggetti a violente oscillazioni anche a causa del fatto che la calma piatta in superficie dei mercati ha incentivato una decisa rotazione dei portafogli.

Sino ad oggi poi anche il mercato dei titoli a “reddito fisso” ha fornito ottime soddisfazioni, ma il livello “quasi zero” dei tassi di interesse fornisce poca attrattiva per gli investitori e per questo motivo essi tendono a preferire investimenti azionari “difensivi” cioè orientati verso titoli a bassa oscillazione e con elevate politiche di dividendi.

Quel che accade perciò rassomiglia ad un processo di polarizzazione degli investimenti. È ormai come se ci fossero per ogni grande borsa del mondo due diversi mercati azionari:

•da un lato quello dei titoli azionari emessi da aziende tradizionali, dove gli investitori hanno da tempo rinunciato a fare scorribande e alla speranza di cospicui apprezzamenti in conto capitale, ma dove cercano invece una sponda di lungo termine, che assicuri loro la cedola e la solidità (per “bondificare” cioè “obbligazionarizzare” i loro investimenti).

•dall’altro lato quello dei titoli emessi da start-up tecnologiche, aziende del mondo internet e società con elevato potenziale di crescita: tutti titoli che esprimono invece forti attese di rivalutazione, assieme ad un’elevata volatilità. Questo mercato risponde al veloce cambiamento delle attese man mano che si chiariscono le tendenze di fondo delle curve esponenziali delle performances. Dunque con titoli come Snapchat che vanno giù e quelli come Amazon o Tencent che invece continuano a correre.

Ovviamente gli investitori non sanno bene se e quando saltellare dall’una all’altra galassia, ma appare loro tuttavia abbastanza chiaro che i titoli appartenenti alla prima sembrano divenuti quasi inscalfibili e immutabili alle oscillazioni degli umori persino quando i peggiori timori geopolitici prendono il sopravvento. Dipendono forse maggiormente dalla liquidità dei mercati che però ancora oggi resta molto elevata (vedi il grafico qui allegato che riporta una delle spiegazioni”tattiche” per cui le borse sino ad oggi non sono andate giù: anche nell’ultimo semestre la liquidità sui mercati si è accresciuta ).

Mentre i titoli appartenenti alla seconda galassia (i “tecnologici”) appaiono molto più sensibili alle oscillazioni degli indicatori economici, al trading online e, in definitiva, al “consensus” del mercato. La loro volatilità è infinitamente più alta anche perché settimana dopo settimana qualcuno di essi appare essere un cavallo stanco, altri corrono più delle aspettative e in media scontano maggiormente i timori di un improvviso ridimensionamento dei listini.

Un interessante comparto industriale rimasto forse a cavallo tra i due mondi appare essere quello dell’automobile, dove convivono FCA e GM da una parte, ancora ostinatamente orientati al design più che all’innovazione e dall’altra parte aziende innovative come Tesla, produttrice di auto elettriche supertecnologiche e capaci di guidare quasi da sole. Con tutte le vie di mezzo come Toyota, WW e Volvo, che hanno saltato il fosso della tecnologia di trazione con motori termici tradizionali ma non del tutto e non prevalentemente.  Ovviamente i titoli di Tesla volano, dominati dalle attese sulle consegne di autoveicoli la cui domanda supera di molte volte l’offerta, mentre sugli altri titoli aleggiano minacciosi i nuvoloni della prossima riduzione della spesa per consumi, cui essi possono risultare più sensibili della media.

Utile anche domandarsi chi ci rimette in una tale forte diaspora tra le due diverse tipologie di titoli azionari, mossa dai timori di fondo di possibili ridimensionamenti delle quotazioni. La risposta è che non rientrano in nessuna delle due categorie oggetto di questa polarizzazione i titoli meno liquidi e quelli a minor capitalizzazione. Ma anche quelli emessi da imprese non fortemente caratterizzate come “market leader” di qualche specifico settore, le start-up in generale e forse anche i progetti di IPO. La polarizzazione degli investimenti in fondo è uno dei tanti modi adottati dal mercato per mettersi sulla difensiva !

 

Stefano di Tommaso

 




CHI FA SOLDI CON LE SCIAGURE INFORMATICHE

Tanium, tra le più grandi start-up tecnologiche della Silicon Valley è forse anche quella che più ha beneficiato dell’ondata di paura che ha seguito l’avvento di WannaCry, il famoso cyber-attacco che ha recentemente mandato K.O. i computer di mezzo mondo.

 

Condotta da un mercuriale amministratore delegato -Orion Hindawi- pronto ad ogni colpo basso e fondata da suo padre, noto genio dei sistemi di sicurezza, Tanium ha sviluppato sistemi di sicurezza informatica impareggiati e unici nel loro genere, perché garantiscono un controllo estensivo e completo di ogni possibile sistema informatico aziendale complesso, impedendone l’hackeraggio anche dall’ultimo dei terminali. Tra i suoi clienti si annoverano le più grandi multinazionali del pianeta e addirittura molti enti governativi.


Non soltanto Tanium è da tempo in odore di una quotazione multi-miliardaria alla borsa di Wall Street. Essa è inoltre uno dei pochissimi “Unicorni” (le start-up valutate dagli investitori più di un miliardo di dollari) capace di generare cassa (pare ne abbia per oltre 300 milioni di dollari) e di raddoppiare ogni anno il proprio giro d’affari (il 2016 lo ha chiuso con un fatturato di 360 milioni di dollari e anche per l’anno in corso ci si aspetta un raddoppio, in parte dovuto al l’ampliamento della sua base di clientela e in parte a causa dell’incremento generalizzato del budget di spesa delle grandi aziende per la propria sicurezza informatica.

L’azienda, spesso citata per il ruvido stile di gestione dell’accoppiata padre-figlio che l’ha fondata (i quali ancor oggi ne controllano la maggioranza del capitale -i signori David e Orion Hindawi- già fondatori di BigFix) non è nuova a scandali e improvvise sterzate di gestione ed è forse anche per questo che è stata di recente additata come la Uber della sicurezza informatica.

Ebbene, tanto per non smentire la sua fama, Tanium ha approfittato dell’occasione del timore generalizzato riguardante la sicurezza informatica generato dal recente attacco globale del virus “WannaCry” per racimolare dai propri investitori ancora un “round” di aumento di capitale (l’ottavo, sembra, dalla sua fondazione) da 100 milioni, sfiorando con quest’ultimo la mirabolante valutazione implicita di quasi 4 miliardi di dollari, rimandando con ciò nuovamente ad una tempistica indefinita la propria quotazione a Wall Street ed incamerando nuova benzina per la propria crescita senza dover minimamente dipendere dalle sorti dei mercati azionari.


L’operazione ha colto tutti di sorpresa non solo perché nessuno pensava che Tanium ne avesse bisogno, ma anche per il fatto che molto di recente gli stessi Hindawi, suoi principali azionisti citati spesso dalla stampa per aver rimpiazzato senza tanti scrupoli numerosi propri dirigenti aziendali di lungo corso quasi solo allo scopo di poter imporre il loro stile di gestione e così controllare meglio la loro società, si erano invece espressi pubblicamente a favore di una grande quotazione in borsa della società, contraddicendo con ciò un sentimento comune di relativa avversità ai mercati finanziari tra le aziende ipertecnologiche della Silicon Valley , che spesso li considerano soltanto un “male necessario” alla propria sopravvivenza.

Ciò nonostante che il mercato finanziario dei titoli “high-tech” quotati a Wall Street abbia registrato nella prima parte dell’anno una performance da capogiro, pari al 20% (oltre il 50% su base annua lizzati), contro un misero 5% degli altri titoli che compongono l’indice Standard&Poor500.

La storia di questo gioiello tecnologico di quell’America dell’America che è la California odierna non è poi molto diversa da quella di numerose altre grandi imprese americane, mirabilmente capaci di dominare una sofisticata e al tempo stesso pronte a ogni manovra pur di difendere la propria autonomia e identità aziendale, ivi compreso il trarre ottimi profitti dalle disgrazie altrui!

Stefano di Tommaso